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Di come i Mighty Oaks riflettono il loro stato emotivo nella musica

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I Mighty Oaks si aspettavano di vivere il 2020 in tour ma non è stato possibile: hanno quindi convogliato le energie nella realizzazione del quarto album Mexico, in uscita il 7 Maggio per Howl Records. Per l’occasione, abbiamo chiacchierato con Claudio Donzelli, che ci ha raccontato le emozioni e le esperienze che danno vita alla loro musica.

 

A febbraio del 2020 avete pubblicato All Things Go e dopo poco più di un anno tornate con Mexico. Cosa ha significato per voi far nascere qualcosa di nuovo mentre il mondo sembrava fermo?

“La pandemia ha cambiato tutto, incluso il tipico ciclo vitale di un album. Quando il lockdown è iniziato a Marzo 2020, avevamo un piano incredibile per il resto dell’anno, tonnellate di grandi show in Europa e negli Stati Uniti. Non vedevamo l’ora di portare in tour il nostro terzo album All Things Go ma presto diventò chiaro che le restrizioni avrebbero avuto un impatto enorme sul nostro programma. Nell’impossibilità di non poter suonare per niente i nostri concerti, abbiamo pensato che fosse meglio investire il tempo nello scrivere del nuovo materiale. Nessuno sapeva cosa sarebbe successo ma sapevamo che quando l’incubo sarebbe passato, saremmo stati pronti con della nuova musica da pubblicare e da suonare dal vivo. È stato il nostro modo di affrontare il lockdown, ci ha tenuti sani di mente e concentrati durante tempi di incertezza.”

 

L’aspetto che preferisco di Mexico è la sua particolare intimità. Cosa preferite invece voi del vostro album? E qual è il suo tratto distintivo rispetto ai vostri lavori precedenti?

“Mi piace quando un album è un’istantanea di dove siamo individualmente e come gruppo al momento di farlo. Quando so che siamo riusciti a riflettere il nostro stato emotivo nella musica che facciamo. Penso che questo sia il caso per Mexico. Abbiamo vissuto attraverso tempi che non hanno avuto precedenti, il cambiamento climatico, i problemi razziali e una politica disastrata. Troverete qualcosa di tutto questo nell’album, ma troverete anche rappresentati tratti universali dell’esperienza umana come amore, amicizia e morte. Mi piace la giustapposizione tra i due (aspetti, NdR). Alla fine del giorno ognuno di noi deve confrontare il proprio mondo interiore con il mondo esterno in cui viviamo. Penso che la sua unicità sia nel processo. Abbiamo registrato quasi tutto da soli nello studio casalingo di Ian. Il risultato è più grezzo, diretto e non filtrato che mai.”

 

Ian Hooper ha dichiarato che registrare in casa è stato come tornare agli inizi del vostro percorso. È un’esperienza da rifare?

“Assolutamente, ed è sembrato giusto così e molto naturale tornare a quel modo di lavorare in questa fase della nostra carriera. Dopo tre album e altrettanti EP era giunto il momento di mischiare le carte in tavola e portare un po’ di energia fresca in studio. La stessa energia fresca in cui Ian ed io eravamo immersi quando registravamo le prime tracce, gettando le fondamenta per il gruppo, nel 2010.”

 

Voi provenite da paesi diversi e la band è nata in Germania. In che modo le vostre origini influenzano o arricchiscono la vostra musica?

“Innanzi tutto, arricchiscono la nostra esperienza di lavorare insieme. In secondo luogo, la nostra musica, ma è davvero difficile per me dire esattamente come i nostri background culturali si riflettono nella musica che facciamo e anche se siamo cresciuti in posti diversi, la musica che abbiamo ascoltato crescendo non era poi così tanto diversa. Per esempio, io sono cresciuto ascoltando principalmente Brit Pop e gruppi indie americani negli anni ’90/’00.
In generale, l’internazionalità è veramente parte della nostra natura, anche oltre il gruppo: nel nostro team abbiamo professionisti da Francia, Svizzera, Austria, Germania ovviamente e persone con background ungheresi e turchi. È molto comune a Berlino in quanto la città è diventato un enorme hub internazionale negli ultimi 10-20 anni.”

 

Se vi chiedessi di tirare le somme di tutto il vostro percorso artistico fino a oggi?

“Wow, questa è una domanda davvero difficile! Ci provo” (sorride, NdA)
Penso che siamo sempre stati interessati a trovare modi potenti di raccontare storie che risuonano con le persone. Lo facciamo attraverso i testi di Ian che sono spesso ispirati da eventi autobiografici. Lo facciamo con la musica che si mette a servizio e supporta la storia. Il nostro percorso artistico si rivela nello sviluppare, perfezionare e sperimentare con l’arte del songwriting.”

 

Infine, qual è secondo voi un altro album uscito di recente che dobbiamo assolutamente ascoltare?

Earth di EOB (Ed O’Brien, chitarrista dei Radiohead) è stato il miglior album che ho sentito da un pezzo a questa parte. Mi ha letteralmente rapito. È uscito durante la pandemia lo scorso anno e mi ha veramente fatto viaggiare senza muovermi quando viaggiare non era permesso. È un meraviglioso album pieno di sfaccettature con contaminazioni di diversi generi e gusti musicali.”

