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Trauma Ray

Chameleon

Dais
25 Ottobre 2024
di Marta Annesi

Voci angeliche e muri del suono

Buio.
Un senso di umido e pesantezza, come se improvvisamente fosse calata su di me tutta la stanchezza e la tristezza di ‘sto mondo.
Apro gli occhi. Tutto intorno è nero come la mia speranza. Allungo una mano: qualcosa di freddo e liscio si sta avviluppando al mio braccio. Grido senza voce, mi dimeno, cerco la libertà. E all’improvviso di spalanca davanti a me una grande porta.
Una lingua di vento caldo, appiccicoso, pregno delle cose più immonde mi circonda e mi spinge all’interno della porta.
Dietro di me si richiude il grande portone ed è di nuovo tutto avvolto nell’oscurità. Sono aggrappata al legno gelido con gli occhi strizzatissimi, la paura è così forte che mi brucia i bulbi oculari. 
Aspetto una scintilla di coraggio e mi giro di botto. C’è una strada di asfalto e un cartello rosso con i caratteri neri che recita “Per l’Inferno” con una grande freccia nera. 
Sospiro, e ormai rassegnata mi incammino.

Parte un disco di sottofondo.

Sono i Trauma Ray con il nuovo nuovo disco Chameleon. Un perfetta solonna sonora per la discesa verso gli inferi. 

Il gruppo di Fort Worth si è già fatto notare nel 2018 con un EP omonimo, Trauma Ray, che è stato il semino lanciato su un campo, la prima manciata però, giusto qualche chicco per vedere se la terra è buona. 

E quel semino ha germogliato, regalandoci una perla per malinconici.

Hanno intensificato la loro ricerca musicale, abituando il loro mood shoegaze a sonorità sempre più intense, a chitarre distorte e impetuose, la batteria che a tratti sembra accarezzarti, poi ti prende a sprangate sul collo. La carezza che sembra scendere dall’alto sono le parti vocali, così delicate e angeliche, per poi rivelarsi per quel che sono realmente: solo tristezza allo stato puro.

Condito con un’aura di spettrale epicità.

La musica è lo scopo. Il tema è la morte.

Sono artigiani del suono, ricercano la combinazione perfetta, tra audacia della parte strumentale e la leggerezza graffiante delle parti vocali.

In questo album non c’è posto per il superfluo: ogni schitarrata, ogni bumbum di batteria, ogni singolo stridore, ha significato. Il rumore che diventa musica, il pandemonio diventa catarsi.

L’equilibrio stabile tra epico e spettrale raggiunto dai Trauma Ray lo si deve alla coesione di tutti i membri ad un progetto di studio e crescita, e all’unione delle loro anime su temi come il senso di colpa, la paura, la morte, la tristezza, la perdita, che sono i pilastri di questo loro nuovo album.

Un vezzo (in pieno stile shoegaze) sono le intro molto lunghe, come fossero corridoi di castelli tenebrosi che conducono a salotti sfarzosamente gotici. Sono il loro modo di farci assaporare il loro talento.

La discesa verso l’oltretomba è lenta ed inesorabile, ed Ember, messa lì al primo posto altro non fa altro che mettere lo zucchero sulla cattiva pastiglia con la sua aria sognante e scostata, inno apocalittico verso la fine dei tempi.

L’ignoranza dell’intro di Chameleon unito alle parti vocali  e agli assoli potentissimi,  ne fanno la punta di diamante del disco. Un vortice di chitarre e bassi distorti, con una batteria picchiante che parla di cambiamento di forma e di morte.

Questo disco contiene perle di artigianato da non sottovalutare, come la trascendentale Bishop, un attacco al muro del suono, crudo, brutale, totale. Le chitarre impazzite e i riverberi vorticano su se stessi fino al climax, che non è la liberazione dalla disperazione, ma è la disperazione stessa. 

Angoscia per la perdita e rabbia è tutto quello che si grida in Spectre che possiede una delicatezza sporca, un canto angelico che vola sul baccano creato dagli strumenti. 

La complessità artistica e emotiva della band traspare in Bardo, col suo riff fottutamente imbestialito e le parti vocali così eteree e trasognanti.

Un disco che ti accarezza con una mano, e con l’altra ti prende a calci.

Le loro influenze sono palesi: sembrano i Deftones sotto sertralina; oppure The Cure dopo la svolta metal. Una leggera strizzatina al mondo dei Tool non passa inosservata.

Sono realmente un raggio traumatico che spezza le reni.