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Tag: intervista

Tre Domande a: Fucksia

Come e quando è nato questo progetto?
Mariana: Fucksia nasce da una base musicale, quella che poi è diventata il pezzo dell’EP I’m a Freak.
In una fredda giornata invernale, quando l’apocalisse sembrava alle porte e “il Nulla” culturale, artistico e mentale incombeva su tutti noi, una canzone viaggiava nell’etere e nell’ethernet. Dall’estremo sud della Puglia passando per Bologna per giungere infine a Venezia I’m a Freak fu capace di creare una connessione tra tre artiste distanti geograficamente ma vicine tra loro in termini artistici.
Poppy plasmatrice di sonorità plastiche, Marzia ipnotizzatrice vocale ed io, Mari, disturbatrice professionista abbiamo iniziato a scambiarci file musicali ed a creare un primo di numerosi contatti virtuali nei quali abbiamo composto tutti i sei pezzi che compongono l’EP. Il primo incontro in presenza è stato a Bologna solo diversi mesi dopo.
L’armonia fra noi si è creata fra le note ed è così che sono nate le nostre poesie Teckno, riuscendo ad “accordarci” e viaggiare sulle stesse frequenze.

 

Ci sono degli artisti in particolare a cui vi ispirate per i vostri pezzi?

Poppy: Tutto ciò che creo fa parte di un grande bagaglio di ascolti che parte dalla musica rock di David Bowie alla musica dark new wave degli anni ’80/’90, dal noise al punk fino ad arrivare ai primi ascolti di musica elettronica come Terranova , Apparat, Moderat, Byetone, etc…  Ma l’ispirazione più grande non arriva da un artista in particolare. La mia attenzione è stata catturata, invece, da un movimento, quello dei rave party.
I ritmi tribali e i suoni dei Synth ipnotici della tekno, mi hanno subito rapito il cuore. In più la voglia di libertà che ho visto in quei party non organizzati in club, ma in posti spesso occupati o in mezzo alla natura, mi hanno fatto capire che la maggior parte della gente che vuole divertirsi e ballare, ha bisogno di questo svago come dell’aria che respiriamo.

 

Se doveste riassumere la vostra musica in tre parole, quali scegliereste e perché?

Marzia: “Follia techno antipatriarcale”.
Follia perché senza la nostra orgogliosa imprudenza e visionaria sconsideratezza saremmo la metà di ciò che siamo e faremmo la metà di ciò che facciamo.
Techno è ciò che caratterizza maggiormente le nostre basi musicali su poi cui costruiamo linee melodiche e testi densi di messaggi che mirano a diffondere una cultura e una visione transfemminista e antipatriarcale.

Tre Domande a: Laín

Come stai vivendo questi tempi così difficili per il mondo della musica?

Sono al mio primissimo lavoro discografico e quindi un neonato in questo mondo… spero di entrare a far parte dei fortunati che riescono a vivere di musica e non preoccuparmi più di sbarcare il lunario cambiando un lavoro all’anno.
Da quel che so, in Italia era già difficile vivere di musica prima della pandemia. Tutto quello che è successo è stato solo una conferma di quanto il ruolo dell’arte e di chi se ne occupa sia poco considerato. Purtroppo per la maggior parte delle persone l’arte è soltanto una forma di intrattenimento e tantissimi “artisti” continuano a contribuire al consolidamento di questa idea.

 

Se dovessi riassumere la tua musica in tre parole, quali sceglieresti e perché?

La prima parola che mi viene in mente è Essenziale, nel senso che cerco sempre di essere chiaro e conciso quando scrivo e compongo. So che gli ascoltatori mi offrono il loro tempo e sento il dovere di riempirlo di contenuti… e poi è essenziale per me: mi aiuta a capirmi e sono sicuro che mi aiuterà a farmi capire.
Intima perché nasce dai testi dei miei diari e racconta l’uomo che sono, con estrema sincerità. La manterrò sempre molto personale perché ho ormai ben chiaro il percorso che intendo fare. Crescerà, maturerà insieme a me e dividerà la vita in capitoli, testimoniando gioie e dolori, cadute e conquiste.
La terza è Giramondo e viene dalle considerazioni dei miei primi fan: mi hanno detto tutti che le mie canzoni ispirano il viaggio e sono perfette come sottofondo in treno e simili. Mi piace moltissimo pensare che il mio viaggio interiore sia “applicabile” all’esterno e che questo album sia associato all’idea di movimento.

