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Tag: intervista

L’arte “perfettamente inutile” dei Pixel, la band spezzina tra Indie Rock e New Wave

Si chiamano Pixel, ma se pensate all’informatica siete completamente fuori strada.

Il gruppo spezzino tra Indie Rock e New Wave, per autodefinirsi, infatti, ha preso in prestito una canzone dei Verdena, ma con l’aggiunta dell’articolo.

Nati nel 2013, lo scorso 2018 hanno lanciato il loro primo LP intitolato “Perfettamente Inutile”. Un titolo – si potrebbe pensare – che si presta a giochi di parole e possibili strategie marketing, ma che invece – molto semplicemente – punta il dito al romanzo Il ritratto di Dorian Gray e la sua definizione di arte.

Ogni artista – dicono – quando crea, deve farlo in modo perfetto, al meglio delle sue possibilità; ma al tempo stesso deve rendersi conto che tutto quello che sta facendo potrebbe essere, per certi versi, inutile: se a quel punto vuole comunque continuare a creare, per il puro gusto di farlo e per esprimere veramente se stesso, allora sta creando arte”.

Una definizione che i ragazzi, fin da subito, si sono sentiti tatuati addosso come una seconda pelle e che hanno deciso di traslare sul loro modo di concepire e fare musica.

E che dire sul loro repertorio? Un vasto background che fa capo a diversi generi a cui la band fa inevitabilmente riferimento. Gusti personali, spunti, nuove tendenze e reminiscenze del passato: I Pixel sono curiosi, amano ficcare il naso ovunque e prendere ispirazione da elementi differenti.

Ma poi, quando arriva il momento di creare, fanno sul serio.

Da quei suggerimenti che la musica riesce a dare – in tutte le sue forme, dimensioni e generi – la band riesce sempre a trarre le sfumature necessarie a rendere la propria musica ricca e maledettamente attraente, pur mantenendo il proprio stile.

Conosciamoli un po’ meglio.

 

 Ciao Pixel! Chi siete? Raccontateci un po’ di voi!

Ciao Vez! Come data di formazione del gruppo ci riferiamo sempre al giorno in cui si sono svolte le prime prove con la nostra formazione iniziale, ovvero il 6 dicembre 2013. Andrea e Alex sono i componenti da cui è nata l’idea di creare questo progetto. Nicola è entrato a far parte della band in un secondo momento: ci aveva sentiti al concerto di presentazione di Niente e Subito ed era venuto a dirci che gli sarebbe piaciuto suonare con noi, quando poi c’è stata la necessità di trovare un nuovo bassista, abbiamo saputo subito a chi chiedere! Marco suona con noi dal 2017, da dopo le registrazioni di Perfettamente Inutile. Lo abbiamo contattato su consiglio del suo insegnante, alla prima prova sapeva già suonare alcune nostre canzoni alla perfezione e ci ha subito gasati.

Come luogo che ha avuto un’importanza fondamentale per noi, ti diciamo la cameretta di Alex, dove Andrea ha suonato per la prima volta una chitarra elettrica. Da lì è nata questa passione, iniziata col riff di Where Is My Mind dei Pixies suonato all’infinito nella sala musicale del nostro liceo, insieme ad altri ragazzi. Epica la frase “Brise, smettila con quella sirena dell’ambulanza!” urlata dal metallaro di turno.

 

Perché “I Pixel”? Siete un po’ nerd dentro? Da cosa nasce questo nome?

No, no, il nome non ha niente a che fare con l’informatica! Durante i primi tempi di attività del gruppo abbiamo proposto diversi nomi prima di arrivare a quello definitivo. Per un certo periodo eravamo propensi per “Astoria”, da un famoso teatro londinese (ora demolito) che avevamo conosciuto tramite il video di un concerto degli Arctic Monkeys, mentre il nostro primo concerto lo abbiamo fatto suonando con un nome proposto dal nostro bassista iniziale 5 minuti prima di salire sul palco: Eleanor, per la canzone dei Beatles, Eleanor Rigby… Ricordo che lo avevamo annunciato sul palco senza troppo entusiasmo. Il nome definitivo è poi arrivato su proposta del primo batterista e deriva da una canzone dei Verdena. Ci piace semplicemente come suona e il connubio che forma con l’articolo rispetta perfettamente il fatto che abbiamo sonorità internazionali, ma cantiamo in Italiano.

 

Parlatemi del vostro genere: a chi vi ispirate e come nasce la vostra musica?

Ognuno di noi ascolta generi più o meno disparati, ma nel momento in cui componiamo le canzoni che costituiscono il nostro repertorio cerchiamo di mettere d’accordo le nostre influenze, di farle sfociare in quello che poi è diventato il nostro sound, che credo sia piuttosto riconoscibile.

Alex è più indirizzato sull’Indie, ma in quanto pianista ascolta spesso anche musica classica; Marco è più improntato sul Punk e sul Britpop, mentre Nicola ascolta davvero un po’ di tutto: gli piacciono molto gruppi tecnici come i Tool, influenza riscontrabile nei suoi giri di basso. La nostra musica rispecchia soprattutto i gusti musicali di Andrea, in quanto è lui a elaborare e strutturare le idee che ogni componente porta in sala prove. I suoi ascolti spaziano molto tra l’Indie Rock, la New Wave e diversi artisti italiani. Ascolta davvero un po’ di tutto, l’importante è che ci siano bei testi e intrecci strumentali che ti smuovano qualcosa dentro. Il nostro ultimo pezzo, per esempio, è stato influenzato dai Blur, quello prima ancora da un brano dei Wire, ma non è detto che queste influenze siano riconoscibili quando ascolti le canzoni in questione (che saranno nel prossimo album).

 

Nel 2016 avete realizzato il vostro secondo EP con il quale avete intrapreso il vostro primo tour: che esperienza è stata e quali difficoltà avete incontrato? Avete qualche aneddoto simpatico da raccontarci?

Mondo Vuoto è il disco che ci ha permesso finalmente di uscire a suonare anche fuori dalla nostra Liguria. Lo abbiamo portato in diverse regioni e locali, tra cui l’Hard Rock di Firenze e il Samo di Torino, ed è stato bello vedere per la prima volta la reazione di gente con cui non hai mai parlato in vita tua che ballava e si muoveva sulla nostra musica. Ti fa capire che magari i tuoi amici che ti dicono “Questo pezzo ci sta” forse non lo fanno solo per metterti a tuo agio. Aneddoti simpatici? Così su due piedi, ti diremmo una cena offerta da un locale in cui siamo stati a suonare, di cui non faremo il nome, a base di patate lesse e fagioli. Tre di noi praticamente quella sera non hanno cenato, mentre Alex continua tuttora a dire che è stata una delle cene più buone che aveva fatto in quel periodo. Da lì in poi, ci siamo sempre fatti delle domande sulle papille gustative di Alex.