 

Marta Massardo

Tre Domande a: Malacarna

Come e quando è nato questo progetto?

Malacarna nasce nel 2016 durante un breve periodo di permanenza nel mio paese d’origine Brienza. Il tutto accade nella mia casa di campagna, circondata da colline fiorenti che inghiottono la valle disseminata di vigneti, ulivi e querce. In cima alla montagna di fronte, si erge un Santuario dell’anno 1000 che con i suoi rintocchi di campana mi osserva da quando ero bambino.Questo luogo ha sempre rappresentato per me uno spazio di profonda ispirazione e intimità ed è stato determinante nella composizione di questo progetto.
Il tutto nasce con dei Blues semplici, rauchi, urlati o sommessi, dove qua e la balenano immagini sacre e profane, amore e morte. La lingua inglese ne costituisce l’ossatura con i suoi suoni semplici e immediati che generano sibilanti impossibili da riprodurre nella lingua italiana.
Le tracce registrate chitarra e voce, venivano spedite con un vocale direttamente sul cellulare di Vince. Ciò che mi tornava indietro era entusiasmante, le visioni di quei testi si vestivano di suoni eterei, pungenti, estremi, rumori grezzi allo stato primordiale ma sapientemente cesellati come sculture con echi e delays, elevati all’ennesima potenza da ritmi tribali, rulli incessanti, tuoni che echeggiavano lontani oppure battiti di ali che accompagnavano la voce.
Due direzioni diverse, diametralmente opposte ma in perfetto equilibrio tra loro. Questa è la caratteristica che da sempre accomuna me e Vince. Io che cerco nel blues, la composizione semplice ed essenziale mentre Vince nella sua ricerca sonica è un “alchimista”, intento ad utilizzare i più svariati metodi per vivisezionare un suono per poi ricomporlo in qualcosa di rumoroso ma allo stesso raffinato ed etereo oppure dolce, struggente e intimo.
Il progetto prende vita in questo modo ispirandoci l’un l’altro, io con la mia voce, Vince con suoi suoni.
Inutile dire che la vera svolta è avvenuta quando Vince ha espresso esplicitamente il desiderio di autenticità in questo progetto e che forse era arrivato il momento di usare la nostra lingua (Il dialetto) per raccontare la nostra cultura e le nostre storie.
Per me è stato un duro colpo, mi sono ritrovato nudo davanti ad uno specchio, ho sempre scritto brani in inglese perché il mio background musicale proviene assolutamente dal Blues e dal Rock in tutte le sue varianti. Mi sono ritrovato senza un linguaggio a disposizione, senza un modello dal quale attingere.
Un giorno riflettendo su uno dei brani che avevo già scritto in inglese (Dead Calm Sea), ho intuito che in realtà le immagini dei miei testi risiedevano nei proverbi, nei racconti e nelle figure retoriche appartenenti alla mia cultura.
Dead Calm Sea quel mare calmo ed insidioso non era altro che un proverbio Burgentino “iumë cittë nun passà” ovvero “fiume silente non attraversare” è stato come scoperchiare un contenitore dal quale attingere.
Gli stornelli di mio nonno, gli aneddoti, le canzoni popolari, i luoghi immaginari, terre di Santi e di riti pagani, abitavano la mia immaginazione da sempre.
Quella storia la conoscevo bene, me l’aveva raccontata mia nonna, si collega alla tragica vicenda di una paesana che camminando lungo l’argine del fiume in piena, mise un piede in fallo scomparendo tra le acque impetuose.

Mare Citte (Mare Silente): La prima canzone scritta in dialetto Burgentino, di fatto il brano che ha ispirato il progetto.

Marë cittë

“Si vuó vëní cu mi’ ind’a stu marë cittë
tu më rëcistë a mi
nun passá ca të nichë“

Mare silente

“Vieni con me in questo mare silente
ricordo quando mi dicesti
di non attraversare prima d’annegare”

 

Se doveste scegliere una sola delle vostre canzoni per presentarvi a chi non vi conosce, quale sarebbe e perché?

