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Quelle Undici Canzoni di Merda con la Pioggia Dentro di Giorgio Canali

Partendo dal presupposto che preferisco raccontare la musica attraverso le immagini piuttosto che a parole, ho voluto scrivere queste righe più per uno sfogo personale che per un mero esercizio di stile.

Prendete quindi ciò che segue come fosse un amico che vi racconta di quella tipa rivista da poco, che gli fa  brillare gli occhi.

Pronti? Via.

La tipa in questione è Giorgio Canali (ex CCCP, ex CSI, ex PGR per chi non fosse sul pezzo, ndr) accompagnato dalla sua band, i Rossofuoco (Luca Martelli, Marco Greco, Stewie Dal Col).

Gli ex li ho nominati per dovere di cronaca, ma ce ne possiamo tranquillamente dimenticare perché Giorgio Canali si racconta benissimo per quello che fa ora, per il presente.

Il passato è appunto passato. Se qualcuno è a corto di informazioni ed affamato le cerchi sull’internet.

Erano ben 7 anni che non usciva con un album di inediti, l’ultima uscita (Perle ai Porci, 2016) è una raccolta di cover riarrangiate.

Già il titolo del disco è un sunto di quello che verrà: Undici canzoni di merda con la pioggia dentro.

Spumeggiante!

Attenzione, non sto dicendo che ci aspettano undici brani inascoltabili, tutto l’opposto, si tratta di autoironia.

Le prime sei parole del primo brano, Radioattività recitano così: “Che ti aspetti se non nuvole”.

Praticamente la carta d’identità di Giorgio Canali, le impronte digitali, il suo DNA fatto di pessimismo autoironico, nichilismo e fastidio, consapevolezza e critica, romanticismo e saggezza.

Il ritmo a marcia e il cantato, che è in realtà quasi un parlato, introducono perfettamente il mood del disco, fatto appunto di autoconsapevolezza e autoironia, sarcasmo e cinismo.

Messaggi a Nessuno è una ballad meravigliosa , dal ritmo cullante, arpeggi di chitarra e voce tenue ma decisa, che raccontano l’ineluttabilità, il parlare al vento.

Piove, finalmente Piove alza il ritmo e il tiro, inizia a liberare il Canali cinico che auspica un altro diluvio universale, per sommergere, tutto quasi come fosse una liberazione, un sacrificarsi con dignità.

Con Estate torna per un attimo la calma e la tranquillità ma spezzate immediatamente da Emilia Parallela, il pezzo forse più duro dell’album.

Evidente richiamo a quella vena paranoica dei CCCP, il brano è uno sfogo lampante su ciò che ci circonda, in particolare sulla regione in cui vive lo stesso Canali, che poi continua a raccontarla in qualche modo nel pezzo successivo, Aria Fredda del Nord.

Fuochi supplementari è un inno autoironico agli sbagli, ai rimorsi, alle occasioni mancate, ma che immancabilmente si ripetono in loop.

Successivamente si balla con Danza della Pioggia e del Fuoco per poi ritornare aggressivi e sputa-fuoco con l’energica Mille non più di mille, una fotografia spietata della nostra società, quella italiana,

Bostik termina l’album con suoni dilatati e noise di chiusura.

 

Mi sono bastati pochi ascolti per capire che Giorgio Canali ha fatto uscire un gran bell’album in cui mischia sapientemente e senza giri di parole, politica e amore, sociale e sentimenti.

L’attitudine punk-rock spinge le chitarre distorte a mischiarsi con i ritmi serrati e poi lenti che fanno da sfondo ad una voce inconfondibile, che sa essere sia dura, ruvida e urlata, sia morbida, tenue e quasi sussurrata.

Canali vomita un sarcasmo cinico, a volte spietato, che mi ricorda quello di Giorgio Gaber in Io Se Fossi Dio.

Uno sguardo lucido e critico su ciò che ci circonda, su come siamo fatti, un accettarsi e accettare le conseguenze, una foto di questa Italia di oggi, che non cambia mai.

Perché siamo proprio noi a non voler cambiare.

 

Siddharta Mancini

 

Faccia a faccia con gli All But Face

E’ un nebbioso pomeriggio di dicembre e dopo aver attraversato stradine dissestate e aver incrociato un paio di cerbiatti sono finalmente arrivata all’Elfo Studio di Tavernago.

Ad aspettarmi li c’erano gli All But Face, impegnati in una seduta di registrazione per incidere il loro nuovo singolo.

La band piacentina ha accettato di adottarmi per un pomeriggio per permettermi di vedere come lavorano e per fare quattro chiacchiere insieme.

L’atmosfera è la stessa che c’è quando un gruppo di sei amici si riunisce in un bar per bere una birra e parlare del più e del meno: allegra e distesa.

Mi spiegano che durante il pomeriggio avrebbero registrato la parte di Fabio Riccò, il cantante, perché la base musicale l’avevano già incisa nelle sedute precedenti.

Mentre Fabio va nella stanza insonorizzata per registrare l’audio io rimango in sala di registrazione con il resto della band e trascorro li il mio pomeriggio tra una battuta e l’altra.