 

Come ti immagini il tuo primo concerto live post-pandemia?

Già c’è stato un piccolo concerto in acustico, in occasione della presentazione del mio album Line of Light, in uscita il 15 ottobre. Ho risposto ad alcune domande e suonato diverse canzoni in una serata magica ed emozionante.
Eravamo intorno ad un pozzo al centro di un piccolo chiostro. Si è creata un’atmosfera meravigliosa e per un’ora ci siamo dimenticati di tutto, eravamo fuori dal tempo. Non avrei saputo immaginarlo più bello di quanto sia stato.

 

Tre Domande a: JacksonT

Ci sono degli artisti in particolare a cui ti ispiri per i tuoi pezzi? 

Si, ci sono diversi artisti che sono la mia fonte di ispirazione, per tantissimi motivi. Artisti del calibro di Ernia, Rkomi, Il Tre, e così via, potrei elencarne qua molti altri. Io ascolto molta musica, prevalentemente italiana, prevalentemente rap, pop. Sono in assoluto i generi che preferisco. Questo non esclude la musica straniera, perché artisti come Justin Bieber, The Kid LAROI, Ed Sheeran, sono comunque tra i miei preferiti. Degli artisti sopracitati mi piace molto la scrittura, le linee melodiche che vanno a cercare, il significato dei loro testi. Insomma io credo che bisogna sempre imparare da chi è più bravo e da chi ha più esperienza di te e, se possibile, prendere spunto per poi andare a costruire un progetto nuovo e fresco.

 

Cosa vorresti far arrivare a chi ti ascolta? 

Beh, vorrei far arrivare in primis le emozioni; le stesse emozioni che ci metto dentro quando scrivo una canzone e quando la vado a registrare. Scrivere canzoni non è facile, perché è un qualcosa di prettamente personale e, se a qualcuno non piace, ti senti in un certo senso ‘ferito’. Mi piacerebbe davvero raccontare delle storie, alcune felici, altre un po’ meno, anche perché la musica è la metafora della vita, ci sono giorni tristi e ci sono giorni felici e così sono le canzoni. Le mie prime tre pubblicazioni hanno un senso logico, però credo che non sia facilmente percettibile. Io sto costruendo un vero e proprio percorso artistico, con la speranza che prima o poi quest’ultimo venga capito e apprezzato per quello che è.

 

Quanto punti sui social per far conoscere il tuo lavoro?

I social, ahimè, sono molto importanti oggi giorno. Se torniamo indietro di qualche anno, il buon vecchio passaparola non smentiva mai, adesso invece purtroppo non è così. I social sono letteralmente il tramite tra artista e pubblico. La comunicazione è importante. Io personalmente per ogni pubblicazione ho cercato di catturare l’attenzione del mio pubblico virtuale, per cercare di incuriosire. Purtroppo non è facile, viviamo in un periodo storico dove l’ascolto della musica è passivo, totalmente passivo. Bisogna cercare di farsi spazio e dire a tutti ‘hey, guardate che ci sono anche io!!’. Sono sicuro che non mollerò, anche perché sono all’inizio di questo percorso, sto seminando tanto, spero di raccogliere i frutti in futuro.

