Come state vivendo questi tempi così difficili per il mondo della musica?
È un delirio assoluto per tutti e tutte le categorie, il nostro settore non è mai riuscito a ripartire del tutto. Gli ultimi due anni di incertezze hanno sicuramente influito duramente sulle nostre scelte anche da un punto di vista artistico, abbiamo incominciato a scrivere maggiormente a distanza, quindi anche le nostre dinamiche di composizione e produzione sono cambiate, ma siamo felici che nonostante tutto non ci siamo perse d’animo e abbiamo continuato a lavorare, in un certo senso anche più forti di prima.
Come e quando è nato questo progetto?
Lili è una costola di Lilies on Mars, il primo progetto che ci vede come songwriters in duo. Il nostro è stato un percorso lungo di sperimentazione nato a Londra, attraversando progetti musicali ed esperienze che ci hanno sempre viste insieme, in un’evoluzione che ci ha coinvolte sempre di più nella produzione di musica elettronica e per la prima volta sperimentando il canto in lingua italiana.
Se doveste scegliere una sola delle vostre canzoni per presentarvi a chi non vi conosce, quale sarebbe e perché?
È una domanda difficile a cui rispondere perché tutte le nostre canzoni ci rappresentano, ognuna per motivi diversi. Ma in questo preciso momento indicherei sicuramente Ritornare la terza traccia del nostro primo EP. È un pezzo a cui teniamo molto, che coinvolge la maggior parte degli elementi che ci rappresentano e che ci piacciono nella musica, in questa fase della nostra sperimentazione: dalle atmosfere dreamy su cassa dritta in quattro, al testo onirico e allo stesso tempo emblematico, all’utilizzo di synth e strumenti elettronici e della chitarra distorta.
Pubblicato il 25 Novembre 2021 per la sua etichetta FioriRari, il nuovo disco di Roberto Angelini – Il Cancello nel Bosco – ci accompagna in un viaggio che alterna tappe cantautoriali a respiri strumentali, pur mantenendo sempre la bussola verso un Nord da rintracciare spontaneamente, in modo naturale e naturalistico, come richiamato dall’immagine nel titolo. Un ritratto coerente con il mood contemporaneo del musicista e produttore romano, per un risultato multicolore tra ispirazione autoriale, sperimentazione, alberi genealogici e portali verso nuovi mondi.
Ciao Roberto, grazie per essere con noi. Inizio da una domanda “panoramica”. Ho visualizzato il tuo ultimo album, Il Cancello nel Bosco, come un’opera di collezionismo da hard disk di infiniti momenti trascorsi in studio, in appartamenti e luoghi creativi. Qual è il fil rouge che lega le tracce?
“Come hai ben detto, Il Cancello nel Bosco è una collezione di esperienze raccolte nell’arco di nove anni ed ho trovato il fil il rouge quasi all’ultimo secondo, con il titolo dell’album e con i brani strumentali. La metafora del cancello nel bosco mi dava la possibilità, a livello immaginifico, di creare uno spazio di fantasia, una sorta di portale. I brani Il Cancello nel Bosco, pt.1, pt.2 e pt.3 aprono la porta su delle tracce non nate per stare tutte nello stesso disco ma sono esperienze differenti che raccontano un po’ come sono io. Non mi sono mai concentrato solo su un aspetto: un po’ sono musicista, un po’ scrivo, un po’ faccio il giullare, un po’ sono serio. Credo che tutti abbiamo personalità complesse e coesistenti.”
Sia dalla prospettiva della produzione, sia da quella d’ascolto, è evidente un carattere raffinato e sofisticato. Emerge anche una commistione di linguaggi. Quanto la ricerca di nuovi linguaggi riguarda la composizione melodica e quanto il contenuto testuale?
“Tutte le canzoni, tranne Incognita che ha una storia a sé, sono nate insieme a Gigi Canu e Marco Baroni dei Planet Funk. Quando ero più giovane, passavo notti sul piano e sulla chitarra a cercare canzoni. Ecco, questa urgenza compositiva è un po’ passata, è diventata più una vita legata alla musica, alla parte strumentale che ho inserito nel disco per essere proprio coerente con me stesso. Quindi, nella fase di ricerca di nuovi stimoli, la collaborazione con Gigi e Marco ha dato una direzione alla sezione musicale, di cui si sono occupati a livello di suono, mentre io passeggiavo avanti e indietro per le varie stanze in cui si siamo ritrovati a comporre, con un blocchetto in mano a rintracciare parole e melodie. Il mio apporto è stato molto più legato alla parte “autorale” rispetto al sound. C’è una condivisione di intenti, chiaramente. Tuttavia c’è anche molta “mano” dei Planet, c’è molta elettronica che di solito io non mastico così tanto, sono molto più “acustico” come mentalità. Mi affascinava, però, questo connubio.”