Il pezzo, che ho ascoltato in anteprima, si chiama Cavehouse e posso garantirvi che è una bomba!

Per chi non li conoscesse gli All But Face sono: Fabio Riccò (voce), Gianluca Bolzoni (chitarra), Andrea Bocelli (batteria), Matteo Losi
(console), Vincenzo Ferrari (basso) e Andrea Chicchi (chitarra).

 

Partiamo dal nome, che è piuttosto singolare, da dove viene?

All But Face deriva da una storia molto stupida. Si parte con una ragazza che si era invaghita del chitarrista che però era un po’ restio a darle corda perché lei era tutta perfetta…a parte la faccia. Quindi gran fisico, simpatica, però la faccia…proprio no. Quindi All but face.

 

Al momento vi appoggiate a qualche etichetta? Cosa ci dite dell’esperienza in sala di registrazione?

Stiamo lavorando con la Tanzan Music, anche se non siamo sotto contratto con loro. Dopo questa esperienza in sala di registrazione oggi siamo più coscienti di quello che vogliamo e come lo vogliamo. Oggi siamo decisamente più preparati rispetto a 5/6 mesi fa. Prima, avevamo meno esperienza e facevamo molta più fatica. Lo studio di registrazione è una grande palestra che ci ha insegnato molto. E’ un qualcosa che ti sbatte in faccia quello che ti manca. Tu vai in studio, pensi di sapere come si fanno le cose e invece, dopo due ore capisci che le cose non vanno, e le devi rifare. E’ stata un’ esperienza molto importante per noi.

 

La formazione è sempre stata quella che ho conosciuto oggi? E come vi siete incontrati?

La composizione del gruppo è un po’ variegata. Fabio è arrivato dopo ma ci siamo conosciuti tutti per passaparola diciamo. Il gruppo si è evoluto nel corso degli anni. Abbiamo avuto diversi nomi e diversi componenti. Questa formazione è stabile da un paio d’anni, da quando è arrivato Fabio. Il gruppo ha questo nome dal 2015 quando sono arrivati Matteo e Andrea. Però comunque ci conoscevamo già anche prima di iniziare a suonare insieme.

 

Chi si occupa di scrivere i testi? E come nascono i vostri brani?

I nostri pezzi sono tutti inediti, scritti da noi, e tutti in inglese. Generalmente si parte con un’idea di elettronica, a cui pensa Matteo. La
seconda fase di arrangiamento e di scrittura, o di completamento avviene in sala prove. Ad ogni modo cerchiamo di riunirci tutti e di confrontarci. All’inizio i testi li scrivevo io (Vincenzo, bassista), invece ora li scrive Fabio.

 

Quali sono le vostre influenze musicali?

La base di partenza è il metal core ma abbiamo anche influenze di elettronica e alternative metal. Il fatto di cantare alcune parti in
melodico ci differenzia dal metal core tradizionale. E’ tutto un ricongiungersi di varie influenze. Gruppi come i Bring Me the Horizon, gli
Architectes, gli Eskimo o gli I See Stars fanno parte del nostro backround. Sono tutti gruppi che come noi mescolano l’elettronica ad altri generi, soprattutto gli ultimi due che abbiamo citato. Forse noi stiamo insistendo ancora di più sul discorso dell’elettronica rispetto a questi gruppi; ma ad ogni modo sono loro che ci hanno fatto da base.

 

A gennaio uscirà il vostro nuovo singolo Dark Angels. Dobbiamo aspettarci qualcosa di diverso da Steel?

Quello che volevamo ottenere con Steel era un impatto forte, con un ritornello orecchiabile suonato a tutto volume e con degli scream
abbastanza accentuati. Dark Angels invece, pur non essendo una ballad, assume toni un po’ più riflessivi. Pur avendo delle componenti di scream e un’elettronica abbastanza forte è un brano più morbido di Steel, con un testo più profondo e più pensato.

 

Vincenzo, visto che sei tu che ti sei occupato dei testi, dove hai trovato l’ispirazione per scriverli?

Si tratta di testi (parliamo di Dark Angels e Steel) che prendono spunto da episodi o da sensazioni che fanno parte del mio passato. Steel per esempio si riferisce a un particolare periodo della mia vita, Dark Angels a un particolare episodio che mi ha colpito, anche se non direttamente. Nonostante questo però io preferisco sempre fare dei testi un po’ generali perché mi piace pensare che chi legge un testo, o ascolta un brano, si possa in qualche modo immedesimare in quello che ho scritto. Per questo li lascio sempre un po’ aperti… Perché ognuno possa vedere qualcosa di suo e quindi non risulti essere una cosa totalmente personale. Anche perché non sono sempre felicissimo nel raccontare certe cose della mia vita, ovviamente.

 

Quali sono i vostri programmi per i prossimi mesi?

Cercheremo di essere più presenti sulle piattaforme come Spotify e YouTube. Cercheremo di essere il più regolari possibili con le pubblicazioni. Il 20 dicembre uscirà Steel su Spotify. E a gennaio, verso la metà del mese, rilasceremo il video di Dark Angels. Con il nuovo anno ci saranno tante novità, anche dal punto di vista del live. La musica va molto in giro su internet ma c’è bisogno di suonare dal vivo, di confrontarsi con il pubblico.