Tre Domande a: California

Come e quando è nato questo progetto?
Il progetto nasce da una forte amicizia con il  chitarrista Fabio Brando (ex Canova), una sera di agosto di due anni fa. Dopo una pizza entrammo nella sua stanza per chiacchierare, lui si sedette al pianoforte e mi disse “Dai, io invento un giro e tu ci canti delle frasi sopra!” . Quella sera nacque una della canzoni a cui siamo più legati, la prima del progetto (di cui ora non posso dire il titolo, lo scoprirete più avanti).
Tutto comunque è nato in maniera naturale senza forzature, dalla passione che hanno in comune due veri amici, che sfogano le proprie ansie e i propri problemi con la musica. Da lì in poi sono arrivate altre canzoni, come Mediterraneo appunto.
Fabio mi ha inoltre seguito in studio durante il processo creativo nella lavorazione dei brani, insegnandomi e consigliandomi un sacco di cose che non conoscevo, è stato un vero e proprio guru, non smetterò mai di ringraziarlo!
Ci sono degli artisti a cui ti ispiri per i tuoi pezzi?
Solitamente ascolto davvero tutto, soprattutto nell’ultimo periodo, dove il mercato discografico è ricco di uscite.
Io però sono cresciuto con il pop/rock americano: Blink 182, Sum 41, Green Day, Offspring, ma anche la scena britpop come Oasis, Blur e The Verve. Ci sono poi altri gruppi ai quali sono molto legato come i Nirvana, quando ho cercato di scrivere e comporre musica in studio mi sono sempre ispirato a loro. Il suono di quei gruppi per me rimarrà sempre il mio preferito, tant’è vero che nonostante ascolti un sacco di altra musica, torno poi sempre a quella, perche è l’unica che ancora oggi mi dà forti emozioni e mi riporta un po’ alla mia adolescenza.
Per i testi invece è un discorso diverso, nel senso che non mi sento vicino a nessuno, qualcuno mi ha detto che somiglio a Gazzelle, anche se lui scrive da dio, io no!
Mi piace molto inventare racconti, storytelling dove la gente si rivede, ma anche parlare della vita che vivo tutti i giorni. Credo che al giorno d’oggi, scrivere cose autentiche ma soprattutto sincere sia la chiave per far bene.
Come ti immagini il tuo primo concerto live post pandemia?
A volte me lo sogno la notte. Giuro, non scherzo, ci penso spesso con la speranza che arrivi presto.
La cosa più bella della musica è portare alla gente il tuo lavoro, farglielo ascoltare dal vivo, senza filtri, solo loro e la tua musica.
Dopo un periodo così tragico e pesante c’è bisogno di concerti, di aggregazione, e non capisco perché a oggi ancora si sia mosso ben poco.
Nei piccoli live che ho fatto mi piace trasmettere al pubblico energia, ma anche far riflettere con i pezzi più lenti. Insomma, spero arrivi presto il mio primo concerto post pandemia, e spero pure di avere tanta bella gente sotto al palco da invitare a bere una birra insieme finito il live!

Tre Domande a: Frank!

C’è un artista in particolare con cui ti piacerebbe collaborare?

L’artista, o meglio, la band con cui mi piacerebbe collaborare di più in questo momento sono The 1975, gruppo britannico per il quale ho un debole da molto tempo. Le loro sonorità penso si sposerebbero bene con le mie essendo a metà tra l’analogico e il digitale. L’unione del mio mondo sonoro con il loro amplificherebbe la dimensione ibrida in cui mi piace gravitare.

 

Come ti immagini il tuo primo concerto live post-pandemia?
Il mio primo concerto post-pandemia lo immagino con tante persone che cantano a squarciagola le mie canzoni, che ballano e si divertono tanto quanto me! Se ci penso, riesco quasi a sentire quell’emozione prima di salire sul palco, quell’ansia che poi si trasforma nella spinta giusta! Essendo i miei brani usciti dopo l’avvento del COVID purtroppo non ho ancora avuto occasione di suonarli dal vivo davanti ad un pubblico. I concerti sono sempre stati uno dei miei aspetti preferiti del fare musica. Mi mancano moltissimo i palchi e non vedo l’ora che sia finalmente possibile ritornare a pieno regime anche per quanto riguarda i live show!

 

C’è un evento, un festival in particolare a cui ti piacerebbe partecipare?
Penso che ogni artista abbia sognato almeno una volta di suonare a Wembley. Uno stadio cosi grande e iconico sarebbe il massimo per me oltre che un grande privilegio essendo stato palcoscenico di molte band e artisti che nel corso degli anni hanno fatto la storia. Per quanto riguarda i festival, su tutti mi piacerebbe suonare al Glastonbury Festival, con tutte quelle bandiere che sventolano tra il pubblico!

I Fast Animals and Slow Kids tra passato, presente e futuro

Con già dieci anni di carriera alle spalle, tornano i Fast Animals and Slow Kids con il loro ultimo lavoro, dal titolo È Già Domani. Abbiamo fatto due chiacchiere per parlare del nuovo disco, del tour appena concluso e soprattutto di tempo che scorre. 

 

Ciao ragazzi e grazie per quest’intervista. Avete appena finito il vostro primo tour dell’era post Covid. Come vi sentite, com’è stato?