Senza dubbio il brano più rappresentativo di questo progetto è Nunn’è Rrëlorë. Questa canzone è stata una delle ultime ad essere concepita ma che porta con sé tutta la consapevolezza di cosa vuol essere Malacarna.
Nunn’è Rrëlorë è un concentrato di tutte le influenze sonore, stilistiche e di linguaggio che io e Vince siamo diventati, componendo questo disco.
Dico: “siamo diventati” perché compere un viaggio musicale inedito, ti porta inevitabilmente ad attraversare un processo di “autoanalisi”, di trasformazione del tuo “io musicale” che ti cambierà per sempre.
Le influenze stilistiche assimilate nel tempo che risiedono dentro di te in forma latente, finalmente vengono alla luce, impregnando così la tua “personalità artistica”, diventando connotati riconoscibili della tua scrittura.
Scavare dentro di sé è un processo di crescita estrema, un processo di maturazione che porta a saziare il proprio “ego creativo” e a rinnovarne la sete.
Tutto ciò è una sorta di effetto a catena che genera nuove energie ed apre a nuove idee e concetti.
Quando si comincia a scrivere, la visione di ciò che si fa è appannata, offuscata, l’embrione non ha forma, sarà il processo finale a definirne i dettagli, i connotati e i contorni con linee definite.
Nunn’è Rrëlorë è la realizzazione del quadro, la visione finale: un insieme di influenze Blues/Tribal/Goth/Industrial/Ambient intrise della passione di Vince per la cinematografia di David Lynch, Jodorowsky e Roger Corman, attraverso una meticolosa e approfondita ricerca.
Anche dal punto di vista lirico il dialetto si impossessa estremamente della sua capacità espressiva, attraverso “la poetica della detrazione “con concetti semplici, evocativi ed eloquenti.
Il ritornello è costituito da uno “Stornello” che recitava spesso mia nonna, la tematica Bene/Male/Vita/Amore/Morte si sintetizza in questo brano, bozzetti di jazz linguistici (come accade nei testi di Bob Dylan) si rincorrono in maniera apparentemente insensata, ottenendo con le due voci in alternanza, la proiezione di visioni contenenti tutti gli elementi costituenti di quest’opera: “la cultura popolare con la sua morale universale, credenze religiose, sacro e profano, superstizioni, detti locali, storie popolari, citazioni, situazioni familiari e storie al confine tra il mitologico e il grottesco”.

Nunn’è rrelore (Non è dolore): Il Vero male Traccia d’apertura dell’EP

Nunn’è rrëlorë

“(Nunn’è rrëlorë) chi rëlorë së sendë (Quand’è rrëlorë) chi perdë l’amandë
(si ‘u pierdë muortë) no nunn’è nniendë
(ma si ‘u pierdë vivë) e ttë passa pë ‘nnandë”

Il vero male

“(Il vero male non è) provare dolore
(il vero male è) perdere l’amato
(se lo perdi morente) non è il vero male
(ma se lo perdi in vita) e ti incrocia ignorandoti”

 

C’è un artista in particolare con cui vi piacerebbe collaborare?

Credo che la questione collaborazioni sia una delle cose meglio riuscite di questo progetto. Prima di elaborare Malacarna in chiave dialettale, Vince mi aveva passato Sanacore (Almamegretta) da utilizzare come spunto per la stesura dei testi. Il caso ha voluto che Vince entrasse in contatto col manager di Raiz il frontman degli Almamegretta, da questo incontro è nata un’affinità artistica e stima reciproca che è sfociata in un suo featuring per il brano Oh Signorë.
Una vera e propria perla nel disco, Il timbro di Raiz dona al brano vibrazioni incredibili e la sua performance è indubbiamente da brividi. Con il suo enorme spessore artistico è riuscito ad immedesimarsi sia nel mio dialetto (Lucano) che nelle atmosfere tribal/noise, donando tridimensionalità a tutto il pezzo.
Il senso di gratitudine e di soddisfazione per la collaborazione di Raiz valgono davvero tutti i sacrifici fatti per questo EP. Le mie parole non sono comunque sufficienti ad esprimere quanta stima artistica provo per lui.
L’altro punto di svolta di Malacarna è l’incontro di Vince con l’artista Dorothy Bhawl, colui che ha ricreato La Malacarna in termini estetici, una donna dall’aspetto inquieto, che trasmette un senso continuo di timore, metallo prezioso e metallo povero, sgorgano a fiotti dai suoi polsi, mentre con fare stanco si lascia andare sul suo trono profano. Questo personaggio appare e scompare sotto forma di donna un po’ dappertutto nel disco, si fa carico del suo fardello di condannata dalle malelingue ad essere causa di espiazione e dolore. Ovviamente questo personaggio vuol essere solo un punto di partenza per un discorso molto più strutturato sulle credenze popolari. Dorothy Bhawl è senza dubbio il terzo membro della band, Vince si è limitato a fargli ascoltare i brani e lui ha fatto il resto riuscendo a rendere perfettamente visibili i temi del disco.
È incredibile come le sue opere sembrino scaturire esattamente dai miei testi. La copertina è di forte impatto, si tratta di una lingua su di un vassoio d’argento che sbava oro ma è trafitta da tre chiodi della crocifissione. Il potere evocativo di queste immagini riesce davvero ad imbrigliare, tutti i temi trattati nel disco.

Tre Domande a: Stefanelli

Se doveste scegliere una sola delle vostre canzoni per presentarvi a chi non vi conosce, quale sarebbe e perché?

La canzone che sceglierei sicuramente sarebbe CONTROCORRENTE. È un po’ il manifesto della poetica nonché dell’estetica di tutto il progetto. Credo che nel verso “La bassa qualità, lo specchio della mia onestà” si rifletta tutto quello che sono, la voglia e la ricerca di cose semplici che ci permettano di vivere con serenità nelle comunità di cui facciamo parte, Il ruolo sociale che abbiamo e la quotidianità da vivere sempre con stupore e mai con rassegnazione.

 

Quanto puntate sui social per far conoscere il vostro lavoro?