 

Il 5 marzo scorso è uscito il vostro primo LP “Perfettamente Inutile” per La Clinica Dischi: raccontateci qualcosa di questo disco.

Se pensiamo alla genesi di Perfettamente Inutile, ci viene in mente prima di tutto un periodo molto prolifico. L’EP precedente era uscito a dicembre 2016 e l’estate dopo eravamo già in studio a registrare le 9 canzoni che poi sono andate a far parte del nuovo disco. Andrea allora studiava ancora a Firenze, e ogni settimana entrava in sala prove con un’idea su cui poi lavoravamo tutti insieme, eravamo particolarmente ispirati anche se, pensandoci, anche ora siamo in un bel periodo da questo punto di vista. L’idea e il concept del disco sono totalmente racchiusi nel titolo: dopo aver letto Il ritratto di Dorian Gray, Andrea è rimasto colpito dalla frase contenuta nella prefazione “Tutta l’arte è perfettamente inutile” o qualcosa del genere, e ha deciso di usare questa parte come titolo dell’album collegandola al modo in cui noi Pixel concepiamo la musica. Ogni artista, quando crea, deve farlo in modo perfetto, al meglio delle sue possibilità; ma al tempo stesso deve rendersi conto che tutto quello che sta facendo potrebbe essere, per certi versi, inutile: se a quel punto vuole comunque continuare a creare, per il puro gusto di farlo e per esprimere veramente se stesso, allora sta creando arte.

 

Quanto della vostra terra c’è nella vostra musica?

Tutti e quattro viviamo e siamo nati in provincia di Spezia (tranne Nicola, che è nato in Emilia-Romagna) e siamo tutti molto legati alla nostra terra. Andrea e Nicola abitano a Santo Stefano di Magra, un piccolo paese di provincia dove abbiamo anche la sala prove, Alex abita proprio in città mentre Marco vive nelle Cinque Terre, a Riomaggiore. L’unico che non vive fisso qui è Andrea, che ha studiato prima a Firenze e ora a Milano, ma torna ogni fine settimana nella madre patria. Tuttavia, nella nostra musica non ci sono riferimenti espliciti a Spezia o alla Liguria in generale, ma sicuramente il posto in cui vivi influenza, in modo o diretto o indiretto, il tuo pensiero e quindi le cose che scrivi quando componi. Quindi si potrebbe dire che almeno a livello inconscio, la nostra musica è influenzata dal nostro essere spezzini. Belina!

 

Quali sono i vostri progetti futuri?

Siamo a buon punto con la composizione di nuove canzoni e abbiamo in mente di pubblicare un nuovo album. Quest’estate entreremo in studio per registrare il nuovo materiale che avremo composto fino a quel punto e a momento debito lo pubblicheremo. Nei nuovi brani, stiamo mantenendo una linea col nostro stile, ma al tempo stesso stiamo introducendo molte idee che fino a ora non avevamo preso in considerazione in fase di composizione. Siamo molto contenti di quello che sta venendo fuori e delle demo che stiamo realizzando, noi stessi non vediamo l’ora di ascoltare il lavoro finito.

 

Formazione

Andrea Briselli (voce e chitarra)

Alex Ferri (chitarra e tastiera)

Nicola Giannarelli (basso)

Marco Curti (batteria)

 

Singoli estratti da Perfettamente Inutile.

I Sogni degli Altrihttps://www.youtube.com/watch?v=62FGRgWzi94

Carosellohttps://www.youtube.com/watch?v=CXGFUzZdrNM

 

Giovanna Vittoria Ghiglione

 

SEM, l’Indie-Inspired-Pop che ci porta su un “Altro pianeta”

Solo vent’anni ma un talento da vendere.

Si chiama Samuele Puppo, ma per gli amici è solo SEM – rigorosamente tutto maiuscolo. Un ragazzo che fa della semplicità la sua arma vincente, ingrediente segreto di ogni suo brano e personale peculiarità caratteriale.

Di recente ha firmato per “La Valigetta”, un’etichetta cremonese che fin da subito ha dimostrato interesse nei suoi confronti, dandogli fiducia nonostante quattro chiacchere…su Instagram. (Ebbene sì, i social servono anche a questo!)

Attualmente sta lavorando al suo primo disco che, tra non molto – mi promette – verrà anticipato da un nuovo singolo prodotto da, nientepopodimeno che Erik Thorsheim, produttore del già affermatissimo Boy Pablo.

 

Abbiamo fatto quattro chiacchiere, ecco di cosa abbiamo parlato.

 

Ciao Samuele! Raccontaci un po’ di te.

Ciao VEZ! Io sono Samuele, ho 20 anni e vengo da Celle Ligure. La mia passione per la musica nasce grazie a mio papà: vederlo suonare, anche solo per diletto, mi ha spinto a studiare chitarra prima e canto poi, all’età di 15 anni. I miei primi testi e le mie prime demo sono state in lingua inglese, forte delle mie influenze artistiche che affondavano – e affondano tuttora – le radici nella musica anglosassone, soprattutto nel Pop americano.

Dopo il primo EP ufficiale, registrato ormai tre anni fa, io e il mio batterista Nicola Arecco, abbiamo deciso di dare vita ad un nuovo progetto che è quello attualmente stiamo portando avanti con il nome di SEM.

 

Nella tua biografia, nel genere musicale, è indicato “Indie Inspired Pop”: ce lo spieghi?

Indie-Inspired-Pop è un’etichetta che mi piace molto e che mi è stata attribuita da Erik Thorsheim, il produttore del mio ultimo singolo. “Indie”, oggi, specialmente in Italia, è un termine molto ambiguo e talvolta pericoloso: vuol dire tutto e non vuol dire niente. Ciò che erroneamente pensa la gente dell’Indie è che sia un genere con delle caratteristiche ben precise; in realtà è più un’idea che un sistema di regole: basti pensare ad artisti come Calcutta e Carl Brave, due tipologie di musica differenti che però vengono collocate sotto lo stesso nome.