Ecco, le collaborazioni sono una punta di diamante del disco. Appaiono nomi d’eccezione, da Rodrigo D’Erasmo a Fabio Rondanini, da Darrin Moneey dei Primal Scream alle musiciste Valentina Del Re e Kyungmi Lee. Che tipo di sinergia si è creata con loro?
“Sono sinergie nate da incontri. Con Rodrigo D’Erasmo ci siamo incontrati tanti tanti anni fa, abbiamo molti progetti insieme, avevamo anche creato un’etichetta e uno studio in passato. Con i Planet c’è un’amicizia quasi ventennale. Sono amici che ritornano nel tempo. Amici vecchi ma anche amici nuovi come Valentina Dal Re e Kyungmi Lee che ho avuto il piacere di conoscere in trasmissione a Propaganda Live. Tutte belle collaborazioni perché, in fondo, la musica è collaborazione. Si morirebbe dentro una stanza, a comporre da soli. C’è bisogno di comunicazione nella musica, no?”
Mi ha incuriosito anche un’altra collaborazione, quella con gli Effetti di Clara, da cui è nata un’invenzione… Chi sono?
“Gli Effetti di Clara sono dei fantastici nerd di Roma che riparano strumenti, costruiscono cose. Da anni, avevo in mente il trip di creare uno strumento che fosse modulare ma con effetti per chitarra. Quando ho messo insieme tutto il materiale necessario, sono andato dai ragazzi e ho detto: “Ecco la mia idea, che famo?”. E loro hanno creato questo strumento, chiamato ARP (dai cognomi Angelini, Russo, Pastori), che ha una sua vita e una sua personalità. Si sente particolarmente ne Il Complotto delle Foglie Parlanti e in Hedra, due brani che raccontano questa avventura di sperimentazione. È una parte del mio viaggio nella musica, rappresentato non soltanto dalla sperimentazione nei testi ma anche dalla sperimentazione sonora.”
Entrando più nel vivo delle singole canzoni, in Condor canti “tre sono le mie fedi” e confessi di credere nei segnali e non nelle coincidenze. Quali sono queste tre fedi? E ce n’è una che ha guidato la pubblicazione dell’album?
“Sai, mio nonno faceva il pranoterapeuta. Quando ero bambino vedevo persone venire a casa sua e ricevere una sorta di “imposizione di mani”. Qualcosa quasi di “mistico”. Ho sempre tenuto aperta una porticina verso un mondo con sfumature del genere. Può esistere qualche energia che ci lega e che renda le coincidenze non proprio coincidenze. Per quanto riguarda le tre fedi…Non ho mai detto a nessuno quali sono (ride). Poi nelle canzoni si dicono tante cose e, alla fine, quello che resta magari è il Condor. Mi piaceva l’idea di tre fedi ma le potrei anche cambiare continuamente.”
A proposito di tuo nonno. Nello stesso singolo, assieme a lui, appari tu come musicista per arrivare poi a La Chiave del Cancello, brano scritto e suonato da tuo figlio Gabriele. È questione di familiarità? Di linfa artistica che scorre nelle vostre vene?
“Mio nonno era anche una sorte di mecenate, una persona che ospitava a casa tanti artisti. È lì che mia madre conobbe Vittorio Camardese, il mio patrigno, un chitarrista formidabile che suonava con Chet Baker. Purtroppo non ho memoria, se non qualche fotografia, essendo ancora molto piccolo, ma a casa suonavano forte. Da padre, non ho fatto niente per portare mio figlio alla musica, è semplicemente cresciuto circondato da strumenti. Questo non vuol dire che scocchi la scintilla. Invece, senza fare nulla, qualche anno fa – era appena dodicenne – l’ho sentito suonare questa melodia e mi sono fiondato con i microfoni che avevo a portata di mano: “Fermati, fermati, aspetta. Capirai tutto quando sarai più grande. Tu registra”. Ho mandato quello che è uscito fuori a Rodrigo D’Erasmo, chiedendogli di comporre un arrangiamento, anche con l’obiettivo di far capire a mio figlio come la musica sia sinonimo di collaborazione. Benché sia passato un po’ di tempo da allora mi faceva piacere inserire nella tracklist La Chiave del Cancello. È una sorta di passaggio di testimone, lo dice anche il titolo. Mi fa sorridere ed è una dimensione tutta nostra: è l’unico brano – ed è il suo – che può aprire questo portale.”
Al di là della difficoltà attuale di prevedere il ritorno sui palchi “alla vecchia maniera”, qual è la resa live che immagini per il disco?
