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The Smile

Wall of Eyes

XL Recordings
26 Gennaio 2024
di Andrea Riscossa

Don’t think you know me
Don’t think that I am everything you say…

Cerchi un filo.
Un filo non c’è.
Forse cerchi i Radiohed, ma anche quelli non ci sono. Si sono fermati anni fa, con A Moon Shaped Pool. Poi collaborazioni, featuring, sperimentazioni, colonne sonore, ognuno per la sua strada, ognuno a plasmare nuovi progetti e a giocare con nuovi linguaggi.
La pandemia ci ha poi regalato The Smile, il nuovo progetto di Thom Yorke, Jonny Greenwood e Tom Skinner. I primi due sono i motori primi dei Radiohead, giusto per chi non li conoscesse, mentre il terzo è un percussionista inglese, classe ’80, sospeso tra progetti jazz e il nuovo trio, attirato nel vortice dopo una collaborazione con Greenwood per la colonna sonora del film The Master

Cerchi un filo.
Cerchi una similitudine con il loro primo album, A Light for Attracting Attention, e non la trovi. Trovi invece qualcosa di diverso, di evoluto, di maturato. C’era chi si era illuso, nel sentire quel disco, nel ritrovare qualcosa delle chitarre dei Radiohead. Di quelli primigeni, quasi, di quando Yorke ancora non cercava di coprire il suo afflato melodico come una brutta acne.
E no, un filo non c’è.
A dirla tutta non c’è neanche Nigel Godrich, che per i Nostri ha prodotto (quasi) tutto. Fonti ben informate lo vogliono accanto agli IDLES, che a febbraio dovrebbero far uscire il loro quinto lavoro in studio.
La produzione di Wall of Eyes, questo il titolo dell’album, è stata affidata a Sam Petts-Davies, che ha collaborato con Yorke per la colonna sonora di Suspiria nel 2018. 

Insomma, fili non si trovano.
Però alcune cose sono ben visibili.
Ad esempio, uno spettro si aggira per Wall of Eyes.
A Day in the Life attraversa il secondo lavoro degli Smile, da Friend of a Friend fino all’apoteosi in Bending Hectic, palesandosi, quasi alla fine, sulla mezzanotte del disco, come uno spirito, come un paradigma e un omaggio agli studi dove la band ha registrato l’album.
Ma non sono solo i Beatles a essere evocati. Appena dopo la traccia iniziale, che ci accoglie con una bossa nova sghemba, irrequieta e, soprattutto, inaspettata, si vira verso il prog con Teleharmonic, che sa di subacqueo e di flauti, mentre i King Crimson vengono a galla in Read the Room. Yorke ha aperto il nuovo lavoro brindando a ciò che non meritiamo. E rincara, la seconda alzata di calici è dedicata a ciò di cui non siamo degni. I suoi testi sono criptici, fatti di ellissi e pennellate veloci, un flusso di coscienza senza subordinate.
Under Our Pillows è eterea, cristallina, ed inaugura la presenza di crescendo vorticosi ed orchestrali. Già, l’orchestra. Gli Smile si avvalgono della collaborazione della London Contemporary Orchestra, brigata archi. Sono, di fatto, spariti i fiati del primo album, qui si parla una lingua diversa.
Friend of a Friend è una canzone che profuma di Fab Four, fin dal primo accordo. Siede alla seconda posizione per gradimento, nella mia personale, e non richiesta, classifica interna di Wall of Eyes.
Il disco è caldo, l’attenzione alta, per questo Yorke ci regala un Quasimodo elettrificato, un haiku fatto di riverberi che però sa aprirsi e diventa lirico, una colonna sonora, tutto racchiuso in I Quit.
Il colpo di genio giunge quasi alla fine. Bending Hectic è una suite di otto minuti, una canzone con colpi di scena e una struttura quasi cinematografica. Per una volta un testo che sembra uno storyboard. Tanto che non racconterò la trama, siamo a rischio spoiler. Sia messo a verbale però che siamo davanti a un Tarantino che dirige il sorpasso di Risi, che a sei minuti dall’inizio Yorke attraversa lo specchio e dall’altra parte ci attendono gli anni novanta, e chitarre che grondano colesterolo.
E poi dopo non potrebbe e non dovrebbe esserci molto altro. C’è ancora una You Know Me, che chiude il cerchio dell’incomunicabilità aperto con il brindisi in partenza, e che intimorisce chiunque abbia l’arduo compito di scrivere qualcosa di sensato su questo album.

Non so se possa non piacere.
Ha così tante facce, così innumerevoli scorci che mi sembra un’impresa ardua e pretestuosa dargli un’insufficienza.
È un disco che riconcilia con la musica, che trafigge almeno due generazioni di orecchie, di quelle anche educate e pretenziose, le mette a sedere, in fila e le coccola per otto, lunghissime tracce. A turno, citando, evocando, esplodendo e un’altra dozzina di gerundi a scelta.

Cerchi un filo e un filo non c’è.
Ci sono otto canzoni, otto microcosmi, otto ambienti, otto storie musicali che hanno un corpo denso, come un gran vino. Irrequiete e irregolari, spesso lacerate all’interno e piene di contraddizioni, orchestrali, dispari e traboccanti di armonie.
Un grandissimo disco creato da grandissimi musicisti.