Skip to main content

Laura Marling

Patterns in Repeat

Partisan Records
25 Ottobre 2024
di Alberto Adustini

Prima o poi Laura Marling lo sbaglierà un disco.

Ma quel giorno non è oggi.

Otto dischi in quindici anni e ce ne fosse stato uno di deludente. No, nemmeno per scherzo.

Per questo Patterns in Repeat cambia la forma ma non la sostanza.

Rispetto al precedente Songs For Our Daughters si torna a sonorità più folk, intime, i brani vertono maggiormente sul duopolio chitarra/voce per un disco registrato nello studio di casa a Londra, prodotto da lei stessa assieme Dom Monks, con la Marling praticamente da sempre, (uno che ha messo le mani sui dischi di Big Thief, su Idiot Prayer di Cave, per dire), un lavoro meno arrangiato ma non per questo scarno.

Rispetto a Songs For Our Daughters c’è anche un’altra profonda differenza, più concettuale, più contenutistica; nel lavoro del 2020 il tema attorno al quale si sviluppavano i brani era quello di un’attesa, di un futuro immaginario o immaginato, pensando ad una figlia che ancora era appunto solo un’idea.

Nel 2024 Laura Marling è diventata mamma, ma il suo nuovo ruolo viene in Patterns in Repeat utilizzato e pensato non strettamente e banalmente nel pensarsi e reinventarsi genitore, quanto piuttosto in quella fitta e complessa trama di legami, rapporti, situazioni che la quotidianità ora le propone. Una quotidianità che, come lei stessa ammette, l’ha portata per la prima volta a scrivere pezzi nuovi e suonare la chitarra guardando negli occhi un altro essere umano.

Il disco si apre e si chiude con due brani dedicati e pensati per la figlia, Child of Mine e la dolcissima e strumentale Lullaby, capaci di trasmettere l’autenticità e la purezza di un atto nobile e alto come il dedicare un’opera d’arte, sia essa un dipinto, una poesia o una canzone come in questo caso.

Il resto del disco fluttua in maniera a tratti commovente (The Shadows), grazie al sapiente intervento del coro ora a mò di tappeto, ora a supporto di una sezione d’archi che provoca brividi veri (tale mirabilia è “colpa” del genio di Rob Moose, una serie di collaborazioni come arrangiatore da far paura) a tratti nostalgico (Caroline), prettamente coheniana nel suo incedere narrativo.

Qui e lì tocchi che mi riportano alla mente ora Judee Sill (Patterns in Repeat) ora quel cantautorato al femminile portato ora avanti da nomi quali Julien Baker, Waxahatchee, la stessa Phoebe Bridgers (Looking Back).

Dieci brani che tratteggiano il ritratto di un’artista in continuo mutare, in continuo divenire, dotata di una capacità non comune di creare con una facilità disarmante musica, e di conseguenza emozioni.