“Da sempre mi piace stravolgere la resa live, rispetto a quella del disco. Trovo proprio difficile portare il disco dal vivo così come l’ho registrato. Immagino di presentare sul palco questi brani con un nuovo vestito, una nuova forma. Avevo cominciato, prima di questa ulteriore ondata, a preparare un live: in quel caso eravamo molto acustici, con piano, chitarra e Valentina Del Re al violino e violoncello. Quasi un concerto da camera, molto intimo, perché avevo delineato uno scenario con il pubblico seduto, come se stessimo in un piccolo teatro. Quando si potrà ripartire magari cambierà tutto. Potrei far suonare tutto a un DJ (ride)!”
Da tradizione, concludiamo con i ringraziamenti. In occasione dell’uscita del disco, mi ha colpito il tuo ringraziamento a tutti coloro che ti hanno permesso di vivere del sogno della musica. Che cosa consiglieresti, oggi, a chi custodisce lo stesso sogno?
“Consiglierei di non smettere mai di sognare, anche di fronte a una serie di ostacoli, porte chiuse e tutto ciò che comporta trasformare una passione in un mestiere. Personalmente, mi ritengo fortunato perché sono trent’anni che faccio questo mestiere e quello che mi piace. Continuo, anche dopo trent’anni, ad avere i miei piccoli successi ed i miei piccoli fallimenti. In generale, auguro a tutti di fare un lavoro – artistico o meno – che possa stimolare, che abbia alla base tanta passione. È in quel caso che emerge la cura del dettaglio, l’amore per le cose fatte bene. Anche la musica, se fatta male, non rende felici. È questione di passione a 360 gradi che confluisce in una realizzazione.”
Come state vivendo questi tempi così difficili per il mondo della musica?
Per prima cosa un grande ciao a tutti. Questi non sono tempi difficili, sono tempi impossibili. Stiamo cercando di restare calmi. Ci facciamo forza a vicenda. Mai come in questo momento c’è bisogno di buoni amici e di parlare di quello che ci sta succedendo. C’è bisogno di non disperdersi, di non isolarsi, di restare Uniti. Non è un caso che abbiamo chiamato così il primo singolo di questa nuova avventura con Garrincha Dischi e Sony Music.
Cosa vorreste far arrivare a chi vi ascolta?
In questo nuovo album che stiamo facendo uscire piano piano, il secondo singolo Stendhal è uscito su tutte le piattaforme qualche giorno fa, ci siamo concentrati tanto sul fare un lavoro musicale largo ed eterogeneo. Ci piacerebbe far arrivare il messaggio che con la musica si può giocare; anzi di deve. C’è troppa omologazione in questo momento storico. Ci piacerebbe riuscire a dimostrare che si può uscire dalla strada che tutti percorrono. La rincorsa alle playlist di Spotify sta rendendo il panorama veramente troppo piatto. Quasi soffocante.
Come vi immaginate il vostro primo concerto live post-pandemia?
Lo immaginiamo pieno di vita. Pieno di Energia. Come un’esplosione dopo che ti sei tenuto tutto dentro per troppo tempo. Lo immaginiamo a Firenze che è la nostra città. Lo immaginiamo in un mondo che si è messo alle spalle questa brutta storia della pandemia e, soprattutto, lo immaginiamo presto. Questa primavera. Subito dopo l’uscita del nostro disco. Lo immaginiamo con tutti voi presenti.
I Cara Calma sono tornati con il loro nuovo album GOSSIP!, che racconta molto di loro stessi e del momento che stiamo vivendo. Per l’occasione, abbiamo fatto quattro chiacchiere con loro per scoprire le emozioni racchiuse nell’ultimo lavoro.
Ciao ragazzi? Prima domanda un po’ a bruciapelo: come state?
Cesare: “Ciao belli, bene, stanchi come tutti di questa situazione, ma bene.”
Parliamo del vostro ultimo album, GOSSIP!: di solito i gossip si associano poco al rock. Voi come mai avete scelto questo titolo?
“Si è vero il titolo potrebbe sembrare un po’ contraddittorio ma per noi ha un significato più recondito. Partendo dal presupposto che fare musica per noi significa comunicare tutto ciò che c’è di più intimo in noi, bisogna però fare i conti con il fatto che tutto quello che componiamo registriamo e poi masterizziamo su un cd o carichiamo sulle piattaforme viene in qualche modo mercificato, perché le persone possano ascoltarlo e condividerlo. Si tratta di fare gossip di noi stessi e quest’idea ci piace e ci spaventa allo stesso tempo.”
L’album ha un po’ il sapore di una confessione. È stato difficile realizzarlo o invece più spontaneo?
