Skip to main content

Tag: Festival

Leon Faun @ BOnsai Garden

[vc_row css=”.vc_custom_1552435921124{margin-top: 20px !important;margin-bottom: 20px !important;}”][vc_column][vc_column_text]

• Leon Faun •

Parco delle Caserme Rosse (Bologna) // 03 Luglio 2022

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Il pubblico tende al giovanissimo alle Caserme Rosse. C’è anche qualche ragazzo accompagnato dai genitori. Stavo respirando gli anni adolescenziali, gli anni più belli. Avevano tutti il viso ancora innocente e gli occhi grandi. Anche Leon Faun quando entra sul palco ha gli occhi spalancati, ma indossa il viso di un pazzo. Appena sale urla “Come stai Bologna? Minchia, raga, siete bellissimi, a parte gli scherzi mi sto innamorando. La situazione è abbastanza folle, voi che dite?” e inizia subito la performance con C’era una Volta.

Leon riesce a saltare da tutte le parti e a muoversi continuamente senza intaccare l’esecuzione delle canzoni. È uno dei live più belli che abbia mai visto. È energico, sta offrendo la vita al microfono. L’impostazione è folle, ma si dimostra un ragazzo incredibilmente sensibile, dedito all’arte in maniera disumana: è il filo sottile il bisogno di urlare che sfoga nelle canzoni e il bagliore che ha negli occhi quando canta. Il pubblico incita “Leon”, e Leon sorride. “Situazioni come questa, dopo due anni, cioè mi sembrano ancora… Veramente, prima di scrivere, una cosa che volevo era fare live. L’arte, meno male sta tornando. Piano piano ce la stiamo riprendendo, no?”. Salta con la gamba destra in alto. Occhi lucidi parte con un piccolo intermezzo di Leon a cappella. Si alza, cammina sul palco, incita il pubblico. Se il filo sottile tra follia e amore per l’arte prima era a malapena visibile, ora è palpabilissimo. Riesce a cambiare galassia fra strofa e ritornello: nel ritornello è matto, pazzo, folle, occhi spalancati come fanali, è il fauno. Nella strofa smette e inizia a fissare il pubblico e cantare al cuore della gente. Con Pioggia viene accompagnato dal pubblico. A livello artistico è un momento altissimo. “L’ispirazione è la cosa più importante che abbiamo. Per un regista, uno scrittore. Tenetela sempre qua, sfruttatela tutti perché abbiamo la stessa energia e solo con quella si realizzano i sogni”. È un uragano di malinconia mischiato a follia. Quando parte Flop fa accovacciare il pubblico, per poi farli tutti saltare al drop. Il concerto sta per finire. Si siede sul pit. Ringrazia una fan per essere stata tanto presente. “Arrivati all’ultimo brano dobbiamo fare il casino che abbiamo fatto fin’ora, moltiplicato per sette”. Il live si conclude con Oh Cacchio.

 

Riccardo Rinaldini

 

Scaletta

C’era una Volta
Follia
Gaia
Alla Luna
Occhi Lucidi
Come
Pioggia
Sogni Matti
Camelot
OMG Titan
Flop
Poi poi
Oh Cacchio

 

foto di Luca Ortolani

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1551661546735{padding-top: 10px !important;padding-bottom: 0px !important;}”][vc_column][vc_single_image image=”24493″ img_size=”full” alignment=”center”][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1551661546735{padding-top: 10px !important;padding-bottom: 0px !important;}”][vc_column width=”1/2″][vc_single_image image=”24492″ img_size=”full” alignment=”center”][/vc_column][vc_column width=”1/2″][vc_single_image image=”24490″ img_size=”full” alignment=”center”][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1551661546735{padding-top: 10px !important;padding-bottom: 0px !important;}”][vc_column width=”1/2″][vc_single_image image=”24494″ img_size=”full” alignment=”center”][/vc_column][vc_column width=”1/2″][vc_single_image image=”24489″ img_size=”full” alignment=”center”][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1551661546735{padding-top: 10px !important;padding-bottom: 0px !important;}”][vc_column][vc_single_image image=”24491″ img_size=”full” alignment=”center”][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1551661546735{padding-top: 10px !important;padding-bottom: 0px !important;}”][vc_column width=”1/2″][vc_single_image image=”24501″ img_size=”full” alignment=”center”][/vc_column][vc_column width=”1/2″][vc_single_image image=”24488″ img_size=”full” alignment=”center”][/vc_column][/vc_row]

