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Mese: Giugno 2022

Pearl Jam @ Autodromo Imola

The waiting drove me mad
you’re finally here and I’m a mess

 

Tier I

Tutto sta nei primi dieci secondi di concerto.

“L’attesa mi ha fatto impazzire,
Finalmente sei qui e io sono un casino”

Due anni di attesa per tantissimi presenti, ben quattro dall’ultima apparizione in Italia dei Pearl Jam. Alla fine ci siamo ritrovati, un po’ rotti, un po’ incerottati, un po’ stanchi.
Una setlist corta, farcita di pezzi scontati, eseguita in una location che fonti interne e vicine ai nostri hanno definito “worst location ever”. Ever, sia messo agli atti.
Loro sono ormai anziani, Vedder non si appende più neanche agli stipiti delle porte, e ormai riconosciamo il pezzo che sta per essere eseguito dalle chitarre che vengono distribuite.
Il pit, che ricopriva la stessa superficie della Val d’Aosta, non aveva pavimentazione. Abbiamo visto il concerto su tacchi da sei. Docce chiuse alle diciotto, birra a otto euro, oppure due token, ultimo ritrovato per evitare di usare una carta come, che so, due giorni prima a Zurigo.
Vedder ha interrotto lo show almeno quattro volte, salvando più vite di David Hasselhoff in Baywatch, e giuro, non ho mai visto tanta gente andare per terra a un concerto. Un ritmo assurdo, con un lavoro incredibile della security. 

Il deflusso è stato completamente autogestito, abbiamo calcolato la rotta seguendo l’Orsa Maggiore vagando come zombie in una puntata automobilistica di The Walking Dead. E siamo arrivati ai comodi parcheggi, in provincia di Modena.

Sì, siamo messi malino. Anzi, male. Ho sentito mugugni preventivi, lamentele pretestuose, critiche inamovibili senza neanche i White Reaper sul palco.
Eppure siamo lì.
E quando Eddie ci urla che l’attesa ci ha reso pazzi, mi si dipinge un sorriso sul volto. Centro, Mr. Edward Louis Severson III, centro perfetto.
Fa tutto schifo, siamo un po’ impresentabili anche noi, tu, poi.
Però siamo tutti qui, in sessantamila, a cantarci in faccia il nostro amore.

Take my hand, not my picture.
Ecco. Dio quanto siete mancati. 

 

Tier II


If man is 5, then the devil is 6, and if the devil is 6, then God is 7
(
Pixies, Monkeys Gone to Heaven)

 

La vera notizia è che sul palco, a partire dalle 18.00 è anche successo qualcosa.
I White Reaper hanno dato il via allo show, e mentre a Zurigo avevano patito un mixaggio fatto al buio, temo invece che ieri la colpa fosse proprio loro. Sia chiaro, de gustibus, ma stanno ai Pearl Jam come American Pie sta a Goodfellas.
Per fortuna i Pixies sono i gran ciambellani dell’indie, IL gruppo che anche Bartezzaghi usa per la definizione di “seminale”. Tanto seminali e tanto degni di rispetto che a destra del palco, primo tra i primi del pit, c’era un certo Eddie Vedder a ciondolar la testa.
Guardare, ascoltare, imparare. Come tanti anni fa.
E i nostri?
La setlist è figlia della location, e del numero folle di presenti. Ed è giusto così.
Sedici pezzi direttamente dagli anni novanta, quasi tutti gli inni presenti. Una scaletta ad alto tasso di partecipazione, come è giusto che sia per una festa di massa.
E così, oltra alla già citata Corduroy, si susseguono senza sosta Even Flow, Why Go ed Elderly Woman Behind the Counter in a Small Town, pezzo in cui Vedder, all’attacco iniziale, spara un basso così basso e una nota così precisa che mi ha curato il male alle caviglie, di colpo.
E poi arriva la doppietta da Gigaton, Dance of the Clairvoyant e Quick Escape. Funzionano, che dire di più. E movimentano la setlist, che altrimenti rischia di diventare un omaggio alla nostalgia. I Pearl Jam, da sempre in cinque, sei con Boom Gaspar, ora sono sette con Klinghoffer, che, nascosto e nelle retrovie, gioca a fare l’artigiano tra chitarre, percussioni e cori. C’è e si sente, in alcuni pezzi.
Eddie racconta delle sue gite in auto, anni fa, mi illude che suoni Untitled e poi invece attacca MFC.
Jeremy fa tremare l’autodromo, mentre Eddie commuove tutti raccogliendo la richiesta di un ragazzo italiano che, attraverso pearljamonline, aveva chiesto di suonare Come Back in onore del fratello recentemente mancato.
Direi che sì, era lì con noi.
Eddie sfonda la quota-fanculo della serata con Save You, mentre il duo Wishlist – Do The Evolution fa perdere la voce al mio vicino, che, per la cronaca, non aveva centrato una nota neanche per errore. Grazie ragazzi, missione compiuta.
Seven O’Clock perde un po’ di potenza dal vivo, tende al liquido nel finale.
Daughter è sacra, Given to Fly anche. Mi rallegro, gioisco e ringalluzzisco con Superblood Wolfmoon, dove realizzo il sogno proibito di piazzare ravanèi remulass, barbabietole e spinass nel ritornello. Sogghigno. Sardonico.
Lukin e Porch a seguire sono la scarica finale prima della pausa.
L’encore è all’insegna del “suoniamole proprio tutte”, così i nostri inanellano State of Love and Trust, Black, Better Man, Alive, Yellow Ledbetter. Da svenimento.
Luci, saluti, palco vuoto.
Alla prossima.