Aimone: “Noi stiamo bene. È un momento in cui ci sembra che tutto stia tornando ad una sorta di normalità, dato che abbiamo appunto fatto un tour e adesso sta per uscire un nuovo disco, quindi sembra veramente che la vita stia tornando alla normalità, anche se ci rendiamo conto che non è proprio del tutto così. Per quanto riguarda il tour, è andato davvero bene. Abbiamo fatto questo tour in acustico dove ci siamo confrontati con una nuova modalità di musica e, nonostante all’inizio fossimo un po’ spaventati, nel corso del tempo ci abbiamo preso la mano e ci è piaciuto moltissimo. È stato un concerto intimo, di confronto, di chiacchiera… Abbiamo raccontato la storia di questi ultimi dieci anni di musica in giro per l’Italia. È stato davvero emozionante e anche i feedback sono stati positivi. Dopo due anni di ‘stop’ ci ha fatto molto bene, sia all’umore che alla testa.

 

Parlando invece del nuovo disco, in È Già Domani fin dal titolo torna un tema per voi piuttosto ricorrente, ovvero il tempo. Come mai questo titolo? E qual è il vostro rapporto col futuro?

Alessio: “Le due risposte sono legate.”

Aimone: “Sì, sono decisamente legate. È Già Domani è un titolo che mette in relazione da una parte il tempo che scorre e dall’altra il fatto che non facciamo altro che farlo scorrere più velocemente. Ci troviamo in una condizione — e questo ci sembra un po’ anche il leitmotiv del disco — in cui presente e futuro si sono estremamente avvicinati, quasi a fondersi. Tutto ciò che facciamo adesso è in proiezione di qualcosa che saremo tra cinque minuti, tra due ore, tra sei anni… E se da una parte questa cosa è bella perché spinge a fare qualcosa di migliorativo, a essere ogni giorno qualcosa di diverso e a crescere, dall’altro lato vivi anche una sorta di pressione perché quello che sei in quell’istante non è altro che qualcosa che dovrai essere dopo. È come se non riuscissimo più a vivere questo presente staccandolo completamente dall’idea di noi stessi tra qualche tempo. Il disco si muove in questo dualismo e lascia tante domande aperte, il che è un’altra sua particolarità. Ci sono domande a cui non diamo risposta, mentre normalmente chiudevamo un pezzo in se stesso, come se fosse un monolite. In questo caso invece i pezzi rimangono ‘eterei’ dal punto di vista delle tematiche. Inoltre, un’altra particolarità di È Già Domani che ci piace molto è che nel titolo mettiamo insieme un po’ di presente, un po’ di passato e un po’ di futuro: ‘è’ il presente, ‘già’ il passato e ‘domani’ il futuro. Ci piaceva filosofeggiare un po’ con questa visione di fondo.”

 

In questo album compare anche il vostro primo feat, Cosa ci direbbe con Willie Peyote. Com’è nata l’idea di collaborare?

Aimone: “Mentre stavamo scrivendo questa canzone ci siamo resi conto che c’era una parte in cui ci stava una spiegazione più concreta, più specifica. Volevamo che ci fosse una variazione perché ci sembrava quasi incompleta. Questa sensazione prettamente artistica, unita ai due anni di isolamento e distanza, ci ha portato a dire ‘okay, collaboriamo con qualcun altro’. E questo qualcun altro doveva essere una persona che ci capisse bene, un amico a cui avremmo potuto spiegare il testo in onestà, che avrebbe capito il nostro punto di vista e che avesse a sua volta un punto di vista che noi potessimo capire. Qualcuno con cui parlassimo ‘la stessa lingua’, insomma. Abbiamo chiesto a Willie perché lo stimiamo da un punto di vista artistico, quindi sapevamo che potevamo fare qualcosa di figo, e perché è un amico. Possiamo avere una conversazione reale, parlare di qualsiasi cosa e per noi era importante dato che, se ci deve essere il primo feat, deve essere una cosa dove ‘cadi in piedi’. È una prassi che si usa spesso in musica, ma noi non l’avevamo mai fatta. Fatta così, però, è una cosa che rifaremmo volentieri. È andata bene e siamo molto contenti.”

 

Fask interview

 

Quando è uscito Animali Notturni aleggiava un po’ la critica che “non foste più gli stessi di Hybris e di Alaska“. Come avete reagito?

