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Mese: Gennaio 2020

Anti-Flag “20/20 Vision” (Spinefarm Records, 2020)

Se molte band perdono in interesse per un’assenza di tematiche e contenuti, gli Anti-Flag hanno il problema opposto: gli scenari internazionali che soffiano venti di guerra imminenti, sono forse l’ennesima rampa di lancio per i ragazzi di Pittsburgh.

20/20 Vision è il nuovo album di una lunga serie, ma anche l’ennesimo guanto di sfida che i paladini della musica politicizzata internazionale della nostra generazione lanciano al “palazzo”.

Il rilancio del punk rock idealista passa necessariamente dalla Pennsylvania. 

Gli Anti-Flag evolvono senza perdere mordente, si districano in un turbinio di sonorità all’apparenza discordanti tra loro, ma legate come un nodo stretto in gola da una lunga carriera, che ha il sapore di un percorso coerente e imprescindibile. 

Chi ha avuto la costanza di seguire la band fin dagli albori troverà e subirà particolari flashback riconducibili ad album datati, chi invece avrà il primo approccio alla band con questo album, non rimarrà deluso dalla pienezza degli spunti messi in tavola. 

La varietà, per l’appunto è la colonna portante di questo lavoro. 

Un mastering azzeccato e avvolgente, suoni corposi dove batteria, basso ed elettriche si tramutano in una singola bolla di adrenalina. Una mescolanza di intro e outro che fanno da filo conduttore, quasi a voler dare al tutto l’aria di un concept album.

Il marchio di fabbrica rimane immutato, viene solamente puntellato di sfumature che danno uno scatto di maturità e flessibilità. Lo si capisce sin da subito con Hate Conquers All.

Le liriche di Chris#2 restano inconfondibili, lo scream mai invasivo e il trasporto emozionale, degno di un live ben riuscito incarnano tutta la voglia e l’attitudine esplosiva di questo mattatore. 

Il “cantato” di Justin Sane invero sembra aver avuto una sensibile modifica, a volte poco riconoscibile rispetto alle sue trentennali performance, tipologia di canto anomala, abbandonando l’accento grezzo verso una più appoggiata denuncia melodica. Esula dal discorso il primo singolo Christian Nationalist, vero e proprio cavallo di battaglia in cui si ritrova il frontman di vecchia data.

Con Don’t Let the Bastards Get You Down salutiamo dal lunotto posteriore dell’auto The Clash, ma anche The Terror State del 2003 prodotto da Tom Morello dei Rage Against The Machine.

Con a Nation Sleep ti addormenti di colpo e ti svegli in un’appendice di Underground Network, tempi raddoppiati, tecnica e velocità a fondersi in puro hardcore melodico. 

Luci soffuse nella ballad filo radiofonica Un-American, brano degno di una nostrana Virgin Radio per intenderci, che spalanca le porte ad un finale trionfale supportato da trombe e fiati per i titoli di coda redatti da una nostalgica ed energica Resistance Frequencies.

L’innesco di qualche brano pop punk potrebbe far storcere il naso agli intramontabili nostalgici, ma la musica come la vita è fatta di lampadine che si accendono e questa volta gli Anti-Flag hanno addobbato un albero di Natale. L’irriverenza di You Make Me Sick  non ha bisogno di presentazioni, il titolo serve un assist automatico.

Emerge tutto il fuoco che ancora brucia dentro questi ragazzi del popolo, artisti che hanno fatto della musica un tramite per abbracciare gli ultimi. 

Non è scontato mantenersi nella giungla del sociale quando le sorti del mondo da tanto tempo hanno sempre gli stessi protagonisti ma con facce diverse. 

Gli idealisti che amano il punk rock però possono avere ancora qualcuno in cui credere, in cui appellarsi. 

Gli Anti-Flag incarnano ancora una scuola di etica e tecnica, sopratutto nel mondo del “tutto e subito” dando una lezione importante, quella delle priorità. 

A conti fatti la vita dell’uomo viene prima del successo, cosi come il messaggio di unione viene prima della musica stessa.

 

Anti-Flag

20/20 Vision

Spinefarm Records

 

Vasco Abbondanza

Elephant Brain “Niente di Speciale” (Libellula Music, 2020)

Dolore al microscopio

 

“Conta i lividi che servono per ritornare a scrivere”

È stata questa la frase con cui ho conosciuto gli Elephant Brain, per puro caso, con una canzone tra le tante consigliate dall’algoritmo di Spotify. È l’intro di Ci Ucciderà, brano pubblicato nell’estate del 2018 da questa rock band perugina e che dopo un anno e mezzo è rientrato a pieno titolo nel loro primo album Niente di Speciale. 

