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Plain White T’s

Plain White T’s

Fearless Records
17 Novembre 2023
di Marta Massardo

Perché state leggendo queste righe? La proposta di recensione è stata accompagnata da una domanda da cui le persone come me non possono fuggire: “Chi ha voglia di un revival emo?”. E come posso io, CEO delle adolescenti che ascoltano musica malinconica sull’autobus, presidente della meteoropatia autunnale e figlia dei My Chemical Romance per rifiutare il sacro dono della musica emo?

La nostra identità, probabilmente, è la sola cosa che possediamo davvero ed è nostro dovere custodirla, curarla e trovarle il suo posto nel mondo. Ma quanto è difficile presentarci per come siamo davvero?

I Plain White T’s ci regalano un nuovo album auto intitolato che si lancia sul mercato discografico con una promessa importante: ritrovare l’essenza della band, formata da Tom Higgenson, Tim Lopez, Mike Retondo e De’Mar Hamilton.Dare il proprio nome a un disco, anche dopo tanti anni di attività, significa presentarsi, affermare la propria identità.

Chi sono, quindi, i Plain White T’s? Quelli di Hey There Delilah, brano iconico pubblicato nel 2006 che, con il suo “Times Square can’t shine as bright as you, I swear it’s true”, sarà sempre il tratto preponderante e inscindibile dell’identità della band. È una canzone che ha girato il mondo, è entrata nelle playlist di chiunque, anche di chi ascolta tutt’altro genere musicale, è stata la caption delle foto su Facebook delle coppie più popolari dei nostri licei: Hey There Delilah ha superato la fama del gruppo stesso. Ma chi altro sono, oltre a “quelli di Hey There Delilah”?

“Stavamo cercando di richiamare i suoni che abbiamo usato in passato con una certa freschezza”, racconta Higgenson. “Questo disco proviene da un’autentica comprensione di chi siamo e cosa facciamo. Sono più emozionato di quanto non lo fossi da molto tempo. Come musicisti, cerchiamo sempre di superare noi stessi o di andare da qualche parte dove non siamo mai andati prima. In qualche modo, abbiamo capito come andare in un posto nuovo e suonare ancora come i Plain White T’s”.

Già dai primi ascolti, si sente che Plain White T’s è un album diverso dai primi lavori della band. Personalmente, sento meno la componente pop punk, sembra un disco più adulto, quasi da cantare spensierati con la chitarra in spiaggia in estate. Concentrandosi sui testi, invece, saltano fuori trame da revival emo-adolescenziale. In alcuni casi bastano solo i titoli, come per You Plus Me e Red Flags. Il primo brano è una dichiarazione d’amore: “It’s so elementary/Minus you, I’m incomplete/We’re the perfect problem, baby/You plus me”. Un sentimento multiforme e complesso che, a volte, ha bisogno di essere semplificato, ridotto all’osso e si torna quasi bambini, quando sul diario segreto scrivevamo il nome di chi ci piaceva accanto al nostro e in mezzo segnavamo un “+”, sfidando ogni regola matematica. La seconda canzone, invece, parla proprio di red flags, un linguaggio da generazione Z che racconta una classica storia d’amore in cui non si colgono i segnali potenzialmente negativi della persona con cui si ha una relazione. Delilah aveva delle red flags? Chi lo sa.

Spaghetti Tattoo racconta un primo appuntamento: la tensione, i sorrisi, il parlare per ore di banalità e ridere e il salutarsi promettendosi di rivedersi. Semplice e lineare.

Non posso mentire: non amo questo disco. Lo potrei ascoltare e canticchiare mentre lavo i piatti, ma manca quel tocco di drammaticità e complessità che mi fa venire voglia di scavare nelle parole delle canzoni e cercare un significato più profondo. Se avessi ascoltato l’album a 15 anni, forse, l’avrei apprezzato di più e avrei citato i testi di qualche canzone nei miei stati su Facebook, fingendo di avere una vita sentimentale interessante. Eppure, la semplicità è un tratto distintivo anche in Hey There Delilah e non è un difetto raccontare una storia per quello che è, senza troppi sottotesti, ma a me piace avere più spazio era l’immaginazione.