Aimone: “Ma è vero! Noi non siamo più gli stessi di Hybris e Alaska, ma non siamo più gli stessi nemmeno di Animali Notturni. Io non sono più lo stesso di ieri! Abbiamo sempre fatto quello che era nelle nostre quattro teste, quindi, se esiste una coerenza, esiste una nostra coerenza interna che consiste nell’essere rappresentativi di noi stessi ogni volta che scriviamo qualcosa. Secondo me è molto più facile per un artista mantenere la stessa cifra stilistica una volta trovata una certa forma, così da non tradire mai nessuno. In realtà per noi non funziona così, perché la musica è troppo importante e soprattutto salva le nostre vite, quindi essere disonesti e fare qualcosa che non è più nelle nostre corde sarebbe peggio di sperimentare e provare a fare cose che invece sentiamo più nostre, sta tutto lì… Poi in generale c’è sempre una possibile critica per ogni disco che esce, ma abbiamo imparato a non ascoltarle nel corso di questi dieci anni. Le uniche che ascoltiamo sono le critiche interne: se uno di noi critica qualcosa di un pezzo vuol dire che non gli piace e se non gli piace è un problema. Già dobbiamo trovare una sintesi tra le nostre teste, ed è complessissimo così. Se in più dovessimo ascoltare anche le teste degli altri diventerebbe un inferno. Poi siamo persone che pensano molto alle cose, ragioniamo mille volte su quello che ci viene detto, quindi abbiamo deciso di concentrarci su un’unica coerenza, che è la nostra: quella di quattro persone che hanno cominciato a fare musica insieme dieci anni fa e sono amiche da una vita.”

 

In È Già Domani ci sono canzoni molto diverse tra loro, sia per sound che per testi. Metterle insieme è stata una scelta più ragionata o più casuale?

Aimone: “Molto ragionata. È Già Domani è un disco estremamente ‘cosciente’, nel senso che abbiamo avuto molto tempo per pensare, ripensare e scrivere i testi e questa forse è anche una differenza con i dischi precedenti tranne il primo. Le canzoni che abbiamo selezionato sono partiti da una scrematura magari di 40 pezzi. Con tanto tempo, ci siamo trovati di fronte a questi pezzi e li abbiamo riascoltati mille volte, parlando sia di testi che di arrangiamenti. Anche la scaletta, l’artwork, tutto è estremamente ragionato in modo che questo disco fosse concreto e rappresentativo di noi stessi.”

 

A novembre sono dieci anni da Cavalli. Se poteste tornare indietro nel tempo e incontrare i FASK di quel periodo, c’è qualcosa che vorreste dir loro?

Aimone: “Direi loro di non lasciare il furgone fuori ad Arezzo quella sera perché è stato un bel trauma. Direi loro di non fare alcune date che abbiamo fatto…”

Alessandro: “Di non leggere le recensioni.”

Aimone: “Sì, di non leggere le recensioni del primo disco per non demoralizzarsi, anche se di fatto poi non ci siamo demoralizzati… Non lo so, io in realtà sono molto felice del percorso dei FASK, di quello che eravamo a 20 anni e di quello che siamo diventati adesso. È un percorso molto lineare, fatto con le persone con cui hai iniziato. Poi c’è sempre qualcosa da migliorare o da recriminare al te stesso più giovane…”

Alessio: “Probabilmente i FASK dell’inizio non sarebbero stati pronti a fare le scelte di adesso. Non potremmo nemmeno consigliare di fare prima un determinato passaggio. è tutto molto giusto e calato nel momento…”

Aimone: “Ah, e poi gli direi bravi per non aver mai cambiato membri della band, per aver sempre premiato questo senso di amicizia e di unità che ci fonda e ci tiene in piedi da tempo. C’è una sorta di scudo che abbiamo nei confronti di tutto questo.”

 

Francesca Di Salvatore

Tre Domande a: Smania Uagliuns

Come state vivendo questi tempi così difficili per il mondo della musica?