 

Saluto gli All But Face e me ne torno verso casa.

Ricordatevi che il 20 dicembre Steel verrà rilasciato su Spotify.

Io andrei ad ascoltarlo perché questi Vez spaccano davvero!

 

Laura Losi

Bruce Springsteen on Broadway: lo spettacolo del Rock ‘n’ Roll che scuote le anime

Fuori lo sfavillio di Broadway, il traffico di New York, la frenesia dell’America di oggi. Dentro l’eleganza di un teatro, 975 poltroncine, un palco, una chitarra e un pianoforte. E un uomo, vestito di nero. Un grande uomo, un artista inarrivabile.

Bruce Springsteen.

Non va in scena uno spettacolo, non ci sono maschere, né scenografie, né metafore, né giochi di luce. La luce è soltanto una, a tratti soffusa, a tratti decisa ad illuminare l’unico protagonista.

Commedia e tragedia umana che si mescolano, il magic trick del cinismo e dell’illusione, svelato nelle battute finali, per giungere ad una visione di speranza, di presa di coscienza, di responsabilità.

Egli racconta, si racconta e scava così tanto a fondo da toccare le tre molecole fondamentali del suo DNA. La famiglia.

La madre Adele, instancabile lavoratrice, la Legge della casa, lo sguardo della benedizione divina, la donna con la grande passione del ballo, perché quando la vita si fa difficile “troveremo un piccolo rock ‘n’roll bar e ci metteremo a ballare”.

Il padre Douglas, il lavoratore dalla tuta verde, l’uomo che abitava la doppia dimensione, quella della casa e quella del bar… e, quando sedeva al bancone, non voleva essere disturbato. Lui che aveva ribattezzato la chitarra “the fucking guitar”, mai d’accordo sul percorso intrapreso dal figlio.

Il meccanismo inconscio dell’emulazione: << Emuliamo coloro il cui amore desideriamo ma non otteniamo. Scelsi la voce di mio padre perché alle mie orecchie aveva qualcosa di sacro. Mio padre, il mio eroe e il mio peggior nemico. “Vedi quell’uomo sul palco, papà? Sei tu, quello è come ti vedo io” >>.

Il fantasma che per anni ha continuato ad aleggiare sull’esistenza di Bruce uomo e musicista e che si è trasformato in antenato nel momento in cui, alla vigilia della nascita del suo primo nipote, ha confessato le proprie colpe, liberando un futuro padre dalle catene, permettendogli di intraprendere l’avventura di genitore lontano da demoni e rimorsi, suggellando il momento più bello nell’album dei loro ricordi.

Famiglia che sale fisicamente sul palco nella figura di Patti Scialfa, moglie del cantante. La rossa delle cui gambe e della cui voce Springsteen si innamorò quando la vide esibirsi sulle note di Tell Him degli Exciters allo Stone Pony, nel 1984.

Lei ispirazione costante, compagna di vita e di musica. Lei sigillo della fiducia, l’unico valore che conta nella fragilità dell’essere umano e delle relazioni. La resistenza di un legame costruito solidamente, con il tempo e nel tempo.

E poi c’è il Rock ‘n’ Roll che ha scosso l’anima di un bambino di Freehold, nel New Jersey, durante una tranquilla domenica estiva del 1956. La routine di casa-compiti-chiesa… e fagiolini, fagiolini e i cazzo di fagiolini… è stata spezzata dalle movenze di un Adone che si agitava in TV, abbracciando una chitarra. Un nuovo genere di uomo che spaccò il mondo in due, “quello sotto la tua cintura e quello sopra il tuo cuore”.

La magia di Elvis Presley, colui che permise di ricavare dal buco nero di Freehold una pagina bianca con un futuro da scrivere. Un destino, quello di chi rischia e mostra il vero se stesso. Da lì, un lavoro continuo: la prima chitarra in affitto, lo show d’esordio a sette anni di fronte ai bambini del quartiere che ridevano di lui perché in realtà faceva tutto tranne che suonare.

Non aveva imparato nulla in due settimane di noiose lezioni. Tuttavia agitava in aria la chitarra, si metteva in posa: << È stata la prima volta in cui sentii l’odore del sangue>>. Da lì, una corsa continua.

Fino al 1971, anno in cui aveva esaurito le esperienze possibili per un musicista nel New Jersey. Aveva suonato a matrimoni, funerali, battesimi, nei bar, nei licei, nelle prigioni, all’ospedale psichiatrico.

No, non poteva fermarsi. Lui era la next big thing. Il tipo che passava la radio non era più bravo di lui, lo sapeva.

E allora imboccò la strada che lo portò lontano da Freehold, la Thunder Road, per seguire, per realizzare il sogno americano. Ma non si fa Rock ‘n’ Roll senza una band. Senza la sua E Street Band, dietro cui è celato un segreto.

