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Tag: conza press

Tre Domande a: Anna Soares

Se dovessi riassumere la tua musica con un tre parole, quali sceglieresti e perché?

Viscerale: per me è essenziale che quel che produco a livello sonoro entri completamente dentro chi ascolta, che lo percepisca a livello fisico, oltre che emotivo. Campionare il suono della cintura che mi percuote, un mio orgasmo o il suono del vento tra gli alberi mi consente di passare delle informazioni puramente fisiche che il solo blend tra ritmica, armonia e melodia a volte non riesce ad esprimere.
Intellettuale: sono consapevole che i miei lavori non siano per tutti e non lo ritengo un problema. Ci sono persone che amano fruire della musica come se fosse cibo, ingurgitando bocconi più o meno grandi, più o meno buoni, sta al mero giudizio personale trarne conclusioni e giudizi. Io amo mantenere l’attenzione alta nel cogliere citazioni filosofiche, antropologiche, legate alla più alta forma della sessualità: la sua culturalizzazione.
Eccitante: sembra quasi scontato, ma dal momento che la mia musica parla di sesso e, nello specifico, di un approccio sacrale alla sfera sessuale, è naturale che chi ascolta e ci si immerge senta quel brivido lungo la schiena, quasi assimilabile alla sensazione del flirt, della seduzione, del gioco di sguardi. Una cosa molto buffa e molto carina che mi è stata detta da più persone è stato il loro sentirsi “esposti” mentre ascoltavano i miei brani in cuffia in pubblico. Quasi come se il loro linguaggio del corpo tradisse un’eccitazione irrefrenabile. È stato molto bello prenderne consapevolezza. 

 

Cosa vorresti far arrivare a chi ti ascolta?

Oh, molte, moltissime cose. Vorrei che le persone potessero percepire e sentire se stesse all’interno di un quadro più ampio, abbracciando chi sentono di essere al di là di quel che è stato detto loro dovessero essere. A partire dal loro aspetto, fino ad arrivare ai loro desideri più profondi e radicati, passando per la consapevolezza del non aver controllo su molti aspetti della realtà e dell’esistenza. Vorrei che si sdoganasse a livello socioculturale un certo approccio ipermorlista rispetto ai temi tabù della nostra epoca, instaurando un dialogo più ampio, e che includa le nuove generazioni e le loro tematiche. Vorrei che le persone fossero in generale più serene rispetto alle aspettative della società, che si concedessero di lasciar andare e di lasciarsi andare, assecondando luoghi interiori che hanno un loro peso specifico. Poi, si, sarebbe anche meraviglioso che in Italia si variasse un po’ con l’estetica musicale di quel che viene proposto da oltre 30 anni, sempre uguale a se stesso tranne per rarissime eccezioni. 

 

Quanto punti sui social per far conoscere il tuo lavoro? Ce n’è uno che usi più di altri?

Penso che i social attualmente siano la vetrina più sensata e più a portata di mano per chiunque voglia proporre un proprio lavoro artistico. Li utilizzo, sono parte di quel frullatore gigante come tutti, anche se vivo il rapporto con i social in modo duale e idiosincratico. Trattando tematiche legate alle sessualità alternative spesso incorro in problemi legati a segnalazioni di persone che apparentemente non apprezzano la mia faccia di bronzo nel dire delle cose in modo chiaro e schierato. O forse non apprezzano la mia autodeterminazione nel rappresentarmi libera e fiera, chissà. Vedo la faccenda in un quadro più sfaccettato, quindi non direi che “punto” sui social per far conoscere il mio lavoro, piuttosto, sento l’esigenza di occupare uno dei pochi spazi che mi sono concessi per creare consapevolezza. Poi, se le persone decideranno di ascoltare quel che faccio, mi prenderò anche uno spazio sonoro. La musica è un veicolo attraverso il quale creare magia, non il fine ultimo. Cheers! 

Tre Domande a: I Sospesi

Cosa vorreste far arrivare a chi vi ascolta?

Passare il messaggio dell’album Tentativi ed Errori che racconta chi vive la sua vita come un fallimento continuo. Di chi è esausto dei paragoni con gli altri, delle pressioni esterne ed interne. Della cultura performativa a cui siamo sottoposti quotidianamente. Esiste un’alternativa alla Hustle Culture ed è fare la scelta emotiva: non basare la propria esistenza ed essenza sulle performance perchè una lista di obiettivi raggiunti dice di noi cosa abbiamo fatto ma niente di chi siamo davvero.