 

Tier III

Freedom is a Verb

Il concerto però non è fatto solo di canzoni. Eddie parla, e lo fa spesso.
Insomma, conta anche cosa accade quando le chitarre sono ferme.
Aborto. Ricordi. Sogni e realtà. Morte e fratellanza. I Pearl Jam sono militanza, sono azione aldilà dei dischi e dei concerti. Chi canta sotto palco è giusto che si ricordi, ogni volta che compra un biglietto, che sta anche premiando una linea, delle idee e una visione. Non sono solo canzonette. 

Eddie Vedder non sa leggere, ma sa comunicare.
E i Pearl Jam sono una macchina perfetta, che si muove con esperienza e sicurezza.
E poi c’è Mike McCready.
Mike McCready al secondo pezzo suonava la chitarra con la bocca.
Al-secondo-pezzo.
Mike McCready ha maltrattato così tanto la chitarra durante l’assolo di Black che Eddie Vedder pare fosse pronto a interrompere il concerto per salvare anche lei.
Mike McCready in assolo è metafisica applicata.  

È sempre più una liturgia, sempre più catarsi collettiva, sempre più condivisione. Ieri sera, mentre Eddie parlava, mi è balenato un desidero segretissimo: vorrei un Vedder on Broadway. Come Springsteen. Magari tra vent’anni, quando DAVVERO non potrà più reggere certi ritmi, certe note, ma avrà dalla sua la saggezza e un pezzo di ricetta per la redenzione da realizzare con una chitarra in mano.
Mike no, lui ascenderà al cielo durante un assolo, perché qualunque dio alberghi l’alto dei cieli si merita un po’ delle sue chitarre. 

 

Tier IV

We Belong Togheter

Eddie Vedder confonde sogno con realtà.
“È reale?” Ci chiede.
“Sono qui? Voi ci siete?”
Eravamo in sessantamila a rispondere di sì.
Dopo due anni di attesa, in sessantamila a sopportare il caldo e la sete.
Eravamo così tanti che anche loro, lassù, si sono lasciati andare. E per quanto sappiano seguire dei binari sicuri, ho visto, come a Zurigo, un’urgenza e una voglia contagiose. Proporzionale al numero di persone davanti a loro. Ieri c’era emozione sul palco, Eddie lo ha ammesso, o almeno i peli delle sue braccia hanno parlato per lui.
E allora forse, aldilà delle polemiche, delle setlist, delle durate, forse basterebbe saper godere di questo. Dell’ appartenenza. Il che, per altro, risponde alla semplice domanda: alla fine, perchè sei qui?
Io sono tornato a rinnovare un legame.
Anche se sti bolliti non mi hanno suonato Rearviewmirror.

E questa storia finisce mentre dondolo marciando sulla pista dell’autodromo, mentre usciamo con lentezza.
Sorrido, perché nella tasca destra mi sono avanzati dei token, come da previsione. Ma nella sinistra sento un paio dei biglietti sgualciti, che sono già diventati storie da raccontare e ricordi da conservare. 

 

Andrea Riscossa

 

SETLIST

Corduroy
Even Flow
Why Go
Elderly Woman Behind the Counter in a Small Town
Dance of the Clairvoyants
Quick Escape
MFC
Jeremy
Come Back
Save You
Wishlist
Do the Evolution
Seven O’Clock
Daughter
Given to Fly
Superblood Wolfmoon
Lukin
Porch

State of Love and Trust
Black
Better Man
Alive

Yellow Ledbetter

Anderson Paak @ La Prima Estate

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• Anderson Paak •

+

Frah Quintale

Joan Thiele

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LA PRIMA ESTATE

Lido Di Camaiore (Lucca) // 24 Giugno 2022

 

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Foto: Letizia Mugri

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FRAH QUINTALE

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JOAN THIELE

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MUSICULTURA Festival della Canzone Popolare e d’Autore 24 e 25 giugno allo Sferisterio di Macerata

I DAKHABRAKHA DI KIEV APRIRANNO LA XXXIII EDIZIONE DI MUSICULTURA DOMANI 24 GIUGNO
Tra gli ospiti:
Angelo Branduardi, Litfiba, Ditonellapiaga, Violons Barbares Manuel Agnelli, Silvana Estrada, Gianluca Grignani, Ilaria Pilar Patassini ed Emiliana Torrini & The Colorist Orchestra

