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Anno: 2022

Pearl Jam @ Hallenstadion

Scrivo appunti sul telefono.
Che tanto poi non riesco mai a tradurre,
vocaboli a caso, riferimenti che sfumano nel giro di tre ore.
Mancano due anni e cinque minuti.

Ascolto discorsi insensati alle mie spalle.
Controllo i compagni di avventura.
Osservo chi mi sta vicino, almeno adesso.
So che la geografia del pit è instabile.
Mancano due anni e un minuto. 

Il palco adesso è vuoto.
Io non mi commuoverò.
No.
Quella è la testa di un batterista.
Mancano due anni e un Matt Cameron intero.

Dissolvenza.
bella lunga, però.

Sono a pochi metri dal palco. Mentre sento una nota, giusta o sbagliata che sia poco importa, uscire dal mio petto e unirsi al coro dell’intro di Release, al mio fianco un padre solleva la figlia dodicenne sopra di sé. 

Oh, dear Dad, can you see me now?

Lei appoggia i piedi sopra le spalle e sale con la testa a tre metri.

I am myself, like you somehow

Le mani lungo i fianchi. Immobile. Una statua greca.

I’ll ride the wave where it takes me

È davanti a Eddie, alla stessa altezza del palco. 

I’ll hold the pain, release me

Da sotto la scena ha qualcosa di surreale. E di bellissimo. La gente sotto di lei tende le mani, a proteggere un’eventuale caduta. Sembra una processione spontanea. Santa bambina del pit di Zurigo.
Termina il primo pezzo, lei scende, alle nostre spalle arriva la security che con gentilezza chiede di non farlo mai più. Ma proprio mai, in generale, per sempre.
Grazie
A lei, si figuri
Buon concerto.
Buon lavoro, e scusi. 

E così è iniziato il concerto ieri sera, all’Hallenstadion di Zurigo.

E poi.

Corduroy.
Immortality.
Present Tense
In Hiding
Crazy Mary 
Smile

Cosa accade quando una setlist sembra diventare un dialogo personale tra te e la band? Cosa succede quando senti, anche dopo tanti anni, che quelle parole hanno un nuovo peso, un nuovo colore, una nuova prospettiva?
E allora eccola. Parte dalle gambe, questa volta. E sale. Prende la spina dorsale, alza i peli delle braccia, centra la nuca. Scodinzolerei, potendo. E invece mi ritrovo a commuovermi. Senza pensieri a figlia, podi olimpici o Buffa che legge me. Semplicemente sbraco, passatemi il termine. Perché me lo sono concesso, ho stretto pugni e chiappe per due anni, per essere qua, ora, e adesso mi prendo questi venti secondi di debolezza e me li godo pure. Poi li condivido, perché a Imola, e ovunque sarete, se dovesse capitare anche a voi, sappiate che è parte dello show. Sta nel biglietto. Godetevelo.
Nella setlist c’è tutto. Un mosaico di vita e di note, di anni, di viaggi in auto di notte a urlare come fossi a due metri dal palco. Ogni concerto dei Pearl Jam è un nuovo segnalibro, serve a mettere un punto a un capitolo, mentre cerchi il titolo per quello successivo. 

Dissolvenza.

Colui che nel 1992 mi mise in mano una copia di Core degli Stone Temple Pilots, ieri sera mi ha passato, a fine concerto, la scaletta della serata. L’evento conferma la regola che chi regala musica ha capito quasi tutto di come si sta al mondo con decoro e saggezza.
La setlist in questione, se fosse mai stata eseguita così come scritta, sarebbe stata epocale. E invece ha avuto buchi, cali di tensione e di densità. E meno male, perché ho buone ragioni per tornare là sotto, tutte le volte che potrò. E intanto si è aperto il dibattito interno se una Black valga una State of Love and Trust + una Rivercross.
Caricatevi di speranza, oh voi che entrate domani a Imola. Intanto io ieri ho visto cose che voi umani…

Ho visto Mike di nuovo appeso alle sue note, immobile, occhi chiusi sul palco.
Ho visto Boom e Mike giocare in una sfida infinita sulla coda di Crazy Mary .
Sono quasi certo che Stone mi abbia sorriso. Proprio a me. Mi ha detto che regge Eddie da troppi anni, di stare tranquillo, sa come tenere insieme la baracca.
Rideva, Jeff.
Rideva anche Matt. Boom cazzo ve lo dico a fare, è la versione felice di Babbo Natale.
C’era un Josh anche, ieri sera. Che si sentiva, seminascosto. Spero si veda anche, in futuro, ma comprendo le dinamiche di spogliatoio.
Avevano fame i ragazzi. Avevano fame di palco, di cori, di suonare. Avevano voglia di essere nuovamente lassù, li ho visti divertiti, felici, sereni. 

