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Tag: big time

Gian Maria Accusani: Riparto da solo (solo per il momento)

Qualcosa si muove? Qualcosa si muove. Lentamente, a fatica, ma anche la macchina dei live in Italia sta tornando a muoversi, a far spostare le persone, a far riaccendere le luci sui palchi, a tentare di metterci alle spalle questo annus horribilis.

C’è da dire che, almeno in questo primo periodo, i concerti non somiglieranno molto a quelli che eravamo abituati a frequentare, in quanto toccherà convivere ancora per un po’ con mascherine, distanziamenti ed altre limitazioni che ormai fanno parte della nostra quotidianità. E qui per la maggior parte degli artisti sorge il dilemma: pur di suonare mi adeguo e modifico (snaturo?) le mie esibizioni oppure attendo ancora che arrivi questo benedetto “liberi tutti”?

C’è anche una terza via a dire il vero, ed è quella che ha scelto Gian Maria Accusani, che non dovrebbe aver bisogno di presentazioni ma parliamo del frontman negli anni ’90 nei mitici Prozac+ e dal 2007 nei Sick Tamburo, il quale ha deciso di proseguire da solo. Nessun allarme, niente panico, i Sick Tamburo sono vivi e vegeti e pronti a tornare, sia con un nuovo disco che dal vivo, ma Gian Maria nei prossimi mesi sarà in giro per l’Italia con un incrocio tra concerto e spettacolo, Da grande faccio il musicista, nel quale ripercorre la sua ormai ultradecennale carriera.

Lo abbiamo intervistato qualche giorno fa e ci ha raccontato di più di questa nuova avventura e di come sia nata l’idea. E molto altro.

 

Ciao Gian Maria, prima di parlare del tuo nuovo tour mi interessava chiederti come hai passato questi ultimi ormai 18 mesi “difficili” e soprattutto, quando ormai era chiaro che non si sarebbe suonato per un anno e più, come hai accolto la notizia e come hai deciso di agire, di conseguenza?

“Ciao Alberto, allora lo scorso anno non ha suonato praticamente quasi nessuno, e come Sick Tamburo abbiamo deciso di non suonare nemmeno quest’estate, perché con il pubblico distanziato, le mascherine, ecc, non ce la siamo sentita, onestamente. Io capisco i gruppi che accettano di esibirsi in questa situazione, sia chiaro, ci sta. A me personalmente il pensiero di suonare con la gente seduta, a meno che non si tratti dell’Arena di Verona, non fa impazzire, mi pare manchi almeno metà della mia idea di concerto, per cui sì, abbiamo deciso di aspettare ancora un po’.”

 

E l’idea di imbarcarsi in questa nuova avventura quindi è per così dire figlia della situazione, del periodo o si tratta di qualcosa che già ti frullava in testa da un po’. E già che ci siamo come mai questo titolo?

“L’idea sinceramente ce l’ho da tempo, ma in tutta onestà non avevo mai avuto il coraggio di metterla in piedi e anzi, probabilmente senza pandemia questo coraggio non lo avrei mai avuto. È anche vero che ancora adesso l’idea di me da solo sul palco non mi entusiasma, però poi ho iniziato a ragionarci un po’ su, ed è nato questo spettacolo nel quale racconto il mio sogno che si è realizzato – e da qui il titolo – in quanto ho iniziato a suonare a sette anni e da quel giorno quando qualcuno mi chiedeva “cosa farai da grande” la risposta era sempre “da grande faccio il musicista”. Quindi racconto il mio viaggio all’interno del mondo della musica, ripercorrendo episodi più o meno famosi, dal Great Complotto a quando a diciotto anni sono finito a Londra, da quando son tornato per fare il tour manager e lavorare con Ramones, Beastie Boys, Henry Rollins, e poi ovviamente i Prozac+ e Sick Tamburo, per arrivare al giorno in cui sarò sul palco. Il tutto farcito da canzoni che hanno attinenza a ciò che sto raccontando.”

 

Quindi parliamo di un vero e proprio spettacolo per così dire “strutturato”…

“Assolutamente sì, c’è uno scheletro ben preciso, anche perché se no il rischio sarebbe di andare per così dire fuori tempo, e trovarti dopo due ore ad essere ancora ai Prozac, per dirti di quante cose ci sarebbero da raccontare…”

 

E ti sei fatto aiutare da qualcuno per una sorta di regia?

“No, ho fatto tutto da me. Lo spettacolo dura quasi due ore, suono tredici, quattordici pezzi, e poi il resto è racconto. Ovviamente ci saranno delle variazioni, qualche aneddoto cambierà da spettacolo a spettacolo. C’ho lavorato su un bel po’, sarò seduto, come il pubblico, e vorrei che diventasse come se stessi raccontato qualcosa ad un amico.”

 

Mi pare di capire che quindi è la tua prima volta da solo. Dopo centinaia, migliaia di date, come la stai vivendo questa attesa?

“È la mia prima assoluta da solo e la verità è che sono molto in tensione, davvero. È anche vero che nonostante non sia proprio più un esordiente, ad ogni concerto prima di salire sul palco, lo dico come lo diciamo noi, mi cago sempre sotto, ancora adesso. È proprio la mia natura. Poi quando inizio passa tutto.”

 

Quindi mi par di capire che questa comunque sia da considerarsi una parentesi più o meno estemporanea, e che i Sick Tamburo siano ancora la tua priorità, il tuo presente. Sai perché te lo chiedo? Mi era venuto il dubbio vedendo la copertina del singolo Il fiore per te, dove ci sei tu in primo piano e due ombre di Sick Tamburo sullo sfondo…

“La copertina di cui parli l’ho scelta perché si tratta di un disegno che ha fatto un fan e che mi aveva regalato una sera dopo uno spettacolo, e mi aveva profondamente emozionato. Questa cosa che sto facendo non ha nulla a che fare coi ST, i quali sono e rimangono la cosa più importante che ho al momento, sono il mio presente e appena si potrà tornare un po’ alla normalità sicuramente, anzi non vedo l’ora, faremo uscire un disco.”

 

Accusani intervista

 

Domanda difficile adesso: considerato che lo spettacolo segue la tua carriera e volendo trovare quattro distinti momenti, ovvero Great Complotto, Prozac+, Sick Tamburo e il presente, mi dici quattro aggettivi, quattro parole, che individuino ciascuna parte?

“Allora ti dico quattro parole, che esprimo tutto il concetto di questo racconto: sogno, in quanto è il mio sogno che si è realizzato, mondo magico che è quello in cui mi sono trovato catapultato al tempo del Great Complotto, entusiasmo e ultima cosa, che è quella che unisce un po’ tutte le precedenti è l’amore, nel senso più esteso, l’amore per tutte le persone che ho incontrato in questo viaggio e che sono state l’energia per andare avanti.”

 

Correggimi se sbaglio, visto che ne accennavamo prima, ma io ho sempre visto i tuoi progetti, specialmente i Prozac+ e i ST, fortemente caratterizzati dal punto di vista geografico, e questo sia chiaro è un enorme complimento. Mi spiego, ho sempre avvertito forte la presenza del Friuli, e di Pordenone in particolare, in quelle band. Oltre al Great Complotto e a quella situazione magica e presumo irripetibile, parliamo di una zona decentrata, lontana dalle grandi direttrici, dai grandi centri culturali come possono essere Bologna o Milano, mentre tu hai sempre fatto base a casa a Pordenone, giusto?

“Si, diciamo che pur avendone avuto anche la possibilità ho sempre sentito forte la necessità di tornare a prendere una boccata d’aria a casa, nei posti dove sono nato e dove ancora vivo…”

 

Quindi non credi sarebbe stato più semplice, meno tortuosa, la strada per arrivare ad un successo, che comunque hai avuto, se fossi stato altrove?