“È arrivato da solo portato da una serie di circostanze ed emozioni provate in questo periodo e senza mentire si può dire che questa situazione pandemica ci ha quasi costretto ad una vera e propria confessione. Ti posso dire quindi che la scrittura, nonostante sia avvenuta a distanza causa Covid, è stata spontanea.”
Cosa distingue GOSSIP! dai vostri lavori precedenti, Sulle Punte per Sembrare Grandi e Souvenir?
“Rispetto ai lavori precedenti Gossip! è sicuramente più vario a livello di dinamiche e c’è qualche canzone come per esempio Per un Attimo o Kernel in cui abbiamo voluto sperimentare un diverso tipo di sound, utilizzando strumenti che non avevamo mai preso in considerazione come i fiati.”
Recentemente avete collaborato anche con i Balto per una canzone del loro disco, intitolata Le Giornate da Morire. È una canzone che parla di incertezza e dello stigma legato al “tempo perso”, temi importanti da affrontare e condividere. Ci raccontate qualcosa in più su questa collaborazione?
“La collaborazione è nata, come spesso accade, prima fuori dallo studio e poi si è consumata lì. I Balto sono amici e Riccardo è stato molto felice quando gli hanno chiesto una partecipazione nel loro ultimo lavoro; il pezzo è molto bello e anche il disco, quindi “Daje tutta regà!””
Un’ultima domanda: se doveste spiegare chi siete con una vostra canzone, quale sarebbe e perché?
“Penso che a questa domanda risponderemmo tutti e quattro con quattro canzoni diverse, io parlo per me e ti dico Kernel perché è la canzone a cui sicuramente sono più affezionato. Scrivere quel pezzo è stato tanto facile quanto doloroso, è sicuramente una delle nostre canzoni più strane a livello sonoro ma anche una delle più emotive.”
Tutto Dacccapo, il mio nuovo disco, è nato durante il primo lockdown. Ho sfruttato il tempo a disposizione alimentando la mia creatività tra scrittura e pittura. È un disco molto vario, trasversale, carico di sfumature. Mi sono divertita sperimentando il più possibile con il sound e la scrittura e lavorando nell’ottica di superare i miei confini. È un progetto che parla di libertà, di fragilità, di necessità di appartenere ad una società migliore.
Nel disco ci sono delle collaborazioni per me preziose, quella con Erriquez della Bandabardó e con la mia conterranea, Erica Mou. Il brano con Erriquez si chiama Si Può Essere Felici ed è un inno alla serenità e a non smettere mai di cercare il bello anche dove sembra impossibile.
Cosa vorresti far arrivare a chi ti ascolta?
Tutto Daccapo è un invito ad alzarsi la mattina e affrontare il mondo in maniera positiva apprezzando se stessi e gli altri e questo è il messaggio più importante che mi piacerebbe far arrivare con la mia musica.
L’abbattimento delle differenze di genere e la necessità di resistere al dolore sono i colori di un mondo sonoro che abbraccio e che spero arrivi come coraggioso e capace di prendere posizione infrangendo le barriere del pop.
Mi piace scrivere canzoni come fossero poesie e lasciare a chi ascolta la possibilità di tradurle come vuole.
Questo disco rappresenta per me una rinascita, una nuova sfida, un altro passaggio e spero di dare forza a chi mi segue, con l’augurio di risollevarci da un momento buio come quello che abbiamo vissuto. Ci auguro inoltre di vivere sempre da visionari, con le mani sul mondo, perché ogni momento può essere quello giusto.
Progetti futuri?
Partirò con un tour in Primavera e mi auguro di suonare il può possibile, ovunque. Nell’attesa mi dedico alla promozione, alla pittura e altre novità nel cassetto 😉
Come stai vivendo questi tempi così difficili per il mondo della musica?
Li vivo in maniera altalenante: sono reduce da un lungo lavoro sui social per promuovere i vari singoli usciti da Sinusoide (Nuvola, Altrove, Maleducata e Tempesta) attraverso una pianificazione editoriale di contenuti fotografici, video e copy e una campagna crowdfunding per finanziare tutte le spese connesse a questo lavoro. Mi sento un po’ svuotata… Per tanto tempo ho lavorato a questo disco investendoci emotivamente, fisicamente ed economicamente. Mi manca un po’ la restituzione a livello umano del pubblico, che arriva attraverso i live e gli ascolti dei fan.
Questo periodo ha aumentato molto le distanze, anche quelle emotive e dove prima – anche se difficilmente – c’era una sorta di “scambio” di energie avverto una certa rigidità. Sono ovviamente preoccupata in primis della salute pubblica del nostro Paese, ma dall’altra parte preoccupata anche di come si evolverà e muterà il nostro performare live. Quindi… Sì, quello che ti posso dire con certezza è che vivo con incertezza e incapacità di previsione quali saranno i prossimi mesi. E questo un po’ mi destabilizza.