Mi verrebbe da dire che oggi puntare sui social è l’unica possibilità concreta che un’artista ha per farsi conoscere. Oggi con la situazione che stiamo vivendo tutti, non c’è più la possibilità di organizzare delle tournée e conquistare fette di pubblico live dopo live. Bisogna reinventarsi e i social credo che lo permettano. Quello che più fa la differenza oggi però sicuramente è il modo in cui vengano utilizzati.
Odio lo spam e la ricerca costante del colpo di scena. Mi auguro sempre di fare un percorso artistico onesto e coerente e quindi vorrei che lo siano anche tutte le cose che mi riguardano come i miei account social.

 

C’è un evento, un festival in particolare a cui vi piacerebbe partecipare?

Vorrei partecipare sicuramente a tanti eventi, ma soprattutto come pubblico. Ho il sogno di suonare allo Sziget da quando praticamente ho iniziato a suonare, ma oggi mi basterebbe poterci andare come pubblico.
Mi manca tantissimo suonare non vedo l’ora che questa cosa ritorni ad essere possibile.
In Italia ci sono tantissimi eventi organizzati da persone validissime. Penso al _reset! festival o al MI AMI, ma su tutti mi farebbe tantissimo piacere partecipare all’ YPSIGROCK.

Tre Domande a: Gintsugi

Come e quando è nato questo progetto?

Il progetto vero e proprio è nato durante il primo periodo della pandemia. Avevo iniziato a comporre nel 2019 e mi sono ritrovata a non poter lavorare da marzo 2020, e ad avere un’organizzazione del tempo molto diversa. A volte ho composto per due, tre giorni di seguito senza mai fermarmi, neanche per mangiare!
Nel frattempo un’idea anche concettuale era maturata, anche attraverso diverse ispirazioni, ovvero creare canzoni a partire da zone d’ombra e di vulnerabilità. C’è tanta esibizione di persone nel senso di maschere o ego nella nostra società e volevo scrivere qualcosa che non partisse da quella parte forte, costruita, ma da una zona vulnerabile, poco esposta, trattando anche di stati emotivi un po’ tabù, magari fonte di vergogna. Questo per me è abbastanza catartico nel momento in cui scrivo, ma poi esporlo è fonte di disagio, e mi interessa stare in quella zona poco confortevole perchè penso che lì si può trovare qualcosa di interessante.
Dal punto di vista musicale all’inizio componevo molto con ableton live, invece poi mi sono spostata sempre di più verso il pianoforte e la chitarra, per poi andare ad aggiungere degli elementi elettronici eventualmente in un secondo tempo. Il mio gusto è evoluto verso qualcosa di sempre più scarno ed acustico.

 

Ci sono degli artisti in particolare a cui vi ispirate per i vostri pezzi?

Per questi pezzi in particolare mi sono ispirata dal punto di vista letterario e musicale a Placebo, Nick Cave, PJ Harvey per la capacità di andare in fondo nel lato un po’ nascosto ed estremo dell’animo umano.
Dal punto di vista musicale sicuramente Kate Bush, c’è anche una mini-citazione a Billie Eilish, ed un’artista giovane, Broken Twin, che ha fatto uscire un album nel 2014, alcune delle canzoni sono incredibilmente toccanti e strutturate in modo perfetto. Questa zona tra la musica pop e la musica classica mi interessa in termini di composizione, anche perchè ho una formazione classica.

 

Cosa vorreste far arrivare a chi vi ascolta?

Vorrei entrare in comunicazione a partire da quella stessa zona di vulnerabilità che espongo, e che le persone possano essere toccate da un testo, da un suono o da una voce ad un livello sensoriale ed emotivo piuttosto che razionale. Credo che sia questa la potenza della musica, anche pop; non è solo il testo o la composizione o lo strumento a comunicare, ma è tutto l’insieme e non passa per una comprensione cerebrale, ma da corpo a corpo. E poi, anche se questo implica che io stia a disagio nel mostrarlo, far arrivare a delle persone che non importa quanto in alcuni momenti si sentano disperate, folli o sole, questi sono stati da cui passano la maggior parte degli esseri umani, a volte dietro la facciata che presentano al mondo.

Tre Domande a: Jaguar Jonze

How have you been doing during these hard times for music in general?

It’s definitely a challenge but a welcomed one too. It allowed me to step away from comfortable patterns and think outside of the box. I think you can only take on a positive mindset in situations like this to keep moving forward, and through that, we are able to innovate. The strength of humanity I guess!

 

What about your future projects?

I’m currently working on a short film to tie all of my Antihero songs together, which was the plan from the start of me creating this EP. After that, I will go into writing and writing to figure out where I will go in sound next.

 

If you were to choose just one of songs to introduce yourself to those who don’t know your music, which one would you choose and why?

Eeeeeeeeekkk!! That’s such a good, hard question! Depends on my mood, if I wanted to show my softer side it would be Astronaut and if I wanted to show my harder side it would be Deadalive.

 

Come stai vivendo questi tempi così difficili per il mondo della musica?

È sicuramente una sfida ma una sfida in qualche modo benvenuta. Mi ha permesso di allontanarmi da abitudini assodate e spinta a pensare fuori dagli schemi. Penso che puoi solo affrontare queste situazioni con una mentalità positiva per poter andare avanti e, grazie a questo, poter essere in grado di innovare. La forza dell’umanità, immagino!