Dissolvenza. 

È stato un gesto, questa mattina, a farmi tornare subito alla sera prima. Infilo l’orologio sopra il bracciale del Ten Club. Alla faccia della metafora, si torna alla vita. O meglio, sorrido e penso che l’orologio, gli impegni, il lavoro, la QDC (quotidiana dose di cacca) potranno anche tener nascosto il bracciale verde, ma quello lì resta, attaccato al polso, sulla pelle, prima di ogni cosa.
Bentornato, bentornati.
Siamo cellule dormienti che si riattivano a ogni tour, che mettono l’orologio nel cassetto e che tornano sotto un palco. Sempre.
La strana tribù ieri sera si è nuovamente ritrovata, come in Olanda e a Berlino pochi giorni prima. È un rito, è un bisogno. Dall’ultima volta è accaduto di tutto, adesso è arrivato finalmente il momento di farsi trappare quei biglietti vecchi di due anni, lasciare il mondo fuori dalle transenne e riprendersi la dimensione dei concerti.

Due anni, una notte e un viaggio.

Makes much more sense to live in the present tense

 

Andrea Riscossa

Noyz Narcos @ Oltre Festival

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• Noyz Narcos •

+

Gemello

Brenno

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Parco delle Caserme Rosse (Bologna) // 23 Giugno 2022

 

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Nemmeno il tempo di bere una birra e sale sul palco Brenno Itani, rapper emergente che gode di discreta fama nel bolognese. Brenno tiene bene il palco, è dinamico, non manca di fiato e le sue canzoni non mancano di tecnica e metrica.

Appena appena arrivato il crepuscolo è il momento di Gemello. È una garanzia. Sul palco diventa una macchina da guerra capace tanto di distruggere quanto di regalare carezze. Dimostra, ancora una volta, di essere un’artista estremamente versatile, proponendo sia pezzi in cui quasi si inginocchia a terra per la difficoltà stilistica sia canzoni più malinconiche ed emotive. Chiude il live con la canzone Sirena e fomenta il pubblico: chiede di urlare “TRUCEKLAN”, in attesa dell’arrivo di Noyz. Il pubblico, vibrante, è ora unitissimo al grido del TK.

Noyz Narcos bacia il microfono prima di entrare. Indossa la maglietta del nuovo album. Porta qualche collana, un cappellino nero e occhiali da sole sfumati. Si scalda e si concentra, mentre sullo schermo del palco viene proiettata la sua testa assieme a flash di fiamme e strade. Ha un’attitudine fenomenale. Ringrazia Bologna per averlo ospitato, ancora una volta. Il live si apre con Victory Lap, Virus e Mic Check. Il pubblico è affamatissimo della musica di Noyz: gli versano addosso strali di complimenti, le mani si muovono, alte e a tempo, arriva persino qualche reggiseno e qualche canna sul palco. “Vi piace questa merda truce?”, chiede al pubblico, che esplode definitivamente.

Continua con qualche traccia dai dischi meno recenti, attaccando con M3, Alfa Alfa, Mosche Nere, per poi attaccare con Welcome Back (presente nell’ultimo disco) e ritornare a pezzi storici come Non Dormire e Drag You to Hell. Gli affezionati che lo seguono da più tempo quasi si commuovono. Noyz si mostra per quello che è: uno dei capostipiti del rap italiano, e lo sa benissimo. Passa da una parte all’altra del palco, si ferma in mezzo appoggiando la gamba destra su una cassa, mostra le scarpe ai fotografi. Riesce a cantare senza il minimo sforzo, mimando ciò che le sue canzoni raccontano. Noyz possiede, attorno a sé, una sorta di status. Sta dentro il rap game da tantissimo tempo e sa benissimo come muoversi, cosa dire, come dirlo. Continua con Uomo a Terra, precisando al pubblico che “Via della Lungara è un posto di merda, a Roma”. Le prossime tracce sono Foot Locker, No Ratz, Rip. Non si preoccupa di ringraziare, fra uno stacco e l’altro, lo staff e la security per il loro lavoro e il pubblico: “Siete fantastici, avevo bisogno di questa merda”. Il concerti prosegue con Casa Mia, Cry Later e Sinno Me Moro. Terminata, Noyz esce di scena. Il pubblico è attonito e col fiato mozzato. Dopo qualche minuto, lo schermo che aveva ospitato la riproduzione del cranio del rapper si illumina di bianco, il palco viene sommerso dal fumo e Noyz rientra in piena, con cappellino e occhiali diversi. Canta Attica e Dope Boy, chiedendo al pubblico se, lì in mezzo, c’è qualche dope boy. Chiaramente, quasi tutti urlano ed alzano le mani. Prosegue con Volante 4, Buonanotte, My Love Song, Spine e Zoo de Roma. Intanto stappa una bottiglia di vodka, ne versa mezzo e mezzo di acqua. Non c’è niente da fare. Noyz sa tenere benissimo il palco. Lo cavalca, ha un’attitudine spaventosa. Sta pestando. È completamente a suo agio, come se passeggiasse sui marciapiedi di Roma. Il sentimento che mette sulle tracce, la passione che porta per il rap è irraggiungibile. Puzza di strada e profuma di amore per quella vita.