Mi aveva colpito parecchio, quella frase. Innanzitutto perché sottolinea quanto sia intimo il legame tra arte e dolore, ma soprattutto lascia intendere che anche attraverso qualcosa di negativo come il dolore può fiorire qualcosa di bello.

Forse è un concetto un po’ inflazionato, ma resta comunque un bel concetto…

Niente di Speciale raccoglie questo dolore, lo scompone pezzo per pezzo e lo passa impietosamente al microscopio, ma lo fa con una dichiarazione d’intenti ben precisa: la prima traccia, Quando Finirà, è un po’ un invito alla speranza, al lasciarsi il passato alle spalle per poter ricostruire da capo sulle macerie. 

C’è quindi la sofferenza in sé, ma non mancano tutti quei i metodi che tendiamo a usare come palliativi per negarla, dal fingere che vada tutto bene di Weekend alla voglia di fuggire davanti ai problemi di Scappare Sempre. 

Le nove tracce si susseguono con velocità, seguendo un ritmo incalzante, mentre la voce graffiante di Vincenzo Garofalo si sposa benissimo con un sound crudo ed esplosivo ma curato, a dimostrazione che dal loro primo, omonimo EP del 2015 c’è stata una maturazione stilistica non da poco. 

Il cerchio si chiude con la canzone che dà il nome al disco, Niente di Speciale, che è un po’ una presa di coscienza. È il momento in cui si smette di urlare e in qualche modo si cerca di fare pace con se stessi. Grande importanza è data alla parte strumentale, che va sfumando verso la fine, quasi a darci modo di riflettere su tutto quello che abbiamo appena ascoltato.

Niente di Speciale è un album onesto e che parla a tutti, senza distinzioni. 

È anche un album che deve essere ascoltato live il più possibile, gridato a squarciagola insieme a loro a mo’ di catarsi per renderci conto che sì, siamo solo umani e quindi “niente di speciale”, ma almeno non siamo da soli e ci sarà sempre qualcosa che varrà la pena salvare.  

 

Elephant Brain

Niente di Speciale

Libellula Music, 2020

 

Francesca Di Salvatore

Gio Evan @ Locomotiv Club

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• Gio Evan •

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Locomotiv Club (Bologna) // 16 Gennaio 2020

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Foto: Luca Ortolani

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The Andre

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Bay Fest 2020 | Anti-Flag, Satanic Surfers e Strung Out in line up!

BAY FEST 2020

 :: ANTI-FLAG ::
:: SATANIC SURFERS ::
:: STRUNG OUT :: 

SI AGGIUNGONO ALLA LINEUP!

15, 16, 17 AGOSTO 2020 | BELLARIA IGEA MARINA (RN)

 

La lineup di BAYFEST20 comincia a prendere forma: tre novità si aggiungono al cartellone. Anti-Flag, Satanic Surfers e Strung Outanimeranno la VI edizione del Festival più punk d’Italia!

ANTI – FLAG
Per oltre due decenni gli Anti-Flag sono stati in prima linea nel punk rock socialmente consapevole, pubblicando instancabilmente musica, tournée, organizzando e introducendo generazioni di fan al progressismo attraverso canzoni di protesta infuocate, sparate in faccia a una nazione impaurita e divisa. La loro musica spazia dal punk hardcore al punk rock della California e dei Green Day fino allo ska: un ribollente minestrone di ribellione. Gli Anti-Flagriescono a sintetizzare il suono punk nella sua interezza in maniera perfetta e originale: sarà per la grandissima passione di ogni singolo componente o forse perché hanno semplicemente fatto la storia del genere. Dopo tutto ciò, la band non smette comunque di andare all’attacco: infatti, dopo il penultimo album “American Fall”, continua la sua militanza contro l’amministrazione Trump,tanto da schiaffarlo sulla copertina del nuovo album “20/20 vision”. Stando alle parole di Justin Sane, frontman della band: “L’album è esplicitamente immerso in questo tempo e questo luogo. È un disco che cerca di tracciare una linea nella sabbia contro la propaganda d’odio dell’amministrazione Trump, e di tutti i leader politici che promuovono valori razzisti e bigotti per creare un clima di paura e tensione per mantenere il potere. Non lasciate che quei bastardi vi tirino giu.”