La nostra reazione spontanea è stata quella di metterci sotto con la produzione e il continuare ad essere creativi a 360°. Abbiamo dedicato molto del nostro tempo e delle nostre giornate al concepimento e sviluppo di questo nuovo EP (Travel Experiment (Season One), NdR), curandone ogni particolare, compreso il merchandising, i video, le idee di promozione e anche aspetti più grafici e tecnici, facendo un lavoro da etichetta più che solo da artisti. Abbiamo messo la nostra creatività a tutto tondo, ci piace partecipare ad ogni aspetto dei nostri lavori., così come la metteremo nella lavorazione dei nuovi singoli e del disco che stiamo finalizzando. Nei momenti di difficoltà, si prova a tramutare la negatività per tirarne fuori delle cose buone e per noi la ricompensa, in primis, è la musica e l’arte, che è arrivata, perciò possiamo già dirci felici. Ci siamo divertiti molto a creare da zero questo nuovo progetto. Anche se magari le energie spese supereranno i risultati, non fa nulla, la cosa primaria è combattere e dare tutto per quello in cui si crede.
Ora stiamo programmando anche dei piccoli eventi, di cui Agronomist sarà anche direttore artistico. Sebbene con le restrizioni e i problemi del caso, non ci faremo trovare impreparati, sperando di tornare a fare un sacco di cose fighe. Alla stasi e alla crisi abbiamo risposto e continueremo a farlo con produttività, creatività, impegno e dedizione, come sempre. Anche per progetti solisti di membri del gruppo, quelli di Agronomist nel caso specifico, siamo stati molto in studio a creare musica nuova. Ciò ci ha salvati e fatto risalire la china. È stato faticoso inizialmente, ma poi anche bello in maniera inedita, chiudere le porte al mondo esterno e cercare in sé le risposte, la “cura”.
Ora però vogliamo aprirci al mondo e confrontarci con l’esterno. Avevamo anche dei piani totalmente saltati, o rimandati nel migliore dei casi, ma abbiamo provato a rimettere insieme i cocci. Attendiamo una nuova era, più propizia, intanto cerchiamo di trarre il meglio dal momento presente, dando inizio a questo nuovo viaggio, per l’appunto.

 

Quando e come è nato questo progetto?

Questo progetto è nato in maniera del tutto spontanea nel 2016, dall’unione della nostra propensione al viaggio e alla scoperta con la passione per la musica e la ricerca di nuove sonorità. Da qui l’unione dei termini “travel” ed “experiment”, intesi come viaggio fisico, ma anche sonoro, e  come sperimentazione creativa, che si propone di assimilare e fagocitare la cultura e le sfaccettature dei luoghi che visitiamo di volta in volta, ridandogli luce sotto forma di storytelling, trasformato e deformato dalle nostre lenti, a volte in chiave ironica, a volte più seria. Nel fare ciò ci piace avvalerci di mini strumenti portatili e di frammenti musicali e linguistici prelevati direttamente dal posto oggetto della nostra visita (es. campioni di vecchi vinili usati, vocali registrati con il telefonino, etc.), oltre a catturare le video-immagini, per mezzo di varie action cam, che poi vengono montate a fare da cornice video al brano che viene solitamente scritto estemporaneamente durante il viaggio, poi finalizzato e registrato nel nostro home studio nelle settimane successive.
Quello che ci prefiggiamo è la creazione di un’opera estemporanea, che sia frutto dell’impeto e delle impressioni del momento, e non di una ragionata e calcolata struttura precostituita, una sorta di diario di bordo reale e vissuto, senza troppi fronzoli insomma e per varie ragioni, differente da altri progetti o dischi.
Il primo episodio è stato concepito durante un viaggio a Marsiglia  nel 2016, e ciò è stato una totale rivelazione per noi: scrivere un brano e registrarne il relativo video durante un week end fuori porta , ma senza farlo realmente, in quanto già parti integranti del nostro viaggio fisico e mentale. Da lì sono partiti una serie di episodi legati a diversi viaggi fatti insieme (Alo Bucarest (2017), Kenya Safari (2018), fino ad arrivare a quest’ultimo episodio Gute Natch Berlin, che chiude un po’ il cerchio e suggella l’EP Travel Experiment (Season One) che, come implica il titolo, non escludiamo possa avere un seguito nel futuro prossimo.

 

Progetti futuri?

Innanzitutto riprenderci tutto quello che è nostro (semicit.) con questo Travel Experiment (Season One). Riguardo questo nuovo singolo ed EP, abbiamo tante sorprese che sveleremo man mano, tra cui un merchandising molto particolare e delle date di presentazione, per ora in Basilicata, speriamo in seguito anche nel globo. Non ci neghiamo la possibilità di realizzare altri travel nel futuro prossimo e magari nuovi episodi o una Season Two. Dopo queste peregrinazioni, torneremo alla base, anche grazie ad un progetto che celebrerà le nostre origini e terra. Questo progetto sarà legato al nuovo disco. Ci focalizzeremo sul nuovo album, infatti, che è pressoché pronto, va finalizzato, ma abbiamo già dei singoli in lavorazione, come accennavamo e tante belle idee e cose da presentare anche riguardo questo lavoro. Tutt’altro suono, approccio e lavorazione, ma siamo molto contenti di come sta venendo fuori. Inoltre ci sarà del materiale di Agronomist da solista, a cui probabilmente parteciperemo. In più abbiamo molta musica nei cassetti e negli hard disk, che vorremmo rinfrescare e pubblicare. Questo è il momento storico in cui abbiamo in serbo più musica di sempre, che non ha senso tenere ferma. Negli anni purtroppo lo abbiamo fatto, sia per contingenze da indipendenti, di vita, momenti di sconforto e di perdita di entusiasmo, impegni dei componenti, sia per disavventure varie. Ci siamo stancati, vogliamo pubblicare tutto, come va, va. Speriamo poi di riprendere a suonare live, ci manca un sacco. Il primo live “vero” dopo tanto, a proposito, sarà al BasilicArt Festival, ad Agosto, dove presenteremo il nuovo EP. Non vediamo l’ora.

