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Tre Domande a: Lou Mornero

Come e quando è nato questo progetto?

“Se devo pensare a un inizio bisogna tornare indietro negli anni, molto prima che Lou Mornero avesse un nome e una forma.
2006/2007, ero in Sicilia per una vacanza in camper con amici cari e tra questi Andrea, il mio partner musicale, fece apprezzamenti alla mia voce mentre cantavamo su una canzone per farci passare il tragitto, e aggiunse che avrei dovuto mettere in piedi un progetto dove cantassi. In quel periodo iniziava l’avventura dei Male di Grace nei quali suonavo chitarra e basso. Non avevo mai considerato l’idea, mi reputavo uomo da band ma in quel momento esatto la cosa mi stuzzicò parecchio.
Passò qualche anno e nel frattempo i Male di Grace diedero alla luce l’album Tutto è come sembra, entrai poi come bassista ne I Paradisi con cui producemmo l’album Dove andrai e ad un certo punto il pensiero di un progetto solista riaffiorò dal nulla.
Tornai quindi a riabbracciare la chitarra acustica, snobbata per anni a favore dell’elettrica, e da lì partì tutto; iniziai a comporre atmosfere più lievi del solito e mi ci ritrovai con molto agio.
Con naturalezza è poi giunta l’esigenza di dare forma a quella nuova veste e proposi ad Andrea, compagno di banda ne I Paradisi, di collaborare per arrangiare e produrre questa mia idea musicale ed eccoci qui: è nato un EP, uscito qualche anno fa, e oggi GRILLI.”

 

Cosa vorreste far arrivare a chi vi ascolta?

“Rallentamento, tregua, viaggio!
Mi piace pensare che chi ascolta GRILLI possa godere di una mezz’ora sospesa dalla frenesia che è la vita e non alludo solo alla parte tangibile ma soprattutto alla zona invisibile, quella fatta di pensieri e angosce, quella dei mondi interni, spesso i più subdoli e complicati da gestire.
Sarebbe un gran piacere sapere che questa musica favorisse simili sospensioni poiché penso che si presti particolarmente in quanto ad atmosfere sognanti e leggere, senza considerare che nasce da una personale esigenza di rincorrere quel tipo di oblio.
E aggiungerei che il lavoro di passione e genio che Andrea ha aggiunto alle canzoni, parlo di suoni che fluttuano e arrangiamenti che avvolgono, si sposa perfettamente con la filosofia dell’abbandono e del distanziamento, non sociale, ma da se stessi.
Sospensione quindi ma non solo; anche immersione nelle suggestioni della musica, nei suoi colori e nelle sue virtù.
Dai i testi è invece arduo aspettarsi qualcosa poiché è un campo di assoluta soggettività dal momento che scrivo di quello che vivo e di come lo vivo e non è detto che ciò corrisponda al comune sentire, ma se qualcuno si ritrovasse nelle mie parole allora significherebbe che c’è qualche essere simile a me là in giro e questo m’incuriosirebbe.”

 

Progetti futuri?

“Non mancano mai! Fanno parte del mio inconscio ottimismo. Tra questi sicuramente comporre altra musica che mi aggradi al punto da volerla condividere in un futuro.
Direzioni nuove e nuovi suoni piuttosto che qualcosa di più essenziale, nuove collaborazioni.
La parte godereccia del comporre è che potenzialmente non ci sono limiti alla creatività, gira tutto intorno al mood del momento, al coraggio, alla curiosità e in questa prospettiva progettare il futuro è assolutamente eccitante. Trattandosi più di idee che di progetti sono ancora in fase nebulosa e accennata ma ci sono e già per questo sono galvanizzanti, solo che al momento non riuscirei a dirne oltre.
Come si dice: stay tuned.”

Tre Domande a: Wabeesabee

Come state vivendo questi tempi così difficili per il mondo della musica?

Saverio: “Come molti credo, abbiamo indubbiamente tanta voglia di suonare, ma sfruttiamo questo momento per continuare a scrivere e riflettere.”
Andrea: “Il virus purtroppo ha infettato anche il mondo della musica, soprattutto a livello di industria e ha avuto ripercussioni in modo particolare su quegli artisti che avevano visto il 2020 come un anno di svolta. Ovviamente un po’ di preoccupazione c’è, ma siamo fiduciosi per il prossimo anno. Avevamo bisogno di far partire il progetto e per ora siamo davvero soddisfatti di come sta andando. L’unica cosa che ci manca è l’aspetto live; è triste il fatto di non avere la possibilità di potersi esprimere dal vivo e di poter interagire con un pubblico.”

 

Ci sono degli artisti in particolare a cui vi ispirate per i vostri pezzi?

Saverio: “Ad oggi Jeff Buckley, Jordan Rakei, Tom Misch, Hiatus Kayiote, Nick Hakim e D’Angelo su tutti, mentre nel percorso che ci ha portato a questo disco ho saputo amare Joni Mitchell, Patrick Watson, Lucio Dalla, Niccolo Fabi e Igor Lorenzetti (alias di Dead Poets Society). Ultimamente Kendrick Lamar, August Greene, Anderson .Paak ed Eriykah Badu sono a ruota nelle cuffie.”

Andrea: “Nel nostro sound si possono trovare artisti che piacciono molto ad entrambi come ad esempio Jordan Rakei, Tom Misch, Hiatus Kayiote, D’Angelo, Anderson .Paak.”

 

Cosa vorreste far arrivare a chi vi ascolta?

Saverio: “La possibilità di andare altrove con la mente.”
Andrea: “Personalmente vorrei far arrivare ciò che provo io mentre ascolto la musica che mi piace, quindi: generare coinvolgimento durante l’ascolto, far entrare in sintonia l’ascoltatore con l’autore, far capire che i pezzi sono stati scritti con il cuore e non a tavolino, e suscitare interesse per la produzione musicale.”

Oremèta “Saudade” (Glory Hole Records, 2021)

Il Maestrale trasporta musica esotica, la samba si mischia con le risate di tre ragazzi sul balcone.

Ma qui non siamo a Rio, siamo a Ostia.

E qui, non stiamo festeggiando il Carnevale, siamo in lockdown.

I loro ricordi, le loro esperienze ora diventano racconti, le idee si trasformano in speranze per il futuro.

Uno di loro ha una chitarra, strimpella qualcosa mentre l’altro butta giù due frasi. La ragazza guarda lontano verso l’orizzonte. Dopotutto sono fortunati, loro hanno il mare. 

Quello che all’inizio era un passatempo si evolve, cresce, fino alla creazione di una band, gli Oremèta (Chiara Pisa voce e testi, Dario Cangreo testi e voce, Giulio Gaigher compositore) che presentano il loro primo album Saudade, una serie di storie dai profumi esotici, una bossa nova romana che narra di malinconie, di viaggi, di claustrofobia, di routine temporaneamente sospese e affetti lontani.

Chiusi nelle nostre case bramiamo spazi aperti, i banconi appiccicosi dei bar, gli abbracci, la calca dei concerti; soffochiamo nella nostra fame d’aria. La malinconia ci schiaccia, appiattendoci al suolo, e l’unica via d’uscita per la sanità mentale è ricercare nella memoria i momenti in cui ci sentivamo liberi, e rivivere quella sensazione. Se fatto in gruppo poi, diventa più potente. 

Con il loro sound particolare diventa difficile “etichettare” il loro stile, si passa da testi molto profondi, temi delicati e flussi di coscienza prosperosi, a tracce molto commerciabili, fluttuando con la bossa nova in un universo contaminato dall’hip hop, invaso dall’elettronica e dal soul.

Questo album ha un cuore, poderoso, che batte dentro a tutti i brani.

Rime eleganti che feriscono come spine di rose, un flow vellutato in Pangea (feat Soulclore); la nostalgia tagliente per gli affetti lontani è il tema di Se alle Sei, la cui intro è una telefonata vera della nonna di Chiara durante il primo lockdown e racchiude tutta la saggezza che solo gli anziani hanno con la frase “Quando sei obbligato vorresti uscì”.

Il tema degli affetti al di là del mare è anche in Bakarak, la storia di un loro amico congolese, della nostalgia di casa sua, del lavoro al porto che lo fa sentire quasi vicino alla sua patria.

Saudade e Interludio sono il frutto di ricordi di un viaggio in Brasile, versi nostalgici su come il progresso alla fine approdi anche nel paesino di pescatori sperduto, e distrugga la semplicità di una vita che bastava a se stessa. Le rime serrate, affilate, colpiscono nel profondo, Dario possiede un flow autentico, caldo.

Meta, quinto brano dell album, è una ballata pop, uno sfogo post lockdown, pieno di solarità e positività, si poteva di nuovo uscire, sembrava la libertà e, altezzosi, si poteva ripensare a quel periodo di clausura quasi sorridendo.