 

Se doveste scegliere una sola delle vostre canzoni per presentarvi a chi non vi conosce, quale sarebbe e perché?

Sarebbe Attitudine, la traccia conclusiva del disco. Esprime a pieno il senso di disagio e di fallimento che proviamo noi e la nostra generazione.
Il brano è stato scritto raccontando le sensazioni ed emozioni di una persona che si trova davanti al fatto compiuto di sentirsi in ritardo con la propria vita. Capisce di aver allungato determinate tappe che per la società hanno una scadenza ben precisa come il terminare gli studi, il trovare un lavoro, il fare una famiglia… Questa presa di coscienza viene colta come un ostacolo invalicabile: non esiste una soluzione e non esiste una via d’uscita, non puoi riavere indietro il tempo “sprecato”.
Questo brano non ha un lieto fine perchè queste emozioni non seguono lo storyboard classico del “riscatto”. L’unica salvezza è il prenderne atto e capire che non si è sbagliati se si ha vissuto una storia anche solo in qualche dettaglio simile. La richiesta della società è troppo elevata per poter essere esaudita da ogni individuo e per questo si abbandonano aspetti della vita fondamentali come vivere emotivamente o inseguire i sogni e le passioni a discapito delle performance.

Qual è la cosa che amate di più del fare musica?

Fare musica ti permette di entrare in contatto con persone che vivono esperienze simili alle tue e attraverso le parole che scrivi, in una canzone, è come se ti aprissi nei loro confronti e di conseguenza loro nei tuoi. Trovare, appena scesi dal palco, persone che corrono ad abbracciarti e ringraziarti perchè quella canzone parla proprio di loro non è solo empatia ma sembra proprio di conoscersi da molto.

Tre Domande a: Rumba de Bodas

Come e quando è nato questo progetto?

I Rumba De Bodas nascono nel 2008 tra i banchi di scuola di Bologna, quando otto amici strimpellatori decidono di mettere su una band con la voglia di fare musica e far ballare gli amici. Non a caso il primissimo concerto della band è stato il 4 aprile del 2008 in occasione della Festa delle Scuole organizzata al TPO di Bologna e per la prima volta il nome Rumba De Bodas è comparso sui manifesti! E in quel momento il destino era ormai scritto: quando per la prima volta vedi il pubblico ballare e scatenarsi sotto al palco non puoi più farne a meno, e infatti non siamo mai riusciti a smettere. E così da 14 anni a questa parte la nostra missione ad ogni concerto è sempre la stessa: far ballare e divertire la gente con la nostra musica, essere spensierati e sempre verdi!

 

Cosa vorreste far arrivare a chi vi ascolta?

A dire il vero non ci siamo mai sentiti paladini di una causa nello specifico, abbiamo sempre lasciato parlare di più la musica che noi stessi. Sicuramente ciò che ci ha sempre ispirato è stato il senso di libertà che la musica può trasmettere, sia attraverso le parole che semplicemente attraverso il suo manifestarsi, che sia in un concerto, in sala prove, in studio o nel semplice ascolto. Per noi avere la possibilità di fare musica e di condividerla con gli altri significa portare più libertà nel mondo e permettere alle persone di farne esperienza. È questo che vogliamo trasmettere, alla fine. 

 

Se doveste scegliere una sola delle vostre canzoni per presentarvi a chi non vi conosce, quale sarebbe e perché?

Mmh, la scelta è davvero ardua! Siamo indecisi tra due: da un lato, Into The Wild, dall’album Karnaval Fou, che è il pezzo che ci ha portato più soddisfazioni a livello di live. È ormai tradizione che il pubblico canti con noi il ritornello, che è facile da capire anche se non si ha mai sentito il brano, e ci carichiamo un botto quando siamo sul palco e sentiamo il pubblico cantare a squarcia gola!
Dall’altro il nostro brano più rappresentativo è l’omonimo pezzo Rumba De Bodas, il primo brano del primo album, Just Married. Il testo è un vero e proprio manifesto su che cosa significa essere un Rumba, un inno a cui ancora tutt’oggi siamo fedeli!