Io, come dico sempre, scrivo canzoni Pop. Tuttavia sono ispirato dall’Indie estero, che inserisco all’interno dei miei brani in base a ciò che mi piace”.

 

E oggi cosa ascolti?

La musica inglese e americana rientra tuttora nei miei ascolti principali ma, rispetto al passato, ho deciso di aprirmi maggiormente verso le nuove uscite e i nuovi artisti del momento. Ci sono stati diversi musicisti che mi hanno colpito e dai quali ho cercato di carpire il più possibile, come Rex Orange County, nel quale mi sono rispecchiato molto. Oltre all’Indie-Pop straniero coltivo una grande passione per la Black Music e il Soul in particolare. E poi c’è la musica italiana, di cui sto approfondendo solo ora il cantautorato.

 

È bello che tu prenda spunto dalla musica straniera per poi renderla tua in italiano…

La scelta di usare l’italiano è dettata dall’esigenza di voler comunicare determinate cose in un determinato modo: solo in italiano ci riesco perfettamente. Non è stato un modo per prendere parte alla scena italiana perché – come dicevo – è poca la musica italiana che ascolto e che mi piace davvero. Cerco però di mischiare i miei gusti per tirare fuori il meglio.

 

Dal 2015 al 2017 hai partecipato a numerosi festival: qual è il tuo ricordo più bello?

Una bellissima esperienza è stata sicuramente l’aver partecipato all’Acoustic Guitar Meeting nel 2015 a Sarzana. Ricordo di aver preso parte molte volte a questo festival come spettatore e ogni volta era un’emozione. Aver avuto l’occasione di salire su quel palco non più come spettatore ma come musicista è stata una grande soddisfazione.

Anche il Pistoia Blues è stato particolarmente emozionante: è stato il primo festival a cui ho partecipato, insieme a mio padre, quando avevo 9 anni. Potermi esibire in quella cornice, anche solo per 10 minuti, è stato incredibile.

 

Il 27 luglio scorso è uscito il tuo primo singolo Anche se: come sta andando?

Il pezzo sta andando bene. Nicola ed io siamo rimasti piacevolmente sorpresi da questo successo, non ce lo aspettavamo. Avevamo realizzato diversi pezzi ma abbiamo pensato a questo come singolo dell’estate; non avevamo molto tempo ma abbiamo comunque rispettato le tempistiche. L’aspettativa non era molto alta ma il singolo è andato decisamente meglio e questo mi fa venire voglia di tirar fuori cose nuove.

 

Attualmente stai lavorando a nuovi pezzi? Quali sono i tuoi progetti futuri?

Sì, sto lavorando al nuovo disco che verrà realizzato per La Valigetta, un’etichetta cremonese che ha da subito creduto in me pur non conoscendomi di persona. Tra non molto il disco verrà anticipato da un nuovo singolo.

 

Di recente hai collaborato con Zibba: che esperienza è stata?

Ho la fortuna di conoscere Zibba da tanto tempo – siamo addirittura quasi vicini di casa – ed è stato il primo artista italiano che ho ascoltato davvero sin da bambino. Nel momento in cui ho iniziato a cimentarmi nella scrittura ho pensato subito a lui come punto di riferimento, una persona che potesse darmi i giusti consigli, data la sua esperienza nella musica. Tra un brano e l’altro è nata così la collaborazione che ci ha portati a lavorare insieme sui testi dei due singoli Anche se e Altro pianeta. Una bellissima collaborazione.

 

Che cosa pensi dei talent show? Parteciperesti mai?

Questa è una domanda che ritorna spesso. Ma no, non parteciperei ai talent. Mi trovi scettico a riguardo e non è perché io mi senta migliore di qualcuno. Ho avuto l’occasione di prenderne parte, più volte, ma alla fine ho sempre rifiutato in modo istintivo. Penso che i talent siano e restino sempre dei programmi realizzati per la tv: che ci siano o che non ci siano, in fondo, non importa. Inoltre, ciò che ne esce è spesso ingigantito e per questo non li ritengo una fedele fotografia della realtà; finché ci divertono va bene ma stiamo attenti a dargli la giusta importanza.

 

Giovanna Vittoria Ghiglione

Un Cimini senza filtri. Ma con tanto amore.

8 dicembre 2018.

Prosegue il mio mese preferito, anche se mancano ancora un po’ di giorni a Natale, questo sabato sera ha tutto il sapore di un regalo ricevuto in anticipo. Ho un appuntamento speciale e imbocco la A14, con la mia modalità preferita: me myself and I e con canzone A14 in sottofondo, per arrivare da colui che l’ha scritta.

Che Federico Cimini fosse un ragazzo umile ed estremamente gentile, l’avevo capito ancor prima che ci incontrassimo e ancora prima che gli stringessi la mano. Mi era bastato uno scambio di qualche messaggio e il modo in cui ha immediatamente accolto la mia richiesta di fare un’intervista per Vez magazine, in occasione dell’ultima tappa del suo Tokyo Tour prevista al Locomotiv club di Bologna.

Ho scoperto da poco la sua musica ed è stato amore – al primo ascolto. Questa è stata anche la prima cosa gli ho detto, non appena siamo arrivati in camerino e ci siamo seduti sul divano per fare la nostra chiacchierata.

Più che un primo incontro, mi è sembrato un ritrovo, come se ci fossimo già visti e avessimo già avuto modo di entrare in confidenza, saltando quei passaggi da “primo impatto” sempre un po’ imbarazzante tra due sconosciuti.

Forse perché Federico, attraverso i suoi testi ha la capacità di fare entrare le persone in contatto con il suo mondo e tra buoni “empatici”, così come amiamo definirci entrambi, ce la intendiamo senza aver bisogno di tanto tempo prima di stabilire un contatto umano ed emotivo.

In camerino ci siamo arrivati insieme, perché sia lui che il suo manager Nagni sono stati così gentili da aspettarmi ed accogliermi all’ingresso del locale.

Ne approfitto per ringraziare ancora entrambi, non è un gesto scontato o dovuto, ma sin dall’inizio, nonostante fosse la mia prima intervista da sola, senza nessun supporter, mi sono sentita una loro amica, non una sconosciuta.

Il suo album Ancora meglio è in loop da più di un mese nella mia macchina mentre macino chilometri e nelle mie cuffie mentre cammino per strada. Ho scoperto da poco il suo nome e quando gliel’ho detto, mi ha risposto sorridendo: <<Ne sono felice, meglio tardi che mai>>.