La rabbia verso gli oppressi scoppia violenta in un hip hop denso e scomodo in Passaporto; i toni rimangono accesi in Diario, condanna verso i pestaggi di Ostia, Salvini e Casa Pound, delle spedizioni punitive ai campi di rom di Torre Maura.

Da un balcone di un palazzo di fronte al Lido di Ostia questi tre ragazzi non ci parlano solo di nostalgia e mancanza, ma anche di speranza e rinascita. Abbiamo bisogno di esprimerci, di lasciare un pezzo di noi per buggerare la morte, un motivetto che continua ad essere canticchiato rende eterna la storia di qualcuno.

 

Oremèta

Saudade

Glory Hole Records

 

Marta Annesi

“Vaffanculo”: una conversazione a cuore aperto con Giorgio Canali

In questo anno funesto, arido o quasi di occasioni conviviali e soprattutto privo di concerti, appena si è presentata l’occasione di incontrare Giorgio Canali non me la sono certo fatta sfuggire.
Non sono giornalista e quella che seguirà, più che un’intervista, sarà un’amichevole chiacchierata con Giorgio, che seguo con piacere fin dai suoi primi album.
L’occasione è l’uscita di Venti, il nuovo disco del ex C.S.I., C.C.C.P., P.G.R. insieme alla sua storica band, i Rossofuoco.
Necessitando di almeno un contatto visivo decido di andare fino a Correggio per poterlo incontrare. L’appuntamento è in un bar del paesino emiliano, che fa molto “amico che non vedi da un po’”: fanculo videochiamate, videochat, zoom e menate varie. Direi che ne abbiamo fatte abbastanza.
Sono sinceramente emozionato, mentre aspetto al tavolino con una pinta di birra. In fondo è come se Paola Maugeri stesse aspettando Mick Jagger. Passatemi il paragone dai!
Dopo pochi minuti arriva Giorgio che, vedendomi col bicchiere e la maglietta del Velvet addosso, non esita un attimo:”Il Velvet, grande! Prendo una merda da bere e arrivo!”
Torna con vodka e ghiaccio, qualche scambio di battute e partiamo con la nostra chiacchierata, di circa due ore. Provo a riassumere!

 

Ti devo confessare una cosa: è da Luglio che ascolto il nuovo disco, me lo ha fatto ascoltare Botte (amico in comune, NdR) dopo che tu glielo hai mandato in anteprima.

“Si si, ha fatto bene!”

 

Venti come sono venti i brani di questo disco, avevate tempo durante il lockdown o li avevate gia scritti?

“No, semplicemente sono venuti fuori! Io ero chiuso su a Bassano, nell’appartamento/studio di Steve, ho iniziato a buttare giù qualcosa poi li ho fatti girare agli altri; dopo dieci pezzi Steve ha proposto di andare avanti e fare un doppio e ci siamo detti, perché no, tanto di cose da dire ne ho! Anche se fino a quel momento avevo un certo riserbo nel parlare di questa situazione di merda, non volevo metterla dentro al disco.”

 

E come si fa? È difficile ignorare ciò che accade.

“Si, ogni tanto ho questi trip! Ad esempio ho un pezzo, che probabilmente sarà nel prossimo album, o chissà, si chiama 900. Ripercorrerà tutto il novecento storico, ignorando completamente l’Italia e quello che è successo qua, perché tanto è irrilevante…”

 

Inutile e irrilevante come un brano del disco.

“Ahah, si, inutile e irrilevante, che è una provocazione bella grossa! Ignorando Mussolini, CianoBerlusconi, la P2 chi cazzo sono? Perché devo parlare di questa gente qua? Se viene fuori è una bella canzone, lunghissima.
Quindi, dicevo, l’intenzione era di lasciare del tutto fuori il problema che stiamo vivendo, come se non esistesse. Anche perché non ci credi che la gente possa arrivare a livelli simili, sul fatto di accettare per oro colato tutto quello che gli si racconta, senza neanche sollevare un obiezione e che qualsiasi precetto gli si ponga di seguire lo segue.
Mi venivano in mente i documentari propagandistici di istruzione alle precauzioni anti pericolo nucleare; dicevano ai bambini di accovacciarsi e coprirsi…”

 

Hai citato questa cosa in un brano in effetti.

“Si esatto, c’è. Accovacciati e copriti, accovacciati e copriti! Indottrinamento di base, inutilissimo, anche perché se ti esplode una bomba nucleare a 4 km puoi accovacciarti quanto ti pare.
Mi sembra un po’ questo, la mascherina, il distanziamento, che poi non mi sembrano cosi utili se ci pensiamo.”

 

Che vuoi dire?

“Al di la di quel che scrivono La Repubblica e Corriere della Sera, basta guardare la Svezia, la Norvegia, la Finlandia dove non hanno fatto niente. Non c’è bisogno di tenere controllata la gente. Qua invece è il sogno da sempre! Qualsiasi regime, cattivo o buono, quello che vuole di più è l’obbedienza, se cieca ancora meglio, facendo cagare addosso la gente. Mi ricordo la dichiarazione dello psichiatra prima di suicidarsi in carcere durante il processo di Norimberga: la paura fa 90, se fai cavalcare la paura vinci!”

 

Durante il primo periodo di lockdown la gente che ti guardava e insultava dai balconi se uscivi. Un esempio fu una farmacista presa a male parole, in realtà stava solo andando a lavorare.

“Poi il paragone diventa peso, ma è così che si crea il consenso che ti consente di andare a denunciare l’ebreo che sta nel piano di fianco. Per carità non voglio paragonare le cose, assolutamente, ma il meccanismo è il medesimo. Quelli che andavano a denunciare l’ebreo non gli sembrava cosi grave andare a denunciarlo.”

 

Su questo tema sei molto attivo sui social, su facebook hai postato diversi articoli, per esempio del collettivo Wu Ming.

“Ah sì, mi sono preso anche del negazionista!”

 

Al di là di come la si possa pensare è sempre giusto avere un atteggiamento critico, porsi domande.

“Certo! Se non capisci questo…a qualcuno fa comodo che sia cosi. Dall’altra parte dell’oceano fa comodo nascondere quello che sta per arrivare, ovvero un nuovo crack tipo ’29. Dar la colpa a un virus piuttosto che a quei figli di puttana che stanno a Wall Street è più comodo. Altrimenti la gente prende il piccone e va fargli il culo a questi qua, mentre se è colpa del virus…”

 

Alla fine l’argomento è entrato lo stesso in questo disco.

“Si però se ci fai caso in metà delle canzoni non ne parlo proprio. Il problema è che quando ne parlo ci vado pesante.”

 

Vero, e infatti sei sempre stato coerente nei tuoi testi, critico, a volteprofetico. Ricordo quel pezzo del 2004 che fa “Epidemie terrificanti, nuovi contagi e vecchi mondi da evitare e noi qui in fila a farci rivaccinare..”

“Sì si, siamo lì. Semplicemente sto attento a quello che succede intorno a me e soprattutto faccio tesoro delle lezioni di storia, anche della storia moderna o attualissima. Lo vedi come va il mondo. Poi per carità non voglio ergermi a Pasolini che diceva, testualmente: “Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi. Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace…”. Per carità, Pasolini è Pasolini e Canali è Canali, però se uno è attento a quel che succede attorno e ragiona poi fa 2+2. Poi magari ti sbagli a fare 2+2, però se non ci provi neanche sei un coglione!”

 

È importante farsi domande, essere critici. Nei tuoi testi è palese..

“Assolutamente! Ma scusa il coprifuoco? La gente accetta il coprifuoco senza alcuna obiezione!
E poi mi danno del fascista se ne parlo! Fascista a me! Se non sei filogovernativo allora la pensi come Salvini, che dice le cose solo per comodo! Se la Meloni domani se ne uscisse con “Dio non esiste” io dovrei diventare subito credente cattolico? Perché dovrei fare o dire per forza una cosa diversa da quel che dice lei? Col cazzo!
La gente purtroppo fa questi accostamenti. Poi quando tiri fuori il concetto di negazionismo applicato a qualcosa di diverso dal negazionismo vero, che è quello di dire “i lager non sono mai esistiti” stai già facendo della propaganda di merda. Terrificante!
E non mi trincero neanche dietro a una serie di privilegi che mi sono stati tolti, tipo campare con la musica. Si, non pago l’affitto in questo momento, ma non è per questo che sto qui a discuterne, non me ne frega niente!”

 

A proposito, ti volevo fare questa domanda, che tocca anche me e il mio lavoro di fotografo. Ora eventi e concerti sono bloccati a fronte di bonus e simili..

