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Tag: intervista

Malavedo è il posto, l’artista e lo stato d’animo

Malavedo è la prima uscita e il primo EP per l’omonimo artista. Giorgio Invernizzi, 24 anni, è un giovane artista originario della provincia di Lecco. Luogo da cui vuole fuggire, ma anche luogo in cui si è fermato a scrivere di sensazioni ed emozioni che legano un po’ tutti. Con un passato affezionato alla scena rap e hip-hop, ha sempre mostrato interessi svariati in quanto a melodie e sonorità, creando così un EP di sei brani e una varietà di generi mescolati molto accuratamente tra di loro. 

Il primo approccio al mondo della musica è avvenuto tramite qualche live a Lecco, grazie alla NDP Crew. Malavedo è un progetto che nasce dall’incontro con l’amico producer Dopio Picante (Davide Caldana) più indirizzato verso sonorità più accattivanti. Nel 2019 esce una prima traccia, Mayo. L’ingresso nel progetto del musicista Riccardo M. Colombo ha creato un ulteriore fusione di generi nuovi fino a far risaltare l’attitudine cantautorale e il gusto lo-fi dell’artista. In questo EP l’artista è pronto a far emergere racconti di sensazioni molto intime che si rivoltano contro il senso di oppressione e la voglia di scappare. 

 

Ciao Giorgio, benvenuto. Il 13 novembre è uscito il tuo primo EP. Come mai la scelta di produrre un EP e un album? 

“La scelta di produrre un EP non è a caso. Prima che ci venisse offerto il contratto dall’etichetta avevo quattro tracce già pronte e l’idea era di mantenere il progetto abbastanza compatto in modo che fosse fruibile dall’inizio alla fine, che raccontasse qualcosa. L’alternativa era di produrre un album da 10/15 tracce, ma con il rischio di “perdere” l’attenzione di chi ascolta i brani.”

 

Come mai la scelta del nome Malavedo? 

“Malavedo è il nome del rione di Lecco in cui vivo, ma in realtà è il luogo da cui me ne voglio andare. È una sorta di sentimento da cui voglio scappare, ma poi non ci riesco concretamente. Sentimento che poi in questo album ho tradotto in voglia di amare, ma senza riuscirci. Malavedo è il posto, l’artista e lo stato d’animo.”

 

Parliamo del primo brano, Solo sad song. Trasmette fin dalle prime parole un senso di solitudine e vuoto interiore. Quando hai deciso che era il momento di mettere nero su bianco determinati sentimenti e sensazioni? 

“Solo sad song l’ho scritta circa un anno fa, durante una relazione, tra alti e bassi. Nella canzone cito la macchina, la Polo, perché è proprio lì che l’ho scritta. La solitudine ha preso il sopravvento e l’ho scritta di getto. Al contrario di altri brani sui quali ci impiego più tempo.

 

Il filo conduttore di questo EP è la voglia di scappare, ma allo stesso tempo la confusione. Sei riuscito a descrivere con esattezza la sensazione di apatia dopo una delusione. In un brano in particolare, Che cerchi da me, hai contrapposto questa sofferenza ad una base più energica e grintosa. Come mai questa scelta?

“In questo traccia c’è l’influenza del mio produttore. Infatti la base esisteva già e ho deciso di accostarla a questo brano. La tristezza si trasforma un po’ in rabbia. Ho trovato interessante accostare due generi diversi proprio per riportare un po’ a quella confusione che descrivo nel brano.”

 

In generale tutto l’EP è accompagnato da suoni molto differenti nei vari brani, si percepisce il pop, ma anche l’influenza rap. A chi ti sei ispirato e da cosa nasce questa voglia di sperimentare, mescolando generi?  

“Artisti a cui mi sono ispirato per questo EP sono Frah Quintale e Venerus. In generale sono cresciuto ascoltando più artisti della scena rap: Salmo e Gemitaiz in particolare.”

 

Questo EP nasce anche dalla collaborazione con altri artisti e produttori (Dopio Picante, Riccardo M. Colombo). Parlaci un po’ di loro e in particole il perché la scelta è ricaduta proprio su di loro.

“Io e Dopio siamo amici da sempre, anche se abbiamo gusti abbastanza differenti riusciamo a prendere spunto l’uno dall’altro. L’EP, oltre che da me e Dopio, è stato prodotto insieme a Riccardo Colombo, chitarrista da molti anni, che ci ha dato una terza opinione per noi fondamentale.”

 

L’ultimo brano dell’EP Wanna u 2 stay racconta emozioni difficili” da scrivere, in modo molto semplice. L’ho ascoltato, non mi dici mai come stai” è la frase che mi fa pensare ad una relazione dove manca la cosa fondamentale, comunicare i propri sentimenti tanto da finire, così da aggrapparti ai ricordi, ma con la voglia di svoltare. Qui la base è come se seguisse il battito cardiaco di ogni singola emozione. È proprio questo che volevi? 

“È molto particolare come brano. È una canzone che sento molto mia. Presenta molto l’incapacità di comunicare, anche di esprimere i propri sentimenti. Per quanto riguarda la parte tecnica è il brano su cui abbiamo lavorato di più, sia sull’espressività del testo, sia sulla struttura della base. È stata una produzione molto curata dove abbiamo cercato di spingere oltre i nostri limiti. Anticipa un po’ quello che verrà.”