 

SATANIC SURFERS

Dopo la reunion, il ritorno di Rodrigo alla storica postazione di batterista e voce e le ultime due date italiane in supporto ai Lagwagon, la febbre da “Satanic” è salita alle stelle! La band, insieme a Millencolin, Refusede No Fun At All ha fatto la storia del punk rock scandinavo, conquistando una gremita schiera di fan anche oltreoceano. L’attesa per l’ultimo disco è stata ampiamente ripagata visto che questo mantiene invariata la coerenza e l’attitudine pura e senza compromessi che da sempre ha caratterizzato la band, proiettando il loro sound in un delirio di aggressività, grinta e passione. “Back From Hell” (aprile 2018) mantiene intatta l’urgenza espressiva della band che, a livello di scrittura, si mette in gioco senza riserve e senza compromessi; allo stesso modo in cui si mette gioco durante gli spettacoli dal vivo, dove, gettando sul palco anima e corpo, riesce a firmare ogni volta degli show memorabili.

STRUNG OUT

Gli Strung Out sono una band hardcore punk di Simi Valley, in California, formatasi nel 1989. Sono conosciuti principalmente per il loro stile musicale che fonde tra loro elementi punk rock e heavy metal, dando vita a un sound riconoscibile e originale. Il 2020 vedrà l’uscita di un nuovo disco in studio a distanza di pochissimo tempo dall’ultimo  album “Songs Of Armor And Devotion”, che celebra la loro rilevanza ultadecennale nella scena underground americana, un disco che è un omaggio musicale al mondo metal-thrash di cui gli Strong Out sono da sempre appassionati ed estimatori.

 

Accogliamo le band sul palco di #BayFest20 con l’emozione e la certezza di assistere a un grande show, il quale ripercorrerà idealmente i momenti più luminosi incisi nella carriera di ciascuna band.

 

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Dettagli

BAY FEST 2020

15, 16, 17 agosto 2020 | Parco Pavese | Bellaria Igea Marina | Rimini

PREVENDITE DISPONIBILI SALVO ESAURIMENTO SUI CIRCUITI MAILTICKET E VIVATICKET:

Regular 3 days combo pack: €125,00 incluso ddp

Regular 3 days combo pack + camp (4 giorni): €186,00 incluso ddp

 

 

Naftalina “La Fine” (Self Released, 2020)

1999 – 2020 Odissea nel Pop Punk

 

Erano altri tempi. 

Quando prendevi il telecomando e bastava comporre dei numeri sulla tastiera per venir catapultata in un altro mondo. Avendo cugini più grandi (che ringrazio di cuore), il nostro canale preferito era MTV. Non quello che guardate ora. Era tutto diverso. A rotazione, carrellate di videoclip, programmi, live, una meraviglia. Poi il declino. Ma questa è un’altra storia.

Girava un post punk revival melodico, i Green Day, Sum 41, Blink 182, i Fall Out Boy e Jimmy Eat World, erano il nostro pane quotidiano. La sera tardi in programmazione potevi trovare roba più “acida” o “strana” , e noi italiani andavamo forte. Verdena,  Punkreas, Prozac+, Derozer, Porno Riviste e i Succo Marcio. Spaccavamo le classifiche. 

Anche in Italia era arrivato il contagio del pop punk, e per fortuna.

Mi ricordo, però, in particolare di una band, che adoravo, i Naftalina. Erano due ragazzi e una ragazza poco più grandi di me. Li passavano in radio, in tv. Io guardavo la ragazza, Klari (basso e voce) e sognavo di diventare così da grande. Il loro primo album Non Salti Come Me fu un vero successo. Balzarono subito nelle classifiche con il singolo Se, tra tour e ospitate in TV passò un anno, al termine del quale iniziarono a registrare il nuovo album, considerato troppo rock dalla major che nel gruppo ricercava sonorità più pop. Non si sono voluti piegare alla volontà dell’etichetta, quindi il gruppo si sciolse. Nel 2008 riapparirono in una nuova veste e scomparvero di nuovo.