I DakhaBrakha apriranno la XXXIII edizione di Musicultura domani venerdì 24 giugno allo Sferisterio della città di Macerata che per due giorni diventerà la Capitale della Canzone d’autore e della musica popolare.
La prima delle due serate finali del Festival, condotte da Enrico Ruggeri e Veronica Maya vedrà l’esibizione del quartetto di Kiev, dal nome in lingua antica ucraina che significa “dare/prendere”, famoso nel mondo per le sue esibizioni, tra folklore e teatro, con un suono transnazionale radicato nella cultura ucraina di grande potenza e vastissima gamma vocale, accompagnato da strumenti tradizionali indiani, arabi, africani, russi e australiani.
Per l’occasione Musicultura ha invitato alla serata una rappresentanza della comunità di profughi ucraini ospitati nel territorio.
“Inseguivamo questa fantastica formazione da quattro anni, non sembra vero che oggi la loro terra e il loro popolo siano devastati da una tragica guerra di aggressione – ha detto il direttore artistico di Musicultura Ezio Nannipieri. – Una realtà drammatica bussa violentemente alle nostre coscienze, la musica non può purtroppo cambiare lo stato delle cose, può portare forse un po’ di conforto”. Nella serata di apertura del Festival i DakhaBrakha si esibiranno con Angelo Branduardi, Litfiba, Ditonellapiaga, Violons Barbares e gli artisti vincitori del concorso che sono: Cassandra Raffaele

(Vittoria, RG), Emit (Lodi), Isotta (Siena), Martina Vinci (Genova), TheMorbelli (Alessandria), Yosh Whale (Salerno), Valeria Sturba (Bologna) e Malvax (Modena).
Ricordiamo che tra gli artisti vincitori c’è anche Y0 di Ravenna che per motivi personali non potrà partecipare alle serate finali del Festival.

Questa la ragione per cui Musicultura ha aggiunto un nono vincitore per rispettare la formula che prevede la partecipazione di otto artisti alla fase finale della manifestazione, ovverosia la prima proposta rimasta esclusa dalla rosa degli otto vincitori che è quella dei Malvax.

Nella seconda serata di spettacolo, sabato 25 giugno si esibiranno sul suggestivo palcoscenico neoclassico dello Sferisterio Manuel Agnelli, Silvana Estrada, Gianluca Grignani, Ilaria Pilar Patassini ed Emiliana Torrini & The Colorist Orchestra unica apparizione in Italia dell’artista islandese, con i quattro artisti vincitori del Festival più votati dal pubblico la sera prima, per conquistare il titolo di Vincitore assoluto con il Premio Banca Macerata di 20 mila euro. Altri significativi bonus sono il Premio AFI di 3 mila euro, il Premio Unimarche per il miglior testo 2 mila euro, il sostegno di 10 mila euro per l’effettuazione di un tour di otto date, grazie a NuovoImaie (con i fondi art. 7 L. 93/92) e l’ambita Targa della Critica di 3 mila euro intitolata a Piero Cesanelli, ideatore di Musicultura e suo direttore artistico dalla prima edizione fino al 2019.

Le due serate finali di Musicultura saranno trasmesse in diretta su Rai Radio 1 da Duccio Pasqua, Marcella Sullo e John Vignola e in onda su Rai 2, nel programma televisivo “Musicultura Festival 2022” che porta la firma di Duccio Forzano e che verrà diffuso nel mondo da Rai Italia.

La partnership tra Rai e Musicultura garantisce all’evento una copertura crossmediale articolata e qualificata con Rai Radio 1 la radio ufficiale del Festival, Rai 2, Rai TGR, Rai News24, Rai Canone, Rai Italia e RaiPlay Sound.

Musicultura, nata nel 1990 con Fabrizio De Andrè e Giorgio Caproni a tutela delle espressioni artistiche della canzone popolare e d’autore, ha intercettato nel tempo le aspirazioni creative di oltre 30.000 giovani contribuendo al ricambio generazionale della canzone italiana. I vincitori 2022 sono stati decretati grazie al prezioso contributo del Comitato Artisticon di Garanzia del Festival composto da Vasco Rossi, Roberto Vecchioni, Claudio Baglioni, Enzo Avitabile, Francesco Bianconi, Giorgia, La Rappresentante di Lista, Carmen Consoli, Simone Cristicchi, Sandro Veronesi, Niccolò Fabi, Dacia Maraini, Gaetano Curreri, Maria Grazia Calandrone, Luca Carboni, Alessandro Carrera, Guido Catalano, Ennio Cavalli, Diego Bianchi, Teresa De Sio, Francesca Archibugi, Mariella Nava, Antonio Rezza, Enrico Ruggeri, Tosca, Paola Turci, Ron.