Ernia @ BOnsai Garden

[vc_row css=”.vc_custom_1552435921124{margin-top: 20px !important;margin-bottom: 20px !important;}”][vc_column][vc_column_text]

• Ernia •

Parco delle Caserme Rosse (Bologna) // 03 Luglio 2022

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Se c’è una cosa che mi ha fatto illuminare gli occhi al live di Ernia è stata la sua capacità di portare pezzi old school, pezzi vecchi, pezzi tendenti al pop piuttosto che al rap, canzoni più emotive e canzoni da spocchia, utilizzando lo stesso filo conduttore, senza perdersi mai, intrattenendo il pubblico con una naturalezza disarmante.

Ernia entra con tutta la disinvoltura che lo contraddistingue da sempre. Da quando è entrato si respira aria pulita. Entra con Vivo, attacca direttamente senza salutare il pubblico.

Il pubblico chiama “Ernia, Ernia, Ernia!” mentre professa le prime barre di Bolo by Night di Inoki, per poi ringraziare il pubblico. Dopo due anni riesce a festeggiare il suo ultimo disco, Gemelli attraverso Gemelli Tour. Indica il pubblico, li guarda negli occhi, riesce a trasmettere l’amore per la musica e l’eleganza che lo trasporta dai suoi inizi. Ernia tiene gli occhi spalancati, ha le sopracciglia alte, ha fame di musica, ha ancora ispirazione e voglia di soddisfare il pubblico. A Phi stanno cantando tutti. Ernia si trasforma. Diventa esattamente come nella canzone: non sta performando, sta dando dei consigli.

Sa intrattenere tantissimo. Fa urlare il pubblico. Parte Simba, sul palco arriva un peluche del famoso leoncino. Lo schermo dietro rappresenta i titoli delle canzoni. Attacca dicendo “Sarei un ipocrita se dicessi che Gemelli non ha avuto successo con singoli come Fermo a Guardare e Superclassico. Però, sono convinto che i veri pezzi siano i filler. Quei pezzi permettono di costruire una carriera”. Dopo Fuori Luogo, Cigni e Lei No, c’è un altro intermezzo. “Mi ha scritto un ragazzo di Bologna, che si firma come Matteo Benessere”. Ernia prende la lettera e inizia a leggere: “C’è un nuovo rapper in città”. Chiaramente, parte Lewandowski VIII e il pubblico, avendo intuito già dalle prime barre della lettera, impazzisce. Polka 2 e U2 sono tutta una tirata, Apri è molto old school, mani in aria e gente a gridare “Oh, oh!”. Il concerto si chiude con Neve e Superclassico, pilastri della carriera passata e presente di Ernia e, probabilmente, i pezzi più apprezzati dagli affezionatissimi. Cambiano le vibrazioni, infatti, gli ascoltatori rimangono ammutoliti, perdendosi nelle ultime canzoni.

 

Riccardo Rinaldini

 

Scaletta

Vivo
Morto Dentro
Phi
Simba
Non me ne Frega un Cazzo
Pensavo di Ucciderti
Ci Riuscirò Davvero
Fuori Luogo
Cigni
Lei No
Lewandowski VIII
MeryXSempre
Futura Ex
Polka 2
U2
Certi Giorni
Scegliere Bene
Lewandowski 6
68
Apri
Madonna
Acqua Calda e Limone
10 Ragazze
Puro Sinaloa
Bella
Di Notte
Ferma a Guardare
Neve
Superclassico