Tornano definitivamente (?) insieme Peter (voce e chitarra) e Klari, nel 2018, e finalmente adesso riusciamo a sentire questo nuovo album La Fine, anticipato dal videoclip di Error 404, parodia di Bitter Sweet Simphony, dove troviamo uno splendido Auroro Borealo nei panni dell’incazzosissimo Richard Ashcroft, solo più sfigato.

Mantengono le loro radici, accordi semplici, chitarre distorte e ritornelli orecchiabili come in Labile, ma i testi sono più ricercati e adulti, per esempio in Distorta parlano delle donne moderne, regine di Instagram, fashion blogger e legate alla vita paradossalmente finta dei social.

La voce melodica di Klari si fonde con quella acida e particolare di Peter, sporcando i brani di un’aura punk e alternativa, ricordando i nostrani Prozac+ o gli internazionali Sonic Youth. Ma le melodie ricadono nel pop punk.

Non mi dirai, forse il pezzo più tosto dell’album, chitarre tiratissime e batterie picchiate ad arte.

La loro crescita si denota dagli argomenti che affrontano, come in Kalief Browder, dove raccontano a loro modo la storia di un ragazzo di colore americano suicidatosi per le violenze e le angherie subite all’interno del carcere (gli ultimi minuti della canzone sono un’intervista allo stesso).

Nel album è presente anche un brano più soft (ma solo a livello musicale), Sopra di me, che parla di perdita e solitudine, in un ambient più malinconico.

La voce di Peter, in Nostrand Avenue è quasi ingenua e innamorata, per scoppiare in chitarre aspre e batterie ritmate, la presenza della tastiera e delle trombe lo rende il pezzo più pop dell’album.

Dopo 20 anni tornano, con le stesse sonorità da garage band che li ha portati al successo, ma con testi più motivati e profondi.

Per tutti quelli che hanno visto la propria adolescenza in toni pop punk sarà un ritorno al passato con la coscienza da adulto.

Per quelli che non hanno vissuto questo periodo, sarà una bella scoperta.

E mentre ci godiamo La Fine, aspettiamo già il prossimo album.

 

Naftalina

La Fine

Self Released, 2020

 

Marta Annesi

ANTI-FLAG 14 gennaio | HT Factory, Seregno(MI)

Gli Anti-Flag tornano in Italia con unesibizione da HT Factory (Seregno, MI) il 14 gennaio dove eseguiranno dal vivo il nuovo album 20/20 Vision, per un concerto che si prospetta un vero e proprio must per tutti gli affezionati alle loro sonorità forti e aggressive.

Con il loro debutto in una radio di Pittsburgh nel 1993, gli Anti-Flag si riunirono per condividere il loro disgusto per la religione e il nazionalismo: erano essenzialmente tre ragazzetti che si divertivano a passeggiare per la città indossando bandiere sottosopra come toppe nelle giacche, con grande disappunto e rabbia degli skinhead locali. Già quattro anni dopo avevano fatto un tour negli USA e si erano costruiti una reputazione riprendendo i vecchi valori della musica punk: veloce, rumorosa, e contro tutto ciò che finisce per ismo.

La loro musica spazia dal punk hardcore al punk rock della California e dei Green Day fino allo Ska: quasi come fosse un ribollente minestrone di ribellione gli Anti-Flag riescono ad isolare con essa i loro pensieri politici, conferendo a questi ultimi sfumature diverse, ma sempre più che pregevoli, che classificano la loro attività artistica come sincero e rabbioso antidoto contro razzismo e autoritarismo.

Nei suoi quasi 25 anni di attività, e sempre parlando di politica, non poteva mancare la voce di Justin Sane e degli altri membri della punk-rock band più famosa della Pennsylvania a commentodellelezione di Donald Trump alla Casa Bianca; una reazione affidata al nuovo disco, dallesplicativo titolo “20/20 Vision.

A tal proposito, ecco le parole della band sullimminente tour europeo:
«Abbiamo bisogno di questi show. Abbiamo bisogno di questo tour. La nostra forza individuale, speranza e ottimismo derivano direttamente dalle interazioni e dal rapporto che riusciamo a instaurare con il pubblico a ogni nostro show. La dimensione live per noi rappresenta lo spazio dove lenergia individuale si trasforma in collettiva, e dove nasce il potere.»