Tre Domande a: Sena

Se dovessi riassumere la tua musica con un tre parole, quali sceglieresti e perché?

Le prime due parole che sceglierei sarebbero la coppia anagrammatica ironica/onirica. Trovo che siano molto appropriate perché la mia musica è ironica e onirica al tempo stesso, così come lo sono io. Toni Servillo, il mio singolo d’esordio in uscita il 20 settembre, è un brano onirico già a partire dal sound, morbido, sospeso e letteralmente anacronistico, nel senso di fuori dal tempo; le immagini cantate nelle strofe sono in qualche modo dei flash onirici, al limite fra sogno e realtà. Ma il verso iniziale del ritornello, quello che dà il titolo al brano, non può che essere preso con ironia. “E allora dillo… come farebbe Sorrentino senza Toni Servillo?” è la frase che spezza l’atmosfera onirica del brano e, all’interno di una canzone fondamentalmente malinconica, può strappare un sorriso, pur racchiudendo in sé tutto il senso del brano; una metafora che lì per lì fa ridere, ma fa anche riflettere. Ecco, penso che questa definizione di ironica/onirica si adatti bene anche ad altri brani (che usciranno prossimamente!) e alla mia musica in generale.
Una terza parola che sceglierei, su due piedi, sarebbe pop. Un aggettivo semplice che oggi forse non vuol dire più nulla, ma al quale penso che la mia musica possa essere collegata, sia come genere musicale (se è mai esistito il genere pop), sia per il significato etimologico, quindi popolare, ma non tanto nel senso di mainstream (in quel senso è solo una definizione numerica ed è il pubblico che sceglie cosa sia pop e cosa no), piuttosto nel senso di vicina alla mia quotidianità e quindi alla quotidianità delle persone; le mie in fondo sono canzoni semplici e quotidiane, quindi, in questo senso, pop.

 

Qual è la cosa che ami di più del fare musica?

La cosa che amo di più del fare musica è la possibilità di esprimermi, e di farlo senza alcun tipo di limite o regola. Scrivere una canzone è dare forma concreta ad una sensazione, un concetto, un pensiero, un sogno inesprimibile altrimenti, non basterebbe la sola parola, non basterebbe la sola melodia; è un po’ come costruire qualcosa che non c’era prima, ma di cui in qualche modo ho sempre percepito o intuito la presenza. Diciamo che, in generale, la musica è il modo che per ora trovo più efficace, fra quelli che avevo a disposizione, per esprimere quello che sono e che sento; credo sia semplicemente un modo per auto-affermarmi per dire qualcosa che magari non interesserà a nessuno, ma speriamo che a qualcuno sì. Se quello che scrivo toccherà anche solo una persona avrò raggiunto il mio obiettivo.

 

Progetti futuri? 

Visto che il pezzo in uscita il 20 settembre si intitola Toni Servillo e parla della coppia artistica Sorrentino – Servillo non posso che citare una frase di un film che li vede protagonisti “Progetti per il futuro: non sottovalutare le conseguenze dell’amore”. Scherzi a parte, ho tantissimi pezzi scritti in questi anni, alcuni anche già prodotti dal maestro Taketo Gohara e suonati con musicisti d’eccezione (Alessandro Asso Stefana, Niccolò Fornabaio, Francesco Colonnelli) non vedo l’ora che escano così che il mio progetto prenda finalmente forma anche all’esterno. I brani confluiranno in un album o EP e ci sarà anche un tour.

Tre Domande a: YLYNE

Come stai vivendo questi tempi così difficili per il mondo della musica? 

Per fortuna sembra che l’attività della musica dal vivo sia finalmente ripresa a pieno regime, o quasi. Negli ultimi mesi sto suonando abbastanza in giro, cosa che non avveniva da tanto. Per il resto, ho vissuto questo periodo assurdo dedicandomi alla produzione di musica (mia e di altri musicisti con cui collaboro), studiando parecchio (in particolare chitarra classica e produzione musicale) e insegnando. 

 

Come e quando è nato questo progetto? 

Il progetto YLYNE è nato nei primi anni ‘10 per dare voce ad una parte di me che fino ad allora non aveva trovato espressione: in quel periodo ero immerso nel jazz, ma avendo una forte passione per la musica elettronica, ho deciso di creare un progetto parallelo che esplorasse quel mondo.
Nonostante sia partito inizialmente come DJ, in breve mi sono appassionato alla produzione audio ed ho iniziato a comporre brani originali, portando in giro live-set unicamente strutturati sulla mia musica: è un approccio che sento più coerente rispetto alla mia visione della musica, anche se ho sempre il pallino del DJ set… magari un giorno lo farò.