 

Adesso Immaginate questo:

 

Un camerino che sembra un tipico salotto di una tipica “casa-regaz”, un divano con seduta una Claudia alla sua prima intervista da sola, emozionata livello-pro e mezza tremolante con le sue domande scritte a penna e un registratore in mano.

E nel bel mezzo dell’intervista immaginate un alternarsi di personaggi adorabili (membri della band) che a turno, fanno avanti e indietro in questo salotto, chi lavandosi i denti, chi intonando note stonate, chi col filo interdentale, chi venendo a prendere una birra dal frigo.

Come non sentirsi a casa?

Iniziamo così la nostra chiacchierata, in un ambiente con un clima che ho amato e che avevo promesso di descrivere.

 

Ero in macchina con mia madre e ti stavamo ascoltando, ad un certo punto mentre ascoltavamo Fare tardi lei ha detto: “Questo ragazzo sembra Rino Gaetano!”. Ecco, ti senti parte di questo preciso momento storico o magari ti sarebbe piaciuto nascere in un altro periodo e contesto. E quali sono i tuoi artisti preferiti, quelli con i quali sei cresciuto?

Questa è una cosa bella che mi impaurisce sempre un po’. Non credo nel destino ma credo nel caso, quindi se il caso ha voluto che nascessi in questo periodo storico va benissimo così.

Mi piace, nel senso che ho sempre cercato di costruire il mio futuro e il mio presente, adattandomi. Ci si adatta, da “animali” a questo mondo, quindi è giusto che io mi trovi qui. Artisticamente non so quanto io mi riesca a ritrovare, ma ci sono.

Far parte del mondo “Indie” non è una scelta personale o voluta, spesso scrivi delle canzoni e ti ritrovi in quel gruppo. Poi ci sono i giornali o il pubblico che hanno bisogno di etichettare, ma sono contento di riuscire a dire la mia facendo parte di questo contesto.

Vivo sempre tutto con alienazione, sono un cantautore, scrivo canzoni e mi fa piacere che possano ascoltarmi sempre più persone possibili a prescindere dal genere a cui appartengo. Gli artisti con i quali sono cresciuto fanno sicuramente parte della produzione italiana storica, per me importante, perché mi ha aiutato tantissimo: da Rino Gaetano appunto, a De Gregori, a Lucio Dalla, a Battiato. Durante l’adolescenza ho avuto il mio periodo Ligabue.

La musica italiana comunque mi ha aiutato tantissimo e la cosa bella adesso è quella di vivere a Bologna, che è un centro musicale assurdo, una città piena di bar e nei bar sai che ci vanno gli artisti. Noi ci troviamo sempre lì, ci sono molti artisti che seguo dello Stato sociale o Calcutta, con i quali ho il piacere di essere amico oltre che un loro fan.

E alla fine si cresce anche un po’ insieme.

 

Come ti immaginavi a trentanni? Momento in cui si tirano un po’ le somme e si fa un giro di boa.

Da bambino mi immaginavo scienziato.  Non avevo un’idea precisa di cosa significasse fare lo scienziato, lo dicevo così, in maniera generica. La musica è stata una passione che mi ha sempre accompagnato, forse a livello naturale mi ci sono ritrovato ed è bellissimo riuscire a lavorare con la propria passione. Poi ho trentanni anni ma non li dimostro (ride) e io confermo.

 

Prima di avere un’etichetta discografica, hai iniziato il tuo percorso auto-producendoti. Sognare non costa nulla, ma quanto costa poi realizzare un sogno e non abbandonarlo prima di chiuderlo nel cassetto?

E’ un investimento e quando si investe, si investono delle forze tra cui il denaro, il tempo, la credibilità, la personalità. Si investono un sacco di cose, quindi il costo non è solo economico, ma è a livello vitale.

Lo fai quando ti rendi conto che la passione che hai è importante. Sono sempre stato un ragazzo determinato, molte passioni che avevo da bambino le ho abbandonate, però poi ho scoperto che mi piaceva scrivere e cantare ed è stato bellissimo e da lì non mi sono più mosso.

Tra le varie passioni poi ce n’è una che puoi davvero sviluppare e può aprirti al mondo del lavoro e da lì ci devi credere.

 

Hai avuto uno stop di un paio d’anni e adesso invece sei reduce da un anno “pieno” quant’è importante allontanarsi da tutto e staccare la spina per stare da soli? La solitudine in sé ti spaventa?

Probabilmente non riesco a stare solo lo ammetto, ed è una critica che mi viene fatta spesso, dalle mie ex magari (ride), però la solitudine è importante. La cosa importante in realtà per me è sentirmi “voluto bene” che forse non è corretto in italiano, ma credo sia chiaro come concetto.

Una volta che so che i miei amici, la mia famiglia e chi mi sta più vicino mi vogliono bene, lì so che sono in pace col mondo, che sto bene e posso prendermi i miei spazi, anzi ho bisogno dei miei momenti di solitudine. Ma ho anche bisogno di quella certezza.

Se dovessi ritrovarmi solo in mezzo alla solitudine invece, mi prenderebbe malissimo.

 

Soffri l’ansia di volere tutto e di non accontentarti mai?

Sì, questa è una verità, cerchiamo sempre quello che non abbiamo ed è una cosa che coinvolge tutti. Io invidio chi riesce a vivere bene accontentandosi di ciò che ha senza cercare altro. Non riuscirei ad essere come loro.

 

Ancora meglio titolo del tuo ultimo album, sei una persona che riesce a godersi la felicità e le soddisfazioni sia personali che artistiche o aspiri sempre a “quell’ancora meglio” e pretendi sempre il massimo da te stesso, senza riuscire a godere molto dei tuoi traguardi?

Cerco di pretendere quello che è meglio per me. Il mio obiettivo di vita è quello di sentirmi soddisfatto, cercare di stare bene. Non dev’essere un’ossessione perché io non canto per popolarità, quella arriva dopo…

Bisogna sapersi accontentare delle cose reali, tutto il resto sono velleità e sono cose che possono trasformare un obiettivo in un’ossessione e così facile poi perdere il controllo.

Mi piace raggiungere i miei obiettivi facendo le cose fatte bene, sennò divento pazzo come molti artisti nel corso della storia.

 

Un’ultima domanda: a chi pensi mentre scrivi?