Progetti futuri?

Al momento sto lavorando ad un corto per legare insieme tutte le canzoni di Antihero, che per me era il piano fin dall’inizio per questo EP. Dopodiché, mi butterò a scrivere e scrivere per capire dove andrà il mio sound.

Se dovessi scegliere una sola delle tue canzoni per presentarti a chi non conosce la tua musica, quale sceglieresti e perchè?

Eeeeeeeeekkk!! Questa è davvero una bella domanda difficile! Dipende dal mio umore, se volessi far vedere il mio lato più delicato sarebbe Astronaut e se volessi far conoscere il mio lato più duro sarebbe Deadalive.

Sam Eagle e la necessità di non ripetersi

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Sam Eagle è un’irrefrenabile forza della natura e dopo soltanto cinque mesi dall’uscita di Something Out of Nothing, è arrivato il nuovo EP She’s So Nice (Cooking Vinyl). Per l’occasione, abbiamo chiacchierato con lui, che ci ha raccontato come nascono e si formano le sue canzoni.

 

Sei appena ventunenne ma hai già all’attivo una serie di pubblicazioni solida ed eterogenea: puoi raccontarci del tuo percorso artistico?

“Certo, ebbene… Ho cominciato a fare cose da solista quando avevo sedici anni, essendo stato solo in gruppi fino ad allora. Volevo fare qualcosa di super semplice e giusto per divertimento, per provare a vedere com’era il processo produttivo. Mi è piaciuto tantissimo e non mi sono più voltato indietro. Ho una regola molto severa che ogni canzone del mio repertorio deve essere unica. In questo modo ogni canzone parla da sé e io non mi ripeto. Questo è molto importante per me come artista e se qualcosa non soddisfa questo criterio non viene pubblicato. Molti dicono che scrivere quante più canzoni puoi è l’approccio giusto, ma personalmente non sono d’accordo — preferisco di gran lunga metterci più tempo a scrivere un pezzo, e fare in modo che sia il miglior pezzo che può essere, permettendo alla canzone di formarsi da sé in modo naturale prima di andare oltre.”

 

Cosa preferisci del tuo ultimo EP (She’s So Nice, NdR)?

“Penso l’assortimento di stili, emozioni e suoni. Questa è un’altra cosa molto importante per me — avere la più ampia gamma possibile di sentimenti attraverso un progetto. Mi piacerebbe pensare che ci sia qualcosa per tutti.”

 

In che cosa il suo contenuto si distingue dalle canzoni precedenti?

“Direi che è più prodotto. L’ultimo EP Something Out of Nothing e questo She’s So Nice sono stati fatti insieme, perciò sono fondamentalmente una coppia, o un unico corpo di canzoni. Prima di questi due EPs, comunque, ero solito farmi influenzare molto dal jazz. Adesso mi faccio influenzare di più dall’hip hop.”

 

Che cos’è che ti ispira?

“La natura è sempre stata una forte fonte d’ispirazione per me. Crescere vicino al mare e nella campagna inglese mi ha decisamente influenzato a tenere le cose più naturali possibile e a non processare troppo gli strumenti o la mia voce. Altre fonti di ispirazione possono essere qualunque cosa da una canzone, un libro, un’esperienza divertente, una conversazione o veramente qualsiasi cosa! Provo solo a fare nuove esperienze — che bisogna ammettere essere stato davvero molto difficile durante lo scorso anno.”

 

Sei uno degli artisti dell’anno per il 2020, un grande traguardo dato il periodo in cui ci troviamo. Come stai vivendo questi tempi non facili?

“Sono stati molto fortunato ad aver messo in piedi il mio studio per registrare questi EPs prima della pandemia. È veramente stata un’ancora di salvezza in quanto posso continuare a fare musica e a lavorare su progetti senza alcun costo. È qualcosa che davvero raccomando a tutti quelli che possono permetterselo, di provare e mettere insieme un qualche cosa in modo da essere autosufficienti come artisti. È stato difficile rimanere ispirato e la quantità di contenuti che giravano ovunque è stata davvero sfiancante. Adesso sono decisamente pronto e non vedo l’ora di andare avanti verso qualsiasi cosa il futuro riservi.”

 

Marta Massardo

Tre Domande a: Ianez

Come e quando è nato questo progetto?

Il progetto Ianez nasce appena due anni fa al tavolo di un locale in compagnia di un paio di birre e due amici: Fabio Tumini e Lorenzo D’Annunzio. Un incontro fortuito, niente di pianificato, volevamo farci una chiacchierata dato che non ci vedevamo da tempo. Io e Lorenzo per un bel periodo avevamo suonato insieme in una cover band locale per poi prendere direzioni diverse, io sono uscito con un romanzo, Sette foglie di Oleandro, e lui si è dato allo studio del contrabbasso. Fabio invece aveva avviato la Satellite Rec e probabilmente gran parte del merito è suo se oggi Ianez non è solo l’argomento di una serata. Il giorno dopo siamo andati da lui in studio ad ascoltare i beat, le basi che stava producendo ed erano pazzesche, la collaborazione è nata spontaneamente. Così nascono le cose belle, per caso.
Siamo stati noi il brano che dà il via al progetto lo abbiamo registrato più o meno una settimana più tardi e la cosa più difficile è stata raggiungere il giusto sound, la miscela che accontentasse tre paia di orecchie abbastanza differenti tra loro.
Alla fine i nostri diversi modi d’interpretare la musica si sono rivelati un valore fondamentale per definire le sonorità, lo stile dei brani.