Tre Domande a: Chris Lavoro

Come e quando è nato questo progetto?

Ho sempre alimentato questa scintilla, mi è sempre piaciuta l’idea di uscire con un altro disco dopo Fai Tu come MOKA, appena rientrato dal tour mi ci sono messo con tutta la passione e la concentrazione, in totale indipendenza, son contento che il disco nuovo In Giro finalmente sia fuori.

 

Se dovessi riassumere la tua musica in tre parole, quali sceglieresti e perché? 

Se mi ascoltassi senza conoscermi probabilmente direi eclettica, organica e romantica. Credo che affiori questa sensazione che è un misto di coraggio e vulnerabilità, molta onestà e freschezza, nonostante non mi dimeni a inseguire il sound del momento.

 

Se dovessi scegliere una sola delle tue canzoni per presentarti a chi non ti conosce, quale sarebbe e perché?

Al momento sceglierei Last Goodbye perché è un bel mix di mondi che mi piacciono: ha questo cantato un po’ malinconico anni ’60, un bel beat surf, le chitarre e il piano elettrico anni ’70, i synth anni ’80 e soprattutto la voglia di ricominciare, molto 2021.

Tre Domande a: UVA

Come state vivendo questi tempi così difficili per il mondo della musica?

Ho la fortuna di avere un altro lavoro, però è stato un momento super difficile, e penso che rimarrà così ancora per un pò. In questo periodo è importante andare ai live per supportare la musica e gli artisti.

 

Cosa vorreste far arrivare a chi vi ascolta?

Un’emozione, vorrei che gli ricordasse qualcosa, qualche esperienza della sua vita qualche momento. Che gli facesse un po’ da colonna sonora del momento.

 

C’è un artista in particolare con cui vi piacerebbe collaborare?

Ce ne sarebbero tantissimi. Non ho un idolo in particolare, non seguo le orme di una persona, o cose del genere. Mi piacciono tanti artisti diversi, per altrettanti diversi motivi. Dipende da cosa si vuole comunicare, ogni artista ha la propria chiave di lettura.

Tre Domande a: Andr3

Come e quando è nato questo progetto?

Andr3 è un progetto nato da poco, ho scritto Portovenere 254 quasi un anno fa ma il primo singolo l’ho pubblicato solo da qualche mese; è il mio progetto solista e che mi rappresenta totalmente, soprattutto perché è il mio primo progetto musicale in italiano e questo mi da la possibilità di esprimere al 100% quello che voglio dire.

 

Ci sono degli artisti in particolare a cui ti ispiri per i tuoi pezzi? 

Mi ispiro a tantissima roba, soprattutto perché sono cresciuto con il punk rock californiano dei primi anni 2000, con l’alternative rock inglese degli ultimi anni e ho avuto una grande fonte di ispirazione anche dai grandi producer e DJ EDM. Quindi le mie influenze vanno dai Bink 182, ai Bring Me The Horizon e i Linkin Park, per poi finire a Martin Garrix, Avicii e The Chainsmokers
Con il genere pop italiano è sicuramente difficile inserire certe sonorità ma quella è la musica che ascolto di più.

 

Progetti futuri? 

Ho finito da poco la registrazione di tre nuove canzoni, spero di far uscire un EP a Ottobre che comprenda appunto i tre pezzi già usciti e i tre inediti.
Spero di riuscire anche a fare dei concerti il prima possibile ma ora sono concentrato sulla promozione del nuovo singolo e portare a termine il mio primo disco.