 

foto di Luca Ortolani

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1551661546735{padding-top: 10px !important;padding-bottom: 0px !important;}”][vc_column][vc_single_image image=”24487″ img_size=”full” alignment=”center”][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1551661546735{padding-top: 10px !important;padding-bottom: 0px !important;}”][vc_column width=”1/2″][vc_single_image image=”24479″ img_size=”full” alignment=”center”][/vc_column][vc_column width=”1/2″][vc_single_image image=”24484″ img_size=”full” alignment=”center”][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1551661546735{padding-top: 10px !important;padding-bottom: 0px !important;}”][vc_column][vc_single_image image=”24486″ img_size=”full” alignment=”center”][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1551661546735{padding-top: 10px !important;padding-bottom: 0px !important;}”][vc_column width=”1/2″][vc_single_image image=”24496″ img_size=”full” alignment=”center”][/vc_column][vc_column width=”1/2″][vc_single_image image=”24485″ img_size=”full” alignment=”center”][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1551661546735{padding-top: 10px !important;padding-bottom: 0px !important;}”][vc_column][vc_single_image image=”24482″ img_size=”full” alignment=”center”][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1551661546735{padding-top: 10px !important;padding-bottom: 0px !important;}”][vc_column][vc_single_image image=”24483″ img_size=”full” alignment=”center”][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1551661546735{padding-top: 10px !important;padding-bottom: 0px !important;}”][vc_column width=”1/3″][vc_single_image image=”24480″ img_size=”full” alignment=”center”][/vc_column][vc_column width=”1/3″][vc_single_image image=”24481″ img_size=”full” alignment=”center”][/vc_column][vc_column width=”1/3″][vc_single_image image=”24495″ img_size=”full” alignment=”center”][/vc_column][/vc_row]

Roskilde Festival 2022

Da dove iniziare a parlare del Roskilde Festival, istituzione danese dal 1971, quest’anno alla sua 50ª edizione (posticipata dal 2020)?

Partiamo dall’inizio: è l’una di pomeriggio di mercoledì 29 Giugno, fa un caldo terribile per la Danimarca, sono schiacciata da 12 kg di zaino sulle spalle pieno di macchine fotografiche e obiettivi, il computer, annessi e connessi, ho due braccialetti al polso che mi daranno accesso al festival e ai palchi e sto camminando in salita.

Ma chi me lo sta facendo fare?!

E poi, inizia a vedersi un pinnacolo arancione in mezzo agli alberi, sto arrivando da dietro l’iconico tendone arancio dell’Orange Stage, simbolo del festival dal 1978 quando l’organizzazione lo comprò di seconda mano da un tour dei Rolling Stones, e mi rendo conto di starmi avviando verso una cosa forse più grande di me, un’emozione intensa mi prende alla gola sapendo chi è passato su quel palco e tristemente la tragedia che ci si è consumata davanti. È difficile spiegare a parole la sensazione allo stesso tempo di timore reverenziale dettata da un posto che mi ha sempre fatto molta paura (nel 2000 avevo circa l’età dei ragazzi che sono rimasti schiacciati dalla folla, il pensiero va sempre lì: e se fosse capitato a me?) e di pura gioia e senso di appartenenza. Come due poli uguali di una calamita che generano due forze tanto opposte quanto potenti, una paura inconscia e il richiamo affascinante di un’esperienza nuova ancora tutta da vivere, è bastato un passo verso le cancellate per sbilanciare questo stallo emotivo e farmi attrarre dal magnetismo che un evento del genere esercita su chi, come me, è affamato di musica.

Dopo vari tentativi e km camminati a vuoto per trovare il backstage village, è stato il momento di andare a perlustrare il festival prima dell’apertura al pubblico, letteralmente la quiete prima della tempesta. L’area dove si svolge il programma musicale del festival è grande, circondata da aree altrettanto grandi adibite a campeggio, piccoli villaggi con altri palchi, aree ricreative, installazioni artistiche e altro ancora, tant’è che nella settimana del festival la città di Roskilde da decima, diventa la terza più popolosa del Paese.

DSC 9593

È surreale passeggiare in questi grandi spazi, sfilare davanti ai palchi ancora silenziosi e immaginare quanto sarà calpestato il terreno tra poche ore.

A quanto pare c’è un rituale che assomiglia più ad una spedizione di caccia grossa che ad un festival: i fotografi si vestono con delle pettorine ben visibili, si vanno a posizionare in punti strategici, possibilmente al riparo di qualcosa per non essere travolti, e cercano di catturare questa specie di migrazione di gnu hippy. Allo scoccare delle cinque in punto del mercoledì pomeriggio, si aprono i cancelli che separano i campeggi dall’area del festival e c’è “la grande corsa” per accaparrarsi un posto in prima fila al proprio palco preferito.