Lo confessa, Bruce, in questa occasione privilegiata: << Nel rock esiste un’equazione per cui, quando tutto va bene, 1+1=3. La grandezza del rock dipende dalla grandezza dalla band, è una comunione di anime, è una fratellanza. Non deve essere composta dai migliori musicisti ma dai musicisti giusti. 1+1=2 è l’ordinario, 1+1=3 è quando la tua vita cambia, quando sei folgorato da una visione e ti senti benedetto >>.

La frazione di un istante di silenzio e vola sul palco un altro fantasma, quello del sassofonista Clarence Clemons, scomparso nel 2011. Il Big Man a cui l’artista è stato legato da un’indissolubile amicizia, l’uomo dalla grande risata, dalle grandi mani, dal grande suono che proveniva dal suo strumento.

Una perdita incolmabile. << Perdere lui è stato come perdere la pioggia >> – e aggiunge – << Se credessi nel misticismo, direi che Clarence e io siamo stati compagni di viaggio in vite precedenti. Ci vediamo nella prossima vita, Big Man! >>.

E poi c’è l’America, oggi minacciata da uno spettro pericoloso, dalle tenebre della divisione, dell’odio, della censura della libera stampa.

<< Una situazione che credevo morta e sepolta e pensavo di non rivivere mai più durante la mia esistenza. Troppe vite, troppi uomini giusti si sono sacrificati in nome della democrazia americana >>.

Se per il tema politico vengono intonate The Ghost of Tom Joad e una delle versioni più intense mai eseguite di The Rising come inno alla rinascita, ogni canzone in scaletta è la perfetta colonna sonora degli aneddoti, dei racconti e delle parole pronunciati da quella voce così solenne, così profonda, così spezzata, in alcuni istanti, dall’emozione.

I brani sono quasi “parlati” sulla scia dei monologhi che li introducono. La musica, riarrangiata in chiave acustica, è essenziale, nuda, spogliata di qualsiasi artificio e accompagna le singole tappe del viaggio esistenziale di Bruce Springsteen.

Un viaggio di andate e di ritorni.

Sì, perché oggi la sua casa di trova a dieci minuti da Freehold, nel New Jersey. Una notte è tornato a passeggiare proprio lungo la strada natia. Il grande albero sotto il quale, da piccolo, egli trascorreva l’estate non c’è più. Ricorda che, all’epoca, era stato l’unico fra i suoi coetanei ad arrampicarsi fino alla cima, scorgendo per la prima volta il mondo oltre la città.

Di quell’albero restano le radici ben piantate a terra. Terra fatta scorrere tra le dita mentre, quella notte, si fermò ad ascoltare i suoni, i rumori, ad odorare gli stessi profumi di sempre. Ci sono cose che rimangono intatte. Ci sono anime che vivono in eterno.

C’è Douglas Springsteen a cui il figlio fa visita ogni sera.

C’è la sua mancanza e il desiderio che fosse seduto in quel teatro e vedere tutto ciò.

C’è l’amore per il ballo di Adele, più forte della sua perdita di memoria.

C’è il valore del Rock ‘n’ Roll che è quello di scuotere le anime nello scambio vitale tra l’artista e il pubblico.

Infine, c’è una preghiera che gli torna in mente, quella noiosa che era costretto a recitare più volte al giorno da bambino e che oggi acquista un nuovo significato.

Bruce Springsteen on Broadway si chiude con il Padre Nostro. Una benedizione.

Il recupero di una dimensione quasi ultraterrena, di totale trasporto emotivo in cui è impossibile non immedesimarsi, rintracciando alcuni frammenti della propria storia, sentendosi chiamati in causa, per intraprendere lo stesso viaggio, a ritroso, di recupero dell’Io più autentico.

E non averne paura. Redimere il passato per costruire il futuro, prendendo sul serio il presente.

Su quel palco, in oltre 230 shows dallo scorso 12 ottobre 2017, Bruce Springsteen l’ha fatto, per tutti noi.

(Springsteen on Broadway disponibile ora su Netflix ndr).

 

Testo di Laura Faccenda

Fotografia di copertina di Henry Ruggeri

 

Show Setlist

Growin’ Up
My Hometown
My Father’s House
The Wish
Thunder Road
The Promised Land
Born in the U.S.A.
Tenth Avenue Freeze-Out
Tougher Than the Rest
Brilliant Disguise
The Ghost of Tom Joad
The Rising
Dancing in the Dark
Land of Hope and Dreams
Born to Run

Joan Thiele @ Bradipop

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• Joan Thiele •

Bradipop Club (Rimini) // 15 Dicembre 2018

 

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Ieri sera al Bradipop Club di Rimini ho sicuramente assistito ad uno dei live piu belli ed intensi di questo 2018.
Alessandra, in arte Joan Thiele ci ha stregato tutti con la sua musica.
Tango, è il nome del suo ultimo album, caratterizzato da eleganza e passionalità, e Joan ne ha da vendere!
Joan è da sola sul palco (e ci basta!) e alterna perfettamente la chitarra a drum machine/campionatori vari, dimostrando una presenza scenica pazzesca.
Un mix di suoni elettronici ed acustici che fanno emozionare, come la dolcezza della sua voce, che ti rapisce dal primo secondo.
Circa 45 minuti di Live, Save Me a mio avviso l’episodio migliore, assieme a Blue Tiger e Tango direttamente dall’ultimo full lenght.
Se non lo avete ancora fatto andate ad ascoltare Joan, non ve ne pentirete!