 

Ci sono degli artisti in particolare a cui ti ispiri per i tuoi pezzi?

Artisti in particolare no, non di proposito almeno. Ascolto tantissima musica di generi diversi, da Bill Evans ad Achille Lauro, dai Talking Heads agli Zen Circus ma se dovessi dire un artista di riferimento non saprei proprio cosa rispondere. Prendo ispirazione più da un periodo o da una corrente. Nei brani si possono percepire gli anni ’80, c’è un’influenza elettronica britannica, testi tra il cantautorato e il rap e ancora altre dimensioni. Questo arriva da un frullato di tutto, da ascolti sparpagliati nel tempo. 

 

Se dovessi riassumere la tua musica in tre parole, quali scegliereste e perché?

Questa è una domanda complessa.
Nei miei testi descrivo delle scene, dei momenti cercando di rendere le parole immagini, come tante fotografie che vanno a formare la trama del racconto, quindi posso dire che fotografica è una giusta definizione.
Nei pezzi c’è sempre qualche suono ipnotico che si ripete costantemente, nel caso di Minerva ad esempio è una specie di sirena che rafforza il messaggio della canzone. Quindi ipnotica.
Intima per ultima. Nei testi c’è del personale anche quando non lo faccio trasparire, anche in quelli che sembrano diciamo distratti c’è nascosto un ricordo, un trascorso bello o brutto che sia. Alcune volte uso delle metafore per parlare d’altro come per le canzoni d’amore che in dei casi si scostano dall’idea canonica del sentimento senza perdere di significato. 

Tre Domande a: Luzee

Come e quando è nato questo progetto?

Il progetto nasce nel 2016 e si ufficializza poi nel 2017 con la pubblicazione del primo album Waterdrops.
La mia è una formazione da musicista, inizio a suonare il basso elettrico nel 2000 e da allora ho sempre suonato nelle band ma a un certo punto ho sentito l’esigenza di uscire dal ruolo di bassista e cercare di esprimermi attraverso composizioni che fossero realizzate da me. La spinta a fare questo passo me l’ha data la scoperta del campionamento che mi ha letteralmente risucchiato nel mondo del beatmaking. A questo sommaci il fatto che mi è sempre piaciuto molto anche l’aspetto legato alla tecnica del suono ed al mixaggio, quindi la produzione è diventata subito una bella sfida che metteva insieme tante parti di me.
Ho poi iniziato a sviluppare un suono che cercasse di rappresentarmi e rappresentare ciò che provavo.
È stato uno dei periodi più belli della mia vita, una sorta di rinascita in cui scoprivo continuamente cose nuove che mi entusiasmavano e questa energia positiva mi ha portato anche a incontrare tante persone stimolanti durante questo percorso.

 

Progetti futuri?

Parlando di futuro prossimo spero di poter suonare dal vivo questo disco e poi se dovessi proiettarmi in avanti sento l’esigenza di alzare i bpm e far ballare di più, soprattutto ai live, perché dopo questo periodo infame credo che avremo tutti voglia di sfogarci e di ballare, io per primo. Sul fronte della produzione invece sto lavorando insieme a Subconscio alla realizzazione del suo secondo disco. Chiaramente con tutti i rallentamenti dovuti al COVID, ma siamo molto contenti del sound che sta venendo fuori.

 

Come ti immagini il tuo primo concerto live post-pandemia?

Con la gente appiccicata sotto al palco che si prende bene, balla, beve, si abbraccia e si bacia. Almeno questo è quello che spero perché è difficile immaginarsi come saranno le cose post-pandemia ma me la voglio immaginare così.

Tre Domande a: Nicholas

Come e quando è nato questo progetto?

Il progetto è nato in modo completamente  inaspettato. Esattamente due anni fa ho deciso insieme a Filippo Colombo e al produttore e chitarrista Andrea Brussolo di registrare alcune mie canzoni, senza un obiettivo preciso ma solo con l’idea di riascoltare tra 30/40 anni qualcosa che rappresentasse la mia infanzia.
Una sera del Novembre 2020 per caso navigando su internet ho trovato la pagina di una piattaforma chiamata Indieffusione, dedicata alla promozione della musica emergente. Così ho deciso di postare delle canzoni che avevo registrato l’anno precedente. Dopo meno di una settimana sono stato contattato da Francesco Tosoni, ideatore di Indieffusione, il quale era rimasto positivamente colpito dalle mie canzoni, in particolar modo da Parole poco libere. Insieme abbiamo deciso di apportare alcune piccole modifiche alla canzone e così è nata la versione attuale del pezzo.