Penso ai fatti miei, mi isolo, penso a quello che mi succede e a quello che ho bisogno di tirare fuori per sfogarmi.

Mi chiedo se ho bisogno di mandare un messaggio a qualcuno o di esternare qualcosa, ma spesso in realtà penso solo a me stesso.

Infatti canzoni come la Legge di Murphy è una fortuna che siano poi riuscite a toccare altre persone e a farle sentire quasi come protagoniste della canzone stessa.

Mi spiego meglio: alcune testi li ho scritti in momenti non del tutto felici, e perché no, anche in momenti di malessere.

Questi testi però, invece di risultare solo un mio specchio sono finiti per essere anche lo specchio di tante altre persone. E questo è il vero potere della musica.

 

Si conclude così la nostra chiacchierata, con qualche foto insieme, un video di saluti per Vez e un bell’abbraccio.

Questo è Cimini. Umiltà, semplicità e genuinità. Impossibile non amarlo.

Come d’altronde è impossibile non amare i suoi testi, perché lui e i suoi testi sono una cosa sola.

Perché Cimini mostra sé stesso esattamente per com’è: reale e vitale.

E questa si chiama autenticità. Cosa rara.

 

Ho aspettato seduta sul palco l’inizio del live e non potevo concludere in modo migliore il mio 2018, primo anno da e con VEZ.

Trovate il mio report sul nostro sito.

 

Claudia Venuti

 

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Genova e la musica: un pomeriggio con i Banana Joe

Il 13 dicembre prossimo al Mikasa di Bologna, suoneranno per la prima volta i Banana Joe, band tutta genovese fresca di secondo posto al Rock Contest 2018.

Noi di VEZ abbiamo già conosciuto i ragazzi e ne abbiamo anche recensito l’album Supervintage (uscito il 26 ottobre, Pioggia Rossa Dischi, ndr), un freschissimo primo lavoro che travolge e talvolta, commuove, per quel sound grunge anni ’90 che, shakerato, non mescolato, fa breccia nel cuore di noi amanti del moderno/passato e della psichedelia dei fantastici sixties.

E poi li abbiamo conosciuti durante il Concerto per Genova quando ci hanno accolto sorridenti a concerto ultimato. Disponibili e gentili, con quell’attitude seria ma rilassata di chi ama seriamente il proprio lavoro e lo fa con passione, ci hanno salutato con la promessa di rivederci presto.

Oggi abbiamo intervistato Andrea, frontman e voce del gruppo.

 

Andrea, una domanda al volo, su due piedi: ma quanti anni avete? Siete davvero giovanissimi!

Beh, io di anni ne ho 25, Emanuele ne ha 30. In verità chi abbassa la media è Fulvio, il nostro chitarrista: ne ha 24.

 

E come vi siete conosciuti?

Fulvio e io ci siamo conosciuti ad una grigliata estiva sulle rive del Varenna a San Carlo di Cese (dei nostri amici ci hanno addirittura scritto sopra una canzone). Una festa dove si è mangiato tanto e si è anche bevuto, diciamo (ride). Abbiamo iniziato a jammare con batteria e chitarra e abbiamo capito che in qualche modo sarebbe stato bello poter lavorare assieme.

Era però il caso di trovare un vero batterista, perché appunto Fulvio suona la chitarra. Abbiamo invitato Lele, che già conoscevamo, al nostro primo live quando abbiamo aperto la data dei Combine, gruppo tedesco di origine iraniana.

E così siamo riusciti ad avere il nostro batterista, mentre prima c’erano solo turnisti.

 

Chi scrive la musica e i testi?

Ogni pezzo ha una scrittura a sé. Talvolta sono io che scrivo la musica e Fulvio magari scrive i testi. Oppure Lele il testo e Fulvio la musica. Oppure è un lavoro fatto assieme, in contemporanea. In realtà è molto difficile capire chi ha scritto cosa.

La risposta giusta sarebbe: “Musica e testi li scrivono i Banana Joe. Assieme”

 

E i Banana Joe, hanno un luogo del cuore, un luogo che amano e dal quale sono ispirati?

Ah per prima cosa i vicoli di Genova. Tutti i vicoletti di Genova.

Girando la movida genovese siamo sempre lì, tra i suoi caruggi e sicuramente questi hanno avuto una grande importanza nella scrittura dei pezzi e dei testi.

La periferia poi riveste per noi un ruolo davvero basilare. Genova Bolzaneto e Genova Sampierdarena sono due quartieri che siamo soliti frequentare poiché il primo è dove abbiamo il nostro studio di registrazione e poi in entrambi ci sono dei piccoli bar che somigliano tanto a quei baretti di periferia che amiamo tanto.

Una menzione in particolare va anche ai Giardini di Plastica, che in realtà si chiamerebbero Giardini Baltimora.

È uno spazio che dà il nome ad un pezzo che andrà nel nostro prossimo album ed è una zona che ci è rimasta molto impressa. Quando eravamo piccoli era uno spazio degradato anche se in realtà era nato come luogo per far giocare i bambini.

Sai quei parchetti dove le famiglie alla domenica portano i bambini a giocare, e dove appunto ci sono tutti questi giochi in plastica? Ora è in riqualificazione.

 

Noi ci siamo incontrati al Concerto per Genova, esperienza che per me da emiliano-romagnola è stata molto toccante. Come l’avete vissuta questa tragedia da “errore umano” e con che spirito avete partecipato al concerto?

Abito vicino a dove è successo il crollo del ponte (Ponte Morandi, ndr). Ero fuori a fare la spesa, pioveva a dirotto e ho sentito un boato. In quel momento pensi a tutto ma sicuramente non ad una cosa come questa.

All’inizio infatti non ci credevo. Mi sembrava una cosa impossibile. Per andare alle prove ci passavamo sotto ogni giorno. Lele infatti era a 300 metri dal luogo del crollo.

Ogni volga che passiamo di là, perché ora hanno aperto nuovamente la strada, viene un po’ di magone perché non sembra vero. Non vedere più quel ponte è una cosa sulla quale non fai mai l’abitudine.

Suonare a questo evento è stato bello, poiché Genova è una città attiva, ma solo in determinate situazioni. A livello culturale sembra molto provinciale, e questo anche per quanto riguarda la musica e i locali. Sembra quasi chiusa.

In questa circostanza invece abbiamo notato che le persone si sono attivate per far capire che la popolazione c’è. E così ci si rialza dal basso, e si va avanti.