“Fanculo, io non voglio una lira da loro, voglio solo che mi lascino libero. Non mi frega di inps e bonus. Quando vivevo in Francia avrei avuto diritto agli assegni di disoccupazione del mondo dell’arte, con 70 cachet dichiarati in 1 anno hai l’equivalente dallo Stato pagato per altri 300 giorni. Potevo fare richiesta ma non mi interessa, non li voglio. Non voglio pensare, ragionare di essere anarcoide.”

 

Anarcoide?

“Si, in realtà non sono anarchico, sono anarcoide, è peggiorativo! Però almeno non sono organizzato in una anarchia coalizzata.
Adesso cos’è sto cashback? Diventi ancora di più schiavo di un sistema che è basato sul controllo. Poi ci sono quelli che “io l’app Immuni mai e poi mai” ma poi appena ti danno 20€ vai subito a dargli i tuoi dati, per cifre irrisorie!”

 

Una presa per il culo?

“Si chiama propaganda!
Dai Basta!”

 

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Si cambiamo argomento. Come mai a Correggio? Fan di Ligabue?

“Si, sono venuto a imparare il rock’n’roll da Ligabue!
In realtà avevo la speranza di riuscire a sostituire in tutte le pizzerie le foto del Liga con il pizzaiolo ed esserci io al suo posto. Ma non ci riuscirò mai.”

 

Però sei un fan di Jovanotti.

“Certo, ma non confondiamo la merda col purè! Sono fan di Lorenzo, lo conosco, è una persona molto onesta. Può essere populista, ma è quel tipo di populismo che non mi dispiace perché è quello dei sentimenti che vengono direttamente da lui, non è un voler forzare le cose. È un buono, un ottimista.”

 

Vorresti esserlo anche tu, ottimista?

“Mi piacerebbe un sacco! Vede sempre il bicchiere mezzo pieno, io invece lo vedo sempre rotto il bicchiere, neanche mezzo vuoto!”

 

Invidia? 

“Si un po’ di invidia ce l’ho! Poi mi piacerebbe scrivere un paio canzoni con quello spirito li. Per esempio Mi fido di Te è un pezzo che spacca, che quando l’ascolto mi vengono i brividi.”

 

Se non ricordo male ne avevi fatto anche una cover.

“Si era un festival vicino ad Arezzo, probabilmente gli abitanti da quella volta mi odieranno! Mi avevano chiesto di affrontare sei brani di altri artisti, cover che mi piacevano e che avrei voluto scrivere io. Quella di Jova l’ho mescolata a Precipito, ci stava.”

 

Ma veniamo ai tuoi pezzi. Canzone Sdrucciola,  com’è nata?

“Sdrucciolamente! È partita da una batteria in 6/8 di Luca Martelli. Abbiamo fatto esattamente come fossimo dal vivo, in cui uno parte e gli altri gli van dietro.”

 

Però in questo caso eravate separati.

“Si, si. Luca le batterie le ha registrate in Sardegna, qualcuna nell’orto della sua compagna. Steve era Miami, io a casa di Steve a Bassano, Marco Greco a Bologna. Poi ci giravamo i file. Uno partiva e gli altri dietro poi io ci mettevo il testo.”

 

Quindi i testi vengono per ultimi?

“Si il testo arriva sempre dopo. Anche in sala prove, quando improvvisiamo insieme, suoniamo poi io mi porto a casa tutto, taglio edito, faccio quello che c’è da fare e poi viene fuori il testo. Raramente una canzone nasce chitarra e voce già strutturata. Poi ogni tanto qualche pezzo che nasce così, alla cantautore, c’è.”

 

Per esempio?

Rotolacampo, oppure andando indietro, Lezioni di Poesia. Ma sono davvero pochi i pezzi fatti in questa maniera. Prima nasce l’atmosfera, l’ambiente, poi ci scrivo sopra.
Canzone sdrucciola è nata cosi. In realtà stavo lavorando anche a un altro testo su quel pezzo, poi mi è venuta fuori la frase “..chissa perché la radio passa solo canzoni inutili”, bella, ed è venuto fuori tutto cosi, un testo sdrucciolo, con l’accento sulla terzultima sillaba.”

 

Questo nuovo disco mi sembra il perfetto continuo del precedente Undici canzoni di merda con la pioggia dentro.

“Si infatti è sott’inteso, non mi andava di palesarlo, ma è automatico! Venti sono le canzoni di merda.”

 

Un album pregno di citazioni.

“Si, l’ho fatto apposta questo disco. È uno dei motivi portanti dell’album. Andando a giocare, citando in ogni canzone almeno un pezzo di qualche cantautore italiano; ce ne sono almeno 26 o 27. A parte quelli internazionali che ci sono sempre stati.”

 

Io non li ho beccati tutti. Sicuramente il più facile è De Andrè

“Quella è facile, si!
Ad esempio c’è quella in Cartoline Nere, per citare I Matti di De Gregori. È stata quella che mi ha dato il là per citare. L’ho stravolta e mi son detto, “Bella cosi, andiamo avanti e citiamo tutto quello posso”, sia travisandolo, storpiandolo, ma anche copiandolo papale papale. In Morire Perché c’è “catene, bastonate, chirurgia sperimentale” di Com’è Profondo il Mare di Dalla e prima, forse più nascosto, “morire di Maggio”” (La guerra di Piero, De Andrè NdR).

 

Ti vidi in concerto le prime volte tra il 2004 e il 2005. Prima con i TARM e poi a Forlì con degli sconosciuti Zen Circus.

“Uh si! Lì era una delle prime volte che incrociavo gli Zen Circus Poi ho fatto delle cose con loro, nel primo disco, dove Andrea Appino cominciava a cantare in italiano: sono andato in studio con lui a fare le voci, mi faceva cagare come cantava in italiano, dieci volte meglio in inglese! Bisognava che fosse convinto di cantare bene anche in italiano, così l’ho stressato un po’. E poi era l’album prodotto da Brian Ritchie (Violent Femmes, NdR), ci sono andato per lui! Abbiamo anche suonato insieme, per me era un sogno!”

 

Poi con chi altro hai lavorato?

“Con Vasco (Le Luci Della Centrale Elettrica) ho fatto tutto il primo album e una novantina di date; tant’è che Nostra Signora della Dinamite è uscito un anno dopo proprio perché io ero in tournée con lui e ci tenevo vedere come andava, è stata una bella cosa! Siamo tutt’ora in contatto, credo di essere una delle dieci persone che sente i provini dei suoi dischi per primo.”

 

Poi?

“Poi Bugo, un altro di quelli che apriva i miei concerti e poi ora, ciao! Come anche i Verdena del primo album, che a fine ’90 mi portai in tour per qualche data ad aprirmi i concerti, era appena uscito Che fine ha fatto Lazlotoz, era il 98/99.”

 

Anni stupendi, c’era un bollore incredibile.

“Si ma c’è anche adesso il bollore, forse si è un po’ spento perché stanno cercando di imitare da una parte la trap inutile, e dall’altra Venditti. Sai i vari episodi di pop romano che da indie diventa mainstream. Ma poi chi se ne frega, non son qui a sparare sulla croce rossa, ognuno fa le scelte che vuole, tanto fra due anni sono tutti sepolti questi qua.”

 

C’è speranza.

“Ma sì, c’è ancora un movimento. Credo che ci sia anche un ritorno, paragonabile a quello che han tirato fuori Vasco Brondi e Dente, a un certo tipo di cantautorato, con dello spessore.
Ci sono anche delle cose che ho prodotto io; i Radiofiera, che sono dei vecchi di merda come me, esistono dal ’90. Poi c’è Prevosti che spacca, l’ho portato in giro con me in qualche data.
Poi qualcosa di nuovo, un tipo di Genova, che scrive bene, mi piace, è disimpegnato ma non va a cercare il pop facile con le canzoni d’amore e gli accendini accesi. Uscirà con la mia etichetta PsicoLabel.”

 

La tua etichetta?

“Si, è la mia etichetta storica, proprio mia. Ora vogliamo farla diventare una vera etichetta; per un po’ di tempo è stata come un tatuaggio che ognuno si metteva: “Posso uscire con PsicoLabel?” Fai il cazzo che vuoi, basta che non mi chiedi dei soldi! Era roba che facevo con gli amici. Ora invece stiamo cercando di strutturarla, insieme a Steve, farla diventare una piccola factory.”

 

Da quant’è che suoni con Steve?

“Da Rojo in poi, li eravamo tre chitarre con Fanelli al basso. Fanelli (ex Quinto Stato) tra l’altro sarà probabilmente una prossima uscita con un progetto bellissimo, Fanelli Demolizioni.”

 

Parlando di basso, mi è sempre piaciuto come esce dai tuoi dischi, anche in quest’ultimo. Mi ricorda quello di Gianni Maroccolo.

“Il basso di Marco mi piace molto, lui imita me che imito Gianni appunto, e ci piace!”

 

Lui però nasce chitarrista.