 

Quanto punti sui social per far conoscere il tuo lavoro? 

Credo di conoscere abbastanza bene il mondo dei social (per vari motivi che non vado ad approfondire, eh eh) e posso dire che per i miei progetti musicali probabilmente punto (troppo?) poco su questo aspetto: ma ho delle motivazioni (oltre la pigrizia).
Il seguito creato unicamente sui social rimane sempre molto (MOOOLTO) meno reale di quello creato “facendosi il mazzo” con i live, andando in giro e confrontandosi con mille faccende concrete, a volte spiacevoli.
Attraverso contenuti accattivanti, sponsorizzate fatte ad hoc e tecniche di marketing varie (più o meno etiche), puoi raggiungere tantissime persone e riuscire ad aumentare i tuoi numeri: per carità, questi mezzi a mio avviso, sono utilissimi, ma devono essere complementari ad una “strategia” di presenza “nella vita reale”.
Purtroppo, è molto più facile spendere 100 euro per sponsorizzare un bel video, stando a casa a guardare i numeri crescere, che andare in giro a suonare in posti vari (non sempre ideali) o passare giornate ad organizzare un tour che, se riuscite a fare, verosimilmente vi permetterà di raggiungere molte meno persone rispetto alla sponsorizzata.
Questa condizione evidentemente sbilanciata, rischia di far cadere nell’illusione che, per “farcela” (?), sia sufficiente investire le proprie risorse sui parametri social, comodamente da casa; magari, sarebbe bellissimo, ma la realtà è ben diversa.
Potrei parlare ore di questo argomento, ma, in sintesi, credo la strategia migliore di promozione oggi sia fatta al 70% nella “vita reale” e 30% sui social.  

Tre Domande a: Antonio Palumbo

Ci sono degli artisti in particolare a cui ti ispiri per i tuoi pezzi?

Musicalmente sono onnivoro e mi lascio ispirare da tutto: shazammo in continuazione pezzi che sento in giro perché magari rimango colpito da una linea di basso, da una progressione armonica, da una particolare soluzione di arrangiamento. Se prima la mia musica aveva dei riferimenti più chiari (Bon Iver, Niccolò Fabi, John Mayer) ora faccio più fatica ad individuare una sola fonte di ispirazione. Ho appena finito di scrivere un intero disco ed è abbastanza variegato: dentro ci sono synth anni ‘80, ritmiche tribali, sonorità contemporanee, suoni acustici. Non so ancora bene dove mi porterà la produzione ma penso sia un lavoro libero, come mai mi è capitato prima. Posso dire quindi di ispirarmi a tutti quegli artisti che fanno della libertà una bandiera.

 

Cosa vorresti far arrivare a chi ti ascolta?

Ognuno nelle canzoni ci legge ciò che vuole: è una banalità ma credo di averla realmente compresa solo negli ultimi tempi. Quello che spero possa capire chi mi ascolta è quanto per me la musica sia realmente una cosa seria e identitaria: la musica non è la mia fonte di sostentamento primaria ma è la cosa che faccio da più tempo e che penso farò finché mi reggerò in piedi.

 

Progetti futuri?

Due: produrre questo disco che ho tra le mani, per me prezioso perché nato spontaneamente e liberamente. Voglio trovare il produttore con la giusta visione per queste canzoni. E poi trovare formule nuove per tornare a suonare dal vivo: una residency? Una serie di feste? Devo ancora capire cosa funziona meglio per la mia musica e per la mia età, conto di farlo presto.

Tre Domande a: The 24 Project

Come e quando è nato questo progetto?

Dopo anni in cui ho suonato come tastierista/pianista in numerosi gruppi avevo la necessità di intraprendere un mio percorso personale in cui potermi esprimere musicalmente al 100%. Già da anni producevo musica strumentale ma solamente nel 2019, con la pubblicazione del mio primo EP Dreamer, nasce The 24 Project.

 

Ci sono degli artisti in particolare a cui ti ispiri per i tuoi pezzi?