Noyz chiama tutta la sua crew sul palco. Sale anche Gemello, con cui canta Verano Zombie 3 e Deadly Combination. Dal vivo sono due mostri sacri. Riescono ad entrare in perfetta sintonia, con una pulizia estrema. Si sposano con le strumentali che martellano sotto. Finita la performance, Noyz e Gemello versano vodka e acqua sulla prima fila.

 

Riccardo Rinaldini 

Foto: Luca Ortolani
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The Offspring @ Sherwood Festival

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• The Offspring •

+

Lagwagon

Anti Flag

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SHERWOOD FESTIVAL

Parco Nord Stadio Euganeo (Padova) // 22 Giugno 2022

 

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Foto: Ilenia Arangiaro
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The Killers @ Milano Summer Festival

Erano due anni che aspettavamo il concerto de The Killers e finalmente, dopo l’attesa, la band ha inaugurato l’estate all’Ippodromo Snai San Siro, al Milano Summer Festival. Il cantante Brandon Flowers, insieme alla sua band formata da Mark Stoermer, Ronnie Vannucci e Dave Keuning, ha festeggiato il suo quarantunesimo compleanno con noi, regalando una serata indimenticabile.

Nel traffico milanese accompagnato dai clacson, si muovevano orde di persone sorridenti e accaldate che si preparavano a una serata di musica. Nella confusione generale e studiando le strade migliori per parcheggiare, si notava una quantità insolita di gente che si dirigeva verso lo stadio San Siro con indosso la maglia dei Rolling Stones. Illuminazione. Ho preso il telefono e confermato i miei sospetti: la storica band britannica si sarebbe esibita quella stessa sera a pochi chilometri dai The Killers (non che servisse Sherlock Holmes per capirlo). Milano si stava preparando a essere protagonista del rock e c’era un imbarazzo della scelta che aveva il sapore del ritorno alla normalità.

Un concerto nei primi mesi post-pandemia, senza sedie e senza mascherine, è talmente importante da rendere sopportabili persino i 12 euro spesi per un panino mediocre con il prosciutto crudo e la mozzarella e le quasi assenti opzioni vegetariane e vegane. Nonostante la delusione della cena, l’organizzazione è stata lodevole, tra patatine e Pepsi in omaggio e l’alta disponibilità di bagni, la permanenza all’interno dell’Ippodromo si è rivelata confortevole. 

Ma passiamo alla parte più importante della serata. Brandon Flowers è entrato con un sorriso stampato sul volto che non l’ha abbandonato neanche un istante, impeccabile nel suo look total black eterno e meraviglioso. Tra coriandoli e altri effetti di scena, il pubblico estasiato si è abbandonato ai primi salti della serata dopo poco tempo, sulle note di When You Were Young. Il cantante ha quasi subito ricordato il tour annullato due anni prima e ha invitato il pubblico a guardarsi intorno e rendersi conto di essere, finalmente, insieme davanti a un palco. 

La scaletta non si concentrava sui brani degli ultimi album Imploding The Mirage e Pressure Machine, ma prevedeva un mix delle canzoni della carriera del gruppo. Dopo gli anni di assenza dai live, la band ci ha fatto ripercorrere tutte le emozioni memorabili dei ventuno anni di attività: è stato come ritrovarsi con dei vecchi amici e fare un riassunto delle reciproche vite. Così, Smile Like You Mean It, Jenny Was a Friend of Mine e Somebody Told Me sono stati i primi brani che ci hanno ricordato i grandi successi dell’album Hot Fuss e dell’epoca in cui ci incollavamo davanti alla televisione per guardare The O.C. (se ti ricordi la puntata con The Killers, possiamo essere amici). 