C’è un artista in particolare con cui ti piacerebbe collaborare?
Forse, nel futuro… O non troppo futuro… Cristina Donà. Per me è un grande esempio di umanità, di grandezza e di fedeltà artistica. Cristina ha scritto un disco allucinantemente bello (deSidera) e ha scelto come modalità di finanziamento il crowdfunding su Produzioni dal Basso, proprio come me. Ha utilizzato l’elettronica per creare disordine, riesce sempre a superarsi nella sua scrittura e non credo certo per la smania di dimostrare quanto sia profonda la sua ricerca… Ma semplicemente perché ha una maturazione di pensiero tale da riuscire a creare dentro di sé un universo di intuizioni e illuminazioni geniali.
Ha creato mattoncino su mattoncino la sua credibilità artistica e ha un pubblico pronto a sostenerla sempre con grande affetto. Sicuramente avrebbe tante cose da insegnarmi, sullo stare in ascolto, sull’essere forti e presenti anche stando fermi e zitti… Insomma sarebbe un bellissimo incontro 🙂
Quanto punti sui social per far conoscere il tuo lavoro?
Punto molto sui social per far conoscere il mio lavoro, senza però venirne fagocitata. È giusto conoscere il mezzo e utilizzarlo per veicolare il proprio messaggio, che sia “ascolta la mia musica” o “sposo questa causa perché”… Insomma creare uno storytelling che faccia in modo di creare un rapporto di fiducia tra il fan e l’artista. E per me basta così.
Rifuggo da ogni altro uso – a volte può capitare, ma molto raro – che sia la spettacolarizzazione della mia vita privata o l’utilizzo a fine edonistico. Credo che il rapporto di dipendenza che si viene a creare attraverso una richiesta di continua approvazione digitale eroda il pensiero critico e la stimolazione di un pensiero creativo.
Per carità, c’è chi con i reels fa delle cose artistiche clamorose… Ma si tratta sempre di content creator, non di meri fruitori del mezzo.
Per me il social è un mezzo di amplificazione wordwide, ma il pubblico va conquistato e fidelizzato attraverso i live se sei un cantautore, hai bisogno della quarta parete, altrimenti rischi di diventare puramente un influencer.
Nel 2012 scrissi la musica del brano Offshore, che dà il titolo all’album. Il testo arrivò lentamente, credo tra il 2013 e il 2014. Una volta conclusa la composizione (e mentre venivano fuori altre idee in parallelo), compresi col tempo che il brano avrebbe rappresentato il fondamento filosofico di un nuovo progetto discografico: andava coordinato un intero album intorno a quella canzone. Nel frattempo, intravedevo l’orizzonte della migrazione e tanti stimoli andarono a mescolarsi: un certo desiderio di abbracciare ampie prospettive, uno sconfinato attraversamento del nostro tempo verso l’oltre, partendo da un contesto iniziale di miseria. Veder muovere simultaneamente macrocosmo e microcoscmo come in un unico gesto, essere dentro al tempo e fuori dal tempo. Londra divenne a quel punto centrale per mettere in scena il racconto di una storia legata a un unico personaggio in transizione nel Regno Unito, nel suo personale percorso verso l’universale.
Se dovessi scegliere una sola delle tue canzoni per presentarti a chi non ti conosce, quale sarebbe e perché?
L’album Offshore ha mediamente arrangiamenti molti ricchi e dettagliati. Ma a un certo punto accade che, dopo il percorso ascensionale sviluppato a partire dalla prima stagione, con il folk oscuro di Mors Tua si torna a muoversi ad altezza uomo. Il brano è il racconto del momento in cui il personaggio protagonista della storia si imbatte in circostanze legate al terrorismo internazionale: l’atmosfera da western urbano si addice al contesto in cui si narra del fatale incrocio di sguardi tra due uomini separati da un’arma da fuoco. La timbrica vocale è più carica rispetto ai brani precedenti del disco, a voler interpretare la maturazione del personaggio protagonista, in un percorso dilatato nel tempo. Essendo un brano arrangiato in maniera scarna intorno al mio temperamento espressivo (con molti meno elementi affastellati in stereofonia rispetto alla maggior parte degli altri brani dell’album), inevitabilmente finisce anche per rappresentarmi da vicino come interprete musicale.
Progetti futuri?
Smontare il set immaginario di Offshore, toglierlo da Londra e portarlo dalle parti del Nord Africa: “Certo le circostanze non sono favorevoli / E quando mai” (come cantavano i PGR). Anche questo, non sarà un progetto di facile realizzazione.