 

Ma parliamo del Rock Contest 2018. Un bel secondo posto….

Sì, bellissimo. Il Rock Contest io l’ho conosciuto tramite il cantante del gruppo Lo straniero, gruppo piemontese di La Tempesta Dischi. È un contest molto ben organizzato e con un livello molto alto delle band in gara.

I live sono gestiti nel migliore dei modi e mi è stato riferito che molte band vogliono partecipare. Delle circa 800 domande pervenute, solo una trentina sono state selezionate.

La finale è stata bellissima e in giuria giudici del calibro di Maria Antonietta e de I Ministri. Presenti anche etichette come Woodworm. Una gran bella vetrina per noi genovesi competitivi e anche se avremmo desiderato il primo posto, siamo davvero orgogliosi.

E scherzi a parte, fosse stato per me avrei fatto vincere tutti. Ottimo livello e ottimi compagni di avventura.

 

Qual è il vostro rapporto con la stampa e più in generale con tutti i media?

Se non ci fosse la stampa non si conoscerebbe la musica.

Noi con i giornalisti ci siamo sempre trovati bene ed è veramente piacevole sapere che ci sono persone interessate a te e che vogliono conoscere la tua storia.

L’informazione in Italia rispetto agli altri paesi è comunque ad un livello piuttosto basso. E per questo va protetta e incentivata, non di certo fermata.

 

Ultimissima domanda, qual è la cosa che amate di più fare quando non vi occupate di musica?

A me piace tanto il cinema, Fulvio si dedica alla cucina perché è un cuoco provetto e di Lele posso dirti che ama tantissimo fare il papà. Ha un figlioletto di 6 anni e quando ne ha tempo, anche lui ama andare al cinema come me.

Una cosa che invece ci lega come gruppo, togliendo appunto la musica, è il fatto che siamo dei cazzoni! No seriamente, le nostre prove in studio sembrano puntate di Zelig. Lavoriamo con impegno e serietà, ma l’umorismo è uno dei nostri collanti principali.

 

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Banana Joe & Me, Concerto per Genova, 17 novembre 2018

 

Grazie mille Andrea e grazie ai Banana Joe.

Ci vediamo il 13 al Mikasa di Bologna.

E lì, ci andremo a bere una birra.

 

Sara Alice Ceccarelli

Intervista ai Modena City Ramblers – Riaccolti

In questo momento, mentre sono qui a scrivere questa intervista/chiacchierata, i Modena City Ramblers (MCR/Ramblers d’ora in poi) sono in studio per la registrazione live, del nuovo disco che uscirà prossimamente.

Ci saranno due esibizioni 17:00 e 21:00 davanti ad un fortunatissimo ristretto pubblico e le immagini e suoni che usciranno da questi due eventi saranno poi raccolte in un cd e dvd di prossima uscita.

Disco che per l’appunto sarà prodotto per la primissima volta con una raccolta di crowfunding, una grande novità per i MCR che dal 2014 ad oggi sono fieramente indipendenti sotto l’etichetta Modena City Records.

Disco n.17 della loro storia, iniziata nel lontano 1991, da allora ad oggi sono stati e sono tuttora un pilastro della musica indipendente italiana.

Con le loro sonorità uniche (specialmente all’epoca dell’esordio), che vanno dal tradizionale irish folk, al rock, al punk passando per sonorità dub e reggae, i MCR sono dei veri e propri sperimentatori, ma la radice più antica appunto, è quella della musica tradizional-popolare, e infatti questo disco, che sarà accompagnato con un tour invernale, sarà un disco di ritorno alle origini, alla loro condizione più primordiale, l’acustico.

 

Ciao Massimo (bassista ndr), come mai questa scelta?

Sono passati 20 anni da Raccolti, disco totalmente acustico, registrato in un pub irlandese della zona. Avevamo voglia di ricreare quel suono, che poi essenzialmente è quello da cui siamo partiti, quando nei primi anni ’90 cominciammo a suonare in giro con un repertorio di traditionals irlandesi.

Lo studio Esagono di Rubiera, dopo essere stato chiuso e smantellato, ha di recente riaperto con una nuova proprietà e  organizza anche eventi live all’interno della sala di registrazione (un vecchio casello del Parmigiano-Reggiano ristrutturato).

Così abbiamo pensato che poteva essere interessante riprendere una nostra esibizione acustica lì dove gran parte delle nostre registrazioni sono nate!

 

Vent’anni Anni da Raccolti, a mio avviso il più bel album acustico mai prodotto in Italia, dove la formazione è stata parecchio stravolta e cambiata, come è natura dei MCR “non sono un ensemble convenzionale ma una compagnia aperta”, quanto è difficile portare avanti un progetto musicale così completo e complicato come il vostro, con una formazione che ogni tot subisce qualche modifica? 

L’identità MCR e l’immaginario di cui si nutre la nostra musica sono talmente forti e condizionanti da esercitare una sorta di magnetica attrazione su chi fa parte della band. Non viviamo con difficoltà gli avvicendamenti, è come se fossimo una squadra di calcio, cambiano i giocatori, lasciando la loro importante storia ed esperienza tra i trofei in bacheca, ma lo schema, l’attitudine e la voglia di giocarcela restano  immutati!

 

Ci sarà qualche inedito come fu per Raccolti?  

Si, abbiamo per l’occasione scritto una ballad che si chiama, per l’appunto, Riaccolti. Il titolo, che poi sarà quello del disco dal vivo, è un chiaro rimando al disco di vent’anni fa. È una dedica alla storia di ognuno di noi, un invito a tenere sempre aperto il proprio cuore al ritorno, guardando però avanti.

 

“Un live è un live” e tutto può succedere, è successo qualcosa di strano e imprevisto durante la registrazione di questo disco? 

Fortunatamente nulla di troppo problematico! Sia noi che il pubblico eravamo un po’ intimoriti all’inizio, poi ci siamo lasciati andare e le vecchie e amiche mura dell’Esagono hanno di nuovo, come per tanti anni in passato, ‘riaccolto’ e fatto vibrare le nostre canzoni!

 

Chiaramente appena dici nuovo disco dei MCR tutti noi già immaginiamo una vostra esibizione dal vivo, perché i MCR sono una delle live band più produttive d’Italia, con ancora oggi sold out in tantissimi locali e piazza piene in tutta Italia. Dicci qualcosa su questo tour. 