Sostenitori e partner
Banca Macerata è Main Partner di Musicultura.
Il Festival ha il sostegno del Ministero della Cultura, del Comune di Macerata e della Regione Marche. Rai Radio 1 è la Radio Ufficiale del festival. Partner culturali l’Università di Camerino, l’Università di Macerata e l’Accademia di Belle Arti di Macerata. Contribuiscono alla realizzazione della manifestazione la Camera di Commercio delle Marche, Unico, APM, NuovoImaie, AFI. Partner tecnici: Clinicalab, Sound D-Light, Connesi.

Chet Faker @ Sequoie Music Park

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• Chet Faker •

+

Godblesscomputers

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Parco delle Caserme Rosse (Bologna) // 23 Giugno 2022

 

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Foto: Siddharta Mancini
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GODBLESSCOMPUTERS

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Tre Domande a: Glauco

Come e quando è nato questo progetto?

Glauco nasce dal piacere di fare rap. Facevo sempre freestyle e scrivevo canzoni, pensai di farne uscire una. Non pensavo sarebbe andata bene. Da lì ho iniziato a sentire di dover continuare ma non avevo i mezzi adatti per poter fare la mia musica. Per quanto mi riguarda il progetto vero e proprio è nato da un paio di anni, dal momento in cui iniziato a prendere consapevolezza di me stesso, più nello specifico da un anno a questa parte grazie anche all’incontro col mio produttore. Ora lavoro in team con persone competenti e sento di voler raccontare senza paura la mia vita.

 

Se dovessi riassumere la tua musica in tre parole, quali sceglieresti e perché?

Io, vera e provincia. Io perché indubbiamente viene da me e da come vedo e sento le cose. Vera perché è reale, non sparo cazzate, non parlo di ciò che qui non si vive, non parlo di pistole solo perché fa tendenza. Provincia perché vengo da un paese e questo lo porterò sempre con me. Penso che in un modo o nell’altro sia una cosa che traspare, mi piacerebbe essere la voce della mia gente. O meglio la voce di chi ha già voce e non sa usarla.

 

C’è un artista in particolare con cui ti piacerebbe collaborare?

Il mio sogno sarebbe collaborare con Massimo Pericolo, amo la sua scrittura e anche lui viene dalla provincia come me. Il sogno ancora più grande Marracash.

Pearl Jam @ Hallenstadion

Scrivo appunti sul telefono.
Che tanto poi non riesco mai a tradurre,
vocaboli a caso, riferimenti che sfumano nel giro di tre ore.
Mancano due anni e cinque minuti.

Ascolto discorsi insensati alle mie spalle.
Controllo i compagni di avventura.
Osservo chi mi sta vicino, almeno adesso.
So che la geografia del pit è instabile.
Mancano due anni e un minuto. 

Il palco adesso è vuoto.
Io non mi commuoverò.
No.
Quella è la testa di un batterista.
Mancano due anni e un Matt Cameron intero.

Dissolvenza.
bella lunga, però.

Sono a pochi metri dal palco. Mentre sento una nota, giusta o sbagliata che sia poco importa, uscire dal mio petto e unirsi al coro dell’intro di Release, al mio fianco un padre solleva la figlia dodicenne sopra di sé. 

Oh, dear Dad, can you see me now?

Lei appoggia i piedi sopra le spalle e sale con la testa a tre metri.

I am myself, like you somehow

Le mani lungo i fianchi. Immobile. Una statua greca.

I’ll ride the wave where it takes me

È davanti a Eddie, alla stessa altezza del palco. 

I’ll hold the pain, release me

Da sotto la scena ha qualcosa di surreale. E di bellissimo. La gente sotto di lei tende le mani, a proteggere un’eventuale caduta. Sembra una processione spontanea. Santa bambina del pit di Zurigo.
Termina il primo pezzo, lei scende, alle nostre spalle arriva la security che con gentilezza chiede di non farlo mai più. Ma proprio mai, in generale, per sempre.
Grazie
A lei, si figuri
Buon concerto.
Buon lavoro, e scusi. 

E così è iniziato il concerto ieri sera, all’Hallenstadion di Zurigo.

E poi.

Corduroy.
Immortality.
Present Tense
In Hiding
Crazy Mary 
Smile

Cosa accade quando una setlist sembra diventare un dialogo personale tra te e la band? Cosa succede quando senti, anche dopo tanti anni, che quelle parole hanno un nuovo peso, un nuovo colore, una nuova prospettiva?
E allora eccola. Parte dalle gambe, questa volta. E sale. Prende la spina dorsale, alza i peli delle braccia, centra la nuca. Scodinzolerei, potendo. E invece mi ritrovo a commuovermi. Senza pensieri a figlia, podi olimpici o Buffa che legge me. Semplicemente sbraco, passatemi il termine. Perché me lo sono concesso, ho stretto pugni e chiappe per due anni, per essere qua, ora, e adesso mi prendo questi venti secondi di debolezza e me li godo pure. Poi li condivido, perché a Imola, e ovunque sarete, se dovesse capitare anche a voi, sappiate che è parte dello show. Sta nel biglietto. Godetevelo.
Nella setlist c’è tutto. Un mosaico di vita e di note, di anni, di viaggi in auto di notte a urlare come fossi a due metri dal palco. Ogni concerto dei Pearl Jam è un nuovo segnalibro, serve a mettere un punto a un capitolo, mentre cerchi il titolo per quello successivo. 