DETTAGLI

14 GENNAIO 2019 | ANTI-FLAG | HT FACTORY, SEREGNO (MI)

Ingresso in prevendita: 15+ ddp

Ingresso in cassa: 18

Prevendite disponibili su Mailticket, al seguente link
https://www.mailticket.it/evento/23153

Niccolò Fabi @ Politeama Genovese

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• Niccolò Fabi •

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Politeama Genovese (Genova) // 13 Gennaio 2020

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Sarà il legame più comune tra concerto e parterre dove si sta appiccicati gli uni agli altri oppure tra concerto e sedili scomodi dei palazzetti, ma il teatro come location porta sempre con sé una vaga aura di grandezza e di conseguenza soggezione.
La sala del Politeama Genovese è al completo, con un pubblico decisamente variegato: ci sono bambini, ragazzi e adulti, c’è chi è venuto da solo, chi in coppia e chi invece con tutta la famiglia. Insomma, Niccolò Fabi ha riunito uno spaccato di umanità per il suo Tradizione e Tradimento Tour.
Le luci si accendono e la voce calda di Niccolò, accompagnato dalla band, comincia a intonare A Prescindere Da Me, dal suo ultimo album. È incredibile come ogni elemento nelle sue canzoni crei un equilibrio di delicatezza, profondità e intensità. Tutto, comprese le luci e le immagini sullo sfondo, è studiato per dare l’effetto di una “leggera spinta” a chi ascolta, per fargli perdere l’equilibrio e lasciarsi andare, come ha detto lui stesso alla fine di Nel Blu.
La performance di Vince Chi Molla, tratta dal fortunatissimo album Una Somma Di Piccole Cose, è stata sicuramente uno dei momenti più alti. La semplice combinazione di voce e tastiera ha emozionato l’intera platea.
Emozionante anche il discorso prima di Scotta, in cui Niccolò ha voluto ricordare come in questa epoca storica, dove è sempre più difficile provare empatia, l’arte deve arrogarsi il diritto – forse con presunzione o forse no – di non girarsi dall’altra parte e diventare una forma di resistenza.
È soprattutto in questi momenti, quando non è accompagnato dalla musica, che ci si rende conto della sua umiltà disarmante. Non a caso, sembrava quasi imbarazzato a ricevere tutti quegli applausi e si è prodigato affinché tutte le persone che lavorano con lui ricevessero il giusto credito.
Il concerto si chiude con Lasciarsi un Giorno a Roma e una platea in piedi che canta e balla insieme a loro sul palco.
Forse quella soggezione iniziale non aveva poi così senso…

[/vc_column_text][vc_column_text]Testo: Francesca Di Salvatore 

Foto: Simone Margiotta

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[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]

Cogito Ergo Amo: una rivoluzione d’amore tra synth e basso

Classic stay classy: di questi tempi affidarsi al vintage è praticamente una sicurezza. E allora J Milli, producer di Cogito, disegna un pattern che profuma di Stranger Things e Stand By Me ma che racchiude, nella propria essenza, una struttura digitale in salsa di synth e loop. Il cantante, dal lato suo, strozza il dondolo del basso e le sortite digitali con una voce graffiata e disincantata, una voce ferita e per questo ancora più viva. Risultato? Una bella bomba. O meglio, una Molotov. Come in una Primavera di Praga amorosa i due lagunari ricamano su una tela di vissuto giovanile situazioni che sono “un po’ come quando ti sbucci un ginocchio, se lasci che la ferita si rimargini e faccia la crosticina poi passa anche se lascia il segno. Però se ti gratti sanguina.”.

Uscito l’11 di Dicembre scorso a corredo del recente EP Come va?, il pezzo di Cogito si porta intrinseco il fascino dei canali veneziani, sua città d’origine, “vicina solo due fermate ma a volte così lontana”; si porta dietro quella confusione giovanile che più o meno tutti abbiamo provato almeno una volta, quell’essere spaesati con il mondo attorno che corre perché si ha una persona ferma in testa. Riprendendo stilemi compositivi e canori vicini a Gazzelle, Cogito racconta vividamente situazioni pervase da un’emotività spesso latente, sensazioni racchiuse e pronte ad esplodere, appunto, come una bomba carta. Con una scrittura interessante e un timbro profondo, il pezzo si eleva immediatamente a colonna sonora di stati d’animo sporcati di ferite fresche ma anche macchiati irrimediabilmente di nostalgia, un pezzo che va assaporato lentamente fino a che viene capito e fatto proprio, personale: e se questo avvenisse, sono sicuro che il ritornello, “con i miei perchè puoi fare/una molotov e buttarmela addosso/cosi esplodo per te/cosi esplodi anche te/cosi siamo io e te” sarà urlato nell’abitacolo della vostra macchina.