Siamo già partiti con le prime date, è un tour che abbiamo anch’esso chiamato Riaccolti, pensando ai locali dove negli anni abbiamo suonato, molti dei quali purtroppo hanno chiuso, ma altri ancora ‘in trincea’ a lavorare con la musica cercando di proporre contenuti e musiche non omologate e indottrinate. Cosa per niente facile in questi tempi.

È una scaletta e un suono legato ai nostri esordi, le tipiche sonorità punk folk alla The Pogues da cui siamo partiti e alle quali nuovamente ci abbandoniamo per tutte le due ore del live. Rispetto al disco dal vivo registrato, totalmente acustico e senza basso, nei concerti non mancherà la ‘pompa’ di basso e batteria, ma per questo giro lasciamo a casa gli amplificatori e le chitarre elettriche!

 

Avete mai tenuto “un conteggio” di quanti live avete fatto? 

Lo abbiamo fatto in passato, poi, superato il migliaio, abbiamo perso il conto!

 

E’ passato più di un anno dall’ultimo disco Mani come rami, ai piedi radici, c’è anche del materiale inedito per un futuro disco?

Di pezzi inediti ne abbiamo sempre nel cassetto, assieme a Riaccolti abbiamo scritto anche altre cose che magari vedranno la luce in futuro.

Stiamo con calma pensando a cosa fare, piuttosto che il tradizionale disco, magari tra un anno o più, stiamo pensando non sia il caso, come già fanno molti artisti, di lavorare diversamente, mettendo on line in rete qualche pezzo ogni tanto, come fossero singoli o i vecchi EP, poi magari solo successivamente pubblicarli insieme su cd.

Ormai la musica è totalmente liquida, pensare alle canzoni come pezzi fisicamente legati a un disco è piuttosto riduttivo. Anche se poi, e il crowdfunding per Riaccolti lo testimonia, a nostro parere c’è sempre bisogno anche del supporto ‘reale’, cd o vinile, se non altro per il fan abituato a ‘possedere’ la nostra musica.

 

Lo studio Esagono di Rubiera è, per gli amanti dei Ramblers come me, una figura mitologica alla quale fare riferimento, li sono stati registrati i primi album dei MCR e da li veniva anche Kaba. Che significato ha per voi, dopo così tanti anni, suonare e registrare in questo luogo?

Quel luogo, a cui abbiamo dedicato Il posto dell’airone, con cui si apre il concerto lì registrato, non ha per noi eguali per le emozioni e i ricordi che ci legano ad esso. Io, Franco e Robby è dal 1994 che ci registriamo.

Al suo interno è nata gran parte della nostra musica, e ancora oggi ritrovo ad ogni mio passo tra quelle mura, vecchi ricordi, volti, storie, aneddoti. Ma non sono fantasmi, sono bellissime memorie che continuano a vivere in me!

Tornare nel casello, e trovarmi a suonare proprio nello stesso angolino di un tempo, è stato profondamente emozionante. Ho dovuto faticare nel concentrarmi sulle parti e l’esecuzione, perché rischiavo di non farcela a reggere emotivamente.

 

Da sempre vi siete contraddistinti oltre per le sonorità anche per l’impegno sociale, portato avanti non solo nelle canzoni, ma anche con viaggi nei sud del mondo, dove sono nate canzoni meravigliose e memorabili come Canzone dalla fine del mondo, o Radio Tindouf solo per citarne alcune, sembra quasi che vogliate lanciare una sfida, un messaggio: in questo momento così buio e drammatico per l’Italia, dove la luce della solidarietà fatica a brillare e tutto sembra doversi disgregare, “stiamo uniti, aiutiamoci” e, per la prima volta, siete voi a chiederlo al pubblico di stare ancora più vicini, con un crowfunding. Come vivete questo periodo storico? 

È davvero, sotto molti punti di vista, un periodo buio. La nostra società sembra sempre più condotta verso una deriva di ignoranza e indifferenza, testimoniata da ciò che ci arriva dalle cronache politiche e non.

Siamo sempre più distratti a scrutare la superficie delle cose che ci accadono, dentro noi e in mezzo agli altri, attraverso lo schermo di un telefonino. Perdendo di vista la reale dimensione della nostra esistenza, dei nostri sogni, delle nostre responsabilità, delle nostre capacità.

Ma basta alzare lo sguardo da questi piccoli schermi, e il nostro vero orizzonte è sempre lì ad attenderci. Basta poco per accorgersene, un sorriso per la strada, il volo di un uccello, un profumo che esce da una finestra, una frase di Luigi Ciotti o Mimmo Lucano. La vita reale.

Con le sue scelte e tutti i suoi problemi, che non possono mai essere delegati o, ancor peggio, affidati nelle loro semplicistiche ed interessate soluzioni da “facebook like” a quegli inquietanti personaggi che oggi ci governano.

 

Sono previsti nuovi viaggi? E in caso dove?

Per ora nulla di particolarmente “esotico” sotto il nostro sole. Il nostro viaggio, come sempre negli ultimi anni, è un viaggio su e giù per l’Italia. Un viaggio che si nutre di strade provinciali, piccoli paesi, storie di periferia, volti e racconti dai quali è bello farsi ‘riaccogliere’…

 

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Modena City Ramblers jamming nel deserto, Tindouf, 2002

 

Una domanda che mi sono sempre fatto, conoscendovi da tempo e sapendo che ognuno di voi è un vero e proprio polistrumentista. Tolta la situazione più radicale e punk dove avete una formazione abbastanza delineata e precisa, quando vi ritrovate in una condizione come questa, acustica, e le possibilità di spaziare nelle sonorità di plettri e archi sono veramente infinite, come decidete “chi suona cosa?!?”

Personalmente ho volutamente, è solo per questo evento particolare, abbandonato il basso, per provare a lavorare, come band, su uno spettro sonoro diverso dal solito.

Cercare di dare ai brani della scaletta un nuovo equilibrio, più legato al folk e alle esibizioni da pub. Ho imbracciato prevalentemente la chitarra acustica dedicandomi alle semplici ritmiche e lasciato a Francesco e al nostro più recente ‘acquisto’, il ‘comandante’ Gianluca Spirito, il piacere di spaziare tra una grande varietà di strumenti tradizionali a plettro, dal bouzuki irlandese alla chitarra battente del nostro folklore fino al quatro venezuelano.