Il mercoledì è una giornata breve ma intensa, si apre con Fontaines D.C. e in poche ore si alternano sui palchi nomi come Robert Plant, Post Malone e Biffy Clyro. Il mio Tour de Force, in parallelo al Tour de France che si svolge su suolo danese in questi stessi giorni, inizia quindi con un giro di ricognizione: cerco di capire come muovermi tra un palco e l’altro, i percorsi più brevi, gli ingressi ai pit, le posizioni strategiche e quali obiettivi montare sulle macchine.

Alla fine della prima giornata, dopo solo sei concerti, i piedi bruciano come se avessi camminato sui carboni ardenti, ma sono solo 13 km in scarpe da tennis: come faccio ad arrivare a sabato?

Qualche ora di sonno, un’occhiata veloce alla foto e giovedì ricomincia la rumba con un programma ancora più fitto di quello del giorno prima. Oggi tappa crono, nel senso che ho i minuti contati: dalle 16:00 in poi ad ogni scoccare dell’ora un nuovo concerto da fotografare, spostarsi da un palco all’altro attraverso fiumi di gente e birra, ma nonostante tutto riesco a vedere un pezzo di redivivo indie rock direttamente dal mio amato Pacific Northwest, Modest Mouse, e a seguire una reminiscenza adolescenziale, le TLC, per poi saltare da Jimmy Eat World e tornare ad una musica più pacata ma non meno energica con The Whitest Boy Alive, forse uno dei gruppi che più di tutti stuzzicavano il mio interesse. Pausa. Ora di tirare fiato prima della reginetta pop Dua Lipa sull’Orange Stage ma soprattutto, molto più intrigante per me, la dolcissima Phoebe Bridgers con la sua banda di scheletrini a suonare all’Avalon. Atmosfera, delicatezza, un tocco di malinconia intimista molto più nelle mie corde delle ballerine scosciate viste poco prima.

DSC 2133

Quattro giorni di festival sono lunghissimi, come un weekend con tre venerdì, ma il venerdì quello vero arriva e porta con sè The Smile, il neonato progetto di Thom Yorke e Jonny Greenwood presto anche in Italia, e Arlo Parks, energica poesia R&B. Venerdì è la tappa di montagna, come ben rappresentato dalla scenografia che Tyler, the Creator fa installare sull’Orange Stage, e lui così tanto nel ruolo dello stambecco che giustamente si fa fotografare solo da lontanissimo. Venerdì porta anche la pioggia, un paio di scroscioni brevi ma intensi che purtroppo liberano nell’aria quegli odori acri e fermentati tipici di festival, sopiti i giorni precedenti dal terreno secco e assetato di birra (più o meno processata dal corpo umano). Un festival non può considerarsi tale se non ti prendi almeno due gocce d’acqua: è chiaramente indicato nello statuto dei festival nordici, capitolo “avversità inutili per il gusto di dar fastidio”. Adesso, quindi, siamo in regola anche con questo.

Sabato: arriva il Tour de France, per davvero, che chiude le strade dalle sette di mattina e mi obbliga ad una levataccia se voglio essere presente al rituale giornaliero della distribuzione dei pass per l’Orange Stage, che oggi ha il programma più ciccio dei quattro giorni: St. Vincent, Haim e The Strokes.

Ma come dice il detto, il mattino ha l’oro in bocca e in particolare a queste latitudini, dove già alle 5:30 è giorno fatto da un pezzo, mi dà l’occasione di vedere un altro aspetto del festival altrimenti non celebrato abbastanza: il lavoro incredibile che fa il personale – esclusivamente volontario – per rendere possibile il tutto. Per la rubrica Non Tutti Sanno Che, infatti, il Roskilde Festival è un evento non-profit; si basa ogni anno sul lavoro di circa 30,000 volontari che montano, smontano, puliscono, gestiscono, sorvegliano e aiutano e chi più ne ha più ne metta in modo che, al netto delle spese vive, il ricavato della settimana vada a supporto di iniziative umanitarie e culturali a beneficio di bambini e giovani.