“Credo di no, credo che il fatto di aver vissuto in una piccola città di provincia in qualche modo, specialmente in epoca pre internet — dopo di che le distanze, anche geografiche, si sono ridotte a dismisura — sia stato uno sprone, una spinta a fare di più, a fare meglio, a spingersi a livelli che altrove non avresti raggiunto perché magari non ne avresti avvertito o sentito la necessità. Quello che arrivava o che sentivi a Milano non era quello che arrivava a Pordenone, certe cose non giungevano proprio fino a lì, per cui ce le inventavamo noi. È esattamente il contrario, Pordenone è stata proprio la spinta, la voglia di creare.”

 

Facciamo un attimo un passo indietro, poi prometto di liberarti; mi interessa sapere che idea, che pensiero ti sei fatto, come ti sei posto, da persona assolutamente dentro, da addetto ai lavori, in merito alla protesta dei bauli in piazza Duomo, ai ritardati quando non assenti contributi al comparto musica, che parrebbe essere stato il reparto meno aiutato o considerato dal governo durante questa pandemia… ricordo mesi piuttosto burrascosi e caldi…

“Allora, molto francamente il mio pensiero in merito a questa cosa qui è molto chiaro: semplicemente mi sono reso conto guardando quello che è successo e parlando anche con quelli che lavorano ai piani alti, che siamo stati i meno considerati per un semplice cosa, triste ma vera: il comparto musica muove zero soldi, cioè ne muove tanti ma rispetto ad altri settori è irrilevante, per dire il reparto musica non veniva nemmeno accettato ai tavoli di discussione, la verità è questa. Si parla tanto di cultura ma in Italia la verità è che la cultura viene considerata molto molto meno di quanto pensiamo, proprio perché non muove le cifre di altri, è sempre lì la questione. Ed è lì il male. Uno pensa a cultura e non dovrebbe in automatico pensare al rientro economico. Purtroppo, nel 2021, ancora oggi mi fermano e se mi chiedono che lavoro fai e rispondo il musicista mi chiedono “OK, ma di mestiere vero?”. È una questione proprio culturale, siamo un paese di artisti ma la struttura e l’organizzazione che c’è dietro è davvero arretrata, e ce ne siamo accorti durante questi mesi. E lo dico con profonda tristezza…”

 

Il ragionamento non fa una piega, però mi par di capire che non se ne esca, siamo in una sorta di circolo vizioso, in un loop…

“Beh, in molti paesi ci sono i sindacati dei musicisti, in Francia, in Germania, in Inghilterra, da noi invece non c’è niente. Lì chi fa questo mestiere è tutelato, qui ti devi inventare, per non parlare della burocrazia, che è una cosa obsoleta ed orrenda, anche se qui non è un problema solo della musica ovviamente.”

 

Chiaro. La speranza è che le cose prima o poi possano iniziare a cambiare… Nel frattempo ti ringrazio della chiacchierata.

Grazie a te!

 

E ci vediamo prossimamente sotto un palco, intanto seduti…

E speriamo presto in piedi!

 

 

Alberto Adustini

Tre Domande a: 43.NOVE

Come vi immaginate il vostro primo concerto live post-pandemia?

Ricco di emozioni, come giusto che sia, un po’ di tremolio alla gambe miscelata ad una sana dose di batticuore, e il tic (il batterista) che conta one, two, three… E poi giù a lasciarsi abbandonare nella corrente, nella musica, fare quello che sappiamo fare, cercare con lo sguardo gli occhi delle persone, guardare le mani in aria che si muovono, guardarsi negli occhi con gli amici sul palco per caricarsi. Ma soprattutto Ascoltare.

 

Se doveste scegliere una sola delle vostre canzoni per presentarvi a chi non vi conosce, quale sarebbe e perché?

Sceglieremo Storia di Uomo probabilmente, quel pezzo è la miscela perfetta tra me ed Eli, siamo molto affezionati a quel pezzo, quindi romanticamente parlando scegliamo quello.

 

C’è un evento, un festival in particolare a cui vi piacerebbe partecipare?

Bella domanda, conoscevamo pochi eventi fino a poco tempo fa, per cui ti direi un MIAMI a Milano, per la risonanza che ha, e poi molti altri ancora… dai noti festival di Prato, Pistoia, Roma e al nostro vicino di casa Lucca Summer Festival, sarebbe un sogno. Magari un giorno…

“Vaffanculo”: una conversazione a cuore aperto con Giorgio Canali

In questo anno funesto, arido o quasi di occasioni conviviali e soprattutto privo di concerti, appena si è presentata l’occasione di incontrare Giorgio Canali non me la sono certo fatta sfuggire.
Non sono giornalista e quella che seguirà, più che un’intervista, sarà un’amichevole chiacchierata con Giorgio, che seguo con piacere fin dai suoi primi album.
L’occasione è l’uscita di Venti, il nuovo disco del ex C.S.I., C.C.C.P., P.G.R. insieme alla sua storica band, i Rossofuoco.
Necessitando di almeno un contatto visivo decido di andare fino a Correggio per poterlo incontrare. L’appuntamento è in un bar del paesino emiliano, che fa molto “amico che non vedi da un po’”: fanculo videochiamate, videochat, zoom e menate varie. Direi che ne abbiamo fatte abbastanza.
Sono sinceramente emozionato, mentre aspetto al tavolino con una pinta di birra. In fondo è come se Paola Maugeri stesse aspettando Mick Jagger. Passatemi il paragone dai!
Dopo pochi minuti arriva Giorgio che, vedendomi col bicchiere e la maglietta del Velvet addosso, non esita un attimo:”Il Velvet, grande! Prendo una merda da bere e arrivo!”
Torna con vodka e ghiaccio, qualche scambio di battute e partiamo con la nostra chiacchierata, di circa due ore. Provo a riassumere!

 

Ti devo confessare una cosa: è da Luglio che ascolto il nuovo disco, me lo ha fatto ascoltare Botte (amico in comune, NdR) dopo che tu glielo hai mandato in anteprima.

“Si si, ha fatto bene!”

 

Venti come sono venti i brani di questo disco, avevate tempo durante il lockdown o li avevate gia scritti?

“No, semplicemente sono venuti fuori! Io ero chiuso su a Bassano, nell’appartamento/studio di Steve, ho iniziato a buttare giù qualcosa poi li ho fatti girare agli altri; dopo dieci pezzi Steve ha proposto di andare avanti e fare un doppio e ci siamo detti, perché no, tanto di cose da dire ne ho! Anche se fino a quel momento avevo un certo riserbo nel parlare di questa situazione di merda, non volevo metterla dentro al disco.”

 

E come si fa? È difficile ignorare ciò che accade.

“Si, ogni tanto ho questi trip! Ad esempio ho un pezzo, che probabilmente sarà nel prossimo album, o chissà, si chiama 900. Ripercorrerà tutto il novecento storico, ignorando completamente l’Italia e quello che è successo qua, perché tanto è irrilevante…”

 

Inutile e irrilevante come un brano del disco.

“Ahah, si, inutile e irrilevante, che è una provocazione bella grossa! Ignorando Mussolini, CianoBerlusconi, la P2 chi cazzo sono? Perché devo parlare di questa gente qua? Se viene fuori è una bella canzone, lunghissima.
Quindi, dicevo, l’intenzione era di lasciare del tutto fuori il problema che stiamo vivendo, come se non esistesse. Anche perché non ci credi che la gente possa arrivare a livelli simili, sul fatto di accettare per oro colato tutto quello che gli si racconta, senza neanche sollevare un obiezione e che qualsiasi precetto gli si ponga di seguire lo segue.
Mi venivano in mente i documentari propagandistici di istruzione alle precauzioni anti pericolo nucleare; dicevano ai bambini di accovacciarsi e coprirsi…”

 

Hai citato questa cosa in un brano in effetti.