“Si, tutti i migliori bassisti nascono chitarristi, quelli col plettro in mano. Altrimenti finisci che ti menano come Pastorius!”

 

In questo momento di pausa dei concerti? Ti dai anche tu allo streaming?

“No no, non esiste proprio, è un surrogato di vita che non posso accettare. Andare sul balcone a fare gli imbecilli con la chitarrina, a parte quelli che ci andavano per controllare gli altri, o quelli che si mettevano a fare le robe in streaming? Ma vaffanculo. Ho anche litigato con degli organizzatori di festival per questo motivo. Ma perché invece non organizziamo delle cose? Forziamo un po il blocco, poi ci arrestano tutti!”

 

In realtà concerti ed eventi sono assai più controllati e regolamentati rispetto ad altri contesti come i centri commerciali ad esempio.

“Ma si, ma noi le abbiamo sempre rispettate le regole, ma poi non è bastato! Alla fine han chiuso tutto, cinema e teatri.”

 

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Da Predappio, alla musica e al tuo lavoro, come è andata?

“Facevo il chitarrista in una band di amici, che suonava molte canzoni dei Beatles, e anche molti pezzi propri. Sembra preistoria ma all’epoca era roba uscita quindici anni prima, come chi adesso suona il grunge. Poi pian piano mi sono trovato a mettere su una cosa che si chiamava Potemkin, che nei primi anni 80 in Romagna funzionava abbastanza. Insomma io trombavo, in quanto frontman!
Poi mi sono reso conto che questa cosa non mi andava bene, nel senso; perché se sono su un palco mi trombi mentre se fossi fuori non mi cagheresti? Allora ho cominciato a fare della musica completamente deficiente e inascoltabile insieme al Politrio e a Bob Zoli, morto un paio di anni fa, lui è stato uno dei pilastri e della musica indipendente a Forlì. Per sei-sette anni facevamo concerti per 100 persone di cui 90 se ne andavano e dicevano “cos’è sta merda?” Era bello, il rifiuto del piccolo star system di periferia.
Da lì abbiamo iniziato a conoscere gente che lavorava in quell’ambito, per esempio i Litfiba. Prima Bob come fonico e poi io come suo sostituto dopo un incidente. Intanto in quel periodo facevamo musica difficile, poco fruibile. Mi ricorderò sempre quando Libero Cola del Vidia ci prese dicendo, “dai vabbè, ci saranno 10 persone” e poi gli riempimmo il locale con la nostra musica di merda.”

 

Poi come sei arrivato ai CSI?

“Dopo aver cominciato come fonico per i Litfiba, abbiamo girato l’Europa, subito dopo Tre, erano la mia famiglia, poi ho conosciuto i Noir Desire e sono diventato francese, era il mio mondo.”

 

Quanto tempo sei rimasto in Francia?

“Una decina d’anni, dal ’89 al ’98, mi dividevo tra Francia e Italia. Infatti i C.S.I. sono nati che io vivevo in Francia! Tornavo qua a registrare, era il tempo di Epica Etica Etnica Pathos di C.C.C.P., registrato proprio a 2 km da qui. La mia vita è cambiata in quegli anni, dopodichè sono nati i CSI ed io ero in giro con i Noir Desire tutto il tempo. Quando i CSI han cominciato a decollare ho preso tanti di quei voli!”

 

Invece com’è andata l’esperienza con i PGR?

“Secondo me con i P.G.R. abbiamo fatto il più bel disco che abbiamo mai fatto tutti insieme, io, Gianni e Giovanni, compresi tutti i precedenti; è Ultime Notizie di Cronaca, ultimo album, del 2009! È il migliore che ci sia mai venuto fuori! Fatto tra l’altro un po’ a distanza, come questo Venti. Io e Gianni, che ci occupavamo della musica ci saremo visti un giorno e mezzo, in tre mesi di lavorazione, per il resto tutto via internet.”

 

Non sono mai riuscito a vedervi in concerto, peccato.

“Purtroppo abbiamo mollato perché nel 2006 Giovanni ha avuto un problema di salute che lo ha portato via dalle scene per parecchio tempo. Poi non si è fatto più nulla. Ma avevamo in contratto un altro disco con la Universal e cosi lo abbiamo fatto, ed è appunto Ultime Notizie di Cronaca, ed è uscito davvero bene. Se lo ascolti capisci perché! Al di fuori delle parole di Giovanni, che possono piacere o non piacere, non me ne frega un cazzo di quel che pensa la gente, però musicalmente è la cosa più riuscita e matura che abbiamo mai fatto, perché c’è tutta la mia sensibilità e quella di Gianni che si mescolano in maniera perfetta, una figata! È musica diversa, trasversale.”

 

Tornando al disco nuovo invece, ho sentito, tra le altre cose, tante tastiere in più e il violino.

“Sì sì, ma il violino c’è da sempre! C’è stato anche il violino di Rodrigo D’Erasmo, era in Tutti Contro Tutti, mentre il violino di Andrea Ruggiero c’era già in Nostra Signora della Dinamite, e in Venti c’è almeno in cinque/sei pezzi.”

 

Domanda secca. Se ti chiedessero di fare il giudice di un talent?

“Se mi pagano un tot di soldi ci vado! Massimo rispetto per Manuel Agnelli che riesce sempre a far molto bene quello che fa, poco rispetto per chi lo critica, perché sono solo invidiosi di merda. Stesso vale per Alberto che va a suonare a X-Factor i pezzi dei Verdena. Ma che vuoi? Questo lo so fare, e lo vado a fare, mi pagano, lo faccio. E se anche non mi pagavano ci andavo lo stesso probabilmente perché mi andava di farlo.”

 

Non ti sei scandalizzato.

“Ma siam matti? Mi devo scandalizzare per cosa? Se gli Zen Circus vanno a Sanremo? Poi ci sono andati in maniera super dignitosa!”

 

Così pure gli Afterhours.

“Sono stati fighissimi, hanno portato avanti un progetto bellissimo e un ‘idea unica con quell’album.
Tra l’altro devo molto a Manuel e al suo ToraTora Festival! Quando mi voleva in prime time coi Rossofuoco nonostante all’epoca vendessimo pochi dischi. Mi diceva “Tu te lo meriti, e alla gente gli faccio vedere una cosa figa!””

 

In conclusione, avete fatto davvero un bel disco, pensi sia il migliore?

“Per forza! Ma per quantità più che qualità! Tra Undici e Venti cosa scegli? E poi hai ragione tu, ha filo conduttore che va avanti; non a caso la copertina è sempre della Martina, una mia amica di Bergamo. Nella mia testa vedevo una trilogia, Undici, Venti e poi il prossimo magari sarà Giallo.”

 

Quindi hai già altri pezzi?

“Si, in realtà siamo andati oltre i venti pezzi, ce ne sono almeno tre o quattro che non sono andati dentro a Venti. Un brano è in una compilation che dovrà uscire (Her Dem Amade Me, pubblicato su supporto fisico il 4 Dicembre, NdR), un lavoro dedicato a Orso, quel ragazzo di Firenze, ucciso mentre combatteva l’Isis.”

 

Si, ricordo bene.

“Adesso sembra una roba da matti! Ma nel ’37 era normale prendere e andare a combattere; quanta gente da Francia, Italia, Germania ha deciso di andare a combattere un’idea di merda, che era il franchismo.
Il problema è che le resistenze sono celebrabili solo se sono roba vecchia, se è nuova sei uno sfigato che si batte contro un sistema che tanto ha già vinto. Vaffanculo!”

 

Quindi festeggiare oggi la resistenza ha senso?

“Certo, come aveva senso negli anni ’70. Non sono assolutamente un fan della lotta armata, ma anche quella era resistenza.”

 

Giorgio abbiamo parlato un sacco e sono quasi le 18, ci chiude il bar!

“Ah basta basta, poi qui ci arrestano!”

 

Ciao Giorgio, a presto spero!

“Speriamo, Ciao!”

 

 

Siddharta Mancini

VEZ 2020: riflessioni di fine anno

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Il 2020 è stato un anno difficile per l’industria musicale: il Covid-19 ha condizionato la nostra vita da qualsiasi punto di vista.

Questo si prospettava un anno dalle grandi emozioni: doveva essere l’anno dei Pearl Jam a Imola, quello del gran ritorno dei Deftones a Bologna, sicuramente quello del ritorno del Boss Bruce Springsteen in Italia, i soliti grandi festival nazionali ed internazionali con nomi da leccarsi i baffi, invece è saltato tutto. Annullato e Riprogrammato sono state le due parole affiancate a quelli degli eventi. Sopravvivere e Reinventarsi invece sono state quelle cucite addosso agli addetti ai lavori, band e anche ai magazine di musica.