“There is nothing/I wouldn’t do/There is nothing/I wouldn’t give/There is nothing/Calling out”: sulle note di Caution, ho viaggiato nel tempo. Era marzo del 2020, durante il lockdown bisognava imparare a custodire le distrazioni che avevamo a disposizione, io potevo uscire pochi minuti al giorno insieme al mio cane e salivo in cima alla via in cui abito per vedere un po’ più di orizzonte e di verde. Dalle mie cuffiette usciva Caution, l’ultimo singolo del gruppo e con il telefono registravo una storia di quindici secondi per Instagram, inserendo proprio la canzone che accompagnava i miei passi e che mi dava qualcosa a cui pensare. “If I don’t get out/Out of this town/I just might be the one who finally burns it down.” Quanto avevate ragione, cari Killers.

Come già accennato, era il compleanno di Flowers e il pubblico non ha perso l’occasione di intonargli le canzoncine di auguri in italiano e in inglese, ma è stato il cantante stesso a fare una sorpresa a noi: Ti amo, di Umberto Tozzi. L’artista, leggendo il testo, si è cimentato nel celebre brano e dal prato dell’Ippodromo si è sollevato un coro stupito e divertito. Ci sono canzoni che, pur non ascoltandole mai, sono indimenticabili.

Due altri momenti splendidi della serata sono stati All These Things That I’ve Done, in cui il pubblico si è dimostrato un vero protagonista con il coro “I got soul, but I’m not a soldier” e le urla di gioia con Read My Mind. Le gocce di pioggia non ci hanno scoraggiato neanche per un istante. Man mano che le canzoni avanzavano, aumentava l’euforia, perché anche se il concerto stava per terminare, ci aspettavano due brani intramontabili.

Lo schermo sul palco ha iniziato a trasmettere le immagini di tante figure umane e poi una scritta: Human. Sulle note del grande successo dell’album Day & Age, il pubblico ballava, saltava e si divertiva ed è stato un momento liberatorio e felice. Al termine della canzone, sapevamo già cosa aspettarci. Nelle home di Facebook e Instagram, mi si ripropone spesso un articolo – è sempre lo stesso – che contiene una photogallery che ritrae i volti delle persone ai concerti dei The Killers, immortalate nell’esatto momento in cui capiscono che la band ha iniziato a suonare Mr. Brightside. Io non ho guardato le facce della gente intorno a me, ho provato a isolarmi con il palco per godermi la mia canzone preferita. Sono banale? Sì, ma non me ne pento. Mr. Brightside parla a chiunque, è l’esasperazione che provi quando ami, quando hai paura, non riesci a essere razionale e ti tormenti con dei film mentali che sono più dolorosi della realtà. Mr. Brightside non è una canzone, ma è la canzone.

Finito il concerto, il pubblico sorridente ha iniziato a disperdersi, stanco e felice. Con qualche altra patatina e Pepsi in omaggio tra le mani, mi sono diretta verso una lunga notte insonne di viaggio, sapendo che le occhiaie del giorno seguente sarebbero state comunque belle. 

 

Marta Massardo

The National @ La Prima Estate

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• The National •

+

Courtney Barnett

Giorgio Poi

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LA PRIMA ESTATE

Lido Di Camaiore (Lucca) // 21 Giugno 2022

 

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Foto: Letizia Mugri

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COURTNEY BARNETT

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GIORGIO POI

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Tananai @ Oltre Festival

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• Tananai •

+

Will

Missey

Mancha

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Parco delle Caserme Rosse (Bologna) // 21 Giugno 2022

 

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Foto: Lucia Adele Nanni
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MISSEY + WILL + MANCHA

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Cat Power @ Sexto ‘Nplugged

Quella che segue sarà un’introduzione questionabile, opinabile, necessaria? Chi può dirlo, specie prima di averla letta. Ad ogni modo se a naso siete di questo avviso saltate al prossimo capoverso (grossomodo a “ieri”) e nessuno si farà male.

Dicevamo.

Il modo in cui il nostro – mio in questo caso – parere venga continuamente condizionato da giudizi esterni, estemporanei, spesso arbitrari e parziali è sintomatico di come oramai basti un nonnulla per minare certezze solide e apparentemente inscalfibili, in ambito musicale certo ma non solo. Un tweet, una recensione, un parere di qualcuno a noi vicino o caro e strack (non mi viene in mente l’onomatopea più adatta per esprimere il venir meno o il vacillare di un parere) crolla tutto. Cioè sto parlando per me ma credo che il ragionamento possa essere piuttosto trasversale e diffuso.

Un esempio (e contestuale fine introduzione).

Ieri sera (martedì 21 giugno per la precisione) mi stavo dirigendo verso la mia adorata Sesto al Reghena per la serata d’apertura dell’edizione 2022 di Sexto N’plugged, che senza timore di smentita, considerata location (non per niente il claim è “quando il luogo determina la musica”) e line up (Arab Strap, Black Midi, Agnes Obel, per dire), si posiziona se non al primo ma sul podio dei festival italiani, con buona pace dei “Capoluogodiregione rocks” sparsi qui e lì. 