“Si esatto, c’è. Accovacciati e copriti, accovacciati e copriti! Indottrinamento di base, inutilissimo, anche perché se ti esplode una bomba nucleare a 4 km puoi accovacciarti quanto ti pare.
Mi sembra un po’ questo, la mascherina, il distanziamento, che poi non mi sembrano cosi utili se ci pensiamo.”

 

Che vuoi dire?

“Al di la di quel che scrivono La Repubblica e Corriere della Sera, basta guardare la Svezia, la Norvegia, la Finlandia dove non hanno fatto niente. Non c’è bisogno di tenere controllata la gente. Qua invece è il sogno da sempre! Qualsiasi regime, cattivo o buono, quello che vuole di più è l’obbedienza, se cieca ancora meglio, facendo cagare addosso la gente. Mi ricordo la dichiarazione dello psichiatra prima di suicidarsi in carcere durante il processo di Norimberga: la paura fa 90, se fai cavalcare la paura vinci!”

 

Durante il primo periodo di lockdown la gente che ti guardava e insultava dai balconi se uscivi. Un esempio fu una farmacista presa a male parole, in realtà stava solo andando a lavorare.

“Poi il paragone diventa peso, ma è così che si crea il consenso che ti consente di andare a denunciare l’ebreo che sta nel piano di fianco. Per carità non voglio paragonare le cose, assolutamente, ma il meccanismo è il medesimo. Quelli che andavano a denunciare l’ebreo non gli sembrava cosi grave andare a denunciarlo.”

 

Su questo tema sei molto attivo sui social, su facebook hai postato diversi articoli, per esempio del collettivo Wu Ming.

“Ah sì, mi sono preso anche del negazionista!”

 

Al di là di come la si possa pensare è sempre giusto avere un atteggiamento critico, porsi domande.

“Certo! Se non capisci questo…a qualcuno fa comodo che sia cosi. Dall’altra parte dell’oceano fa comodo nascondere quello che sta per arrivare, ovvero un nuovo crack tipo ’29. Dar la colpa a un virus piuttosto che a quei figli di puttana che stanno a Wall Street è più comodo. Altrimenti la gente prende il piccone e va fargli il culo a questi qua, mentre se è colpa del virus…”

 

Alla fine l’argomento è entrato lo stesso in questo disco.

“Si però se ci fai caso in metà delle canzoni non ne parlo proprio. Il problema è che quando ne parlo ci vado pesante.”

 

Vero, e infatti sei sempre stato coerente nei tuoi testi, critico, a volteprofetico. Ricordo quel pezzo del 2004 che fa “Epidemie terrificanti, nuovi contagi e vecchi mondi da evitare e noi qui in fila a farci rivaccinare..”

“Sì si, siamo lì. Semplicemente sto attento a quello che succede intorno a me e soprattutto faccio tesoro delle lezioni di storia, anche della storia moderna o attualissima. Lo vedi come va il mondo. Poi per carità non voglio ergermi a Pasolini che diceva, testualmente: “Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi. Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace…”. Per carità, Pasolini è Pasolini e Canali è Canali, però se uno è attento a quel che succede attorno e ragiona poi fa 2+2. Poi magari ti sbagli a fare 2+2, però se non ci provi neanche sei un coglione!”

 

È importante farsi domande, essere critici. Nei tuoi testi è palese..

“Assolutamente! Ma scusa il coprifuoco? La gente accetta il coprifuoco senza alcuna obiezione!
E poi mi danno del fascista se ne parlo! Fascista a me! Se non sei filogovernativo allora la pensi come Salvini, che dice le cose solo per comodo! Se la Meloni domani se ne uscisse con “Dio non esiste” io dovrei diventare subito credente cattolico? Perché dovrei fare o dire per forza una cosa diversa da quel che dice lei? Col cazzo!
La gente purtroppo fa questi accostamenti. Poi quando tiri fuori il concetto di negazionismo applicato a qualcosa di diverso dal negazionismo vero, che è quello di dire “i lager non sono mai esistiti” stai già facendo della propaganda di merda. Terrificante!
E non mi trincero neanche dietro a una serie di privilegi che mi sono stati tolti, tipo campare con la musica. Si, non pago l’affitto in questo momento, ma non è per questo che sto qui a discuterne, non me ne frega niente!”

 

A proposito, ti volevo fare questa domanda, che tocca anche me e il mio lavoro di fotografo. Ora eventi e concerti sono bloccati a fronte di bonus e simili..

“Fanculo, io non voglio una lira da loro, voglio solo che mi lascino libero. Non mi frega di inps e bonus. Quando vivevo in Francia avrei avuto diritto agli assegni di disoccupazione del mondo dell’arte, con 70 cachet dichiarati in 1 anno hai l’equivalente dallo Stato pagato per altri 300 giorni. Potevo fare richiesta ma non mi interessa, non li voglio. Non voglio pensare, ragionare di essere anarcoide.”

 

Anarcoide?

“Si, in realtà non sono anarchico, sono anarcoide, è peggiorativo! Però almeno non sono organizzato in una anarchia coalizzata.
Adesso cos’è sto cashback? Diventi ancora di più schiavo di un sistema che è basato sul controllo. Poi ci sono quelli che “io l’app Immuni mai e poi mai” ma poi appena ti danno 20€ vai subito a dargli i tuoi dati, per cifre irrisorie!”

 

Una presa per il culo?

“Si chiama propaganda!
Dai Basta!”

 

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Si cambiamo argomento. Come mai a Correggio? Fan di Ligabue?

“Si, sono venuto a imparare il rock’n’roll da Ligabue!
In realtà avevo la speranza di riuscire a sostituire in tutte le pizzerie le foto del Liga con il pizzaiolo ed esserci io al suo posto. Ma non ci riuscirò mai.”

 

Però sei un fan di Jovanotti.

“Certo, ma non confondiamo la merda col purè! Sono fan di Lorenzo, lo conosco, è una persona molto onesta. Può essere populista, ma è quel tipo di populismo che non mi dispiace perché è quello dei sentimenti che vengono direttamente da lui, non è un voler forzare le cose. È un buono, un ottimista.”

 

Vorresti esserlo anche tu, ottimista?

“Mi piacerebbe un sacco! Vede sempre il bicchiere mezzo pieno, io invece lo vedo sempre rotto il bicchiere, neanche mezzo vuoto!”

 

Invidia? 

“Si un po’ di invidia ce l’ho! Poi mi piacerebbe scrivere un paio canzoni con quello spirito li. Per esempio Mi fido di Te è un pezzo che spacca, che quando l’ascolto mi vengono i brividi.”

 

Se non ricordo male ne avevi fatto anche una cover.

“Si era un festival vicino ad Arezzo, probabilmente gli abitanti da quella volta mi odieranno! Mi avevano chiesto di affrontare sei brani di altri artisti, cover che mi piacevano e che avrei voluto scrivere io. Quella di Jova l’ho mescolata a Precipito, ci stava.”

 

Ma veniamo ai tuoi pezzi. Canzone Sdrucciola,  com’è nata?

“Sdrucciolamente! È partita da una batteria in 6/8 di Luca Martelli. Abbiamo fatto esattamente come fossimo dal vivo, in cui uno parte e gli altri gli van dietro.”

 

Però in questo caso eravate separati.

“Si, si. Luca le batterie le ha registrate in Sardegna, qualcuna nell’orto della sua compagna. Steve era Miami, io a casa di Steve a Bassano, Marco Greco a Bologna. Poi ci giravamo i file. Uno partiva e gli altri dietro poi io ci mettevo il testo.”

 

Quindi i testi vengono per ultimi?