Questo è progetto è nato e cresciuto in tempi molto rapidi. Con le prime restrizioni legate all’aumento di contagio da Covid, nel Marzo 2020 mi sono ritrovato improvvisamente con tanto tempo libero. Ho cercato di gestire e organizzare al meglio le mie giornate concentrandomi sullo studio dello strumento, l’ascolto e la composizione. Ho voluto dare vita a un progetto che assimilasse l’esperienza e le intenzioni musicali del mio trio Flown, con cui ho inciso un disco omonimo nel 2018, e aggiungesse del nuovo materiale proveniente da mondi musicali diversi e strategie compositive per me inconsuete. Ho cercato di realizzare tutto in poco tempo così da “cavalcare l’onda” di quella particolare situazione in cui mi trovavo, anche per non disperdere le idee e far si che tutti i brani avessero una matrice e un metodo comune. Subito dopo è avvenuta la scelta dei musicisti, con i quali avevo già collaborato e collaboro tutt’ora in altri progetti.
Ci sono degli artisti in particolare a cui vi ispirate per i vostri pezzi?
Gli artisti che hanno influenzato la musica dell’album Eleven Tokens vengono da ambienti musicali diversi e sono frutto di ascolti assimilati negli anni. Alcuni di questi sono molto lontani musicalmente dal progetto Multibox ma hanno in qualche modo fornito elementi e spunti concettuali. È sempre difficile fare un elenco perché molte influenze sono implicite e frutto di assimilazioni durate anni, ma posso dire che, almeno negli ultimi tempi, ho ascoltato molto i seguenti artisti: Phronesis, Donny McCaslin, Now vs Now, David Binney, Craig Taborn, Kendrick Scott Oracle, Aaron Parks, Kneebody, Mark Guiliana, Pericopes (progetto di cui fa parte il nostro sassofonista Emiliano Vernizzi)… anche influenze dall’elettronica come Hudson Mohawke, Binkbeats, Flying Lotus, Apparat, Aphex Twin per fare qualche nome.
Progetti futuri?
L’obiettivo primario è quello di portare in giro il più possibile il nostro album d’esordio Eleven Tokens che uscirà per l’etichetta Emme Record Label a Gennaio 2022. Abbiamo in calendario alcuni concerti ad inizio anno all’interno di rassegne/festival nel nord Italia e speriamo di aggiungerne altri. Poi stiamo cercando di organizzare qualcosa anche all’estero, in ambito europeo, magari durante la prossima estate.
Sempre in estate ci piacerebbe registrare qualche concerto dal vivo ma dobbiamo ancora scegliere dove e in quali modalità.
Poi ci sono alcune idee in cantiere per il secondo album che speriamo di registrare a fine 2022.
La nostra speranza ovviamente è che tutti questi progetti risentano il meno possibile della pandemia.
Questo disco non era nei miei programmi assolutamente. Addirittura quando mio padre nel 2019 è venuto a mancare mi sono completamente bloccato per mesi. Non avevo voglia di suonare e pensavo a quanto tempo sarebbe passato prima di riuscire a ritrovare la serenità giusta. L’amico promoter Roberto Forlano mi aveva chiesto di fare Fragile una cover dei Nine Inch Nails per una compilation e stavo quasi per rinunciare.
All’improvviso una domenica di settembre ad un mese dal funerale avevo una giornata libera dove mi sono detto: “Vado a fare un giro o scrivo?” – Fu cosi che sono entrato nel mio studio e verso sera il pezzo era pronto, venuto fuori con una naturalezza incredibile.
In quel momento decisi che sarebbe stato importante trasformare il dolore che avevo in un disco dedicato a mio padre per ringraziarlo di tutto l’aiuto datomi nella musica.
A differenza di molti genitori che ostacolano i figli io sono stato fortunato perchè lui mi ha sempre incoraggiato a sviluppare il mio talento.
Così è nato QuaNti di getto in pochissimo tempo.
Per ispirarmi ho utilizzato alcuni vecchi nastri dove registrava la sua voce e raccontava di storie di vita quotidiana tra cui anche delle favole quando ero bambino. Soprattutto mi ero sbloccato di getto e mi chiedevo come la musica potesse essere così potente da riuscire a dare tanta forza, coraggio e fiducia nel futuro.
Penso sia grazie a questa forza che sono riuscito a terminare quest’opera.
Cosa vorresti fare arrivare a chi ti ascolta?