DSC 2664

Tornando a noi e alla mia passeggiata tra prati che venivano ripuliti dall’immondizia del giorno prima, strade spazzate e facce assonnate, mi ritrovo a far colazione con kanelsnurrer appena sfornate (ci sarebbe da scrivere un articolo solo sulla varietà e la bontà dell’offerta culinaria) ad un tavolo condiviso con tanti altri mattineri come me, baciata dal sole mentre guardo il tendone dell’Avalon vuoto e silenzioso, ignaro – ed io con lui – di quello che avrebbe visto da lì a poche ore durante il live indemoniato degli Idles. 

La giornata scorre piuttosto veloce, tra Big Thief e St. Vincent – da oggi in poi anche detta Barbie Rockstar, grazie ad una performance impostata e plasticosa – e finalmente arriva il momento: The Strokes come ultimo headliner. Aspettative altissime, soprattutto memore del live sorprendente al Primavera Sound del 2015, ma… il “momento” si è fatto attendere ben mezz’ora – cosa che ai festival proprio non si fa – e forse visto il disastro che si è svolto sul palco forse era meglio che il momento non arrivasse mai. Julian Casablancas è stato a dir poco imbarazzante nella sua performance, stonato, fuori tempo e apertamente senza voglia alcuna di intrattenere le decine di migliaia di persone che si aspettavano di chiudere il festival con il nome più atteso dei quattro giorni.
“Siamo qui, dobbiamo ammazzare il tempo” – non esattamente la dichiarazione di un frontman carismatico; il resto del gruppo nel frattempo faceva il suo sporco lavoro, ma senza particolare coinvolgimento nè nei confronti del suo cantante nè nei confronti degli astanti. Uno spettacolo così misero e un meltdown così pesante non lo vedevo da anni, davvero un peccato e un po’ una vergogna che sia successo nel momento più alto di quello che altrimenti sarebbe stato un festival delizioso.

Lasciandomi alle spalle una Last Nite che da lontano sembrava vagamente meno massacrata di Reptilia, ho salutato il festival grande grosso e che mi faceva paura solo pochi giorni prima con un sentimento di affetto e gratitudine, promettendogli di tornare ancora. Qui lo chiamano orange feeling e adesso capisco a cosa si riferiscono.

Francesca Garattoni

clicca sulle immagini per vedere tutte le foto del concerto
click on the images to see the full gallery

• Day 1 •

• Day 2 •

• Day 3 •

• Day 4 •

Guè Pequeno @ BOnsai Garden

[vc_row css=”.vc_custom_1552435921124{margin-top: 20px !important;margin-bottom: 20px !important;}”][vc_column][vc_column_text]

• Guè Pequeno •

Parco delle Caserme Rosse (Bologna) // 02 Luglio 2022

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1552435921124{margin-top: 20px !important;margin-bottom: 20px !important;}”][vc_column][vc_empty_space][vc_column_text]L’atmosfera è stranissima alle Caserme Rosse. Capisco chiaramente chi segue Guè dai tempi dei Dogo e chi lo segue dallo scioglimento. La discrepanza è evidente, ma sono tutti uniti sotto un minimo comune multiplo: godersi la vita al massimo fra le rime sprezzanti di Guè e lo stile zarro che, da sempre, lo caratterizzano. L’atmosfera preavvisa una pioggia di Moët. Il pubblico freme, urla “G-U-E” e “Guè Pequeno portaci a puttane” poco prima che salga sul palco. È arrivato, assieme al suo bassista e al suo batterista: urla “Com’è Bologna?”. La voce di Guè si sposa benissimo con l’abilità artistica di chi suona basso e batteria. Inizia e non si ferma più, è una macchina da guerra. L’abilità di Guè di intrattenere il pubblico non ha paragoni. Riesce a trasportarlo e a farlo cantare in ogni situazione. Sembra quasi il pifferaio magico. Lo seguono tutti, cantano a squarciagola mentre Guè alza la mano stile old school, è preso bene sul palco. Non ha intermezzi fra le canzoni, usa i pre-hook per tenere il pubblico attivo. Non si ferma. Performa da seduto. Non sta cantando, racconta una storia. Mette il mantello, e dice “era un mantello da batman”. Per il bis si cambia, torna in canotta e cappello new era. Alterna momenti in cui è più emotivo ad altri in cui posa come il Cristo di Rio. Una cosa non è mancata in questo live, ed è sicuramente la tecnica. Fra Guè che rappa in extrabeat e a cappella, per poi riprendere con la strumentale sotto, all’assolo di basso ipnotizzante, eseguito in slap, di Christian Capasso. Per il pezzo Lamborghini Guè parte con “Mi sono rotto il cazzo, sei anni sto pezzo e ancora dobbiamo comprarla sta macchina” mentre introduce Love con “È un onore essere qua, ‘sta città ci ha dato tanto, noi dobbiamo darle un sacco di ammore”. Il concerto sta per terminare, Guè si ferma, dice che il live, come tutte le cose belle, ha una fine. Saluta Bologna, ma torna con una Beck’s in mano. Performa il brano Ultimi Giorni, poi Brivido, concludendo con Eravamo Re. Si spengono le luci, resta illuminato soltanto dal flash dei telefoni. Dal secondo bis si è trasformato. La parte gangsta di Guè viene accantonata, diventa quello che riesce a parlarti al cuore attraverso le rime, è sicuramente molto più intimo. L’atmosfera subisce una metamorfosi impressionante. In mezzo al pubblico sono tutti emozionati, quasi con le lacrime, cantano a squarciagola. Attraverso gli ultimi pezzi è riuscito a trasmettere l’empatia di chi, nonostante l’essere duro e figlio delle strade di Milano, sa soffrire e, soprattutto, sa raccontare come si soffre.

