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Oltre Festival 2023 • Day 2

A Bologna la musica non si ferma mai: da anni ormai, la sua offerta di concerti ed eventi cresce in maniera esponenziale senza freni, nonostante non sia una così grande città come Milano o Roma.

L’Oltre Festival ne è l’esempio perfetto, nato nel 2019 e che ha continuato ad espandersi, nonostante un’epidemia mondiale di mezzo, tanto che quest’anno prevede la presenza di ben due palchi in contemporanea, aumentando così la sua offerta musicale all’interno dello splendido Parco delle Caserme Rosse, nella periferia della città dei portici.
Infatti, caratteristica che apprezzo molto di questo festival, è la capacità di spaziare notevolmente tra i vari generi musicali, dal rap al pop, passando dall’indie al cantautorato, tutto rigorosamente made in Italy. Insomma un evento dove puoi portare tutti i tuoi amici, anche quelli che non ascoltano la tua stessa musica.

Headliners del secondo giorno è una delle mie band dell’adolescenza con cui sento di dover fare pace: i Verdena.

A scaldare la folla ci pensa un’altra artista che ha segnato i miei 17 anni, Maria di Donna in arte Meg. L’ex voce femminile dei celeberrimi 99 Posse è in tour per presentare il suo ultimo lavoro Vesuvia. Sound unico e identitario, con una dance elettronica coinvolgente e ritmata ci ha piacevolmente allietato nell’ora di aperitivo, che con una birra fredda in mano e la luce del tramonto era a dir poco perfetta.

Mentre sull’altro palco si esibiva Naska, nuova leva della musica alternativa italiana, noi fan più attempati ci guardavamo impazienti mentre attendevamo le chitarre della band lombarda diventata ormai iconica per il genere alternative rock italiano. 

Alberto Ferrari e soci sono in tour per pubblicizzare il loro ultimo disco, Volevo Magia, uscito a fine dello scorso anno e che quest’inverno ha registrato un infinita serie di date sold out per tutto lo stivale. Gran parte del live è dedicato proprio al nuovo album: Chaise Longue, Paul e Linda e ovviamente Volevo Magia infiammano il pubblico. La vera magia, però, scatta quando vengono eseguiti i grandi classici della band. Dalle prime note di Angie, mi ritrovo di nuovo nella mia cameretta da adolescente a struggermi per la mia cotta del liceo. Le chitarre di 40 Secondi di Niente hanno lo stesso effetto della macchina del tempo e, se mi guardo attorno, vedo una serie di miei coetanei con quel sorriso malinconico sulle labbra che ho pure io. Nel bis arrivano, una dopo l’altra, Muori Delay, Un Po’ Esageri e Paladini. Grande assente Valvonauta, che i fan contrariati, a fine concerto cantano comunque a cappella, rendendo la fine dello show ancora più suggestiva.

Nonostante qualche problema tecnico (la voce di Alberto andava e veniva, nonostante il cambio di microfono avvenuto sul palco tra una canzone e l’altra) e una scaletta che ha tralasciato dei dischi importantissimi per la loro carriera (niente da Wow oppure da Endkadenz Vol. 1) i Verdena sono comunque in grado di regalare uno show coinvolgente e toccante. Il nuovo disco ha delle canzoni notevoli, ma niente in confronto ai lavori precedenti. Infatti, mi chiedevo quanti fossero i nuovi fan arrivati a loro con Volevo Magia e non con Requiem o Il Suicidio dei Samurai. A giudicare dal pubblico attorno a me, molto pochi. 

C’era quello studio scientifico che diceva che la musica che ascoltiamo in adolescenza è quella che ci accompagnerà per tutta la vita e che niente potrà regalarci la stessa scarica di serotonina e, dopo questo live dei Verdena non posso che concordare: sempre bravi e talentuosi ma sono contenta di averli visti in concerto quando presentavano i miei dischi preferiti. Mi spiace, miei cari Verdena, neanche questa volta abbiamo fatto pace e forse solo una macchina del tempo potrà veramente riconciliarci.