Da sempre mi chiedo che significato abbia per me scrivere canzoni. Da una parte c’è un senso di sfogo in cui metti in musica tutte le tue frustrazioni e le tue sconfitte che inevitabilmente si incontrano nel corso della vita. Quindi scrivere rappresenta una forma di psicoterapia per liberare delle energie che se rimangono dentro possono fare male (ad es. il dolore per la morte di una persona cara). Questo è un punto di vista introspettivo e anche un po’ “egocentrico” diciamo, ma ci sta è a fin di bene.
D’altro canto credo fermamente che ognuno di noi nasce con una missione precisa in questo mondo e che spesso noi artisti siamo come delle antenne di una radio puntate sull’universo che captano dei segnali che traduciamo in musica e canzoni senza merito alcuno. È solo il compito che ci ha assegnato qualcuno e noi possiamo solo obbedire.
Fatta questa premessa credo che chi ascolta sia libero di vederci quello che vuole in una mia canzone. Posso anche avere un intento e cercare di trasmettere un messaggio ma il pubblico vive e fa sua ogni singola nota in base ai propri vissuti ed emozioni. A volte mi raccontano che un mio brano ha rievocato loro delle sensazioni cui io non avevo pensato quando ho scritto il pezzo e che è stato fondamentale in un certo momento della loro vita.
Tutto ciò per me è straordinario. Ma non posso pensare che sia merito mio io ho solo manifetsato qualcosa che da qualche parte esiste già.
Concludendo, se posso avere ogni tanto una piccola possibilità di scelta cioè di decidere cosa vorrei che arrivasse alla gente che ascolta le mie canzoni, risponderei consapevolezza, desiderio di conoscersi meglio, migliorare il proprio rapporto col mondo e “crescere” spiritualmente.
Infatti non parlo mai di politica o di attualità nei miei pezzi cè sempre molta introspezione e spiritualità una dimensione purtroppo molto poco presente oggi.
Progetti futuri?
Ho già in mente di scrivere un disco nuovo. QuaNti è servito a chiudere un ciclo ‘la trilogia dell’anima”, a mettere un punto fermo sul passato.
Ho voglia di pensare al futuro e mettermi alle spalle definitivamente questi ultimi due anni che pandemia a parte, sono stati per me molto difficili. Amo produrre dischi di altri artisti per cui mi dedicherò molto anche a questo che fondamentalmente è il mio lavoro, ma spero di poter fare anche tanti concerti nel 2022.
Abbiamo tutti bisogno di ripartire e di continuare a credere che il nostro compito di essere musicisti sia importante per l’umanità intera.
Se dovessi riassumere la tua musica in tre parole, quali sceglieresti e perché?
La mia musica è ispirata, istintiva, onesta. Gli aggettivi cambiano in base ai giorni, ma questi tre sono una specie di costante.
Scrivo quando “mi arrivano” le note e le parole, seguendo il vortice; ho una specie di settimo-senso che mi guida e mi suggerisce che strade percorrere, anche nel buio.
Mi metto al piano, abbasso la luce, mi metto in ascolto e le canzoni nascono fluide.
E poi sì, sono onesta, soprattutto quando scrivo e canto.
La mia voce “si sa”, e sapendosi non può e non vuole tradirsi o mentire.
Devo sentire tutto “appartenermi”, devo crederci: mettere al mondo la musica che sento di poter rappresentare, incarnare la sola storia che posso cucirmi addosso, difendere pure l’indifendibile, combattere pure l’imbattibile, ma crederci!
Sentire fino al midollo ciò che canto, suono, musico, interpreto.
Trarre il meglio, il necessario delle mille parole dette e sentite, piangere per piangere davvero, amare e basta, gioire per ridere forte dentro, fino ad avere quasi male al cuore.
C’è un artista in particolare con cui ti piacerebbe collaborare?
In un certo senso la cosa si è già avverata ma non aggiungo altro, se non il nome e qualche aggettivo a precederlo… una mosca bianchissima: lo straordinario, talentuoso, luminoso, insuperabile, chitarrista e produttore, Corrado Rustici.
Progetti futuri?
Parlo solo del “certo e confermato”, e metto le virgolette perché di questi tempi, tocca essere prudenti… Ma con gioia e fiducia quasi infinita nei confronti dell’avvenire, vi segnalo un godibile e coinvolgente spettacolo scritto insieme al giornalista e critico musicale Ernesto Assante, con cui debutteremo a gennaio a Montecarlo, al Thêatre Des Variétés, Il Mio Incontro con Lucio Dalla (poi naturalmente, anche in Italia, e lì vi aspettiamo al varco).Vi segnalo inoltre che tornerò sul grande schermo come protagonista e voce narrante del nuovo film che racconta i 25 anni del MEI – Meeting degli Indipendenti, con i super registi Marco Melluso e Diego Schiavo, che tra l’altro mi hanno tenuta a battesimo sul grande schermo col pluripremiato film Il Conte Magico.