 

Ci sono degli artisti in particolare a cui ti ispiri per i tuoi pezzi?

Ci sono degli artisti che ascolto spesso e che ammiro per la loro capacità di trasmettere emozioni, tra cui Tiziano Ferro, Marco Mengoni, Mia Martini, e altri di cui invece apprezzo molto l’abilità di scrittura, come Ultimo, Ermal Meta e Federica Abate.
Tuttavia, in generale non traggo mai ispirazione dai singoli cantanti, ma dalle canzoni in cui trovo qualcosa che mi colpisca e mi emozioni, tentando una sorta di emulazione.

 

C’è un artista in particolare con cui ti piacerebbe collaborare?

Un artista con cui mi piacerebbe molto collaborare è Marco Mengoni. Personalmente, ritengo che il vero valore aggiunto di Mengoni sia la sua capacità interpretativa, di trasmettere sul palco sempre un senso di enorme profondità in ciò che canta. Potrebbe cantare anche una sigla di cartoni animati e riuscirebbe comunque a trasmettere forti emozioni.

Tre Domande a: Piqued Jacks

Se doveste riassumere la vostra musica in tre parole, quali scegliereste e perché?

Energia, sincerità, ambizione.
Energia. Viviamo (vivremmo, se potessimo) per il palco e per quello il live ci dà ogni volta. La nostra musica è fatta per essere suonata e condivisa davanti ad altre persone, per scambiare con loro – appunto – le nostre energie.
Sincerità. Atteggiarci per sembrare chi non siamo non fa per noi, siamo sempre stati genuini sia nel modo di essere ma anche di suonare. Crediamo che essere se stessi sia un punto di forza anziché qualcosa da mascherare, un po’ in controtendenza con la logica abbastanza diffusa dell’apparire e del prendersi forse troppo sul serio.
Ambizione. La nostra storia e il nostro percorso sono abbastanza esaustivi in questo senso; ad ogni disco ed ogni tour abbiamo sempre cercato di alzare l’asticella, confrontandoci con realtà sempre più importanti e internazionali. Sappiamo dove vogliamo arrivare e siamo consapevoli delle nostre qualità.

 

Cosa vorreste far arrivare a chi vi ascolta?

Tutto quello che abbiamo appena descritto, condividere in maniera molto naturale ogni aspetto del nostro mondo, trasmettere quello che la musica dà a noi senza nessun filtro di mezzo. Vorremmo instillare curiosità, aiutare le persone a capire che esiste un grande sottobosco di musica non mainstream con una sua bellezza e un fascino che ha bisogno di essere esplorato e portato alla luce. Ci piacerebbe che arrivasse il nostro messaggio di positività e resilienza, che ci permetta di connetterci con chi ci ascolta attraverso i testi e la nostra visione della vita.

 

C’è un artista in particolare con cui vi piacerebbe collaborare?

Domande del genere sono sempre pericolose perché danno sfogo ai nostri sogni più reconditi e alle idee di featuring più assurde, però stavolta mentre pensavamo ai vari Beck, Jack Black, Ozzy Osbourne, Toyah Willcox e Steve Lukather, avevamo la TV accesa ed è arrivata l’illuminazione. Vi diciamo Seth MacFarlane, il creatore dei Griffin. Da fan della serie, arrivare ad un livello tale da essere inseriti in un flashback politically (s)correct dei Griffin e magari poterci ridoppiare in inglese maccheronico, sarebbe un sogno che si avvera.

Tre Domande a: Lumache Rosse

Come stai vivendo questi momenti così difficili per il mondo della musica?

Sinceramente male. Momento difficilissimo per il mondo in sé e di conseguenza per la musica che è una delle sue diramazioni più dirette. Io come tutti coloro che si esprimono in questo modo, vivo un periodo incerto. Noi tutti viviamo di emozioni, ed è difficile provarle in questo momento.
Sono sincero nel dire che le prime giornate in cui obbligatoriamente dovevamo stare rinchiusi, mi hanno fatto bene. Venivo da un periodo di forte repentinità in cui raramente riuscivo a trovare del tempo per me. La prima esperienza è stata positiva, necessitavo di tempo per riflettere; desideravo quella condizione momentanea per ristabilire l’ordine interno e dedicarmi a quello che dovevo fare. Certo che appena quella momentanea sosta si è tramutata in mesi, ad oggi in più di un anno, non è più stata e non è una condizione piacevole.
Penso di viverla male come tutti. Guardo molti film e mi fa strano vedere le scene per strada, dove la gente si abbraccia; quello che era la normalità ora pare inusuale.
Oggi è dura, con continui spiragli di apparente quiete per poi ritornare nuovamente rinchiusi; è un continuo sbalzo altalenante che fa perdere la fiducia e fa scendere il morale. Vivo di tisane che mi scaldano e mi tengono quieto, con sottofondi ambientali e pacati per sovrastare i caotici rumori di città.
Il mondo si è fermato e noi con lui; molti locali storici hanno chiuso e il sipario dello spettacolo si è inginocchiato. A volte penso ai vari tour interrotti e spero di veder presto la luce alla fine di questo tunnel.

 

Come è quando è nato questo progetto?