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Willie Peyote @ Orion

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• Willie Peyote •

Orion Live (Roma) // 15 Dicembre 2018

 

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Willie Peyote è ormai una realtà affermata: lo confermano i quasi 1000 biglietti staccati dall’Orion di Ciampino per questa serata, praticamente sold out, del tour Ostensione della sindrome – ultima cena.

Alle ore 23:00, dopo quasi due ore di attesa (casualmente c’era il derby Torino-Juventus…) Guglielmo (Willie Peyote ndr) sale sul palco, accolto dal boato del pubblico, in pantaloni scuri e giacca di velluto verde smeraldo, insieme ai componenti della Sabauda Orchestra Precaria, fiati compresi.

Si parte con L’effetto sbagliato ed è già delirio: si crea immediatamente una profonda empatia tra il rapper ed i suoi fan che lo accompagneranno, senza mai mollare un secondo, per due ore filate di concerto.

La scaletta è potentissima. Oltre agli ultimi successi dei due stupendi dischi (ovviamente sono di parte) Educazione sabauda e Sindrome di Toret non mancano pezzi più datati come DJ e call center, Tutti mi vogliono bene, Dettagli e Soul Ful.

Il concerto è un condensato di tematiche di attualità come il lavoro, la religione e la politica; soprattutto vedere i giovani presenti seguire a squarciagola Guglielmo fa proprio ben sperare perché, come sempre, il rapper più “anomalo” della scena ha calpestato tutti i cliché di genere, andando dritto alla sostanza con la solita sfrontatezza e il suo sottile sarcasmo.

Non manca ovviamente la buona musica: le parole magistralmente incastrate da Willie sono sempre scandite da un funky beat pazzesco che fa muovere il culo pure ai più ingessati.

Dopo le immancabili Portapalazzo, Peyote451 (L’eccezione), Outfit Giusto e I cani, arriva a salutare il Capitano Matteo dedicandogli la dirompente Io non sono razzista ma con una calorosa accoglienza ed ovazione del pubblico.

Anche questa questa volta Willie è stato un vero cortocircuito: ha acceso l’Orion e speriamo non si spenga presto.

Ah! Prima di concludere vorrei fare un ringraziamento speciale a Matteo, Andrea e Maria Chiara, che hanno dovuto subire le mie gomitate per i primi 3 pezzi a causa dell’assenza della Pit area!

 

 

SETLIST

Effetto sbagliato

Metti che domani

Willie pooh

Dettagli

Il gioco delle parti

Le chiavi in borsa

Dj e call center

Portapalazzo

La dittatura

Soul ful

Giusto la metà di me

Tua madre

Etichette

Peyote451 (L’Ecceione)

Le ragazze

Outfit giusto

C’hai ragione tu

 I cani
Io non sono razzista ma

C’era una vodka

Che bella giornata

Ottima scusa

Vendesi

E allora ciao

 

Grazie ad Antenna Music Factory

Foto e Testo:  Simone Asciutti[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1503314301745{padding-top: 10px !important;padding-bottom: 11px !important;}”][vc_column][edgtf_image_gallery type=”masonry” enable_image_shadow=”no” image_behavior=”lightbox” number_of_columns=”three” space_between_items=”tiny” image_size=”full” images=”10317,10325,10311,10314,10324,10320,10316,10323,10322,10318,10321,10315,10313,10312,10319″][/vc_column][/vc_row]

Il mare di emozioni dei SEAWARD.

Float è il nuovo album dei Seaward, che segna il loro debutto con Platonica.

Il duo, composto da Francesco e Giulia, con questo album ci aiuta a immergerci in una serie di atmosfere che spaziano dal pop, al soul, all’r’n’b per arrivare fino all’elettronica.

La parola immergere non è stata usata a caso perché sia Float ( che letteralmente vorrebbe dire galleggiare) che il nome stesso della band richiamano alla mente il mare.

Non penso che si tratti di una scelta casuale perché le sensazioni che si provano ascoltando questo cd potrebbero essere paragonate a quelle che si hanno perdendosi a guardare il mare al tramonto.

Spaziando e contaminando tra loro generi diversi, il gruppo riesce a suscitare un mix di sensazioni differenti nell’ascoltatore, che ha il suo faro nella voce dolce di Giulia, che non lo abbandona mai.

Si passa da canzoni più ritmate, come Ending Fire, a brani più lenti, come Waves, che ci cullano nel mondo suoni dei Seaward.

Un album intenso, profondo che ricorda appunto i suoni del mare. Come quando da piccoli appoggiavamo una conchiglia all’orecchio per farci dondolare dal rumore delle onde.

 

Laura Losi

 

 

FLOAT

TRACKLIST & CREDITS
1. Fools / 2. Driving / 3. Second Part / 4. Walls / 5. 17 Beauty / 6. Feel / 7. Waves / 8. Hometown / 9. Ending Fire / 10.Not Afraid To Die Alone

Prodotto da Zibba.