Tre Domande a: platìni

Come state vivendo questi tempi così difficili per il mondo della musica?

Nonostante l’assurdità di questo ultimo periodo, per tutto e per tutti, paradossalmente credo sia stato fondamentale per la mia musica. Poco più di una settimana prima della chiusura totale di Marzo 2020, quando ancora non si sapeva quello che sarebbe successo da lì a poco, ho chiuso il primo pezzo del progetto platìni.
Dopo una serie infinita di tentativi finiti nel cestino del mio Mac ero arrivato ad una quadra musicale che forse mi soddisfaceva e che mi ha fatto dire “OK, forse questa roba mi piace per davvero, da qui posso partire”. E così è stato. Ho sfruttato tutto il tempo libero che avevo chiuso in casa a produrre i pezzi che poi sono diventati i primi pezzi di questa avventura e che adesso stanno iniziando ad uscire.
Quindi a livello artistico, per mettere a fuoco davvero il tipo di sonorità che volevo dare ai pezzi che avevo scritto, è stato importantissimo questo tempo di sospensione che abbiamo vissuto a causa della pandemia. E probabilmente è stato d’aiuto anche per farmi smettere di rimandare il momento in cui prendere la decisione di lanciarmi poi con il progetto solista. In un momento di totale incertezza, dove davvero si faticava e si fatica tutt’ora a capire cosa succederà mi sono detto “Vado, io da adesso cerco di esistere, va come deve andare e vediamo che succede”.

 

C’è un evento, un festival in particolare a cui ti piacerebbe partecipare? 

Milano è una città che, abitandoci piuttosto vicino, ho frequentato spesso per diversi motivi ma in particolare modo per la musica e per tutta l’offerta di concerti che offre. Un festival iconico per Milano, e forse per l’Italia in generale, che negli anni si è fatto sempre più grande ed importante, a cui ho partecipato diverse volte come spettatore (ma una volta mi ci sono ritrovato pure a spillare le birre) è il MiAmi. Quindi forse forse, se dovessi scegliere un festival a cui terrei in modo particolare a partecipare, potrebbe essere proprio questo. Anche solo per il gusto di poter dire al me sedicenne e ventenne e venticinquenne e così via, che più volte si è trovato sotto quei palchi, “Toh, guarda, a sto giro ci sei sopra tu, bravo!”.
E poi va beh dai, anche un capatina al Festival di Sanremo non sarebbe mica male.

 

Quanto punti sui social per far conoscere il tuo lavoro? 

È ovvio e forse anche un po’ banale ricordare e ricordarsi quanto i social siano in questo momento uno strumento importante, importantissimo, probabilmente fondamentale e quasi indispensabile per un artista emergente. Non sono mai stato un grande frequentatore dei social, o quanto meno non in modo attivo. Da quando è partita questa avventura come platìni però mi ci sono lanciato, con un certo entusiasmo e senza fatiche.
Sono un gran coglione, mi piace proprio fare il deficiente nella vita, e se nelle canzoni mi prendo sul serio, a volte forse fin troppo, con i social mi piace lasciar passare la mia parte più cazzona. Per dire “Oh, guardate che se nei miei pezzi cerco di dire solo cose più o meno serie, nella vita in realtà sono anche questo gran pistola che vedete nelle storie di Instagram”.
Ah tra l’altro, momento marchetta, su Instagram sono platini.wav

Tre Domande a: Disarmo

Come e quando è nato questo progetto?

All’atto pratico il primo singolo firmato Disarmo è uscito a inizio 2020, ma in un certo senso questo progetto nasce con me; considerando che attingo da un bagaglio di esperienze personali e musicali riempito nel corso di una vita e che sommate danno il risultato di quello che sono “artisticamente” oggi.

 

Progetti futuri?

Mi piacerebbe vedere posti che non ho ancora visto, confrontarmi con una cultura nuova, dimenticarmi per un po’ chi sono stato prima. Ho appena chiuso un album e non sento il bisogno di scrivere nulla; non credo nella scrittura come una forma di esercizio, il progetto più bello per il mio futuro è trovare ispirazione.

 

Se dovessi scegliere una sola delle tue canzoni per presentarti a chi non ti conosce, quale sarebbe e perché?

Macerie, la traccia nr. 1 del mio album. Trovo sia un racconto inquieto e profondo nonché manifesto di tutto il disco. Un pezzo lento, che mescola atmosfere jazz dolci e notturne a un ritornello che esplode struggente.