Inoltre ritorneremo live con il giornalista e scrittore Federico Rampini, con le nuove date dello spettacolo Morirete Cinesi, di cui ho curato tutta colonna sonora.
Last but not least: presentare live, ovunque sia il luogo giusto, il mio nuovo album Canzoni Da Museo.
Certamente farò la mia prima tappa al Museo della Musica di Bologna, e non solo… seguitemi sulle mie pagine web (FB, IG, Telegram), se desiderate essere aggiornati, perché ne combino di tutti i colori: per esempio il 9 dicembre sarò al teatro Ponchielli di Cremona per omaggiare Mina con l’Orchestra della Filarmonica Italiana, poi l’11/12 dicembre a Bologna, al Laboratorio San Filippo Neri, ospite, comme d’habitude alla giornate tutte dedicate all’errore, poi a Marzo sarò a Roma, con L’Orchestra Sinfonica dell’Aquila, diretta dal Maestro Valentino Corvino per interpretare i Beatles in un altro amatissimo spettacolo, di e con Federico Rampini… basta, mi taccio, altrimenti si fa notte!
Fondamentalmente quello che facciamo è provare a trasmettere quel momento d’ispirazione che avviene o accade nella fase di creazione artistica; quella sensazione è comprensibilmente variabile, ci sono canzoni che descrivono momenti differenti, quello che possiamo augurarci e che chi ci ascolta possa cogliere quelle sfumature ed empatizzare su ogni livello la nostra musica. Quando qualcuno viene a dirti “Quella canzone mi ricorda un evento della mia vita”, o quando viene detto “Quel brano l’avete scritto per me”, oppure “Quel pezzo mi smuove un qualcosa dentro” … ecco, ha un’importanza fondamentale per noi, ciò che facciamo è finalizzato alla condivisione, ed anche se partisse da uno sfogo o dalla voglia di raccontare esperienze personali e non, crediamo che le cose siano collegate e che gli altri possano comunque entrare in contatto con quel tipo di sensazioni, e sopratutto che possano provare la cosa più importante di tutte… l’autenticità e la sincerità.
Come vi immaginate il vostro primo concerto live post-pandemia?
Quest’estate è stata ricca di appuntamenti; anche se è stato gratificante respirare quegli attimi di libertà, provare ad immaginare un qualcosa dove non ci sia più quel tipo di preoccupazione generale sarebbe un sogno, ci auguriamo presto di poter rivivere i live accompagnati da quei momenti di totale abbandono.
Quanto puntate sui social per far conoscere il vostro lavoro?
Il discorso social per noi è molto dicotomico… seppur comprendendo l’effettiva utilità e potenzialità c’è una parte di noi che riesce a dare un senso alla cosa, e un’altra invece che è restia all’eccessivo utilizzo, sopratutto per una propria “scelta”, dettata principalmente dallo spavento d’essere intrappolati in “abitudini virtuali”, che a nostra veduta potrebbero minare la creazione di contesti e movimenti vitali per la condivisione artistica e sociale. In ogni caso proviamo ad utilizzare i social in maniera mirata e ad essere coerenti sempre con la nostra visione.
È nato circa tre anni fa quando iniziammo a mettere mano all’arrangiamento di Itaca, brano che aveva una forza, almeno in potenza, che dovevamo riuscire a veicolare al meglio. Conclusa Itaca il resto dei brani arrivò nel giro di pochi mesi; si era innescato un processo virtuoso, sapevamo avremmo prodotto un buon disco. S’innescò, quindi, in Manuel Volpe ed in me, il desiderio di tentare di rendere omaggio ai modelli musicali di riferimento di entrambi cesellando i testi nel modo più accurato possibile, parola per parola, verso per verso.
C’è un artista particolare con cui ti piacerebbe collaborare?
Si, si chiama Susan O’Neill, una polistrumentista e cantante irlandese dall’espressività vocale poderosa, magnetica. Il folk-pop anglo irlandese, da Damien Rice e Lisa Hannigan, Beth Oton, John Smith, Mick Flannery, è uno dei modelli musicali, melodici, armonici e vocali che ha senza dubbio influenzato le atmosfere di alcuni brani del disco.
Come ti immagini il tuo primo concerto post-pandemia?
Me lo immagino ogni giorno, perchè sta per arrivare, sarà il 27 Novembre, giorno della presentazione del disco, e voglio che sia un’esperienza totalmente gratificante per chi verrà ad ascoltarci. La band sarà composta da alcuni dei musicisti già presenti nelle sessioni di registrazione del disco e da componenti nuovi, giovani virtuosi con alle spalle grandi palchi e collaborazioni prestigiose tra Italia, Francia e Svizzera.