VEZ Magazine è nato principalmente come magazine fotografico ed è sempre contata tantissimo la qualità delle nostre immagini: negli anni passati quindi si è data sempre più importanza ai fotografi di live e ai loro contenuti, anche perché quasi ogni giorno c’erano concerti, eventi e materiale per galleries fotografiche.
A Marzo, quando abbiamo capito come si sarebbero messe le cose, non ci siamo dati per vinti e, sostenuti dai nostri giornalisti che si sono rimboccati le maniche, abbiamo spostato l’attenzione sui contenuti scritti per cercare di mantenere comunque vivo il magazine e continuare ad offrire la qualità a cui i nostri lettori sono stati abituati.
Alberto Adustini, Andrea Riscossa, Francesca Di Salvatore, Marta Annesi – il nostro quartetto delle meraviglie – insieme agli altri giornalisti, sono diventati i punti fermi di VEZ: grazie ai loro articoli, alle loro recensioni ed interviste, infatti, abbiamo comunque potuto apprezzare il meglio che questo 2020 poteva offrirci musicalmente parlando, in attesa di poter tornare sotto al palco ad imprimere in parole ed immagini le emozioni dei live.

Con l’avvicinarsi della fine di questo 2020 bisesto e decisamente funesto, abbiamo guardato indietro e per cercare di ricordarci com’era la musica prima della pandemia abbiamo fatto una selezione delle migliori immagini dei nostri fotografi, che fino a quando hanno potuto, si sono lanciati sotto palco ad immortalare i vostri cantanti preferiti.

Luca Ortolani

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Dall’alto, da sinistra a destra, foto di:

Editors – Elisa Hassert
Pubblico – Simone Asciutti
Max Gazzè – Siddharta Mancini
Melanie Martinez – Maria Laura Arturi
Soviet Soviet – Siddharta Mancini
Gazebo Penguins – Simone Asciutti
Big Thief – Francesca Garattoni
Zebrahead e pubblico – Luca Ortolani
Niccolò Fabi – Simone Margiotta
The Comet Is Coming – Siddharta Mancini
Kaiser Chiefs – Elisa Hassert
Gio Evan – Luca Ortolani
The Maine – Luca Ortolani
Milky Chance – Annalisa Fasano
Francesca Michielin – Luca Ortolani
Mecna – Alessandra Cavicchi
Calibro 35 – Isabella Monti[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]

VEZ5_2020: Marta Musincanta

Fare un bilancio del 2020 di qualsiasi tipo – anche musicale – è un po’ strano, dato che la percezione del tempo è stata completamente distorta e questi 12 mesi sono durati in realtà 57. Ma comunque in questi 57 mesi la musica è stata fondamentale: un po’ bene di conforto, un po’ fonte di nostalgia per una normalità persa per strada e qualche volta anche motivo di dispiacere, ripensando magari a tutti i concerti mancati e che non si sa quando riprenderanno nella loro forma più vera e sincera: appiccicati gli uni agli altri addosso a una transenna.

Ecco allora che abbiamo chiesto ai nostri collaboratori e amici di raccontarci quali sono stati gli album che hanno tenuto loro più compagnia durante questo 2020…

 

Rispondo contenta all’invito di VEZ Magazine di presentare la mia classifica musicale 2020 con cinque dischi da me preferiti o da evidenziare.

Parto dalla mia personale convinzione che le classifiche, per quanto io ami i numeri, sono uno strumento massacrante per qualunque brava persona, redattore da una parte e artista dall’altro. Quindi, questi cinque li pongo allo stesso livello, al pari dell’importanza di tutte le cinque dita in una mano.

Piace l’idea? Mi acconsento da sola e vado avanti. Dunque…

 

Pottery “Welcome to Bobby’s Motel”

Pottery chi? Cercateli. In periodo di immobilità Covid, questa giovane band canadese ci trascina nel ritmo tra atmosfere funky, new wave e deviazioni artistiche varie nell’hotel surreale di Bobby, personaggio dalle mille personalità. Mi piacerebbe andare in quell’hotel per un 24h Party People con i Pottery, mentre ad un certo punto spunta la famiglia Simpson al completo e in un angolino David Byrne e lo trascino a ballare tutti assieme.

Traccia da non perdere: Texas Drums Pt I & II

 

Deftones “Ohms”

È come quando non senti un carissimo amico da tanto tempo e poi, appena dice “Pronto?” ci si ritrova subito a fare una lunga chiacchierata telefonica, azzerando ogni distanza. Chino Moreno è la voce di quel vecchio amico il cui nome è Deftones, con il suo carattere un po’ rabbioso, un po’ melanconico, in quanto mai superficiale. Quindi scatta l’abbraccio, con le orecchie e con il cuore “Sei sempre lo stesso, Def!”.

Traccia da non perdere: This Link Is Dead

 

Idles “Ultra Mono”

Immagino che gli Idles sul palco siano entropia. Purtroppo non li ho ancora visti live, per cui forse mi racconto una favola, in cui i membri della band appaiono come tanti anti-eroi. Sfacciatamente diretti nei testi pregni degli orrori e conflitti scaricati dalla politica sulla società, non evitano anche di esprimersi in quanto individui bisognosi di sentimenti. Adottiamo un Idle.

Traccia da non perdere: GROUNDS

 

Thurston Moore “By the Fire”

Questo gigantesco uomo con la chitarra si sdoppia, poi si sdoppia ancora e infine si risdoppia. Questo album contiene diverse meraviglie, eco dei migliori Sonic Youth e brani con la spiccata sperimentazione nel mondo attuale di Thurston Moore. La sua chitarra cerca la sua chitarra, combatte contro se stessa, poi vince la battaglia ma l’altra battaglia la vince l’altra (sempre) sua chitarra. Ne resterà solo una. O uno.

Traccia da non perdere: Cantaloupe

 

A.A.V.V. “Angelheaded Hipster. The Songs of Marc Bolan”

Cosa succede qui. Avviene una storia vera. Succede che un signore molto noto nella scena musicale mondiale di nome Hal Willner grande produttore, come ad esempio di dischi di Lou Reed e Leonard Cohen, oltre ad essere anche ideatore di progetti one-shot accorpando dei combo artistici inediti, mette in piedi qualche anno fa e conclude questo complesso progetto discografico omaggio a Marc Bolan, Angelheaded Hipster. L’elenco degli artisti da lui coinvolti è corposo. Troviamo Marc Almond, Devendra Banhart, Nick Cave (la “sua” Cosmic Dancer è sublime <3 ), Perry Farrell, Joan Jett, David Johansen, Father John Misty, Beth Orton, U2 con Elton John, Julian e Sean Lennon e molti, molti altri. Al momento della presentazione ufficiale, il Covid porta via Willner nel giro di pochi giorni. Siamo a New York in questo aprile 2020. Racchiude tanti contenuti questo album, l’arte si forma e si trasforma anche prolungando la vita artistica, come nel caso di quella di Bolan, innestandosi nella vita di altri. Ma la vita si manifesta decisiva autonomamente, dimostrandocelo con la sua bruciante imprevedibilità.

Traccia da non perdere: Cosmic Dancer

 

Marta Musincanta

 

Marta Ileana Tomasicchio, parallelamente alla sua professione, per passione si è sempre impegnata su più fronti per promuovere e divulgare cultura musicale nell’ambito del rock e musica d’autore sul territorio riminese. ‘Smiting Festival’ è il festival nazionale della cultura non convenzionale da lei curato. Ideatrice della rassegna musicale ‘JustFor1Day’, è anche tra gli organizzatori del ‘Cold Fest’. Tra le produzioni, autrice anche dei due spettacoli teatrali “Ballate di amore e follia: viaggio tra le Murder Ballads di Nick Cave” e “A Kid A -il cambiamento nella visione dei Radiohead”. Conduce la trasmissione radiofonica “Musincanta” in onda su Radio Icaro a Rimini 92 FM e su Radio Talpa di Cattolica. È stata la prima dj selector al femminile nei rock club in Romagna tra il Santa Monica Boulevard, Kantiere, Caffescuro e Velvet. L’impegno è alimentato dalla volontà di far conoscere e divulgare Musica estranea alle logiche commerciali.

VEZ5_2020: Andrea Riscossa

Fare un bilancio del 2020 di qualsiasi tipo – anche musicale – è un po’ strano, dato che la percezione del tempo è stata completamente distorta e questi 12 mesi sono durati in realtà 57. Ma comunque in questi 57 mesi la musica è stata fondamentale: un po’ bene di conforto, un po’ fonte di nostalgia per una normalità persa per strada e qualche volta anche motivo di dispiacere, ripensando magari a tutti i concerti mancati e che non si sa quando riprenderanno nella loro forma più vera e sincera: appiccicati gli uni agli altri addosso a una transenna.

