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Daniel Blumberg

Gut

Mute [PIAS]
26 Maggio 2023
di Alberto Adustini

C’è quella splendida poesia di Emily Dickinson, There is a solitude of space, che oltre ad essere tra le mie preferite, sembra essere stata scritta per tratteggiare delicatamente, in disparte, il nuovo disco di Daniel Blumberg, Gut.

Il terzo lavoro solista dell’artista londinese è un lento incedere in uno spazio sospeso, che pare non avere inizio né tantomeno fine, non ha collocazione né direzione, trascende i banali concetti di spazio e di tempo, è la finite infinity che chiude la poesia di cui sopra.

There is a solitude of space / A solitude of sea / A solitude of death, ed infatti Gut è stato scritto e suonato interamente da Blumberg, con pochissimi strumenti, piano, batteria, sintetizzatori, un’armonica, e te ne accorgi nei poco più di trenta minuti di durata, nei quali spesso le strutture ridotte all’essenziale reggono la voce, forse mai così espressiva come qui, vedasi in Holdback per esempio, o nella finale Gut

Blumberg racconta che Gut, intestino (ma anche coraggio, come precisa), sia nato in un lungo periodo di malattia fortunatamente superato, e che sia questo il trait d’union, almeno a livello tematico, delle sei tracce.

L’estrema sintesi alla quale spesso si fa ricorso (sicuramente l’iniziale Bone) non è frutto di un lavorare per sottrazione, quanto piuttosto logica conseguenza di una ricerca dell’essenziale, del necessario per cui anche della tecnica del sampling e della ripetitività, basti pensare che il testo di Knock, brano che vive di silenzio nella prima parte per concludersi con un maestoso climax, è composto da soli termini presenti nelle tracce precedenti.

Se avete amato quanto il sottoscritto Minus and On&On, non resterete di certo delusi, Daniel Blumberg, che è realmente un artista a tutto tondo, nell’occasione musicista, allarga ed espande i propri confini, già smisurati, in nessuna direzione particolare. O forse dappertutto.

There is a solitude of space
A solitude of sea
A solitude of death, but these
Society shall be
Compared with that profounder site
That polar privacy
A soul admitted to itself —
Finite infinity.