In realtà questa storia non penso di averla mai raccontata fino in fondo: questo progetto è nato nel 2015, quando conobbi per caso un certo Ciga, un amico di amici; entrammo subito in sintonia, vivevamo esperienze folli e bevevamo vino ascoltando la stessa musica.
Un giorno ero solo in camera mia con un ukulele, acquistato qualche giorno prima, ad un certo punto suonando le prime quattro note che impari è uscita una canzone, che ho subito registrato con un messaggio vocale, mandandola a lui; mi chiese di chi fosse, io gli risposi mia. Mi ha chiamato immediatamente dicendomi che era una delle cose migliori che avesse mai sentito. Da allora ci trovammo spesso dopo i pomeriggi delle superiori a casa mia, a casa sua, nei prati, nelle case di altri. Io suonavo e insieme davamo voce a quelle parole scritte dalla mia penna.
Registravamo in cantina con un computer vecchissimo, con una ventola che surclassava il volume della nostra voce, fuori tempo, stonati, ma quello che usciva era speciale, per noi e per i nostri amici.
Lumache Rosse era il nostro nome, nato da un disegno di Domer (un altro nostro socio). Scrivevo principalmente io, ma eravamo un duo e la sua presenza era tanto essenziale quanto la mia. Forse non avrei mai scelto questa via senza il suo supporto e nel suo apparente silenzio, mi dava la forza per urlare. Le prime nostre canzoni le abbiamo pubblicate su YouTube.
Come spesso accade, ad un certo punto le nostre strade si sono divise; Ciga sarebbe partito per l’Australia e alla festa per il suo addio abbiamo litigato per vari motivi.
Ho deciso di continuare, prendendo atto di tutte quelle piccole sfumature che mi avevano portato fino a lì. Ero solo, ma tenni il nome plurale, perché le persone possono anche allontanarsi, ma si insediano dentro a dei solchi profondi nella nostra vita, senza mai andarsene davvero.
Ho deciso di registrare nuovamente tutti brani e racchiuderli in un EP, titolato Via Cavour’, uscito nel 2018; Via Cavour è una delle parole contenute nella canzone che anni prima gli mandai in quel messaggio vocale.
Io e Ciga ci siamo riappacificati e ancora oggi mi supporta.

 

Progetti futuri?

Sto lavorando a un album da più di due anni ormai; la pandemia ha notevolmente rallentato la produzione e la possibile uscita, ma siamo a un buon punto. Quando sarò pronto, lo farò uscire.
È una tappa importante e vorrei che fosse valorizzata al meglio; racchiuderà i quattro singoli già editi, Rondine / Polvere / Ragnatela / Pale Eoliche, con altri brani di questo stampo che parlano dello stesso periodo di stesura. Mattia Tavani, il risolutore dei miei problemi, è il produttore che sta curando queste uscite ed è un onore lavorare con un artista che stimo moltissimo, così come i miei soci Riccardo e Alberto, hanno contribuito a rendere tutto questo reale, ma soprattutto speciale.
Lo ritengo una tappa essenziale, solo quando potrò condividerlo con tutti passerò al livello successivo.

Tre Domande a: Alessandro Martinelli

Come stai vivendo questi momenti così difficili per il mondo della musica?

È stata una bella botta. Ho avuto la fortuna di trasformare la mia passione in lavoro, e negli ultimi cinque anni mediamente suonavo almeno due, tre volte al mese in giro per il mondo. Ti senti vivo. Conosci costantemente nuove persone, nuove culture, nuovi ambienti. Viaggiare ti apre la testa, se in più lo fai perché il tuo lavoro te lo consente, sei in uno stato di grazia. Quando tutto questo è venuto a mancare mi è crollato il mondo addosso. I miei viaggi in aereo erano diventati i sei passi che facevo tra camera da letto e sala, le mie cene con amici e promoter erano diventati un piatto di pasta in solitudine davanti a YouTube e i momenti dietro la consolle erano diventate le ore passate al piano in casa. Un senso di vuoto ti pervade. Solo il piano è riuscito ad aiutarmi a superare questo brutto ed incerto momento.

 

Come è quando è nato questo progetto?

Ho avuto bisogno di buttare fuori. Ho percepito la necessità di spogliarmi in qualche modo. E ho avrei voluto mostrare anche il mio lato più introspettivo. Durante il primo lockdown mi sono ritrovato chiuso in casa, solo, con una storia d’amore appena finita. Malinconia, solitudine ed incertezza hanno preso possesso del mio corpo e mi hanno spinto a portare avanti brani che già avevo ideato ma soprattutto di scriverne di nuovi.

 

Se dovessi riassumere la tua musica in tre parole, quali sceglieresti e perché?

Solitudine, Malinconia, Rinascita. Sono i sentimenti che più mi hanno accompagnato durante la creazione di questo album. E’ stato un percorso: mi sono sentito profondamente solo, da solo con il mio pianoforte, ho provato tristezza e rassegnazione, ma è suonando che sono riuscito a ritrovare la positività, e rinascere ancora. In ogni brano ho cercato di creare queste atmosfere, ogni brano ha una sua parte malinconica, contrapposta alla parte più risolutiva.