Ecco allora che abbiamo chiesto ai nostri collaboratori e amici di raccontarci quali sono stati gli album che hanno tenuto loro più compagnia durante questo 2020…

 

Pearl Jam “Gigaton”

Non il loro miglior album, sia chiaro. Ma mentre il mondo si chiudeva su se stesso, implodendo in dati giornalieri, zone rosse, lockdown e autocertificazioni, il 27 marzo, in giorni sempre più difficili, trovavo un appiglio solido e familiare nell’ultimo lavoro dei Pearl Jam.
È la mia wild card per quest’anno. Li salverò, sempre. Quantomeno per restituire il favore.

Traccia da non perdere: Dance of the Clairvoyants

 

Fiona Apple “Fetch the Bolt Cutters”

Si rivede la luce a metà aprile, a maggio riavremo parte delle nostre libertà. Il 17 esce un album sorprendente, mio personal rimpianto per non averlo recensito. Però l’ho divorato. Entrare in casa Apple, con un folletto che canta dello spirito del tempo usando pianoforte, tavoli e isterie. E poi la voce di Fiona è strumento, è espressione, è emozione. Che album.

Traccia da non perdere: I Want You to Love Me

 

Fontaines D.C. “A Hero’s Death”

Il primo ascolto l’ho ritardato. Lo volevo solitario, in un luogo solitario, su un isola solitaria. E il 6 agosto ce l’ho fatta. E nonostante l’estate, nonostante il luogo magico, il disco dei ragazzi di Dublino va preso a stomaco vuoto, e con la giusta dose di tempo per digerirlo. E’ un viaggio oscuro, con lucine sparse verso la fine, ma rispecchia perfettamente la sinusoide dell’umore del 2020.

Traccia da non perdere: A Hero’s Death

 

Idles “Ultra Mono”

25 settembre. Il mondo forse ce la fa, io forse pure, e mi esce un disco che è uno scanzonato vaffanculo al mondo, cantato lanciando peli e amore sulla folla sottostante.
La faccio breve e mi cito: gli Idles sono “post” tutto. Post punk, post rock, post dress code, post etiquette, post igiene intima, post melodici. Eppure.
43 minuti ben spesi 

Traccia da non perdere: MR. MOTIVATOR

 

Bruce Springsteen “Letter to You”

È stato come prendere un’ultima boccata di aria, poco prima di una seconda apnea. Il 23 ottobre arriva la lettera di zio Bruce, che è un messaggio di salvezza ma soprattutto di speranza. E, a sentirlo bene, un signor disco con la E Street Band. È un racconto di tempi andati, di persone che non ci sono più, di momenti che sono diventati ricordi e poi, per nostra fortuna, musica. Ma potevo chiedere di meglio?

Traccia da non perdere: Janey Needs a Shooter

 

Honorable mentions 

Bob Dylan “Rough and Rowdy Ways”. Devo veramente spiegare perchè?

Phoebe Bridgers  “Punisher”. Delicatamente a fuoco.

Mark Lanegan “Straight Songs of Sorrow”. Un disco che fa sembrare il 2020 gaio. E quindi vince lui.

Chris Cornell “No One Sings Like You Anymore”. Ok, seconda wild card.

Viadellironia “Le Radici sul Soffitto”. Quota italiana. Sono giovani, sono intelligenti, prodotte dalla casa madre di Elio.

Stone Temple Pilots “Perdida” Acustico struggente.

 

Andrea Riscossa

VEZ5_2020: Simone Ferrara

Fare un bilancio del 2020 di qualsiasi tipo – anche musicale – è un po’ strano, dato che la percezione del tempo è stata completamente distorta e questi 12 mesi sono durati in realtà 57. Ma comunque in questi 57 mesi la musica è stata fondamentale: un po’ bene di conforto, un po’ fonte di nostalgia per una normalità persa per strada e qualche volta anche motivo di dispiacere, ripensando magari a tutti i concerti mancati e che non si sa quando riprenderanno nella loro forma più vera e sincera: appiccicati gli uni agli altri addosso a una transenna.

Ecco allora che abbiamo chiesto ai nostri collaboratori e amici di raccontarci quali sono stati gli album che hanno tenuto loro più compagnia durante questo 2020…

 

Sault “Untitled (Black Is)”, “Untitled (Rise)”

Coloro che hanno rappresentato di più il 2020 per me, punto.

Traccia da non perdere: Free

https://www.youtube.com/watch?v=QDGkmk23DDY

 

Howling “Colure”

Calde pulsazioni nervose in quest’anno allucinante.

Traccia da non perdere: Healing

 

Sufjan Stevens “The Ascension”

Se non ci si aspettava un disco elettronico da lui, beh è arrivato! 

Traccia da non perdere: Ursa Major

 

Damien Jurado “What’s New, Tomboy?”

Il “ritorno a casa” della vita. Quest’anno soprattutto.

Traccia da non perdere: Birds Tricked into the Trees

 

FONTAINES D.C. “A Hero’s Death”

Il disco “rock” ma soprattutto post punk del 2020.

Traccia da non perdere: Televised Mind

 

Honorable mentions

Caribou “Suddenly”

Architectural “Reprises”

Run The Jewels “RTJ4”

Fleet Foxes “Shore”

Big Blood “Do You Wanna Have a Skeleton Dream”

 

Simone Ferrara

 

Simone Ferrara, classe 1980, nel 2003 da vita a Stereo:Fonica, prima un festival di 3 edizioni 2003/04/05 a Villa Torlonia nel proprio paese d’origine, San Mauro Pascoli, dove veniva organizzata una programmazione musicale ed artistica con live band italiane e straniere, artisti, mostre, degustazioni e dj set. Da questo festival poi Simone continua la propria attività di promoter in ambito musicale, organizzazione di live ed eventi, e dj set nei club e festival della Romagna. Dal Velvet e Grottarossa di Rimini all’Officina49 (gran parte dei live organizzati) a Cesena. In oltre 12 anni di attività con Stereo:Fonica (2003-20015), ha partecipato sia nella parte produttiva che promozionale degli eventi e festival, presentando nel territorio romagnolo nomi e band del sottobosco indie, elettronico, psych rock e sperimentale, sia italiano che internazionale. DJ resident attualmente a Sammaurock festival. Ha collaborato negli anni con Officina 49 a Cesena, Velvet Club a Rimini, Bronson e Hana Bi a Ravenna, Assalti al Cuore festival, Sidro Club a Savignano, Treesessanta a Gambettola, Diagonal a Forlì. Locomotiv Bologna, Retro Pop Live e Acieloaperto festival, Tafuzzy Days a Riccione, Rocca Malatestiana a Cesena.

VEZ5_2020: Isabella Monti

Fare un bilancio del 2020 di qualsiasi tipo – anche musicale – è un po’ strano, dato che la percezione del tempo è stata completamente distorta e questi 12 mesi sono durati in realtà 57. Ma comunque in questi 57 mesi la musica è stata fondamentale: un po’ bene di conforto, un po’ fonte di nostalgia per una normalità persa per strada e qualche volta anche motivo di dispiacere, ripensando magari a tutti i concerti mancati e che non si sa quando riprenderanno nella loro forma più vera e sincera: appiccicati gli uni agli altri addosso a una transenna.

Ecco allora che abbiamo chiesto ai nostri collaboratori e amici di raccontarci quali sono stati gli album che hanno tenuto loro più compagnia durante questo 2020…

 

Funk Shui Project & Davide Shorty “La Soluzione Reboot”

Un giorno di metà giugno apro Spotify per ascoltare La Soluzione, uno dei miei album preferiti del 2019, clicco play e mi rendo conto che qualcosa è cambiato.
Le tracce, di cui conoscevo a memoria ogni passaggio, erano state rimaneggiate, ricostruite, cambiate, arricchite. Insonnia (una delle mie preferite), letteralmente eliminata dalla tracklist. Il collettivo di musicisti torinesi, ad oggi, capitanato dal mio adorato Davide Shorty, ha premuto start > riavvio sull’album precedentemente pubblicato, un vero e proprio ‘reboot’.
Non riconosco le tracce > storco il naso > ascolto meglio > storco il naso > me ne innamoro ancora di più.  Musicalmente eccezionale, vocalmente vero e con una re-interpretazione a base di quarantene e asocialità.
Dopo le glorie degli anni ’90, il collettivo Funk Shui rappresenta un faro di speranza per chi, come me, non può vivere senza funksoul e hip hop all’italiana, quelli veri. 

Traccia da non perdere: Solo con me ft. Johnny Marsiglia

 

Lianne La Havas “Lianne La Havas”

Prince (sigh!) la amava. E come dargli torto. L’algoritmo di Spotify me la propone in pieno lockdown e fa totalmente centro. A 5 anni dall’album della più conosciuta Green & Gold, la cantautrice greco-giamaicana torna a scalare le classifiche britanniche con l’album omonimo Lianne La Havas e il suo sorriso, che già dice tutto.
Si è divertita, è cresciuta, si è trasformata e si sente in tutto l’album. Quando parte la dolce amara Bittersweet dopo una giornata di lavoro impegnativa, il gin tonic delle 19 acquista tutto un altro sapore.