“Si il testo arriva sempre dopo. Anche in sala prove, quando improvvisiamo insieme, suoniamo poi io mi porto a casa tutto, taglio edito, faccio quello che c’è da fare e poi viene fuori il testo. Raramente una canzone nasce chitarra e voce già strutturata. Poi ogni tanto qualche pezzo che nasce così, alla cantautore, c’è.”

 

Per esempio?

Rotolacampo, oppure andando indietro, Lezioni di Poesia. Ma sono davvero pochi i pezzi fatti in questa maniera. Prima nasce l’atmosfera, l’ambiente, poi ci scrivo sopra.
Canzone sdrucciola è nata cosi. In realtà stavo lavorando anche a un altro testo su quel pezzo, poi mi è venuta fuori la frase “..chissa perché la radio passa solo canzoni inutili”, bella, ed è venuto fuori tutto cosi, un testo sdrucciolo, con l’accento sulla terzultima sillaba.”

 

Questo nuovo disco mi sembra il perfetto continuo del precedente Undici canzoni di merda con la pioggia dentro.

“Si infatti è sott’inteso, non mi andava di palesarlo, ma è automatico! Venti sono le canzoni di merda.”

 

Un album pregno di citazioni.

“Si, l’ho fatto apposta questo disco. È uno dei motivi portanti dell’album. Andando a giocare, citando in ogni canzone almeno un pezzo di qualche cantautore italiano; ce ne sono almeno 26 o 27. A parte quelli internazionali che ci sono sempre stati.”

 

Io non li ho beccati tutti. Sicuramente il più facile è De Andrè

“Quella è facile, si!
Ad esempio c’è quella in Cartoline Nere, per citare I Matti di De Gregori. È stata quella che mi ha dato il là per citare. L’ho stravolta e mi son detto, “Bella cosi, andiamo avanti e citiamo tutto quello posso”, sia travisandolo, storpiandolo, ma anche copiandolo papale papale. In Morire Perché c’è “catene, bastonate, chirurgia sperimentale” di Com’è Profondo il Mare di Dalla e prima, forse più nascosto, “morire di Maggio”” (La guerra di Piero, De Andrè NdR).

 

Ti vidi in concerto le prime volte tra il 2004 e il 2005. Prima con i TARM e poi a Forlì con degli sconosciuti Zen Circus.

“Uh si! Lì era una delle prime volte che incrociavo gli Zen Circus Poi ho fatto delle cose con loro, nel primo disco, dove Andrea Appino cominciava a cantare in italiano: sono andato in studio con lui a fare le voci, mi faceva cagare come cantava in italiano, dieci volte meglio in inglese! Bisognava che fosse convinto di cantare bene anche in italiano, così l’ho stressato un po’. E poi era l’album prodotto da Brian Ritchie (Violent Femmes, NdR), ci sono andato per lui! Abbiamo anche suonato insieme, per me era un sogno!”

 

Poi con chi altro hai lavorato?

“Con Vasco (Le Luci Della Centrale Elettrica) ho fatto tutto il primo album e una novantina di date; tant’è che Nostra Signora della Dinamite è uscito un anno dopo proprio perché io ero in tournée con lui e ci tenevo vedere come andava, è stata una bella cosa! Siamo tutt’ora in contatto, credo di essere una delle dieci persone che sente i provini dei suoi dischi per primo.”

 

Poi?

“Poi Bugo, un altro di quelli che apriva i miei concerti e poi ora, ciao! Come anche i Verdena del primo album, che a fine ’90 mi portai in tour per qualche data ad aprirmi i concerti, era appena uscito Che fine ha fatto Lazlotoz, era il 98/99.”

 

Anni stupendi, c’era un bollore incredibile.

“Si ma c’è anche adesso il bollore, forse si è un po’ spento perché stanno cercando di imitare da una parte la trap inutile, e dall’altra Venditti. Sai i vari episodi di pop romano che da indie diventa mainstream. Ma poi chi se ne frega, non son qui a sparare sulla croce rossa, ognuno fa le scelte che vuole, tanto fra due anni sono tutti sepolti questi qua.”

 

C’è speranza.

“Ma sì, c’è ancora un movimento. Credo che ci sia anche un ritorno, paragonabile a quello che han tirato fuori Vasco Brondi e Dente, a un certo tipo di cantautorato, con dello spessore.
Ci sono anche delle cose che ho prodotto io; i Radiofiera, che sono dei vecchi di merda come me, esistono dal ’90. Poi c’è Prevosti che spacca, l’ho portato in giro con me in qualche data.
Poi qualcosa di nuovo, un tipo di Genova, che scrive bene, mi piace, è disimpegnato ma non va a cercare il pop facile con le canzoni d’amore e gli accendini accesi. Uscirà con la mia etichetta PsicoLabel.”

 

La tua etichetta?

“Si, è la mia etichetta storica, proprio mia. Ora vogliamo farla diventare una vera etichetta; per un po’ di tempo è stata come un tatuaggio che ognuno si metteva: “Posso uscire con PsicoLabel?” Fai il cazzo che vuoi, basta che non mi chiedi dei soldi! Era roba che facevo con gli amici. Ora invece stiamo cercando di strutturarla, insieme a Steve, farla diventare una piccola factory.”

 

Da quant’è che suoni con Steve?

“Da Rojo in poi, li eravamo tre chitarre con Fanelli al basso. Fanelli (ex Quinto Stato) tra l’altro sarà probabilmente una prossima uscita con un progetto bellissimo, Fanelli Demolizioni.”

 

Parlando di basso, mi è sempre piaciuto come esce dai tuoi dischi, anche in quest’ultimo. Mi ricorda quello di Gianni Maroccolo.

“Il basso di Marco mi piace molto, lui imita me che imito Gianni appunto, e ci piace!”

 

Lui però nasce chitarrista.

“Si, tutti i migliori bassisti nascono chitarristi, quelli col plettro in mano. Altrimenti finisci che ti menano come Pastorius!”

 

In questo momento di pausa dei concerti? Ti dai anche tu allo streaming?

“No no, non esiste proprio, è un surrogato di vita che non posso accettare. Andare sul balcone a fare gli imbecilli con la chitarrina, a parte quelli che ci andavano per controllare gli altri, o quelli che si mettevano a fare le robe in streaming? Ma vaffanculo. Ho anche litigato con degli organizzatori di festival per questo motivo. Ma perché invece non organizziamo delle cose? Forziamo un po il blocco, poi ci arrestano tutti!”

 

In realtà concerti ed eventi sono assai più controllati e regolamentati rispetto ad altri contesti come i centri commerciali ad esempio.

“Ma si, ma noi le abbiamo sempre rispettate le regole, ma poi non è bastato! Alla fine han chiuso tutto, cinema e teatri.”

 

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Da Predappio, alla musica e al tuo lavoro, come è andata?

“Facevo il chitarrista in una band di amici, che suonava molte canzoni dei Beatles, e anche molti pezzi propri. Sembra preistoria ma all’epoca era roba uscita quindici anni prima, come chi adesso suona il grunge. Poi pian piano mi sono trovato a mettere su una cosa che si chiamava Potemkin, che nei primi anni 80 in Romagna funzionava abbastanza. Insomma io trombavo, in quanto frontman!
Poi mi sono reso conto che questa cosa non mi andava bene, nel senso; perché se sono su un palco mi trombi mentre se fossi fuori non mi cagheresti? Allora ho cominciato a fare della musica completamente deficiente e inascoltabile insieme al Politrio e a Bob Zoli, morto un paio di anni fa, lui è stato uno dei pilastri e della musica indipendente a Forlì. Per sei-sette anni facevamo concerti per 100 persone di cui 90 se ne andavano e dicevano “cos’è sta merda?” Era bello, il rifiuto del piccolo star system di periferia.
Da lì abbiamo iniziato a conoscere gente che lavorava in quell’ambito, per esempio i Litfiba. Prima Bob come fonico e poi io come suo sostituto dopo un incidente. Intanto in quel periodo facevamo musica difficile, poco fruibile. Mi ricorderò sempre quando Libero Cola del Vidia ci prese dicendo, “dai vabbè, ci saranno 10 persone” e poi gli riempimmo il locale con la nostra musica di merda.”