Dicevo, in autostrada, al posto di essere impaziente e super eccitato per l’imminente concerto di sua maestà Cat Power, in me albergavano pensieri quali “auguriamoci sia in serata”, “chissà che abbia voglia”, “speriamo bene”. Voglio dire, stai per vedere quella che è probabilmente la più importante cantautrice americana – e non – degli ultimi trent’anni e dubiti. Valla a capire la psiche umana…

È comunque tempo di iniziare, si son fatte le nove da qualche minuto, e chitarra in spalla facciamo la conoscenza di Arsun, giovanissimo cantautore newyorkese che propone un folk/blues che deve tanto al primo Dylan e che come timbro, venendo ai contemporanei, ricorda qua e là The Tallest Man On Earth. La sua mezzora comunque si fa ascoltare, il pubblico applaude, lui ci tiene, sincero, ci fa persino lo spelling “se mi dovete cercare su Spotify”.

Il sole è da poco tramontato quando si fa buio sul palco e il terzetto che accompagna Chan Marshall, batteria (che brava Alianna Kalaba!), chitarra e tastiere prende posto. È un’introduzione delicata, quasi languida, le luci soffuse, le prime note di Say che accolgono l’artista di Atlanta, lungo vestito nero e calice di vino rosso in mano, un rapido saluto al pubblico già caldo e si parte per un’ora e mezza di pura estasi. 

Gli stolti dubbi della vigilia sono presto fugati, spazzati via da un’ondata di classe, raffinatezza e bellezza, Chan c’è, danza trasportata dalla musica, è dominante sulla scena, qualche brevissima pausa per sorseggiare il suo vino, un’asciugata veloce al viso, poco spazio alle parole, molto alla musica. La scaletta ovviamente verte principalmente sull’esecuzione delle tracce contenute nel recente Covers, anche se nella resa live quelle che già erano, appunto, cover, vengono riarrangiate, così ecco che A Pair Of Brown Eyes risulta meno “sospesa” al pari di una meravigliosa These Days. 

Gli arrangiamenti sono di livello allucinante, la band in più occasioni si cimenta in veri e propri medley, così fanno capolino per alcuni momenti delle quasi irriconoscibili Good Woman, Cross Bones Style o Nude As The News.

Che sia una serata speciale, fuori dall’ordinario, ne abbiamo definitiva prova quando verso il finire del concerto Chan invita tutti ad avvicinarsi sotto il palco “I think it’s legal” scherza, c’è ancora spazio per una mirabile The Greatest, anch’essa piuttosto lontana dalla forma/disco e una conclusione in crescendo con Rockets.

Non ci saranno bis, encore chiamateli come volete, nella penombra entro la quale è rimasta per tutto il tempo Cat Power abbandona il palco, sotto gli sguardi fissi di una platea adorante. Mi riaccomodo brevemente sul mio posto, soddisfatto, felice, e con un marginale ma non trascurabile senso di colpa e al pari di San Pietro mi aspetto da un momento all’altro che arrivi il Gesù della situazione ad ammonirmi “Uomo di poca fede, perchè hai dubitato!”, al che credo avrei risposto con Freak Antoni “È importante avere dubbi! Solo gli stupidi non ne hanno, e su questo non ho dubbi!”

 

Alberto Adustini

Foto di copertina: Massimiliano Mattiello

 

Grazie ad Astarte

Hanson @ Magazzini Generali

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• Hanson •

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Magazzini Generali (Milano) // 20 Giugno 2022

 

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Foto: Claudia Bianco
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BOUQUET OF MADNESS: dopo i sold out, il podcast true crime italiano conferma due nuovi appuntamenti incluso uno speciale di Halloween a Milano!

Barley Arts

presenta

Bouquet of Madness

Nuovi appuntamenti autunnali per il podcast di cronaca nera dal vivo

Il 31 ottobre lo speciale Halloween of Madness a Milano!

Dopo lo Spring of Madness tour, che le ha portate in giro per l’Italia per sei spettacoli – di cui tre sold out – il duo di Bouquet of Madness torna in viaggio per due nuovi appuntamenti: giovedì 15 settembre al MONK di Roma, e una speciale serata Halloween of Madness alle 23:30 di lunedì 31 ottobre al Teatro Filodrammatici di Milano, durante il quale saranno trattati dei casi perfettamente in tema con la notte più stregata dell’anno. I biglietti per le serate sono già disponibili su Dice (Roma), Ticketone e Vivaticket (Milano).