Ma veniamo a qualche domanda più specifica.

 

Mi soffermo subito sull’aspetto melodico di questo tuo nuovo pezzo: apertura da ballatona rock direttamente dagli anni ’80, poi attacca il synth. E i giri di basso in sottofondo sono ipnotici: come avete partorito tu e J Milli questa figata?

“Molto interessante come domanda. Questa canzone, come spesso capita, è stata partorita da J Milli a livello di produzione musicale; poi; una volta nata; io la coccolo. Abbiamo scelto una linea guida per quanto riguarda lo stile che volevamo per questo brano, quello appunto della ballatona rock dagli ‘80, proprio anche come stesura del testo, ma poi facciamo fatica a stare distanti dai synth. Questo anche perché inconsciamente quando produciamo pensiamo sempre alla dimensione live.
Per quanto riguarda i giri di basso si sente che arrivano proprio da quella dimensione reggae/funk che accompagna J Milli nel suo progetto musicale laterale al nostro. In più il ragazzo che ha suonato per noi in fase di registrazione, Timo Orlandi, ha toccato quelle corde del basso come se ci stesse facendo l’amore. Siamo stati davvero contenti di come sia usciti finito il brano.”

 

Lo stile ibrido di Molotov è un aspetto che mi incuriosisce molto: è il risultato di un’osmosi dei vostri gusti musicali o siete allineati come riferimenti?

“Io e J Milli abbiamo sia gusti in comune sia differenti. La cosa che però ci accomuna è che ci piace proprio la musica! Se gli faccio sentire un brano che mi piace, che magari non avrebbe mai ascoltato, non parte prevenuto ma anzi è subito pronto ad ascoltare ed apprezzare e così vale anche per me se è lui a farmi scoprire qualcosa.
Direi però che i nostri gusti musicali personali non sono proprio allineati nel nostro cervello. Io passo da ascoltare i NOFX (punk) a Harry Styles (pop)  e lui idem passa dai Twinkle Brothers (reggae) alle trappate americane fatte bene.”

 

A proposito di riferimenti, questa volta canori: l’indolenza della tua voce mi ricorda Gazzelle, il ritmo gli Psicologi.

“Apprezzo un sacco questi riferimenti! Per il brano ho scelto proprio uno stile alla Gazzelle come reference, ovviamente rimanendo me stesso al 100%. Psicologi credo possano essere un riferimento adeguato perché entrambi possiamo essere posizionati in quel mondo detto ‘’indie’’, anche se oggi non vuol dire!
Ascoltiamo parecchio hip-hop, se guardo il mio Instagram seguo moltissimi rapper e in macchina è più facile che faccia partire Marra piuttosto che Calcutta, ma poi quando scrivo spesso sto male e se sto bene non riesco ad affrontare tematiche street come quelle dei rapper perchè non mi appartengono davvero molto.
Sono un mix di tante cose, può sembrare un bel casino, ma io sono contento così.”

 

Dopo averti chiesto dell’aspetto melodico e dell’aspetto canoro, ora ti chiedo della scrittura: trovo molto azzeccato il senso metaforico che si sviluppa nel testo. Al pari dell’aspetto musicale, quello della scrittura è un mondo colmo di creatività: come lo coltivi?

“Credo che il modo migliore per coltivare questo aspetto sia quello di essere sé stessi. Quando uno scrittore scrive sta raccontando qualcosa quindi il migliore allenamento è vivere le cose, essere profondamente sé stessi e imparare a dirle.
Cerco di scrivere molto in maniera da poter dire sempre meglio le cose che penso e vivo, sto anche trovando la mia dimensione stilistica cercando di non farmi troppo influenzare da quello che è il modo di scrivere di altri artisti.
Leggo, anche se è difficile. Non so quanto possa essere un allenamento. Per il cervello sicuramente e anche per la creatività, ma come se sai scrivere non diventi automaticamente un poeta allo stesso modo se divori libri non diventi uno scrittore.
Scrivere, scrivere e ancora scrivere è secondo me l’allenamento migliore.”

 

Ok, pausa sigaretta e domanda personale. L’oggetto della canzone: ferita fresca?