Due artisti che per me sono dei veri pilastri del genere sono Bonobo e Four Tet, fanno entrambi parte della scena della musica elettronica internazionale. Un altro artista che fa parte di quest’ambiente a cui mi ispiro molto è Jon Hopkins. Tuttavia avendo suonato per molto tempo in diverse cover band ho comunque influenze musicali che provengono da molti generi.

 

Progetti futuri?

In questo periodo sto producendo nuova musica che spero di poter farvi ascoltare molto presto, inoltre sto lavorando per portare il mio progetto anche in situazioni live, spero già nella stagione invernale. 

Tre Domande a: Daniele Meneghin

Come stai vivendo questi tempi così difficili per il mondo della musica?

I tempi in cui viviamo sono davvero particolari, ed è innegabile il fatto che le possibilità di fare cassa con la musica si sono ridotte molto. Penso però che non dobbiamo perdere di vista che fare musica, emozionarci con la musica sia una libertà che nessuno ci ha tolto, bisogna trovare modi diversi, ma la musica c’è, ed è sempre pronta a darci un sorriso, un’emozione, un conforto. 

 

Se dovessi riassumere la tua musica in tre parole, quali sceglieresti e perché?

Sincera. Non ho mai fatto canzoni perché dovevo farle, ho sempre scritto quando ne avevo la voglia e la necessità, esprimendo il mio personale modo di vedere e vivere il mondo.
Radicata. Le mie canzoni parlano di me e di quello che vedo mentre vivo, quindi sono lo specchio del mio quotidiano ben radicato nella mia area geografica che è il Nord Est.
Libera. La mia musica sono io, senza mediatori, senza stare tanto a pensare chi devo accontentare o no, libera nei concetti, libera nella forma.

 

Se dovessi scegliere una sola delle tue canzoni per presentarti a chi non ti conosce, quale sarebbe e perché? 

Siamo Uomo dal mio ultimo album Gesto Atletico uscito per Adesiva Discografica. Il brano è un autoritratto indiretto e racconta delle difficolta da superare per rendere il quotidiano speciale. Nell’intero album ci sono dodici piccoli gesti atletici raccontati in altrettante canzoni, Siamo Uomo ne è il capolista, anche per questo è stato il primo singolo uscito a rappresentare tutto il lavoro.

Tre Domande a: Guzzi

C’è un artista in particolare con cui ti piacerebbe collaborare?

Ciao ragazzi! Se proprio devo scegliere un artista solo scelgo Mobrici. Lo seguo dai tempi dei Canova e mi rivedo tantissimo in quello che scrive e nella maniera in cui si racconta. Credo che sia un cantautore vero, uno di quelli che seguono ancora le scie delle canzoni per vocazione.

 

Se dovessi scegliere una sola delle tue canzoni per presentarti a chi non ti conosce, quale sarebbe e perché?

Se dovessi scegliere un brano per raccontarmi al meglio punterei tutto su La Notte Porta Consiglio, perché forse è quella che racconta al meglio un potutto di me, ironico ma anche malinconico, socievole ma a tratti disperatamente bisognoso di solitudine. La solitudine quella buona però, quella che poi ti fa apprezzare di più la compagnia degli altri.

 

C’è un evento, un festival in particolare a cui ti piacerebbe partecipare?

Sogno il festival di Sanremo da tutta la vita. Penso che se mi chiedessero due dita della mano in cambio di una partecipazione al Festival accetterei in meno di un minuto.
Ho avuto la fortuna di arrivare tra i finalisti di AreaSanremo due anni fa, ma il fatto di non aver vinto forse mi ha fatto capire ancora di più quanto in realtà io desideri partecipare al festival italiano per antonomasia. Sanremo per un musicista è come Wimbledon per un tennista, parteciperesti anche se sapessi in anticipo di arrivare ultimo!

Tre Domande a: Ave Quasàr

C’è un artista in particolare con cui vi piacerebbe collaborare?

Il primo artista che mi è venuto in mente è Caterina Barbieri. Siamo legati alla musica strumentale e lei è meravigliosa sia dal punto di vista della ricerca che da quello della scrittura. Mi piacerebbe molto far curare un brano da una musicista così distante dalla forma canzone pop. La voce è un suono ma il significato delle parole la posiziona sempre su un piano di ascolto immediato. Mi piacerebbe vivere un’esperienza di produzione della voce insieme ad un musicista che si occupa principalmente di musica strumentale, sarebbe sicuramente un percorso nuovo e pieno di sorprese. 