Dissolvenza.

Colui che nel 1992 mi mise in mano una copia di Core degli Stone Temple Pilots, ieri sera mi ha passato, a fine concerto, la scaletta della serata. L’evento conferma la regola che chi regala musica ha capito quasi tutto di come si sta al mondo con decoro e saggezza.
La setlist in questione, se fosse mai stata eseguita così come scritta, sarebbe stata epocale. E invece ha avuto buchi, cali di tensione e di densità. E meno male, perché ho buone ragioni per tornare là sotto, tutte le volte che potrò. E intanto si è aperto il dibattito interno se una Black valga una State of Love and Trust + una Rivercross.
Caricatevi di speranza, oh voi che entrate domani a Imola. Intanto io ieri ho visto cose che voi umani…

Ho visto Mike di nuovo appeso alle sue note, immobile, occhi chiusi sul palco.
Ho visto Boom e Mike giocare in una sfida infinita sulla coda di Crazy Mary .
Sono quasi certo che Stone mi abbia sorriso. Proprio a me. Mi ha detto che regge Eddie da troppi anni, di stare tranquillo, sa come tenere insieme la baracca.
Rideva, Jeff.
Rideva anche Matt. Boom cazzo ve lo dico a fare, è la versione felice di Babbo Natale.
C’era un Josh anche, ieri sera. Che si sentiva, seminascosto. Spero si veda anche, in futuro, ma comprendo le dinamiche di spogliatoio.
Avevano fame i ragazzi. Avevano fame di palco, di cori, di suonare. Avevano voglia di essere nuovamente lassù, li ho visti divertiti, felici, sereni. 

Dissolvenza. 

È stato un gesto, questa mattina, a farmi tornare subito alla sera prima. Infilo l’orologio sopra il bracciale del Ten Club. Alla faccia della metafora, si torna alla vita. O meglio, sorrido e penso che l’orologio, gli impegni, il lavoro, la QDC (quotidiana dose di cacca) potranno anche tener nascosto il bracciale verde, ma quello lì resta, attaccato al polso, sulla pelle, prima di ogni cosa.
Bentornato, bentornati.
Siamo cellule dormienti che si riattivano a ogni tour, che mettono l’orologio nel cassetto e che tornano sotto un palco. Sempre.
La strana tribù ieri sera si è nuovamente ritrovata, come in Olanda e a Berlino pochi giorni prima. È un rito, è un bisogno. Dall’ultima volta è accaduto di tutto, adesso è arrivato finalmente il momento di farsi trappare quei biglietti vecchi di due anni, lasciare il mondo fuori dalle transenne e riprendersi la dimensione dei concerti.

Due anni, una notte e un viaggio.

Makes much more sense to live in the present tense

 

Andrea Riscossa

Noyz Narcos @ Oltre Festival

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• Noyz Narcos •

+

Gemello

Brenno

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Parco delle Caserme Rosse (Bologna) // 23 Giugno 2022

 

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Nemmeno il tempo di bere una birra e sale sul palco Brenno Itani, rapper emergente che gode di discreta fama nel bolognese. Brenno tiene bene il palco, è dinamico, non manca di fiato e le sue canzoni non mancano di tecnica e metrica.

Appena appena arrivato il crepuscolo è il momento di Gemello. È una garanzia. Sul palco diventa una macchina da guerra capace tanto di distruggere quanto di regalare carezze. Dimostra, ancora una volta, di essere un’artista estremamente versatile, proponendo sia pezzi in cui quasi si inginocchia a terra per la difficoltà stilistica sia canzoni più malinconiche ed emotive. Chiude il live con la canzone Sirena e fomenta il pubblico: chiede di urlare “TRUCEKLAN”, in attesa dell’arrivo di Noyz. Il pubblico, vibrante, è ora unitissimo al grido del TK.

Noyz Narcos bacia il microfono prima di entrare. Indossa la maglietta del nuovo album. Porta qualche collana, un cappellino nero e occhiali da sole sfumati. Si scalda e si concentra, mentre sullo schermo del palco viene proiettata la sua testa assieme a flash di fiamme e strade. Ha un’attitudine fenomenale. Ringrazia Bologna per averlo ospitato, ancora una volta. Il live si apre con Victory Lap, Virus e Mic Check. Il pubblico è affamatissimo della musica di Noyz: gli versano addosso strali di complimenti, le mani si muovono, alte e a tempo, arriva persino qualche reggiseno e qualche canna sul palco. “Vi piace questa merda truce?”, chiede al pubblico, che esplode definitivamente.