Traccia da non perdere: un avvolgente e travolgente rifacimento di Weird Fishes

https://youtu.be/LdbHO_KhCig

 

Calibro 35 “Momentum”

In un anno da dimenticare – anche dal punto di vista della musica live – mi ritengo fortunatissima ad aver potuto assistere (e fotografare!) per ben due volte ad un concerto dei Calibro 35, il primo al Locomotiv di Bologna a febbraio, il secondo alla Rocca Malatestiana di Cesena per Acieloaperto, ad agosto.
Dentro a Momentum c’è tutto. Il funk, il jazz, l’hip hop, la colonna sonora degli inseguimenti polizieschi; c’è la classe di musicisti con la M maiuscola. 

Traccia da non perdere: Fail It Till You Make It / 4×4

 

Jordan Rakei “Origin” (Deluxe Edition)

Un grazie enorme alla clausura forzata e un altro sempre all’algoritmo di Spotify, perché mi hanno permesso di conoscere Jordan Rakei con questo album dalla produzione eccezionale.
Nulla da invidiare a Cloak e Wallflower dopo l’uscita nel 2019 per Ninja Tune, Origin viene ripubblicato in Deluxe Edition a marzo 2020 con l’aggiunta di 10 nuove tracce, tra inediti, live version di alcuni pezzi e collaborazioni importanti come quella con Common nel rifacimento di Signs. Groove come se piovesse. 

Traccia da non perdere: Borderline

 

Tom Misch & Yussef Dayes “What Kinda Music”

Dopo essermi letteralmente innamorata della sua versione di Midnight Mischief di Jordan Rakei, decido di approfondire la nuova fatica di questo giovane chitarrista e producer londinese. Nu soul, progressioni jazz, dinamiche fusion, r’n’b accattivante. Tom Misch, strabilia con un album caldo e intrigante, da godere tutto d’un fiato. Bellissima scoperta.

Traccia da non perdere: Lift Off (ft. Rocco Palladino, figlio del più famoso Pino)

 

Honorable mentions 

Sampa the great “The return” Nonostante sia uscito a fine 2019, lo scopro in pieno lockdown a marzo-aprile, tra un impasto della pizza a tripla lievitazione e l’altro. Freedom mi suona in testa come un mantra, chissà perché. S-t-r-a-o-r-d-i-n-a-r-i-o.

Yazmin Lacey “Morning Matters” Mattine fumose, mattine di sole timido, mattine che contano, con una voce incredibile e una batteria che ti spinge, sempre più avanti.

Aaron Taylor “Icarus” Sulla fiducia. Ora vado ad ascoltarlo, non prima di aver ascoltato per l’ennesima volta I think I love you again (anche se del 2018), ufficialmente il mio brano più ascoltato di quest’anno. Mi rimette sempre al mondo.

 

Isabella Monti

VEZ5_2020: Luca Ortolani

Fare un bilancio del 2020 di qualsiasi tipo – anche musicale – è un po’ strano, dato che la percezione del tempo è stata completamente distorta e questi 12 mesi sono durati in realtà 57. Ma comunque in questi 57 mesi la musica è stata fondamentale: un po’ bene di conforto, un po’ fonte di nostalgia per una normalità persa per strada e qualche volta anche motivo di dispiacere, ripensando magari a tutti i concerti mancati e che non si sa quando riprenderanno nella loro forma più vera e sincera: appiccicati gli uni agli altri addosso a una transenna.

Ecco allora che abbiamo chiesto ai nostri collaboratori e amici di raccontarci quali sono stati gli album che hanno tenuto loro più compagnia durante questo 2020…

 

Neck Deep “All Distortions Are Intentional”

Quarto album in studio per il quintetto Gallese che si riconferma un punto fermo del panorama Pop-Punk/Pop-Rock. Ho letteralmente consumato questo disco, amo le loro melodie e amo la voce di Ben Barlow. Colonna sonora del mio 2020. 

Traccia da non perdere: Telling Stories

 

Girlfriends “Girlfriends”

Ritornelli avvincenti, melodia, potenza e una dose massiccia di puro Pop-Punk. Travis Mills e Nick Gross firmano il loro primo album come Girlfriends, con la produzione impeccabile di John Feldmann. Se non fosse uscito ad Ottobre sarebbe al numero 1 a mani basse.

Traccia da non perdere: California

 

Seaway “Big Vibe”

Una delle band più sottovalutate della storia del Pop-Punk. Genere nel quale sono sbocciati per poi raggiungere una maturità musicale che li ha portati ad avventurarsi nell’alternative rock. Big Vibe è un album che può soddisfare anche gli orecchi più difficili, sicuramente il lavoro più solido della band Canadese.

Traccia da non perdere: Mrs. David

 

Spanish Love Songs “Brave Faces Everyone”

Chi non ha ancora sentito la voce pazzesca di Dylan Slocum dovrebbe iniziare a farlo. Album di cui ci si innamora al primo ascolto. 

Traccia da non perdere: Beachfront Property

 

Knuckle Puck “20/20”

I Knuckle Puck con questo album hanno detto di voler dare alle persone una ragione per sentirsi bene. Un Pop-Punk raffinato con testi giovanili che esplodono di positività ed energia contagiosa, che di questi tempi è proprio quello di cui abbiamo bisogno.

Traccia da non perdere: RSVP

 

Honorable mentions 

Machine Gun Kelly “Tickets To My Downfall”

Goldfinger “Never Look Back”

Silverstein “A Beautiful Place To Drown”

All Time Low “Wake Up, Sunshine”

 

Luca Ortolani

La ricetta degli Zen Circus tra ispirazione e coincidenza

Ad un mese dall’uscita del loro ultimo album, abbiamo avuto l’occasione di fare due chiacchiere con Ufo – al secolo Massimiliano Schiavelli – bassista degli Zen Circus, che ci ha parlato de L’Ultima Casa Accogliente, ma anche di carriera e di Ritorno al Futuro.

 

Ciao e grazie per averci concesso quest’intervista! Iniziamo parlando del vostro ultimo lavoro, L’Ultima Casa Accogliente. Avete detto che è un album a cui siete molto affezionati, ma anche che è il vostro disco “meno pensato”. Cosa intendete?

“Siamo senza dubbio molto legati a questo nostro ultimo lavoro, anche per il processo di creazione che c’è dietro. Nasce da un nucleo di brani che avevamo arrangiato a un certo livello già a febbraio scorso e che fortunatamente avevamo avuto modo di “testare” in sala prove, buttando giù dei provini in piena libertà, senza scadenze o preconcetti. Questa occasione è stata fortunatissima, perché a lockdown iniziato avevamo già delle cartelle, dei progetti su cui rimuginare aspettando di poterci riunire nuovamente. Ne è risultato un lavoro a due facce: da un lato è più “ponderato” proprio perché ci siamo presi tutto il tempo necessario per digerire gli spunti e arrangiare ogni cosa, dall’altro è meno pensato nella misura in cui abbiamo seguito l’istinto nel produrlo senza pensare mai al fatto (per dire) che il tal brano fosse troppo acustico, troppo poco acustico, troppo “stile Zen” o troppo poco, o avesse una durata non adatta ai passaggi radio, eccetera.

L’attenzione è stata sulla produzione e l’arrangiamento, suonando i brani come una band e non come un insieme di musicisti chiusi in studio a fare parti predeterminate, se intendi cosa voglio dire. Ci siamo detti in certi momenti “e se la gente non riconoscesse il sound o lo stile di questo brano?” E la risposta era invariabilmente: “che importa?” 

Al momento di ripartire con la registrazione definitiva, Karim è andato al Fonoprint Studio di Bologna (tra regioni non ci si poteva ancora muovere) e ha suonato i brani come se li era immaginati lui, andando avanti o dietro al beat come si sentiva che fosse giusto. Noi da Livorno seguivamo in tempo reale tutto e ci suonavamo sopra. Paradossale, ma ne è risultato appunto un lavoro ragionato ma allo stesso tempo spontaneo. Miracoli dell’era Covid, chissà…”

 

C’è una canzone dell’album che mi ha colpito in particolare, 2050, che sembra quasi la versione futura e post-apocalittica di Viva. Com’è nata l’idea dietro?