Registrato al Bombastic Recording Studio di Imperia. Mixato da Simone Sproccati al Crono Sound Factory di Vimodrone (MI). Masterizzato da Andrea “Bernie” De Bernardi (Eleven Mastering Studio)

Testi di Giulia Benvenuto, Francesco Proglio e Zibba. Musica di Giulia Benvenuto, Francesco Proglio e Zibba.

Label: Platonica
Edizioni: Warner Chappell Music Italiana / Platonica
Distribuito da Believe Digital

Produttore esecutivo: Materiali Musicali, con il sostegno di MiBACT e di SIAE, nell’ambito dell’iniziativa SIllumina.

I LOREN e l’esordio con l’album omonimo. E con il cuore.

Il 14 dicembre è una data importante per i Loren dal momento che uscirà il loro album omonimo.

La giovane band è composta da cinque ragazzi tutti fiorentini e il legame con la loro città d’origine è forte in molti dei loro testi.

Un nuovo gruppo che arricchisce la famiglia indie-rock di Garrincha dischi.

Melodie orecchiabili che di primo acchito ti fanno venire voglia di ballare ma che ad un secondo ascolto, più profondo e più attento, ti portano a concentrarti sui testi.

Perché le loro melodie fanno quasi passare le parole in secondo piano ma, credetemi, perdersi il senso di questi testi
sarebbe un vero peccato.

Suoni ottimisti e allegri che vanno di pari passo con parole ricche di speranza che strizzano l’occhio ad un futuro radioso.

Ottimismo, secondo me, è la parola chiave per decodificare tutto il disco.

Ci salveremo tutti è la traccia numero uno. Già dal titolo capiamo qual è la visione della vita dei Loren: non c’è spazio per la sconfitta o la tristezza.

Le cose del passato si incontrano con quello che il futuro ha in serbo per noi. L’unione tra il passato e il futuro è la chiave verso la salvezza; è così che una cicatrice si trasforma in un tatuaggio.

Un album eclettico ricco di riferimenti ad artisti italiani e internazionali: i Loren hanno un background di tutto rispetto che va da Cremonini ad artisti internazionali come i The killers.

Dieci tracce che ci accompagnano in un viaggio musicale: passiamo da ballate, come Blister, a canzoni dal piglio più rock, Psicosi e Tutti fermi, o ancora a brani che se chiudi gli occhi ti fanno venire in mente l’estate, Roland Garros.

Menzione d’onore, a Giganti, la canzone che mi ha toccato di più di tutto l’album. Una celebrazione del passato e della fiorentinità. Ma sopratutto una celebrazione dei momenti di vita vissuta; perché oggi, abituati come siamo a passare il nostro tempo al telefono rischiamo di perderci i momenti importanti.

Questi cinque fiorentini sono da tenere d’occhio perché hanno tanto da regalare. E non escludo che riusciranno a fare come il loro idolo Batistuta: a zittire uno stadio, ma con il suono della loro musica.

E’ quello che gli auguro.

 

Laura Losi

Incontriamo Galeffi in una serata da Scudetto

E’ sabato ed è il primo dicembre. Il mio mese preferito, non potrebbe iniziare in modo migliore, perché finalmente vedrò il live di uno dei miei artisti preferiti e perché è grazie a Vez Magazine avrò l’immenso piacere di fargli un’intervista. L’appuntamento è fissato per le 19:00 al Locomotiv Club, locale bolognese, che ospiterà Galeffi per una delle ultime date del Golden Goal tour.

Il problema è solo uno: lavoro a Rimini e staccherò alle 18:00, mentre il mio collega, nonché fotografo e fondatore della rivista Luca Ortolani, lavora a Milano e non sarò a Bologna prima delle 19:00.

Superare il limite di velocità in autostrada per arrivare in tempo e superare anche la soglia di ore di sonno perse e sopportabili dal mio corpo, non mi ha tolto neanche un po’ di entusiasmo e voglia di godermi questo concerto, così tanto atteso.

Stanchezza e chilometri sono passati in secondo piano, automaticamente.

Esattamente un anno fa, Galeffi iniziava il suo primo tour in giro per l’Italia.

Dopo la presentazione del suo primo album: Scudetto al Monk di Roma, locale di ritrovo e punto di partenza per tutti gli artisti del panorama musicale romano, ha subito dato il via a quello che poi si è rivelato un anno ricco di partecipazioni a diversi Festival e all’uscita di nuovi singoli.

Un anno di crescita che si conclude senza dubbio in positivo.

Siamo nel camerino e siamo con Marco.

Ci presentiamo e approfittiamo del divano per metterci comodi e iniziare la nostra chiacchierata. Un po’ di timidezza iniziale per entrambi e se per lui non si tratta della prima intervista, per me invece sì.

Ma in un attimo siamo a nostro agio. Ed eccoci qui.

 

E’ un po’ di tempo che dichiari che finito questo tour andrai in letargo. I nuovi singoli usciti durante questo 2018 come Mai Natale, Uffa e Mamihilapinatapai, anticipano un nuovo progetto discografico al quale ti dedicherai?

Uffa e Mai Natale, sono finiti entrambi in un vinile, sono usciti come se fossero più da collezione.