 

Poi come sei arrivato ai CSI?

“Dopo aver cominciato come fonico per i Litfiba, abbiamo girato l’Europa, subito dopo Tre, erano la mia famiglia, poi ho conosciuto i Noir Desire e sono diventato francese, era il mio mondo.”

 

Quanto tempo sei rimasto in Francia?

“Una decina d’anni, dal ’89 al ’98, mi dividevo tra Francia e Italia. Infatti i C.S.I. sono nati che io vivevo in Francia! Tornavo qua a registrare, era il tempo di Epica Etica Etnica Pathos di C.C.C.P., registrato proprio a 2 km da qui. La mia vita è cambiata in quegli anni, dopodichè sono nati i CSI ed io ero in giro con i Noir Desire tutto il tempo. Quando i CSI han cominciato a decollare ho preso tanti di quei voli!”

 

Invece com’è andata l’esperienza con i PGR?

“Secondo me con i P.G.R. abbiamo fatto il più bel disco che abbiamo mai fatto tutti insieme, io, Gianni e Giovanni, compresi tutti i precedenti; è Ultime Notizie di Cronaca, ultimo album, del 2009! È il migliore che ci sia mai venuto fuori! Fatto tra l’altro un po’ a distanza, come questo Venti. Io e Gianni, che ci occupavamo della musica ci saremo visti un giorno e mezzo, in tre mesi di lavorazione, per il resto tutto via internet.”

 

Non sono mai riuscito a vedervi in concerto, peccato.

“Purtroppo abbiamo mollato perché nel 2006 Giovanni ha avuto un problema di salute che lo ha portato via dalle scene per parecchio tempo. Poi non si è fatto più nulla. Ma avevamo in contratto un altro disco con la Universal e cosi lo abbiamo fatto, ed è appunto Ultime Notizie di Cronaca, ed è uscito davvero bene. Se lo ascolti capisci perché! Al di fuori delle parole di Giovanni, che possono piacere o non piacere, non me ne frega un cazzo di quel che pensa la gente, però musicalmente è la cosa più riuscita e matura che abbiamo mai fatto, perché c’è tutta la mia sensibilità e quella di Gianni che si mescolano in maniera perfetta, una figata! È musica diversa, trasversale.”

 

Tornando al disco nuovo invece, ho sentito, tra le altre cose, tante tastiere in più e il violino.

“Sì sì, ma il violino c’è da sempre! C’è stato anche il violino di Rodrigo D’Erasmo, era in Tutti Contro Tutti, mentre il violino di Andrea Ruggiero c’era già in Nostra Signora della Dinamite, e in Venti c’è almeno in cinque/sei pezzi.”

 

Domanda secca. Se ti chiedessero di fare il giudice di un talent?

“Se mi pagano un tot di soldi ci vado! Massimo rispetto per Manuel Agnelli che riesce sempre a far molto bene quello che fa, poco rispetto per chi lo critica, perché sono solo invidiosi di merda. Stesso vale per Alberto che va a suonare a X-Factor i pezzi dei Verdena. Ma che vuoi? Questo lo so fare, e lo vado a fare, mi pagano, lo faccio. E se anche non mi pagavano ci andavo lo stesso probabilmente perché mi andava di farlo.”

 

Non ti sei scandalizzato.

“Ma siam matti? Mi devo scandalizzare per cosa? Se gli Zen Circus vanno a Sanremo? Poi ci sono andati in maniera super dignitosa!”

 

Così pure gli Afterhours.

“Sono stati fighissimi, hanno portato avanti un progetto bellissimo e un ‘idea unica con quell’album.
Tra l’altro devo molto a Manuel e al suo ToraTora Festival! Quando mi voleva in prime time coi Rossofuoco nonostante all’epoca vendessimo pochi dischi. Mi diceva “Tu te lo meriti, e alla gente gli faccio vedere una cosa figa!””

 

In conclusione, avete fatto davvero un bel disco, pensi sia il migliore?

“Per forza! Ma per quantità più che qualità! Tra Undici e Venti cosa scegli? E poi hai ragione tu, ha filo conduttore che va avanti; non a caso la copertina è sempre della Martina, una mia amica di Bergamo. Nella mia testa vedevo una trilogia, Undici, Venti e poi il prossimo magari sarà Giallo.”

 

Quindi hai già altri pezzi?

“Si, in realtà siamo andati oltre i venti pezzi, ce ne sono almeno tre o quattro che non sono andati dentro a Venti. Un brano è in una compilation che dovrà uscire (Her Dem Amade Me, pubblicato su supporto fisico il 4 Dicembre, NdR), un lavoro dedicato a Orso, quel ragazzo di Firenze, ucciso mentre combatteva l’Isis.”

 

Si, ricordo bene.

“Adesso sembra una roba da matti! Ma nel ’37 era normale prendere e andare a combattere; quanta gente da Francia, Italia, Germania ha deciso di andare a combattere un’idea di merda, che era il franchismo.
Il problema è che le resistenze sono celebrabili solo se sono roba vecchia, se è nuova sei uno sfigato che si batte contro un sistema che tanto ha già vinto. Vaffanculo!”

 

Quindi festeggiare oggi la resistenza ha senso?

“Certo, come aveva senso negli anni ’70. Non sono assolutamente un fan della lotta armata, ma anche quella era resistenza.”

 

Giorgio abbiamo parlato un sacco e sono quasi le 18, ci chiude il bar!

“Ah basta basta, poi qui ci arrestano!”

 

Ciao Giorgio, a presto spero!

“Speriamo, Ciao!”

 

 

Siddharta Mancini

La ricetta degli Zen Circus tra ispirazione e coincidenza

Ad un mese dall’uscita del loro ultimo album, abbiamo avuto l’occasione di fare due chiacchiere con Ufo – al secolo Massimiliano Schiavelli – bassista degli Zen Circus, che ci ha parlato de L’Ultima Casa Accogliente, ma anche di carriera e di Ritorno al Futuro.

 

Ciao e grazie per averci concesso quest’intervista! Iniziamo parlando del vostro ultimo lavoro, L’Ultima Casa Accogliente. Avete detto che è un album a cui siete molto affezionati, ma anche che è il vostro disco “meno pensato”. Cosa intendete?

“Siamo senza dubbio molto legati a questo nostro ultimo lavoro, anche per il processo di creazione che c’è dietro. Nasce da un nucleo di brani che avevamo arrangiato a un certo livello già a febbraio scorso e che fortunatamente avevamo avuto modo di “testare” in sala prove, buttando giù dei provini in piena libertà, senza scadenze o preconcetti. Questa occasione è stata fortunatissima, perché a lockdown iniziato avevamo già delle cartelle, dei progetti su cui rimuginare aspettando di poterci riunire nuovamente. Ne è risultato un lavoro a due facce: da un lato è più “ponderato” proprio perché ci siamo presi tutto il tempo necessario per digerire gli spunti e arrangiare ogni cosa, dall’altro è meno pensato nella misura in cui abbiamo seguito l’istinto nel produrlo senza pensare mai al fatto (per dire) che il tal brano fosse troppo acustico, troppo poco acustico, troppo “stile Zen” o troppo poco, o avesse una durata non adatta ai passaggi radio, eccetera.