 

Se doveste scegliere una sola delle vostre canzoni per presentarvi a chi non vi conosce, quale sarebbe e perché?

Direi FollaFoglia perché è la canzone che rappresenta al meglio il nostro presente ma anche il nostro futuro.

 

C’è un evento, un festival in particolare a cui vi piacerebbe partecipare?

Beh, sono tanti i festival a cui ci piacerebbe partecipare. Quest’anno siamo orgogliosi di presenziare ad Inchiostro Festival. Sonorizzeremo le battle tra illustratori la sera del 4 Giugno. Andate a cercarlo e rimanete aggiornati: http://www.inchiostrofestival.com
È un festival che accoglie tra i migliori illustratori, calligrafi, artisti e stampatori d’arte dall’Italia e dall’estero.

Tre Domande a: Bipolar

Come stai vivendo questi tempi così difficili per il mondo della musica?
Penso che la pandemia abbia danneggiato molti più artisti affermati che emergenti, l’attenzione sui social e la fame di nuovi contenuti era talmente alta che ha favorito tutte quelle figure che “non avevano niente da perdere”, quindi senza album in uscita, in-store o un tour.

 

Se dovessi riassumere la tua musica in tre parole, quali sceglieresti e perché?

Nostalgica, dettagliata e vera. Non riesco a scrivere un concetto o una situazione se non la vivo in prima persona. Con la musica riesco ad esprimermi al 100 %. Non sempre mi trovo a mio agio tra la gente, ma quando sto in studio a registrare, o scrivo qualcosa di nuovo che poi registro, mi sento vivo, e soprattutto vero.

 

Quanto punti sui social per far conoscere il tuo lavoro?

I social sono necessari ma non sono tutto. Servono a condividere l’immaginario e non a crearlo. Ultimamente le persone si lasciano trasportare dai social, e da quello che vedono. Se ci pensate, non tutti i social sono specchio di verità quanto lo sono altri momenti, come un live, o un talk show. I social, ad esempio instagram, rappresentano solo i successi e la parte più bella delle persone, ma nascondono i fallimenti. È importante avere un programma di utilizzo, ma non puntare tutto su questo.

Tre Domande a: problemidifase

Se dovessi riassumere la tua musica in tre parole, quali sceglieresti e perché?

Sogno: sono molto legato ai sogni che faccio. Mi hanno sempre influenzato molto, nel bene e nel male. Spesso la dimensione che cerco di raggiungere quando scrivo e arrangio le canzoni è simile a quella dei sogni che faccio: astratta, a tratti incomprensibile. Questa mia ricerca, nell’EP di problemidifase RISTORANTE / ALBERGO / CROCE si palesa nel brano Carmine ma soprattutto in Mascara.
Nostalgia: non credo che per me ci sia un sentimento più forte e coinvolgente della nostalgia. A volte è logorante, molto spesso dà dipendenza, in generale adoro sprofondarci. Che sia lei a darmi l’ispirazione per i miei brani o che sia solo un colore che mi piace usare, è presente in quasi ogni cosa che faccio per il progetto problemidifase.
Cura: questa parola ha un doppio significato per me, perchè indica sia la mia ricerca maniacale per la cura e la perfezione dei suoni (che per fortuna condivido con il mio produttore Cristian Volpato), sia il fatto che per me scrivere è sempre stato parte della cura per il malessere interiore. Spero che queste canzoni possano anche essere parte del percorso di altre persone, che possano anche aiutare a guarire gli altri.

 

Se dovessi scegliere una sola delle tue canzoni per presentarti a chi non ti conosce, quale sarebbe e perché?

Tra le canzoni di RISTORANTE / ALBERGO/ CROCE sceglierei Carmine, perchè è quella che rappresenta al meglio la sonorità che vorrei portare avanti con il progetto e le cose che arriveranno in futuro. 

 

C’è un evento, un festival in particolare a cui ti piacerebbe partecipare?

Per quanto riguarda i festival mi piace molto il MI AMI, anche se sognando in grande direi Home Festival o I-Days. Sognando ancora più in grande, suonare al Red Rocks (Amphitheatre, in Colorado USA, NdR) deve essere un’esperienza incredibile.