Continua con qualche traccia dai dischi meno recenti, attaccando con M3, Alfa Alfa, Mosche Nere, per poi attaccare con Welcome Back (presente nell’ultimo disco) e ritornare a pezzi storici come Non Dormire e Drag You to Hell. Gli affezionati che lo seguono da più tempo quasi si commuovono. Noyz si mostra per quello che è: uno dei capostipiti del rap italiano, e lo sa benissimo. Passa da una parte all’altra del palco, si ferma in mezzo appoggiando la gamba destra su una cassa, mostra le scarpe ai fotografi. Riesce a cantare senza il minimo sforzo, mimando ciò che le sue canzoni raccontano. Noyz possiede, attorno a sé, una sorta di status. Sta dentro il rap game da tantissimo tempo e sa benissimo come muoversi, cosa dire, come dirlo. Continua con Uomo a Terra, precisando al pubblico che “Via della Lungara è un posto di merda, a Roma”. Le prossime tracce sono Foot Locker, No Ratz, Rip. Non si preoccupa di ringraziare, fra uno stacco e l’altro, lo staff e la security per il loro lavoro e il pubblico: “Siete fantastici, avevo bisogno di questa merda”. Il concerti prosegue con Casa Mia, Cry Later e Sinno Me Moro. Terminata, Noyz esce di scena. Il pubblico è attonito e col fiato mozzato. Dopo qualche minuto, lo schermo che aveva ospitato la riproduzione del cranio del rapper si illumina di bianco, il palco viene sommerso dal fumo e Noyz rientra in piena, con cappellino e occhiali diversi. Canta Attica e Dope Boy, chiedendo al pubblico se, lì in mezzo, c’è qualche dope boy. Chiaramente, quasi tutti urlano ed alzano le mani. Prosegue con Volante 4, Buonanotte, My Love Song, Spine e Zoo de Roma. Intanto stappa una bottiglia di vodka, ne versa mezzo e mezzo di acqua. Non c’è niente da fare. Noyz sa tenere benissimo il palco. Lo cavalca, ha un’attitudine spaventosa. Sta pestando. È completamente a suo agio, come se passeggiasse sui marciapiedi di Roma. Il sentimento che mette sulle tracce, la passione che porta per il rap è irraggiungibile. Puzza di strada e profuma di amore per quella vita.

Noyz chiama tutta la sua crew sul palco. Sale anche Gemello, con cui canta Verano Zombie 3 e Deadly Combination. Dal vivo sono due mostri sacri. Riescono ad entrare in perfetta sintonia, con una pulizia estrema. Si sposano con le strumentali che martellano sotto. Finita la performance, Noyz e Gemello versano vodka e acqua sulla prima fila.

 

Riccardo Rinaldini 

Foto: Luca Ortolani
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The Offspring @ Sherwood Festival

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• The Offspring •

+

Lagwagon

Anti Flag

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SHERWOOD FESTIVAL

Parco Nord Stadio Euganeo (Padova) // 22 Giugno 2022

 

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Foto: Ilenia Arangiaro
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The Killers @ Milano Summer Festival

Erano due anni che aspettavamo il concerto de The Killers e finalmente, dopo l’attesa, la band ha inaugurato l’estate all’Ippodromo Snai San Siro, al Milano Summer Festival. Il cantante Brandon Flowers, insieme alla sua band formata da Mark Stoermer, Ronnie Vannucci e Dave Keuning, ha festeggiato il suo quarantunesimo compleanno con noi, regalando una serata indimenticabile.

Nel traffico milanese accompagnato dai clacson, si muovevano orde di persone sorridenti e accaldate che si preparavano a una serata di musica. Nella confusione generale e studiando le strade migliori per parcheggiare, si notava una quantità insolita di gente che si dirigeva verso lo stadio San Siro con indosso la maglia dei Rolling Stones. Illuminazione. Ho preso il telefono e confermato i miei sospetti: la storica band britannica si sarebbe esibita quella stessa sera a pochi chilometri dai The Killers (non che servisse Sherlock Holmes per capirlo). Milano si stava preparando a essere protagonista del rock e c’era un imbarazzo della scelta che aveva il sapore del ritorno alla normalità.

Un concerto nei primi mesi post-pandemia, senza sedie e senza mascherine, è talmente importante da rendere sopportabili persino i 12 euro spesi per un panino mediocre con il prosciutto crudo e la mozzarella e le quasi assenti opzioni vegetariane e vegane. Nonostante la delusione della cena, l’organizzazione è stata lodevole, tra patatine e Pepsi in omaggio e l’alta disponibilità di bagni, la permanenza all’interno dell’Ippodromo si è rivelata confortevole. 