L’attenzione è stata sulla produzione e l’arrangiamento, suonando i brani come una band e non come un insieme di musicisti chiusi in studio a fare parti predeterminate, se intendi cosa voglio dire. Ci siamo detti in certi momenti “e se la gente non riconoscesse il sound o lo stile di questo brano?” E la risposta era invariabilmente: “che importa?” 

Al momento di ripartire con la registrazione definitiva, Karim è andato al Fonoprint Studio di Bologna (tra regioni non ci si poteva ancora muovere) e ha suonato i brani come se li era immaginati lui, andando avanti o dietro al beat come si sentiva che fosse giusto. Noi da Livorno seguivamo in tempo reale tutto e ci suonavamo sopra. Paradossale, ma ne è risultato appunto un lavoro ragionato ma allo stesso tempo spontaneo. Miracoli dell’era Covid, chissà…”

 

C’è una canzone dell’album che mi ha colpito in particolare, 2050, che sembra quasi la versione futura e post-apocalittica di Viva. Com’è nata l’idea dietro?

“La storia di 2050 è, se si può dire, in tre parti. Avevamo questa traccia strumentale che pareva promettente, ma che aveva qualcosa di irrisolto a livello di giro di accordi e ci ha costretto a riflettere un pochetto. Poi non abbiamo riflettuto più, perché c’è stato un mio casuale intervento in sala prove (è molto probabile che avessi capito fischi per fiaschi e abbia messo una nota a caso) che ci ha fatto ripartire per dare al brano la forma musicale che ha adesso. A seguire Appino ha vomitato il testo tutt’un fiato, non si sa come, e l’abbiamo trovato subito interessantissimo, sembrava un condensato di tante paranoie e riflessioni che avevamo in comune.

Nella terza fase ci siamo accorti che la canzone non aveva un titolo, nemmeno provvisorio. A quel punto ho sparato una data a caso, che gli altri hanno subito approvato. In buona sostanza, un ennesimo prodotto Zen, metà ispirazione metà coincidenza.”

 

Se doveste scegliere una sola canzone della vostra discografia per descrivervi, presentarvi a qualcuno che non ha mai sentito parlare degli Zen Circus, quale sarebbe e perché?

“Questa è una domanda sleale per una band all’undicesimo disco! Scherzi a parte, ma mantenendo per vero che queste canzoni sono un po’ tutte figlie amatissime, e dar loro una priorità è un esercizio difficilissimo, opterei per L’Anima Non Conta, scelta invero paraculissima perché è oggettivamente uno di quei brani che è capitato in un modo o nell’altro fra gli ascolti di persone che non sapevano chi fossimo. Cosa del resto capitata anche a Viva, ma forse in minor misura.”

 

Con vent’anni di carriera alle spalle, la vostra musica è diventata decisamente intergenerazionale: come vi fa sentire sapere di arrivare ad un pubblico così ampio e soprattutto così diversificato?

“Ci fa sentire vecchi in prima battuta. Poi a ripensarci ci fa sentire fortunati. E una cosa compensa l’altra.”

 

L’anno scorso è stato parecchio importante per gli Zen Circus: i vent’anni di carriera, i dieci di Andate Tutti Affanculo, il libro e il festival di Sanremo. C’è qualcosa che vorreste dire oggi ai ragazzi del romanzo?

“Se incontrassi il “me” del romanzo ancora ragazzo, ho la netta sensazione (anche perché ci avevo riflettuto su questa eventualità) che non gli direi proprio nulla. Gli farei fare e dire tutto quello che ha fatto e detto, e gli lascerei tranquillamente l’opzione di darsi tutte quelle zappate nei piedi, perché è giusto che sia così. Sembra scontato, ma, soprattutto nel caso nostro, gli errori, gli svarioni, le esaltazioni insensate e le severe lezioni della vita hanno un loro senso fondante che ha reso unica e peculiare la nostra picaresca scalata al successo (!). E poi bisogna tenere a mente che già Marty McFly ha dimostrato ampiamente che col passato non si scherza…”

 

Francesca Di Salvatore

Tre Domande a: Vanbasten

Come stai vivendo questi tempi così difficili per il mondo della musica?

“Non amo le polemiche, cerco si sfruttare questo momento per migliorare, colmare le lacune che mi porto dietro avendo iniziato a suonare tardissimo e poi aspetto, mi preparo in silenzio, sperando che chi occupa le prime linee non pecchi di egocentrismo dando l’esempio ad una società completamente spaesata.” 

 

Come e quando è nato questo progetto?

Vanbasten prima era il nome della mia band, quella fondata con i fratelli di quartiere, fatta di urgenza di esprimersi e rabbia. Adesso invece Vanbasten sono io e mi sento come se portassi un’eredità importante, sono ancora la voce di chi ha creduto in me e la paura di deluderli mi dà tanta forza. Questo progetto, Canzoni che sarebbero dovute uscire tot anni fa il mio disco d’esordio, è un po’ come un film, sono cambiati tanti personaggi, ma la trama centrale non ha mai perso coerenza.”

 

Se doveste riassumere la vostra musica in tre parole, quali scegliereste e perché?

“Popolare: nel senso che sono un uomo del popolo e scrivo solo per lui.
Diretta: Odio le frasi subordinate, mi piacere mettere al centro solo quello che conta, senza orpelli lirici.
Reale: Scrivo solo quello che vedo, solo quello che posso dire di aver vissuto e consumato. Poi in modo onomatopeico vengono le melodie e gli arrangiamenti.”

Tre Domande a: Lucio Leoni

Come state vivendo questi tempi così difficili per il mondo della musica?

“Altalenando momenti di calma a momenti di disperazione. Siamo in bilico e con prospettive decisamente ridotte ma non ci piace lamentarci. Riguarda tutti dunque proviamo a immaginare modi nuovi per continuare a raccontare storie. Questo, crediamo, è il nostro compito. Siamo davanti una tabula rasa, e paradossalmente potrebbe essere più facile. C’è da immaginare il futuro nuovo per modelli di spettacolo e ridistribuzione delle ricchezze economiche e culturali. Noi siamo quelli che sanno usare la penna per scrivere, per disegnare, per immaginare e noi siamo chiamati a dare la spinta propulsiva necessaria, altrimenti si muore.”

 

Ci sono degli artisti in particolare a cui vi ispirate per i vostri pezzi?

“Abbiamo ascoltato molta musica per realizzare questo disco (Dove Sei lavoro pubblicato in due parti distinte nel corso del 2020, la parte 1 a Maggio e la parte 2 a Ottobre) e artisti anche molto distanti tra di loro. Ne abbiamo fatto una sintesi, la nostra sintesi. Negli ultimi tempi ci stiamo avvicinando sempre di più alle forme dello spoken word in cui i confini della forma canzone si dilatano e si trasformano. Artisti come Kae Tempest, Joyner Lucas, George the Poet, e mondi distanti che invece lavorano sull’assenza e sui vuoti come ad esempio Son Lux ci hanno fatto da faro. Dove sei è un progetto complesso, diviso in due parti è un lavoro che parte dal pensiero e dalla parola, poi diventa suono. Abbiamo invertito il metodo lavorativo e ragionato su come costruire sfondi sonori alle storie che volevamo raccontare provando a mantenere un immaginario coerente in entrambe le parti. Quello che ci interessava, più che una forma riconoscibile dal “mercato” era ottenere un lavoro organico che potesse anche allontanarsi dall’idea della canzone (nel particolare) e di disco (nel generale); abbiamo lavorato su forme diverse, più simili alla letteratura che non al classico approccio discografico.”

 

Progetti futuri? 