Mamihilapinatapai invece rimarrà una hit estiva, frivola come i pezzi estivi.

Dico che andrò il letargo perché a fine tour, dato che stiamo suonando da un anno ed è un anno dall’uscita del disco, vorrei fare un mesetto e mezzo di vacanza, anche per avere tutti i tempi tecnici per scrivere un disco e registrarlo.

È difficile che uscirà qualcosa di nuovo prima di un anno o comunque a breve.

 

I tuoi testi non sono mai fatti di parole messe a caso o banali, descrivi sempre in maniera incisiva sentimenti e stati d’animo, a volte anche contrastanti. Cosa “anima” la tua penna e quindi cosa anima la tua anima?

Cosa anima la mia anima? Questa è bella…

Semplicemente ho scritto questo disco all’inizio della relazione con la mia ragazza, con la quale mi sono anche lasciato più volte, tendenzialmente perché lei mi ispira abbastanza. Ma in generale, anche prima di Galeffi ho sempre scritto per le donne. (Ride)

Per come sono fatto, mi viene più spontaneo scrivere una canzone che magari affrontare una discussione e parlare.

Non mi piace tanto litigare, sono più uno di quelli che fa passare i giorni. Sia in amore che nella vita non mi piace sporcarmi le mani, per poi magari la canzoni o la poesia te la scrivo.

(Aggiungo “Che fortuna” perché sapere che c’è una persona che mette nero su bianco quello che prova per te dev’essere una bella sensazione. E infatti conferma che la sua ragazza ne è contenta)

 

Qual è la canzone che ti emozione di più cantare sul palco?

L’ultima. Mai Natale.

 

Quando hai deciso che la musica sarebbe stata la tua strada e che la tua passione sarebbe diventata il tuo lavoro?

L’ho capito in quest’ultimo periodo, perché so che ci sarà un rinnovo di contratto. Ma non l’avevo mai pensato fino a poche settimane fa.

All’inizio pensavo fosse solo una bella gita. La musica è un lavoro nel quale non puoi riporre molte aspettative. Io sono una persona pessimista, non ho mai creduto potesse diventare un lavoro e non per mie incapacità ma piuttosto perché nella mia testa è una cosa che prima o poi finirà.

Finché dura daje, altrimenti poi farò altro.

 

Qual è stato il momento di maggiore soddisfazione a livello artistico?

Il concerto del primo maggio, che è stato un bel traguardo, da lì ho pensato che iniziasse ad essere una cosa seria.

 

Che rapporto hai con il tuo pubblico e con i social network?

Penso che adesso siano necessari, buona parte del mio pubblico e dei miei colleghi. E’ un pubblico giovane che utilizza i social e per comunicare è la prima forma efficace, semplice e diretta.

Personalmente, mi piace Instagram e uso meno Facebook, ma ho un rapporto normale, né di rifiuto né di ossessione.

Il mio rapporto col pubblico, credo sia giusto, io sono sempre educato anche se sono molto timido e spesso questa cosa viene confusa col “tirarsela”, ma cerco di essere sempre disponibile e di leggere tutti i messaggi che ricevo.

 

Hai altre passioni oltre la musica?

Il calcio, le donne (ride) e la lettura.

Amo leggere, soprattutto d’estate al mare sul lettino e amo tutta l’arte in generale, la pittura, la scultura.

Ho provato a fare un po’ di tutto, ma le canzoni sono la cosa più facile, anche per scrivere un libro devi avere una certa costanza, un libro sono centinaia di pagine, una canzone invece dura tre minuti.

Concludo facendogli i miei complimenti personali, perché credo sia uno dei pochi artisti emergenti di quest’epoca dove sembrano tutti cantanti appartenenti al genere Indie, lui è uno che sa distinguersi, proprio grazie alla sua identità e al suo stile. Credo sia questo il suo punto di forza.

Lui ribatte dicendo che si sente molto fuori dalle dinamiche del genere a cui appartiene, anche perché ascolta tutt’altro, ma è capitato in questo periodo e ha firmato con Maciste dischi che è una delle colonne portanti, ma afferma che le cose vere si vedranno fra dieci anni, non adesso. Dopo un solo disco.

E vedremo cosa rimarrà, intanto approfittiamo della sua disponibilità per fare qualche foto insieme e per un video di saluti a Vez.

Tutto quello che è successo durante il live, è sul nostro sito con tutte le foto e le sensazioni che è riuscito a trasmettere.

Chili d’amore sotto le occhiaie, ma ne è valsa la pena. Ne è valsa assolutamente la pena.

 

Cla e Galeffi

Claudia Venuti

Malika Ayane @ Vidia_Club

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• Malika Ayane •

Vidia Club (Cesena) // 08 Dicembre 2018

 

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Foto: Tobia Singer

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Caliban @ Rock Planet

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• Caliban •

Rock Planet Club (Pinarella di Cervia) // 08 Dicembre 2018

 

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Foto: Giada Pasini

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Io e La Tigre @ Vidia_Club

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• Io e La Tigre •

+ Thee Fuzz Warr

Vidia Club (Cesena) // 07 Dicembre 2018

 

 

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Apertura affidata al duo Thee Fuzz Warr, il Santo (Chitarra/Voce) e Pinna (Batteria) ci fanno ascoltare il loro Garage/Punk Psichedelico che mi ricorda tantissimo i ’68 fotografati qualche mese fa a Bologna (link qui).