“Io preferisco il caffè (ahah).
L’oggetto della canzone è una ferita che non si sa cucire. E’ un po’ come quando ti sbucci un ginocchio, se lasci che la ferita si rimargini e faccia la crosticina poi passa anche se lascia il segno. Però se ti gratti sanguina.
Diciamo che ho ancora un po’ di prurito che non va via.
L’amore è anche questo. Viva l’amore.”

 

Un particolare molto bello della tua canzone è la sua armonia, la sua fluidità: il flow cavalca le note in maniera dolce, la voce accarezza il synth e si fa guidare dalle linee ritmiche: quanto lavoro c’è dietro all’unione dei due aspetti?

“È una domanda a cui non so rispondere sinceramente. Non so quanto lavoro veramente ci sia dietro. Quando scrivi e vai sempre di più davanti il mic inizi a sentire cos’è più giusto fare sulla base. C’è un equilibrio, ad esempio le ripetizioni sono una scelta ma poi alcune melodie vengono semplicemente chiudendo gli occhi.
Se non funziona J Milli mi bacchetta e quindi iniziamo a fare versi sulla base e sistemiamo sopra le parole.
Spesso però capiamo che la melodia è quella giusta quando riascoltandola iniziamo a ridere.
Quando chiudi un bel brano lo senti, che sia triste o super happy, comunque tu sei felice.”

 

Hai racchiuso secondo me benissimo una situazione sentimentale che è capitata più o meno a tutte le persone: questa canzone mi riporta a situazioni e posti vissuti. Se ti chiedessi da quale città arriva questa tua canzone?

“Che bomba di domanda!
Sarò scontato ma così pensandoci dalla mia camera ti direi Venezia.
Proveniamo dalla provincia di Venezia, due fermate di treno dall’isola. Ti dico Venezia perchè è una città così unica e bella che per quanto sia a noi vicina a volte è tremendamente lontana. Quando sai di avere qualcosa tra le mani lo dai sempre per scontato, succede così anche in amore. Venezia è unica, come una persona che ami ma se non la vai a trovare non la vivi.
Venezia perchè tra quelle calli son successe cose intime ma allo stesso tempo mi sono ubriacato con gli amici in piazza.
In più è una città piena di amore e di ragazzi da tutte le parti del mondo ma allo stesso è davvero fragile tra quei canali che spesso la fanno piangere.
Venezia poi è dove ho assistito alle prime manifestazioni ai tempi del liceo.
Se Molotov è una rivoluzione d’amore Venezia è la città perfetta.”

 

Trovo davvero interessante il tessuto musicale che viene a crearsi. Hai saputo creare (o ricreare) delle situazioni: ipotizziamo allora un’atmosfera cinematografica, immagini e musica fuoricampo. Un piano sequenza della madonna, insomma. Come comporresti questa ipotetica scena con la tua canzone in sottofondo?

“Una manifestazione. Due ragazzi che si amano tenendosi per mano. Primi piani sui loro volti e sfocato dietro il caos di una manifestazione, fuoco, digos e scoppi.
Ad certo un punto scende una lacrima sul loro viso, le mani si lasciano e guardandosi si trovano sempre più distanti. Portati via dal mondo circostante, con cattiveria ma in slow motion. Dandosi alla fine le spalle.
Alla fine una molotov nel cielo che infuocata esplode.
Non l’hanno voluto ma è la vita.”

 

Ultima domanda: canzone emotiva, ritornello spinto. Immaginati sul palco: alienazione con il pubblico con mani dietro alla schiena come Liam Gallagher o braccia aperte e abbraccio simbolico alla folla?

“Ho una canzone che reputo la sorella minore di questo brano e la canto a braccia aperte come se stessi abbracciando il pubblico.
Questa canzone è molto più intima e per questo cercherei di stare più vicino al pubblico sedendomi sul bordo del palco come se fossimo vicini a chiacchierare.
Ma alla fine… chiuderei gli occhi e lascerei andare le cose come decide il cuore. La musica è di tutti, questa è una storia che come hai detto han vissuto tutti, speriamo che questa canzone diventi di tutti.
La canteremo assieme.
Grazie da parte mia e di tutta la crew per queste domande davvero interessanti. E’ stato bello rispondere.
Grazie anche a chi avrà letto l’intervista fino a qui.
Ci vediamo presto, un abbraccione!”

 

Alessandro Tarasco

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