È stato grazie ad una compilation della Rough Trade, storica etichetta discografica indipendente, trovata nel cassetto delle offerte di un negozio di dischi ferrarese, che ho scoperto The Decemberists. 16 Military Wives, ovvero la canzone contenuta in quella raccolta, mi aveva colpito moltissimo e per diverse ragioni – la sua frizzante atmosfera acustica, il piglio da cantastorie di Colin Meloy ed il suo stile indie tipicamente americano– costringendomi quasi a recarmi nella biblioteca più vicina per approfondire la discografia del gruppo di Portland.
A poco meno di vent’anni dall’uscita di quel singolo, The Decemberists pubblicano, questa volta per Yabb Records, il loro nono album in studio: As It Ever Was, So It Will Be Again, che ho ascoltato domandandomi se la band avesse tenuto fede all’affermazione che dà il titolo a questo lavoro. Chiedendomi dunque se questo nuovo capitolo della loro carriera sarebbe stato in linea con il loro passato e la risposta – spoiler, come si usa dire – è un sì convinto.
La chitarra acustica è ancora la protagonista assoluta, gli strumenti a fiato continuano a punteggiare gli arrangiamenti e i testi, simili a racconti, abbondano ancora di persone ed eventi. Il risultato è un perfetto compendio di tutta la musica folk, intesa, nella sua accezione più autentica e antica, come la musica del popolo. L’album oscilla così tra l’eredità di Woody Guthrie e gli echi della musica tradizionale irlandese, senza dimenticare punti di riferimento più moderni come Neil Young e Ryan Adams; influenze evidenti, queste ultime, in brani come Long White Veil. La chitarra lap steel ricorda infatti le sonorità del cantautore canadese, quello con i problemi alla schiena che registrava Harvest nel suo ranch in California, e la traccia (a mio avviso una delle più convincenti dell’intero lavoro) culmina in un ritornello radiofonico molto adamsiano.
Nonostante la matrice folk, l’album è ricco di variazioni sul tema: Oh No!, che a dire il vero un po’ annoia, sembra un tango dei Violent Femmes mentre si sentono chiaramente i Beach Boys di Sloop John B. in Burial Ground; uno dei singoli di lancio, che viene nobilitato dai cori di James Mercer de The Shins e che è stato presentatodal suo autore, Colin Meloy, come “A paean to hanging out in graveyard”. Questo taglio vagamente gotico, dovuto al progetto parallelo del frontman dei Decemberists, che negli ultimi anni si è dedicato alla scrittura di romanzi fantasy, accompagna buona parte dei pezzi iniziali dell’album, come la cupa Don’t Go To The Woods, che sembra raccontare storie misteriose ai confini della mitologia.
Questa cupezza si spegne quando arriva la dolce All I Want Is You, una ballata in cui si sentono solo un fingerpicking essenziale ed una voce insolitamente bassa, dopo la quale il disco cambia diventando più elettrico e più solare, a dimostrazione della poliedricità de The Decemberists. Cambia il clima e cambiano le fonti di ispirazione: in questa seconda metà di As It Ever Was, So It Will Be Again si trovano i Beatles dell’era Sgt. Pepper’s, si trova il blues degli anni ’00 di Father John Misty, si trovano incisi britannici e lontanamente soul come quello di Tell Me What’s On Your Mind e si trova una canzone che potrebbero aver scritto i Pearl Jam (magari avessero scritto qualcosa del genere in questo momento opaco) come Never Satisfied. Questo pot-pourri di nomi, titoli e citazioni, comunque, è solo il preludio al gran finale: Joan in the Garden. Servirebbe una recensione solo per questa canzone, drammatica suite di diciannove minuti che rinuncio a descrivere perché una cosa così non si sentiva dai tempi di Black Sabbath e perché, per una volta, non voglio fare spoiler: non vi resta che andare ad ascoltarla!
Bonus Track (alternativa musicale al ben noto post scriptum): qualche tempo fa ho letto un articolo in cui si dice che la musica di oggi è piatta, prodotta in serie, preconfezionata. In generale, credo che questa sia la verità e per questo As It Ever Was, So It Will Be Again può essere definito una bella eccezione: un disco scritto e suonato come pareva a The Decemberists, talvolta anche con alcune imprecisioni che rendono la musica autentica, che rispetta e rispecchia pienamente l’essenza della band.
Traccia da non perdere: All I Want Is You.