“Trovare alternative performative. La situazione ce lo impone e la condivisione del momento live non può fermarsi; deve modificarsi in armonia con quanto sta succedendo a livello globale. Stiamo immaginando trasformazioni e produzioni diverse che possano intersecarsi con intelligenza a questo momento. Come dicevo prima, c’è da immaginare il futuro. E’ completamente saltato il banco e chissà chi ritroveremo sopra e sotto il palco; le generazioni cambiano con una velocità impressionante ormai e ci sarà da confrontarsi con quella che verrà generata da questo momento di trasformazione gigante che stiamo attraversando. Inutile adesso far previsioni o lavorare sul presente, il presente è immobile e non possiamo ancora interpretarlo perché ci siamo dentro. Quello che possiamo fare è gettare il cuore oltre l’ostacolo e cominciare ad identificare i contorni del domani.”

Rancore @ Campus Industry

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• Rancore •

 

Campus Industry Music (Parma) // 03 Maggio 2019

 

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 Foto: Mirko Fava

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Grazie a Big Time

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La Rappresentante di Lista @ Bronson

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• La Rappresentante di Lista •

 

G O   G O   D I V A   T O U R

 

Bronson (Ravenna) // 02 Marzo 2019

 

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Sono trascorsi circa tre mesi dal festival organizzato da Woodworm al Bi Nuu di Berlino. Un evento unico nel suo genere che ho avuto la fortuna di vivere dalla prima fila e a cui hanno preso parte gli artisti più influenti dell’etichetta.

In due giorni di musica e condivisione, sono saliti sul palco nomi del calibro di Fast Animals and Slow Kids, I Ministri, Motta.

Proprio in apertura al concerto di Motta, ho avuto una folgorazione: è entrata in scena una figura femminile dai lunghi capelli neri, scintillante nella sua tuta rossa, attillata, cosparsa di brillantini.

Con lei, alla sua destra, il fidato compagno: voce, chitarra e basso. Con loro, una band di musicisti formidabili.

Un’onda di energia e un boato emotivo che ho percepito quando sono partite le prime note di uno dei brani del nuovo disco, presentato lì in anteprima. Un inno dedicato al corpo, tema così intimo e delicato per me. Un corpo descritto come scrigno di vita, scenario di cambiamenti, fonte inesauribile di forza.

Un corpo descritto come, forse, non ero mai riuscita a sentirlo e che, finalmente, ho percepito di nuovo mio. Si è creato così il mio legame profondo, sigillato da pancia a pancia da un cordone ombelicale, con La Rappresentante di Lista.

La band, nata nel 2011 dall’incontro tra Veronica Lucchesi e Dario Mangiaracina, è protagonista del fortunato tour di Go Go Diva, terzo lavoro in studio pubblicato lo scorso 14 dicembre e anticipato dall’uscita del singolo Questo Corpo.

Un album che ho ascoltato ininterrottamente e una data, quella al Bronson di Ravenna di sabato 2 marzo, che avevo cerchiato, non appena resi noti tutti gli appuntamenti e le location.

Location che si è riempita giusto in tempo per l’arrivo sul palco di Dario, vestito della sua Sicilia, in un competo di lino grigio.

Subito dopo Enrico Lupi alle tastiere, alla tromba e ai synth, Marta Cannuscio al sorriso, al flauto magico e alle percussioni, Erika Lucchesi alla chitarra e sassofono e il batterista Roberto Calabrese, importante new entry.

Su luci offuscate e cori polifonici, si staglia la voce di Veronica, ancora dietro le quinte, ad intonare, per un’apertura solenne, Gloria. Quando appare, in tutta la sua presenza scenica, il pubblico esplode, si fa ancora più vicino, più attento, più caloroso.

La prima parte del live è dedicata ai nuovi pezzi di Go Go Diva, che si susseguono uno dopo l’altro, in un’atmosfera sospesa, onirica, ricreata da sapienti giochi di luce sullo sfondo a tinte argentate.

Uno spettacolo ben strutturato, completo, coinvolgente. Su basi derivanti direttamente dal teatro, quella costruita da La Rappresentante di Lista è una vera e propria performance: lei canta in modo sublime, tra tecnica e un’incredibile spontaneità, danza, recita, parla con tono pacato, consapevole.

Ci sono momenti in cui ci sentiamo così giù da pensare di aver toccato il fondo. In quei momenti sono i nostri organi a venirci in aiuto, il nostro sentire. A chi ci vuole sempre deboli, a chi ci vuole sempre forti. A chi ci vuole vinti. Perché a vincere, sia invece, la vita, il desiderio. Perché a vincere sia Questo corpo”. In quel frangente, il tempo si è fermato.

Ho ascoltato ad occhi chiusi, lucidi, parola per parola, trasportata dal suono violento delle chitarre, dalle distorsioni dei sintentizzatori, dai colpi della batteria in linea con i battiti del mio cuore. La ruota ha compiuto il suo giro.

Siamo Ospiti apre ad un sipario politico e sociale, coerentemente all’impegno che la band ha sempre dimostrato.

Tutti i componenti indossano la maglia di Sea Watch, organizzazione umanitaria senza scopo di lucro che svolge attività di ricerca e salvataggio nel Mediterraneo.

Un accorato invito a sentirci tutti ospiti dello stesso mondo e ad essere porti aperti, come esseri umani. Stessa matrice per Panico, canzone dedicata ai fatti accaduti a Piazza San Carlo a Torino nel giugno 2017.

Un’emozionante esecuzione in acustico, che sottolinea l’accostamento di grande effetto tra immagini di terrore e l’idea di una festa distorta e che termina in una risata sarcastica, quasi rassegnata.

Nel finale, scoppia The Bomba. Si salta, si balla, in un’evoluzione ai limiti del punk! Dario lancia la giacca e suona sulle casse, sopra la prima fila. Veronica duetta con la sorella Erika, per una carica elevata al quadrato.

Nell’apparente finale, perché i sei salutano ed escono per pochi minuti. A rientrare, in realtà, è solo Mangiaracina.

Con l’unico strumento della voce, intona un verso: “Quando passo in via degli uomini mi sento sempre la protagonista, alle prossime elezioni sarò io La rappresentante di lista”. Cantiamo con lui il brano manifesto del gruppo, contenuto nel primo LP del 2014, Per la via di casa. In un attimo, sembra davvero di camminare, in corteo, per le strade di un paese con l’obiettivo di far valere le proprie idee.

Ecco riapparire anche Veronica che sorride, divertita, a questo momentaneo scambio di ruoli. Sono di nuovo tutti sul palco, per un bis all’insegna della solennità. Scorrono fluide, malinconiche, intime Un’isola, Woow e Mina vagante.

Dai siderali spazi del cielo attraverso cui “volerò come una bomba sulla casa che ho sognato/ volerò come una rondine/ dalle strade grideranno primavera”, lo sguardo torna, appunto, sulle strade.

Quelle vie di Coventry percorse, in completa nudità, a cavallo, dalla figura novecentesca di Lady Godiva, musa ispiratrice de La Rappresentante di Lista. Ella pare materializzarsi, all’eco finale di urla di libertà della cantante, al grido sciamanico di “Corri Diva, sei libera! Vai Diva, Go Diva!”.

Poi, proprio come a teatro, le luci, di colpo, si spengono.

Ad essere illuminato per qualche secondo è l’abbraccio riconoscente di tutta la band.

Un abbraccio che racchiude la profonda umanità, l’occhio sempre attento alle relazioni umane, ai sentimenti, alla femminilità e all’attuale necessità di fare la differenza, nel quotidiano, che contraddistinguono La Rappresentante di Lista.

È il suo non riuscire a trattenere, quello che ha voglia di dare. E a noi, sabato, è arrivato tanto.

È arrivato tutto.