 

Riccardo Rinaldini

Scaletta

La G La U La E
Le Bimbe Piangono
Vita Veloce Freestyle
Lifestyle
Wagyu
Blitz
Champagne 4 the Pain
Babysitter
Gangster of Love
Nessuno
Maledetto
Oro (Bling Bling)
2%
Venezuela
Ti Lego le Collane
Giù il Soffitto
Il Ragazzo d’Oro
Tik Tok
Lamborghini
∞ Love
Veleno
Piango sulla Lambo
Chico
Domai
Fuori Orario
Ultimi Giorni
Brivido
Eravamo Re

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1551661546735{padding-top: 10px !important;padding-bottom: 0px !important;}”][vc_column][vc_single_image image=”24466″ img_size=”full” alignment=”center”][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1551661546735{padding-top: 10px !important;padding-bottom: 0px !important;}”][vc_column width=”1/3″][vc_single_image image=”24468″ img_size=”full” alignment=”center”][/vc_column][vc_column width=”1/3″][vc_single_image image=”24469″ img_size=”full” alignment=”center”][/vc_column][vc_column width=”1/3″][vc_single_image image=”24470″ img_size=”full” alignment=”center”][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1551661546735{padding-top: 10px !important;padding-bottom: 0px !important;}”][vc_column][vc_single_image image=”24471″ img_size=”full” alignment=”center”][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1551661546735{padding-top: 10px !important;padding-bottom: 0px !important;}”][vc_column width=”1/3″][vc_single_image image=”24472″ img_size=”full” alignment=”center”][/vc_column][vc_column width=”1/3″][vc_single_image image=”24465″ img_size=”full” alignment=”center”][/vc_column][vc_column width=”1/3″][vc_single_image image=”24467″ img_size=”full” alignment=”center”][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1551661546735{padding-top: 10px !important;padding-bottom: 0px !important;}”][vc_column][vc_single_image image=”24473″ img_size=”full” alignment=”center”][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1551661546735{padding-top: 10px !important;padding-bottom: 0px !important;}”][vc_column][vc_single_image image=”24474″ img_size=”full” alignment=”center”][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1551661546735{padding-top: 10px !important;padding-bottom: 0px !important;}”][vc_column width=”1/3″][vc_single_image image=”24460″ img_size=”full” alignment=”center”][/vc_column][vc_column width=”1/3″][vc_single_image image=”24463″ img_size=”full” alignment=”center”][/vc_column][vc_column width=”1/3″][vc_single_image image=”24461″ img_size=”full” alignment=”center”][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1551661546735{padding-top: 10px !important;padding-bottom: 0px !important;}”][vc_column][vc_single_image image=”24462″ img_size=”full” alignment=”center”][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Foto: Luca Ortolani

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]