Pezzi ruvidi e sporchi, chitarre effettate e cambi di tempo la fanno da padrona.

Sicuramente questo duo ha incantato le prime persone presenti.

E poi ecco Io e la Tigre, per le quali un live report non è sufficiente.

Dietro alle canzoni, ai testi, alla musica dolce alternata al suono graffiante c’è un mondo fatto di cultura musicale, di conoscenza storica e politica grazie alla quale l’intensità della performance risulta palpabile anche a chi ancora non le conosce bene.

Per questo motivo a breve ci saranno interviste e reportage su questo gruppo che consigliamo vivamente di ascoltare e di approfondirne i testi e le melodie.

E se sul palco ancora non le avete viste, munitevi subito di biglietto al prossimo live, perché non ve ne pentirete.[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Testo: Sara Alice Ceccarelli

Foto: Luca Ortolani

 

Grazie a Garrincha[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1503314301745{padding-top: 10px !important;padding-bottom: 11px !important;}”][vc_column][edgtf_image_gallery type=”masonry” enable_image_shadow=”no” image_behavior=”lightbox” number_of_columns=”three” space_between_items=”tiny” image_size=”full” images=”10132,10131,10126,10123,10139,10141,10121,10127,10128,10129,10124,10125,10130,10142,10138,10140,10133,10122,10135,10134,10136,10137″][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]

Thee Fuzz Warr

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1503314301745{padding-top: 10px !important;padding-bottom: 11px !important;}”][vc_column][edgtf_image_gallery type=”masonry” enable_image_shadow=”no” image_behavior=”lightbox” number_of_columns=”three” space_between_items=”tiny” image_size=”full” images=”10150,10149,10146,10145,10143,10147,10144,10151,10148″][/vc_column][/vc_row]

Cimini @ Locomotiv Club

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• Cimini •

Locomotiv Club (Bologna) // 08 Dicembre 2018

 

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]

L’8 dicembre è stato un sabato sera diverso da tutti gli altri.

È stato il sabato sera dell’ultima tappa del Tokyo tour di Cimini, ma definire il live come una semplice data di chiusura, dopo 80 tappe, è del tutto riduttivo.

È stato molto di più.

Molto più del classico concerto a cui siamo abituati, sembrava una rimpatriata di persone che si vogliono bene e si ritrovano dopo tanto tempo a condividere lo stesso spazio vitale.

Siamo al Locomotiv Club di Bologna, città adottiva dell’artista e siamo in tanti. Dico “siamo” perché è stato come se fossimo tutti cantanti, tutti Cimini.

Tutti con lo stesso entusiasmo addosso, con la voglia di far sentire importante l’artista che a sua volta invece, non ha fatto altro che far sentire importanti noi.

È stato uno scambio equo di emozioni forti, di emozioni vere.

Più di una volta, il palco è stato “invaso” sia dalla band de Lo Stato Sociale che dal pubblico preso per mano da Federico (Cimini ndr) e fatto salire tra microfoni e batterie.

E allo stesso tempo, Federico scendeva giù dal palco, per ballare e cantare con i suoi fan.

È stato qualcosa di straordinario, un clima di festa, dove ogni singolo successo è stato intonato a gran voce.

Da tutti. Indistintamente.

Da A14 alla Legge di Murphy. Da Buongiorno a Una cosa sulla luna.

E poi la mia preferita Tokyo, che ha aperto e chiuso lo show.

È bello assistere ad un concerto da soli, (come nel mio caso sabato) ma in realtà non sentirsi soli neanche un attimo.

Ed è bello sapere che hai accanto persone come te, con la tua stessa passione, ma la cosa più bella in assoluto credo sia quella di avere anche di fronte una persona proprio come te, che con il suo essere spontaneo e quasi un po’ timido di fronte a tutto quell’amore, annulla ogni barriera.

E infatti non ce n’era neanche una.

C’è stato anche un momento di riflessione sulla brutta vicenda accaduta ad Ancona, proprio per lanciare un messaggio positivo e per celebrare il concetto di “insieme” e di non aver paura, ma di fare in modo che certi episodi non accadano mai più.

La musica dev’essere solo condivisione di felicità. E così è stato.

Prima che iniziasse lo show ho avuto la gioia  e l’onore, di poter fare due chiacchiere con lui in camerino, ed è stato bellissimo.

Non vedo l’ora di raccontarvi tutto.

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Testo: Claudia Venuti

Foto: Marianna Fornaro (Locomotiv Club)

 

Grazie a Garrincha e Locomotiv Club[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1503314301745{padding-top: 10px !important;padding-bottom: 11px !important;}”][vc_column][edgtf_image_gallery type=”masonry” enable_image_shadow=”no” image_behavior=”lightbox” number_of_columns=”three” space_between_items=”tiny” image_size=”full” images=”10193,10190,10195,10196,10192,10197,10191,10198,10194,10200,10199,10201″][/vc_column][/vc_row]