La scelta di ‘chi suona cosa’ è avvenuta in modo spontaneo e in base anche alle capacità tecniche di cui si dispone, e al proposito, da umile bassista punk, sapevo benissimo fin dove potermi spingere! 🙂

 

Una domanda per chiudere: sul serio Dudu si priverà del suo kilt?!? 

Assolutamente sì! Di ben due suoi kilt, i primi usati, nei tour del 2014 e 2015! Cosa non si fa per accalappiare raisers!!!

 

Lasciate un messaggio per “i Vez” che leggeranno questa intervista!

Un grande abbraccio a tutti i “Vez” dal cuore giovane e dalla voglia immortale di condividere con gli altri la camminata sul lato soleggiato della strada!

 

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Modena City Ramblers @ Rock Planet, dicembre 2017

 

Grazie di cuore per questa intervista e “mucha mierda” per quest’avventura!

Forza Vez, ora è il nostro momento, clickiamo sul link e partecipiamo al crowfunding 😉

Noi di Vez Magazine, li incontreremo e fotograferemo per voi il 15 Dicembre al Vidia di Cesena!

Per chi volesse approfondire la loro carriera lascio il link alla cara vecchia Wikipedia.

 

Testo e foto di repertorio: Michele Morri

La fabbrica di Apollo – Edizione II

Dopo il successo della prima stagione, torna la rassegna La Fabbrica di Apollo.

Ogni primo venerdì del mese, da novembre ad aprile, presso la Sala Polivalente della Biblioteca di Anzola dell’Emilia (piazza Giovanni XXIII), sei appuntamenti tra musica e teatro con una formula originale e innovativa.

Accolti da un piacevole brindisi di benvenuto con i vini delle cantine del Consorzio Vini dei Colli Bolognesi, dopo gli spettacoli gli artisti incontreranno il pubblico davanti ad un bicchiere e ad un assaggio di specialità della cucina tradizionale e stagionale.

Interessante dal nostro VEZ-punto di vista è proprio l’intima cornice della rassegna che mette a proprio agio gli artisti che racconteranno così di loro stessi, dei progetti futuri e di tutto quello che riguarda il livello esperienziale del loro essere artisti e uomini e donne.

Il pubblico sarà così invogliato a fare domande e a partecipare il prima persona alla serata, sentendosi quasi parte dell’atto creativo.

Una formula vincente organizzata quindi per il secondo anno da artisti e operatori culturali di Anzola con la collaborazione dell’Amministrazione Comunale, del Centro Culturale Anzolese, dell’Anzola Jazz Club Henghel Gualdi e della Pro Loco di Anzola.

Abbiamo incontrato Sergio Altamura e gli abbiamo fatto un po’ di domande in attesa delle prossime date.

 

Parlatemi un po’ di voi. Quanti siete nell’organizzazione?

Siamo un gruppo composto da una quindicina di persone con esperienze diverse ma tutte utili all’organizzazione della rassegna.

Tra di noi ci sono musicisti, cuochi, baristi, scenografi, backliners, contabili, grafici e volontari.

L’idea dell’organizzazione della rassegna è nata dalla volontà di proporre musica e spettacoli teatrali originali in provincia, dando così la possibilità alla comunità di scoprire nuove realtà artistiche contemporanee.

Per questa ragione abbiamo scelto artisti che propongono materiale originale. La rassegna vuole essere una finestra sulle nuove proposte artistiche ed e’ appoggiata dal Comune di Anzola dell’Emilia, il Centro Culturale Anzolese, la Pro Loco, Anzola Jazz Club.

 

Quanto è stato difficile organizzare una rassegna di questo tipo?

Diciamo che la parte più difficile è la parte burocratica, purtroppo. Per il resto ciascuno di noi ha delle mansioni precise legate alla
propria competenza e questo rende tutto più facile.

Non ci pesa organizzare e lo facciamo con una certa allegria. Essendo un appuntamento al mese riusciamo a gestire la situazione senza troppi affanni.

 

Quali sono i cambiamenti che avete attuato dall’anno scorso? Su quali fronti avete aggiustato il tiro e quali avete potenziato?

L’anno scorso, la rassegna, ha avuto un buon successo, la sala polivalente del comune di Anzola dell’Emilia che ha una capienza
all’incirca di un centinaio di persone,  si è sempre riempita ed il pubblico ha reagito sempre con entusiasmo.

La formula dell’aperitivo prima del concerto (compreso nel prezzo del biglietto) e il dopoconcerto con una proposta culinaria a tema accompagnata con un bicchiere di vino ha permesso al pubblico di socializzare e poter interagire con gli artisti .

Percio’ quest’anno abbiamo voluto far conoscere questa rassegna anche fuori da Anzola dell’Emilia incrementando la promozione nei comuni limitrofi , soprattutto Bologna.

Ci piacerebbe che si conoscesse di più la nostra iniziativa in modo tale da creare sinergie con realtà più vicine alla città.

 

Qual è stata la risposta da parte del pubblico?

Ottima, la sala e’ sempre Sold Out. Il pubblico è eterogeneo, ed è il punto di forza di questa rassegna: ragazzi condividono questa
esperienza con persone adulte e viceversa  senza problemi di socializzazione, anzi diventa una serata aperta al confronto
generazionale.

 

Cosa vi aspettate dal secondo anno di rassegna?

Intanto di proporre la stessa qualità artistica, e che il pubblico rimanga contento come l’anno scorso.

L’obiettivo principale è quello di dare la possibilità ad artisti che propongono lavori originali di avere più visibilità e di farli entrare in contatto il pubblico.

Vorremmo che la rassegna diventasse un piccolo punto di riferimento, per questo avremmo bisogno di una maggiore visibilità nei media cittadini ed è una cosa sulla quale stiamo lavorando.

 

Ecco le prossime date

Emanuelle Sigal – 7 dicembre 2018

Love is The Revolution – 11 gennaio 2019

Centoquarantuno – 1 febbraio 2019

Elisabetta Pasquale (Orelle) – 1 marzo 2019

Alice Tambourine Lover – 5 aprile 2019

 

Tickets:
singolo:10,00 euro (spettacolo + consumazione)
abbonamento: 50,00 euro (6 spettacoli)

 

Prevendite Anzola dell’Emilia:
Ocean Bar e Edicolè via Goldoni
Rosa e Morena via Schiavina
Stefy & Stefy via Emilia

 

Infoline: 347/8936204
[email protected]
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