 

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Grazie a Big Time

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]

Testo: Laura Faccenda

Foto: Luca Ortolani

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1551662546946{padding-top: 10px !important;padding-bottom: 0px !important;}”][vc_column][edgtf_image_gallery type=”masonry” enable_image_shadow=”no” image_behavior=”lightbox” number_of_columns=”three” space_between_items=”tiny” image_size=”full” images=”12002,12016,12000,12011,12009,12001,12015,12006,12010″][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1551662557744{padding-top: 0px !important;padding-bottom: 0px !important;}”][vc_column][edgtf_image_gallery type=”masonry” enable_image_shadow=”no” image_behavior=”lightbox” number_of_columns=”three” space_between_items=”tiny” image_size=”full” images=”12014,12003,12004,11999,12013,12012,12007,12005″][/vc_column][/vc_row]

Giorgio Canali & Rossofuoco @ Kalinka

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• Giorgio Canali & Rossofuoco •

Kalinka Arci (Carpi) // 07 Dicembre 2018

 

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Faccio subito una premessa: sono di parte.

Ciò non significa che non sarò obiettivo nel racconto di quello che ho vissuto ma, semplicemente, sono convinto che per raccontare bene una storia la devi vivere, conoscere, devi prendere posizione, come fosse un reportage di guerra; ti ci devi immergere.

Ed è quello che ho fatto mentre fotografavo Giorgio Canali & Rossofuoco al Kalinka Arci di Carpi questo venerdì, ed è quello che sto facendo ora mentre scrivo queste righe.

Sono arrivato al Kalinka senza alcuna aspettativa, nonostante conosca Giorgio e la sua musica corroborante e intensa da anni ormai.

Sono le 22,30, il club si riempie lentamente ed attendo l’inizio dei concerti con qualche immancabile birra. Opening act è Prevosti, un ragazzo di Vicenza munito di acustica e la sua voce tranquilla ma sicura.

Inizia dopo circa un’ora, qualche brano e inaspettatamente salgono sul palco Giorgio Canali e Steve Dal Col per accompagnarlo in un paio di pezzi.

Poi torna il buio e il silenzio, che precederà l’inizio del concerto dei Rossofuoco. L’ultimo album della band, di cui spero di poterne parlare a parte, ha un titolo insolito e sinistro e pare uno schiaffone diretto che lascia poco spazio all’immaginazione: “Undici canzoni di merda con la pioggia dentro”.

E allora l’intro non poteva che essere un suono sordo e costante di tuoni e pioggia. Ma senza merda.

Giorgio e la band salgono on stage, è tutto rosso e tutto nero, atmosfera lisergica.

Alla batteria troviamo il solito “martello” Luca Martelli (Litfiba, Atroci e Mezzosague, ndr) batterista dei Rossofuoco dagli esordi, poi Marco Greco, altro storico componente, al basso mentre alla seconda chitarra Steve Dal Col (già Frigidaire Tango).

Si parte subito con i pezzi del nuovo album, Aria Fredda del Nord e la sarcastica e lucida Piove Finalmente Piove.

Gli avventori del Kalinka sono un gruppo eterogeneo di tutte le età, dai vecchi aficionados dei CCCP e CSI alle “nuove leve” pronti a farsi spettinare dalle chitarre noise di Canali e dal trapano instancabile di Martelli.

Giorgio è senza ombra di dubbio in forma, forse come non lo avevo mai visto prima e le canzoni si susseguono veloci. In scaletta molti pezzi dal nuovo album, intervallati da qualche inaspettato brano; fuori molte perle che in realtà non mi sarebbe dispiaciuto sentire.

Emilia parallela, lampante richiamo a quella paranoica dell’ex compagno (in tutti i sensi) Ferretti, è una mitragliata sanguinante e meravigliosa dalla quale, ebbene sì, la merda in faccia ti arriva!

Poi Messaggi a Nessuno calma le acque e ci trasporta nel mondo di Canali e delle sue parole. Parole che conosciamo tutti ma che evidentemente lui riesce a darne un ordine tale e un senso che ti viene da dire: porca di quella puttana!

Parafrasando Agnelli verrebbe da dire: ho tutto intesta ma non riesco a dirlo. Ecco. Canali ci riesce benissimo invece.

L’italiano è una lingua meravigliosa e Canali, tra una bestemmia e un “merda” ne è pieno padrone. Insomma frasi come “..puoi inseguire le nuvole che corrono incontro al loro destino, precipitare leggero come la pioggia di Marzo, sperando di caderti vicino” hanno un potere incredibile, disarmante e non puoi che rimanerne rapito, avvolto.

Pelle d’oca.

Lo show continua veloce e graffiante, i suoni sono ottimi, la voce di Giorgio è chiara e la rabbia, la denuncia, il rifiuto escono tutte insieme in un amalgama di suoni e luci e parole.

Parole sì, le parole sono importanti. Canali non le manda a dire. E non ama particolarmente i cori!

Lo noto in particolare a fine concerto, quando partono le note di Precipito, brano che amo, conosciuto praticamente da tutti i presenti, che si lasciano andare in cori da stadio.

Ebbene succede che Canali cambia le dinamiche vocali, anticipando o posticipando i versi spiazzando tutti noi. Fanculo i cori, io la canto come cazzo mi pare, sta pensando Giorgio! Quel burbero buono di Giorgio!

Tanto burbero da incazzarsi alle richieste del pubblico di suonare questo o quel pezzo: “Non sono un cazzo di jukebox”, tuona al microfono!

Ma poi alza il calice e brinda con noi!

E così si arriva alla fine, dopo quasi una ventina di brani, intensi, diretti come coltellate, senza ruffianismi ma con la sincerità che da sempre lo contraddistingue.

Come ho scritto all’inizio sono di parte, è vero, ma è incontrovertibile che Giorgio Canali e i Rossofuoco siano una delle realtà più apprezzabili e genuine della scena musicale italiana.

Canali ha ancora molto da dire e con questo nuovo album e questo concerto lo ha dimostrato, se mai ce ne fosse stato bisogno.

Si meriterebbe sicuramente l’ascolto di un pubblico più vasto ma che importa, va bene così e ce lo prendiamo con il suo pessimismo urticante e verace, o come lo definisce lui stesso “nichilismo cosmico”.

Fanculo i compromessi, fanculo i buonismi, fanculo il politicamente corretto, fanculo il mainstream, fanculo tutto e fanculo anche a questa recensione che dice e tutto e dice niente.

Ma soprattutto, vaffanculo le cicale (cit.)

 

SETLIST (accurata al 99%)

intro
Aria fredda del nord
Piove Finalmente Piove
Morire di Noja
Verita la Verità
Estaate
Falso Bolero
Undici
Emilia Parallela
Come Quando Fuori Piove
Messaggi a Nessuno
Fuochi Supplementari
Mostri sotto al letto
Ci Sarà
Vai Vai
1000
Bostik
Lezioni di Poesia
Nuvole senza Messico
Lettera del compagno Lazlo al colonnello Valerio

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Foto e Testo: Siddartha Mancini

 

Grazie a Locusta Booking e Big Time[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1503314301745{padding-top: 10px !important;padding-bottom: 11px !important;}”][vc_column][edgtf_image_gallery type=”masonry” enable_image_shadow=”no” image_behavior=”lightbox” number_of_columns=”three” space_between_items=”tiny” image_size=”full” images=”10168,10169,10170,10181,10175,10183,10171,10186,10178,10172,10173,10174,10184,10176,10177,10179,10180,10182,10185″][/vc_column][/vc_row]

The Zen Circus

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The Zen Circus @ Estragon Club – Bologna // April 13, 2018

 

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Thanks to Big Time Ufficio Stampa per la Musica

 

 

 

 

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Willie Peyote

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Willie Peyote @ Teatro Verdi – Cesena // April 6, 2018

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Thanks to Retro Pop Live, Antenna Music Factory and Big Time Ufficio Stampa per la Musica

 

 

 

 

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