Alessandra D’aloise

Oltre Festival 2023 • Day 1

Il solito andazzo a Bologna: quella calura estiva umida e impietosa ha bussato di nuovo alla porta della rossa. Una birra ghiacciata e l’atmosfera unica dell’Oltre Festival, per la prima data, aiutano a non pensarci, e il caldo passa in secondo piano. Tornare al Festival è stato come riaprire le porte di casa dopo un anno. Si, è vero, l’ho trovato come prima, perché certe cose non cambiano mai e, quando torni dove sei stato bene, ti accontenti anche di qualche piccolo cambiamento. Qualcosa era diverso, però, e tutt’ora non sono riuscito a capire se fossi io, l’ambiente o il festival in senso lato. Era tutto come ricordavo: il palco, le console, gli artisti che girano nel backstage, i baracchini del cibo e della birra, ma qualcosa di diverso, irrimediabilmente, si faceva sentire. Forse era l’atmosfera. Un miscuglio fra contentezza e stanchezza, o forse era il pubblico, un po’ sulle sue, un po’ statico (non me ne vogliate, era comunque un pubblico molto sereno e comunque a proprio agio). Ecco: non ho avvertito l’aria elettrizzante che solitamente fluttua sulle teste degli ascoltatori appena prima dei concerti. Che sia stata la recente alluvione, la calura, il fatto che ci fossero oggettivamente poche persone prima dell’esibizione del primo artista, non so e non sta a me decidere.

L’unica cosa che so è che la prima ospite, Rose Villain, è servita come scintilla su una tanica aperta di benzina. È riuscita a farli ballare e cantare quasi tutti. Speravo potesse assisterla molta più gente, però. La maggior parte delle persone sono entrate dopo. Ma Rose è Rose. La regina della scena rap/urban italiana è riuscita a far diventare nero il cielo di Bologna con le canzoni del suo nuovo album, Radio Gotham. Stile, tecnica, voglia di mettersi in gioco, carisma, sono qualità che Rose ha sempre portato addosso e mostrato con fierezza, ma le esibizioni dal vivo sono un vero e proprio manifesto in movimento. 

Posso dire la stessa cosa dell’artista successivo, Rosa Chemical, che ha fatto un concerto impeccabile. Appena è salito sul palco la sensazione di staticità del pubblico è andata a farsi benedire. Continuo a guardarmi intorno e a vedere gente che balla, salta, si canta in faccia. E quasi per sbaglio, con la coda dell’occhio, riesco a vedere la miglior comparsa del concerto: una signora sulla sessantina, con i capelli corti, che tenta di correre verso le panche dell’area ristoro ma quasi scivola sul fango, continuando a cantare e ad agitare la mano in alto. In quel momento, ho capito che Rosa è in grado davvero di arrivare a qualsiasi persona, abbattendo ogni tipo di muro discriminatorio e di pregiudizio, come confermato dalla lettera che ha letto sul palco, un breve monologo contro la discriminazione, che incoraggia ad essere sempre sé stessi. 

Piccola pausa, ordino un’altra birra e mi preparo per quello che sarebbe stato l’artista di chiusura: Carl Brave. Su Carl non si può dire una parola che sia storta, o fuori posto. Artisti che riescono ad essere così fedeli a ciò che scrivono nelle canzoni sul palco ne ho visti davvero pochi. Carl Brave ha la capacità di trasporre la sua spocchia romana, buffa ma caciarona, la malinconia e la voglia di riscatto che caratterizzano le sue canzoni sul palco, e lo fa in maniera completamente naturale. Carl Brave è così: caciarone, sciolto ma elegante, conversa col pubblico e spesso indica qualcuno tra la folla anche durante l’esecuzione di un pezzo. Carl Brave è come la sua Roma, e questo al pubblico arriva tutto. 

A Bologna si è fatto un po’ meno caldo, l’aria un po’ più distesa. Tornare dove si sta bene è sempre bello, perché anche nei posti vecchi impari qualcosa di nuovo. Ho imparato dalla lettera di Rosa, una frase brevissima che, però, ho conservato: “Se vi lanciano parole d’odio, rispondete con gentilezza e pacatezza”. 

Riccardo Rinaldini