“La storia di 2050 è, se si può dire, in tre parti. Avevamo questa traccia strumentale che pareva promettente, ma che aveva qualcosa di irrisolto a livello di giro di accordi e ci ha costretto a riflettere un pochetto. Poi non abbiamo riflettuto più, perché c’è stato un mio casuale intervento in sala prove (è molto probabile che avessi capito fischi per fiaschi e abbia messo una nota a caso) che ci ha fatto ripartire per dare al brano la forma musicale che ha adesso. A seguire Appino ha vomitato il testo tutt’un fiato, non si sa come, e l’abbiamo trovato subito interessantissimo, sembrava un condensato di tante paranoie e riflessioni che avevamo in comune.

Nella terza fase ci siamo accorti che la canzone non aveva un titolo, nemmeno provvisorio. A quel punto ho sparato una data a caso, che gli altri hanno subito approvato. In buona sostanza, un ennesimo prodotto Zen, metà ispirazione metà coincidenza.”

 

Se doveste scegliere una sola canzone della vostra discografia per descrivervi, presentarvi a qualcuno che non ha mai sentito parlare degli Zen Circus, quale sarebbe e perché?

“Questa è una domanda sleale per una band all’undicesimo disco! Scherzi a parte, ma mantenendo per vero che queste canzoni sono un po’ tutte figlie amatissime, e dar loro una priorità è un esercizio difficilissimo, opterei per L’Anima Non Conta, scelta invero paraculissima perché è oggettivamente uno di quei brani che è capitato in un modo o nell’altro fra gli ascolti di persone che non sapevano chi fossimo. Cosa del resto capitata anche a Viva, ma forse in minor misura.”

 

Con vent’anni di carriera alle spalle, la vostra musica è diventata decisamente intergenerazionale: come vi fa sentire sapere di arrivare ad un pubblico così ampio e soprattutto così diversificato?

“Ci fa sentire vecchi in prima battuta. Poi a ripensarci ci fa sentire fortunati. E una cosa compensa l’altra.”

 

L’anno scorso è stato parecchio importante per gli Zen Circus: i vent’anni di carriera, i dieci di Andate Tutti Affanculo, il libro e il festival di Sanremo. C’è qualcosa che vorreste dire oggi ai ragazzi del romanzo?

“Se incontrassi il “me” del romanzo ancora ragazzo, ho la netta sensazione (anche perché ci avevo riflettuto su questa eventualità) che non gli direi proprio nulla. Gli farei fare e dire tutto quello che ha fatto e detto, e gli lascerei tranquillamente l’opzione di darsi tutte quelle zappate nei piedi, perché è giusto che sia così. Sembra scontato, ma, soprattutto nel caso nostro, gli errori, gli svarioni, le esaltazioni insensate e le severe lezioni della vita hanno un loro senso fondante che ha reso unica e peculiare la nostra picaresca scalata al successo (!). E poi bisogna tenere a mente che già Marty McFly ha dimostrato ampiamente che col passato non si scherza…”

 

Francesca Di Salvatore

VEZ5_2020: Massimiliano Mattiello

Fare un bilancio del 2020 di qualsiasi tipo – anche musicale – è un po’ strano, dato che la percezione del tempo è stata completamente distorta e questi 12 mesi sono durati in realtà 57. Ma comunque in questi 57 mesi la musica è stata fondamentale: un po’ bene di conforto, un po’ fonte di nostalgia per una normalità persa per strada e qualche volta anche motivo di dispiacere, ripensando magari a tutti i concerti mancati e che non si sa quando riprenderanno nella loro forma più vera e sincera: appiccicati gli uni agli altri addosso a una transenna.

Ecco allora che abbiamo chiesto ai nostri collaboratori e amici di raccontarci quali sono stati gli album che hanno tenuto loro più compagnia durante questo 2020…

 

Young Jesus “Welcome to Conceptual Beach”

Sono in quattro, sono di Los Angeles e il loro è un disco irregolare ed emozionante che esplora territori prettamente art rock.
In tre quarti d’ora di musica emergono influenze jazz, Talk Talk e post-rock con grande gusto melodico e una creatività compositiva in cui fluttua leggiadra una voce dichiaratamente ispirata a maestri come Antony/Anohni. La loro musica non si pone limiti a proposito di struttura e durata delle composizioni.
L’album lo considero, senza titubanze, una genuina sperimentazione che fa emergere momenti in cui l’ingegno del quartetto californiano incontra il genio.

Traccia da non perdere: (Un)knowing

 

Moses Sumney “Græ”

Statunitense di origini ganesi, Moses Sumney offre un paesaggio sonoro lungo e alieno, complesso e intricato, dove ci si specchia senza pudore e in modo estensivo. Il cantautorato di questi 20 pezzi è stilisticamente liquido e caleidoscopico. Trattasi di un songwriting mutante nel quale fiati, chitarre, violini, archi, arpe, elettronica e tasti vari costituiscono un folklore totalizzante a contrasto di una cornice intimista.
È lampante l’eleganza con cui vengono disposti ingredienti di electro-R&B, tendenze jazz, pop barocco, nu-folk e art-rock.
Moses l’ha chiamato Græ, ma per quel che mi riguarda, i suoni e i temi di questo disco hanno più i crismi dell’esplosione di colori di un Holi indiano convertito in musica. Mai come in questo caso, il grigio diventa un colore carico di riflessi iridescenti di incatalogabile bellezza.

Traccia da non perdere: Bless Me

 

Horse Lords “The Common Task”

Tra colleghi architetti spesso scherziamo definendo alcuni tentativi di minimalismo come una semplice scusa per non fare. Beh, per il quartetto strumentale di Baltimora, il minimalismo musicale è, al contrario, materia molto complessa.
In origine per similitudine accostabile ad una geometria simmetrica, pian piano il disco percorre un’asimmetria come generatrice del tempo musicale nel quale vengono miscelati in un ordine marziale math-rock, matrici afro, e un sapore fortemente kraut rock. Poliritmie angolari definiscono una musica atonale di un’intensità notevole.
Lo trovo un groviglio perfettamente composto di trame e ritmi, nel quale il climax crescendo dell’opera diventa la sublimazione di una sperimentazione lucida e conturbante.

Traccia da non perdere: People’s Park

 

Gil Scott-Heron & Makaya McCraven “We’re New Again – A Reimagining by Makaya McCraven”

Makaya McCraven, talentuoso batterista e compositore della scena di Chicago, crea un progetto dove decide di impiegare il suo estro di arrangiatore, produttore e performer al servizio dell’immaginario del poeta-cantautore di Chicago, “rimaneggiando” I Am New Here, ultimo, folgorante disco di Gil Scott-Heron, cantante e poeta di livello stellare scomparso nel 2011.
Reimmergendo la forza vocale e verbale di Gil Scott-Heron in un rinnovato flusso strumentale, il risultato è un approdo perfetto ad una sintesi fra sonorità elettroniche e acustiche dove il folk diventa rap, il free-jazz, gospel elettronico e molto altro ancora.
Dopo svariati ascolti posso considerare questi 40 minuti scarsi, un remix Jazz-blues contemporaneo pienamente riuscito, in cui un drumming sempre in prima linea e un cut-and-paste chirurgico rendono il disco una scrittura musicale (e feel da presa diretta) dalla forte evocazione culturale afroamericana. Contaminato e contaminante.

Traccia da non perdere: Me and the Devil

 

Adrianne Lenker “Songs / Instrumentals”

Adrianne Lenker dona un folk acustico dall’espressività emotiva coraggiosa. Il disco suona come una dolce confessione nella quale viene esternato un diario intimo di nostalgia e di inquietudine.
Arpeggi bucolici riempiono lo spazio di una musica che scorre in modo fisico, caratterizzata da suoni lo-fi e riverberi quasi naturali di pioggia e vento. Variabili tonali e armoniche della chitarra acustica vengono esplorate in un progetto unitario quanto brutalmente affascinante. La dimensione del disco è coinvolgente e sincera soprattutto nella sua incertezza lirica.
Un disco per anime sensibili, utile alle mie esigenze meditative.

Traccia da non perdere: Anything

 

Honorable mentions 

Yves Tumor “Heaven to a Tortured Mind” Un piacevole schiaffo glamour e smaccatamente pop sui canoni della black music più sperimentale. 

Jeff Parker & The New Breed “Suite For Max Brown” Qui i Tortoise c’entrano poco. Il disco è un percorso in cui un eclettico Jazz astratto viene contaminato dal groove dell’hip-hop e dall’elettronica, in un’epifania musicale impalpabile ma marmorea.

Special Interest “The Passion Of” Una voce male/educata, ritmiche elettroniche compulsive, suoni deflagranti e un espressività post-punk furente quanto necessaria. 

Brigid Mae Power “Head Above The Water” Un coinvolgente folk anglosassone dal respiro antico, un dolce lamento in cui anche la voce si fa strumento.

Protomartyr “Ultimate Success Today” Chitarre stridule e una voce flemmatica definiscono un post-punk in cui incombono pulsioni atomiche. Da non perdere.

 

Massimiliano Mattiello