Ma passiamo alla parte più importante della serata. Brandon Flowers è entrato con un sorriso stampato sul volto che non l’ha abbandonato neanche un istante, impeccabile nel suo look total black eterno e meraviglioso. Tra coriandoli e altri effetti di scena, il pubblico estasiato si è abbandonato ai primi salti della serata dopo poco tempo, sulle note di When You Were Young. Il cantante ha quasi subito ricordato il tour annullato due anni prima e ha invitato il pubblico a guardarsi intorno e rendersi conto di essere, finalmente, insieme davanti a un palco. 

La scaletta non si concentrava sui brani degli ultimi album Imploding The Mirage e Pressure Machine, ma prevedeva un mix delle canzoni della carriera del gruppo. Dopo gli anni di assenza dai live, la band ci ha fatto ripercorrere tutte le emozioni memorabili dei ventuno anni di attività: è stato come ritrovarsi con dei vecchi amici e fare un riassunto delle reciproche vite. Così, Smile Like You Mean It, Jenny Was a Friend of Mine e Somebody Told Me sono stati i primi brani che ci hanno ricordato i grandi successi dell’album Hot Fuss e dell’epoca in cui ci incollavamo davanti alla televisione per guardare The O.C. (se ti ricordi la puntata con The Killers, possiamo essere amici). 

“There is nothing/I wouldn’t do/There is nothing/I wouldn’t give/There is nothing/Calling out”: sulle note di Caution, ho viaggiato nel tempo. Era marzo del 2020, durante il lockdown bisognava imparare a custodire le distrazioni che avevamo a disposizione, io potevo uscire pochi minuti al giorno insieme al mio cane e salivo in cima alla via in cui abito per vedere un po’ più di orizzonte e di verde. Dalle mie cuffiette usciva Caution, l’ultimo singolo del gruppo e con il telefono registravo una storia di quindici secondi per Instagram, inserendo proprio la canzone che accompagnava i miei passi e che mi dava qualcosa a cui pensare. “If I don’t get out/Out of this town/I just might be the one who finally burns it down.” Quanto avevate ragione, cari Killers.

Come già accennato, era il compleanno di Flowers e il pubblico non ha perso l’occasione di intonargli le canzoncine di auguri in italiano e in inglese, ma è stato il cantante stesso a fare una sorpresa a noi: Ti amo, di Umberto Tozzi. L’artista, leggendo il testo, si è cimentato nel celebre brano e dal prato dell’Ippodromo si è sollevato un coro stupito e divertito. Ci sono canzoni che, pur non ascoltandole mai, sono indimenticabili.

Due altri momenti splendidi della serata sono stati All These Things That I’ve Done, in cui il pubblico si è dimostrato un vero protagonista con il coro “I got soul, but I’m not a soldier” e le urla di gioia con Read My Mind. Le gocce di pioggia non ci hanno scoraggiato neanche per un istante. Man mano che le canzoni avanzavano, aumentava l’euforia, perché anche se il concerto stava per terminare, ci aspettavano due brani intramontabili.

Lo schermo sul palco ha iniziato a trasmettere le immagini di tante figure umane e poi una scritta: Human. Sulle note del grande successo dell’album Day & Age, il pubblico ballava, saltava e si divertiva ed è stato un momento liberatorio e felice. Al termine della canzone, sapevamo già cosa aspettarci. Nelle home di Facebook e Instagram, mi si ripropone spesso un articolo – è sempre lo stesso – che contiene una photogallery che ritrae i volti delle persone ai concerti dei The Killers, immortalate nell’esatto momento in cui capiscono che la band ha iniziato a suonare Mr. Brightside. Io non ho guardato le facce della gente intorno a me, ho provato a isolarmi con il palco per godermi la mia canzone preferita. Sono banale? Sì, ma non me ne pento. Mr. Brightside parla a chiunque, è l’esasperazione che provi quando ami, quando hai paura, non riesci a essere razionale e ti tormenti con dei film mentali che sono più dolorosi della realtà. Mr. Brightside non è una canzone, ma è la canzone.

Finito il concerto, il pubblico sorridente ha iniziato a disperdersi, stanco e felice. Con qualche altra patatina e Pepsi in omaggio tra le mani, mi sono diretta verso una lunga notte insonne di viaggio, sapendo che le occhiaie del giorno seguente sarebbero state comunque belle. 

 

Marta Massardo

The National @ La Prima Estate

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• The National •

+

Courtney Barnett

Giorgio Poi

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LA PRIMA ESTATE

Lido Di Camaiore (Lucca) // 21 Giugno 2022

 

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Foto: Letizia Mugri

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COURTNEY BARNETT

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GIORGIO POI

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Tananai @ Oltre Festival

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• Tananai •

+

Will

Missey

Mancha

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Parco delle Caserme Rosse (Bologna) // 21 Giugno 2022

 

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Foto: Lucia Adele Nanni
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MISSEY + WILL + MANCHA

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Cat Power @ Sexto ‘Nplugged

Quella che segue sarà un’introduzione questionabile, opinabile, necessaria? Chi può dirlo, specie prima di averla letta. Ad ogni modo se a naso siete di questo avviso saltate al prossimo capoverso (grossomodo a “ieri”) e nessuno si farà male.