Come per gli appuntamenti passati, durante gli spettacoli Martina e Federica registreranno dal vivo il podcast, uno dei più seguiti e amati dagli appassionati di cronaca nera italiani. Bouquet of Madness ha rapidamente conquistato gli ascoltatori italiani, arrivando in cima alle classifiche dei migliori podcast sulle principali piattaforme di ascolto. Bouquet of Madness – per gli amici BOM – parla dei casi di cronaca nera più strani, assurdi e misteriosi in Italia e nel mondo, senza soluzioni ma con tante domande: in ogni puntata Federica e Martina ci raccontano due storie con un piacevole venatura di humor nero, portando alla luce le assurdità del comportamento umano. Ad oggi Bouquet of Madness conta più di sessanta puntate, uno spin-off – MiniBom, disponibile in abbonamento solo su Spotify – oltre a una serie di partecipazioni a festival ed eventi tra i quali il Lucca Comics. Il loro modo di raccontare storie e creare tormentoni come il labrador umano, i cialtroni e bello* ha fatto radunare intorno a loro un’agguerritissima fanbase di BOMers che non vede l’ora di poterle incontrare dal vivo.

La prima gemma dell’idea è spuntata con parecchi mesi di anticipo sull’effettiva realizzazione della prima puntata ed era solo un desiderio, una promessa: «Non sarebbe bello avere un progetto insieme?».

Sia Federica che Martina seguono numerosi podcast, e anche la scelta del tema è stata immediata, nonostante le due si approccino al true crime in modo diverso: Martina è metodica e ama immergersi nel buio, Federica lo fa da controfobica e la cosa di cui ha più paura al mondo sono i serial killers.

Il titolo della podcast si ispira al monologo della follia di Ofelia nell’Amleto di Shakespeare, in cui viene descritto il Bouquet of Madness: «Vi è senso anche nel suo delirio; pensieri e rimembranze conformi.Dice Laerte, mentre Ofelia illustra i fiori con cui si è adornata i capelli lungo il tragitto verso la follia.»

BouquetOfMadness.it

BOUQUET OF MADNESS

Giovedì 15 Settembre 2022

Roma, MONK – via Giuseppe Mirri, 35

Inizio h. 21:00

Biglietti disponibili su Dice.
Posto unico a sedere: € 10,00 + prev. / € 13,00 in cassa la sera dello spettacolo

Lunedì 31 Ottobre 2022 – Halloween of Madness

Milano, Teatro Filodrammatici – via Filodrammatici, 1

Inizio h. 23:30

Biglietti disponibili su Ticketone e Vivaticket.

Posto a sedere numerato: € 15,00 + prev.

Tre Domande a: Daniele Meneghin

Come stai vivendo questi tempi così difficili per il mondo della musica?

I tempi in cui viviamo sono davvero particolari, ed è innegabile il fatto che le possibilità di fare cassa con la musica si sono ridotte molto. Penso però che non dobbiamo perdere di vista che fare musica, emozionarci con la musica sia una libertà che nessuno ci ha tolto, bisogna trovare modi diversi, ma la musica c’è, ed è sempre pronta a darci un sorriso, un’emozione, un conforto. 

 

Se dovessi riassumere la tua musica in tre parole, quali sceglieresti e perché?

Sincera. Non ho mai fatto canzoni perché dovevo farle, ho sempre scritto quando ne avevo la voglia e la necessità, esprimendo il mio personale modo di vedere e vivere il mondo.
Radicata. Le mie canzoni parlano di me e di quello che vedo mentre vivo, quindi sono lo specchio del mio quotidiano ben radicato nella mia area geografica che è il Nord Est.
Libera. La mia musica sono io, senza mediatori, senza stare tanto a pensare chi devo accontentare o no, libera nei concetti, libera nella forma.

 

Se dovessi scegliere una sola delle tue canzoni per presentarti a chi non ti conosce, quale sarebbe e perché? 

Siamo Uomo dal mio ultimo album Gesto Atletico uscito per Adesiva Discografica. Il brano è un autoritratto indiretto e racconta delle difficolta da superare per rendere il quotidiano speciale. Nell’intero album ci sono dodici piccoli gesti atletici raccontati in altrettante canzoni, Siamo Uomo ne è il capolista, anche per questo è stato il primo singolo uscito a rappresentare tutto il lavoro.

Firenze Rocks 2022

Cosa resta di uno degli eventi musicali post-pandemici più attesi? Polvere sulla pelle bruciata dal sole, le ultime transenne spostate dagli addetti ai lavori, un senso di vuoto dove riecheggiano le tante voci, i tanti accenti, i tanti dialetti che si mescolavano tra i rami del parco che circondavano la Visarno Arena, a Firenze, e la musica, tanta, tantissima, ascoltata, sentita e vissuta fino allo sfinimento del Firenze Rocks 2022. Dopo ben due anni di attesa, cancellazioni, decreti, distanze, mascherine, dolori, paure, inquietudini e incertezze, i primi concerti per la città e un’inaugurazione letteralmente coi botti per il concerto di Vasco Rossi tenutosi il 3 Giugno, l’arena immersa nel verde delle parco delle Cascine ha nuovamente ospitato i quattro giorni di musica dove gruppi internazionali punk, rock e metal hanno riempito l’aria di riff di chitarre, kick di batteria, fraseggi di basso e voci che urlavano ancora tutta la voglia di fare musica, ora come allora e come sempre. 

Lo spettacolo inizia il 16 Giugno con i Weezer e i Green Day, due gruppi che hanno rivoluzionato la percezione del rock mainstream e che hanno nel loro passato il 1994 come data in cui entrambi pubblicarono album che sono diventati pietre miliari del pop punk e del college rock: Dookie e Blue Album. Quando attaccano i Weezer, Rivers Cuomo incanta il pubblico parlando e suonando e dimostrando con l’assolo di Africa dei Toto che non solo anche le cover hanno un loro perché su un palco così grande, ma anche che 52 anni non sono assolutamente percepiti né da lui né da chi lo ascolta, concetto ribadito dal leggermente più giovane, anche se non troppo, Mike Dirnt che con Billy Joel Armstrong dei Green Day, gli succede sul palco. Giri di basso che si fondono con la chitarra per darle spessore, arricchire le melodie, creare una struttura dove gli artisti suonano e giocano tra di loro, con gli altri musicisti e il loro pubblico attraversando vecchi e nuovi successi. Quando le prime note di Basket Case si librano nell’aria, alcuni occhi si riempiono di ricordi vissuti, altri di ricordi ancora da vivere, tra cui quello di un ragazzo che sale sul palco, suona con loro e riceve una chitarra in regalo. Neppure tu sai se è sogno o realtà, forse sei solo lì sul limite di entrambi, ma non importa, quello che conta è l’emozione perché è un po’ come se la chitarra la stessi ricevendo anche tu. 

Il giorno dopo, nel tardo pomeriggio, un bagno di folla eterogenea si muove attorno al palco per ascoltare prima i Placebo e poi i Muse. Brian Molko domina visivamente più maturo, un look diverso da quello più androgino che lo caratterizzava all’inizio della carriera, eppure la voce è sempre la stessa, come se il tempo non l’avesse toccata: surreale e trascinante. Quella voce, quella musica, la sintonia con il gruppo fanno uscire l’energia che ha rivoluzionato il rock e l’elettronica fondendo generi diversi tra loro, la fame di espressione è la stessa del pubblico di farne parte ed essere divorato con essa. Pure Morning è l’essenza del desiderio di trascendere la propria realtà, eppure di fondersi contemporaneamente con i corpi nell’arena che si muovono, sudano, mentre le labbra biascicano parole e si preparano all’arrivo dei Muse, che dimostreranno di essere un motore che gira ai massimi livelli. Il pubblico è ipnotizzato dall’intensità dell’esibizione di Matt Bellamy, Dominic Howard, Chris Wolstenholme con Dan Lancaster a cori, tastiere e sintetizzatori, rimanendo, però, come sospeso nelle ballate centrali. Delle luci fredde accolgono suoni perfetti, scenografie tra il teatrale e il futuristico, effetto alimentato anche dell’outfit del gruppo che si muove in una scaletta che tocca tutta la carriera per offrire, poi, in anteprima il brano Will of the People, parte del loro nuovo progetto in uscita ad agosto. La serata si chiude tra sorprese e fuochi d’artificio, in un’aria piena di note, che ti porti a casa, sulla pelle con tutta la polvere, nei sogni del giorno dopo. 

Della terza serata sono padroni i Red Hot Chili Peppers che, nonostante la lunga esperienza musicale, si esibiscono con la stessa sfrontata follia adolescenziale che li ha sempre caratterizzati davanti agli occhi dei fan mentre accolgono a braccia aperte l’intro funky rock esplosa nell’aria per saltare poi su Can’t Stop. Flea, Smith, Kiedis e Frusciante dimostrano che la musica è la migliore distrazione per il tempo e non farlo passare, perché sembra che niente abbia intaccato la loro voglia di dare il massimo. Come per gli altri gruppi, il concerto è un balletto tra grandi hit e nuove canzoni dove la band vibra in lunghi momenti strumentali a tratti psichedelici. Ma è soprattutto Frusciante che si concede al pubblico rapito dal chitarrista che regala assoli di pura adrenalina, la stessa con cui si chiude il concerto attraverso i colpi che a me sembrano infinti di By The Way, e i corpi si muovono ad ogni battito, forse è il cuore, oppure il piede di chi ho accanto che colpisce, ma non importa, quello che conta è essere lì e vivere quella musica che scava dentro di te per tirarne fuori tutto ciò che puoi dare, anche se non sai esattamente cosa puoi dare. 