Dicevamo.

Il modo in cui il nostro – mio in questo caso – parere venga continuamente condizionato da giudizi esterni, estemporanei, spesso arbitrari e parziali è sintomatico di come oramai basti un nonnulla per minare certezze solide e apparentemente inscalfibili, in ambito musicale certo ma non solo. Un tweet, una recensione, un parere di qualcuno a noi vicino o caro e strack (non mi viene in mente l’onomatopea più adatta per esprimere il venir meno o il vacillare di un parere) crolla tutto. Cioè sto parlando per me ma credo che il ragionamento possa essere piuttosto trasversale e diffuso.

Un esempio (e contestuale fine introduzione).

Ieri sera (martedì 21 giugno per la precisione) mi stavo dirigendo verso la mia adorata Sesto al Reghena per la serata d’apertura dell’edizione 2022 di Sexto N’plugged, che senza timore di smentita, considerata location (non per niente il claim è “quando il luogo determina la musica”) e line up (Arab Strap, Black Midi, Agnes Obel, per dire), si posiziona se non al primo ma sul podio dei festival italiani, con buona pace dei “Capoluogodiregione rocks” sparsi qui e lì. 

Dicevo, in autostrada, al posto di essere impaziente e super eccitato per l’imminente concerto di sua maestà Cat Power, in me albergavano pensieri quali “auguriamoci sia in serata”, “chissà che abbia voglia”, “speriamo bene”. Voglio dire, stai per vedere quella che è probabilmente la più importante cantautrice americana – e non – degli ultimi trent’anni e dubiti. Valla a capire la psiche umana…

È comunque tempo di iniziare, si son fatte le nove da qualche minuto, e chitarra in spalla facciamo la conoscenza di Arsun, giovanissimo cantautore newyorkese che propone un folk/blues che deve tanto al primo Dylan e che come timbro, venendo ai contemporanei, ricorda qua e là The Tallest Man On Earth. La sua mezzora comunque si fa ascoltare, il pubblico applaude, lui ci tiene, sincero, ci fa persino lo spelling “se mi dovete cercare su Spotify”.

Il sole è da poco tramontato quando si fa buio sul palco e il terzetto che accompagna Chan Marshall, batteria (che brava Alianna Kalaba!), chitarra e tastiere prende posto. È un’introduzione delicata, quasi languida, le luci soffuse, le prime note di Say che accolgono l’artista di Atlanta, lungo vestito nero e calice di vino rosso in mano, un rapido saluto al pubblico già caldo e si parte per un’ora e mezza di pura estasi. 

Gli stolti dubbi della vigilia sono presto fugati, spazzati via da un’ondata di classe, raffinatezza e bellezza, Chan c’è, danza trasportata dalla musica, è dominante sulla scena, qualche brevissima pausa per sorseggiare il suo vino, un’asciugata veloce al viso, poco spazio alle parole, molto alla musica. La scaletta ovviamente verte principalmente sull’esecuzione delle tracce contenute nel recente Covers, anche se nella resa live quelle che già erano, appunto, cover, vengono riarrangiate, così ecco che A Pair Of Brown Eyes risulta meno “sospesa” al pari di una meravigliosa These Days. 

Gli arrangiamenti sono di livello allucinante, la band in più occasioni si cimenta in veri e propri medley, così fanno capolino per alcuni momenti delle quasi irriconoscibili Good Woman, Cross Bones Style o Nude As The News.

Che sia una serata speciale, fuori dall’ordinario, ne abbiamo definitiva prova quando verso il finire del concerto Chan invita tutti ad avvicinarsi sotto il palco “I think it’s legal” scherza, c’è ancora spazio per una mirabile The Greatest, anch’essa piuttosto lontana dalla forma/disco e una conclusione in crescendo con Rockets.

Non ci saranno bis, encore chiamateli come volete, nella penombra entro la quale è rimasta per tutto il tempo Cat Power abbandona il palco, sotto gli sguardi fissi di una platea adorante. Mi riaccomodo brevemente sul mio posto, soddisfatto, felice, e con un marginale ma non trascurabile senso di colpa e al pari di San Pietro mi aspetto da un momento all’altro che arrivi il Gesù della situazione ad ammonirmi “Uomo di poca fede, perchè hai dubitato!”, al che credo avrei risposto con Freak Antoni “È importante avere dubbi! Solo gli stupidi non ne hanno, e su questo non ho dubbi!”

 

Alberto Adustini

Foto di copertina: Massimiliano Mattiello

 

Grazie ad Astarte