Mentre te lo chiedi, passa la notte, il sole accoglie gli stivali anfibi che si avvicinano all’arena incuranti dei tantissimi gradi e dell’afa che li circonda. Ti chiedi come possa essere possibile, ma la risposta sta tutta lì, nel metal e nel nome di una delle band che ne ha fatto la storia: i Metallica. Il nero domina più che negli altri giorni, su persone di età ed estrazioni diverse, mentre i colori, invece, li raccogli dai più svariati tatuaggi, la voglia di sentirsi parte di un insieme sta nei piercing, mentre l’attesa si mescola al sudore, ma ne vale la pena, perché da lì a poche ore la Visarno Arena sarà invasa da fiamme sonore. Aprono i Greta Van Fleet, gruppo divisivo tra puristi e nostalgici, tra apprezzamenti, perplessità e critiche, ma loro sono lì, su un palco dove ancora molti possono solo lontanamente sognare di salire, quindi suonano e se ne fregano, per loro è importante vivere il momento e lo fanno con dignità anche se ben sanno che è il pubblico freme per vedere James, Kirk, Lars, Robert, che suonano a Firenze per la prima volta. Quando i Metallica salgono sul palco, la tensione sale vertiginosamente, il boato dei fan sovrasta l’intro per un attimo, qualcuno piange dalla gioia. Forse è per questo che i maxischermi inquadrano sempre e solo loro, o forse perché non puoi staccare gli occhi e le orecchie da quello che succede lassù mentre respiri quello che succede sotto il palco. Whiplash racconta è potenza senza compromessi, non c’è la ricerca della foto da social e dello sguardo piacione, mentre un attesissimo assolo di James con Nothing Else Matters scioglie pure una cinica come me. Quella che vedi sul palco si chiama voglia di esistere e loro lo fanno attraverso la propria musica lanciata a mille, e sai che anche quando tutto sarà finito e le luci saranno spente, quella voglia di essere ti sarà già entrata dentro per non lasciarti più. Che piacciano oppure no, sono la storia della musica, e ti rendi conto del perché. 

Infine, ecco quello che rimane di Firenze Rocks 2022: tante parole, recensioni che scivolano tra l’approccio tecnico e il percorso emozionale. Ma come potrebbe essere altrimenti? Si sono esibite delle vere e proprie macchine da guerra che tra successi intramontabili e nuovi progetti hanno dimostrato a tutti che il tempo è la musica che ne fai, e che chi li vorrebbe pallidi ricordi di loro stessi, dovrà ancora aspettare un bel po’ per avere soddisfazione. Tuttavia, l’aspetto più bello di tutta questa esperienza sono state le persone, parlare con loro condividere quei momenti al limite tra la resistenza fisica e l’apertura di tutte le sensazioni che pensavi sopite in questi due anni. La bellezza dello sguardo appena diciottenne di Martina venuta dal nord che con gli amici voleva vedere dal vivo i gruppi che i genitori le hanno fatto ascoltare fin da piccola e che si “Godranno con qualche video”. Oppure la wish list di canzoni dei RHCP che avrebbe voluto sentire Andrea mentre sognava il concerto mangiando un panino alla poca ombra di un albero in attesa dell’apertura cancelli. La famiglia che fuori dalla Visarno Arena ascoltava i concerti insieme ai figli, perché “Comprare l’abbonamento per i quattro giorni ora è un po’ troppo per le nostre tasche, ma alla musica non si rinuncia”. Oppure come Maurizio e Gabriella che tramite i social hanno fatto vivere le loro idee e le loro sensazioni, con lo sguardo di chi ancora non ha perso la voglia di farsi affascinare, coinvolgere e condividere ciò che la musica può fare. E così molti e molti altri, che una semplice recensione non può racchiudere in tante poche parole, ma che spero vi abbia fatto percepire nel suo immenso bagliore, perché alla fine, Firenze Rocks non è solo la musica, ma è la gente che la respira e ne fa parte. 

 

Alma Marlia

La Rappresentante Di Lista @ Ferrara Sotto Le Stelle 2022

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• La Rappresentante Di Lista •

+

Ibisco

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FERRARA SOTTO LE STELLE

Nuova Darsena (Ferrara) // 19 Giugno 2022

 

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Foto: Roberto Mazza Antonov
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IBISCO

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