 

Domanda un po’ particolare. La musica sta passando un momento veramente complicato senza una via d’uscita. Tu da artista emergente come lo stai vivendo? Come vedi il futuro? 

“Come artista sono dispiaciuto del fatto di non poter promuovere live l’uscita dei brani. Anch’io ho dovuto rinunciare ad organizzare un release party per l’uscita dell’EP. Penso sia una parte fondamentale. Credo che si potranno inventare live con format alternativi nel rispetto delle regole, anche se il calore e l’energia che si crea nei live veri e propri non è paragonabile. La quarantena sicuramente è stata anche un po’ motrice di tanti bei progetti musicali. Anche nel mio caso, la canzone Pensieri notturni è stata scritta e prodotta in quarantena, nonostante fossimo tutti lontani.”

 

A proposito di futuro. Prossimi progetti? Videoclip?

“Ad oggi non ci sono progetti concreti, anche se ci sono nuovi brani già pronti, ma voglio pensare bene a quale strada prendere. A breve uscirà il primo videoclip e il merch. Il merch è stato disegnato da Dopio e lo faremo stampare in una serigrafia artigianale di amici a Milano.”

 

Elvira Cerri

Omär: tra amori che ritornano e incertezza

In un mondo dove ogni giorno si lotta per le proprie libertà e contro ogni pregiudizio, Omär ci ricorda quanto sia importante andare oltre ogni apparenza. Si espone con un progetto che affonda le proprie radici nell’incontro tra l’alternative pop e soul, al fine di promuovere la libertà di espressione attraverso la musica. 

“Amori che ritornano come le onde del mare sulla riva” così Omär ci presenta il suo nuovo singolo Ci risiamo, uscito il 30 ottobre in radio e su tutte le piattaforme digitali. L’artista racconta del brano come un “pezzo di vita” ed emozioni difficili da gestire in modo razionale. E’ un brano che parla della difficoltà di uscire da una relazione che in un modo o in un altro cerca di tornare, con tutte le sue fragilità. La base segue la linea del testo con sonorità dark-pop, con un’influenza di altri generi come il pop e il rock ed è stata prodotta da Etta Matters. Queste sonorità così varie tra di loro, non sono altro che l’evoluzione di sperimentazioni, negli anni, di generi musicali. Il 2 ottobre uscirà anche il videoclip ufficiale, girato da Fulvio Bellanzin (Fluo Making). Nell’attesa abbiamo posto qualche domanda alla nostra artista.

 

Ciao Omär, il 30 ottobre è uscito il tuo nuovo singolo. Immagino però tu stia lavorando a questo progetto da molto più tempo: raccontaci un po’ come è nato.

“Ciao a voi! Sì, il progetto Omär è online solo da aprile, ma ci sto lavorando da almeno un annetto. Ho deciso di intraprendere questo percorso perché avevo bisogno di esprimermi in qualcosa di autentico e di mio, senza dover pensare a cosa potrebbe piacere o a cosa sia vendibile e commerciale. Per ora il fine del progetto è rimasto invariato, mi aiuta a scrivere quello che voglio e come voglio.”

 

La scelta di rimanere in incognito è stata dettata da una sorta di “paura” ad esporsi o proprio per lasciare un pizzico di curiosità in chi ti segue?

“In realtà mi piaceva l’idea di parlare solo con la musica; essendo una ragazza spesso il focus nel mondo musicale si sposta su altro e per la verità volevo solamente evitare questo tipo di esposizione mediatica. Per quanto sembri una cosa “furba” il fatto di non farsi vedere in realtà mi crea non pochi disagi sui social, non è facile comunicare come quando ci metti la faccia.”

 

Parliamo del singolo, che hai dichiarato essere “un pezzo della tua vita”. Come ti sei sentita ad aver aperto una “porta” così grande a chi ti ascolta?

“È stato in verità liberatorio. Ci sono momenti in cui è bello condividere finalmente qualcosa che magari hai custodito gelosamente per molto tempo.”

 

Nel brano scrivi “avevo un uragano dentro”. Si percepisce la confusione e la poca lucidità data dalla sofferenza del momento. Quando hai deciso che era il momento di liberare questo uragano?

“Credo proprio di averlo esorcizzato con la scrittura di questo brano. Ti senti più leggero una volta che vedi tutto nero su bianco, è come se chiudessi un capitolo per iniziarne di nuovi.”

 

La base creata con sonorità dark-pop si fonde perfettamente con il significato del testo. Trasmette la fragilità e la difficoltà di prendere una scelta. Sappiamo che è stata prodotta in collaborazione con Etta Matters. Come mai la scelta è ricaduta proprio su Etta? Avevate già collaborato?

“Etta è un mio carissimo amico ed è una persona di cui mi fido ciecamente dal punto di vista musicale. Lavoriamo insieme da qualche anno e abbiamo avuto modo di influenzarci a vicenda a tal punto da aver sviluppato una specie di linguaggio musicale comune. Ha uno splendido gusto e soprattutto è stato uno dei primi ad ascoltare sul serio la mia visione del progetto.”

 

A breve uscirà anche il videoclip. Ti ritieni soddisfatta del lavoro eseguito? Pensi che riuscirà a trasmettere l’essenza del brano stesso?

“Credo che il videoclip completi in qualche modo il brano stesso, molti amici mi hanno detto di aver capito ancor più profondamente il significato di Ci risiamo, dopo averlo visionato.”

 

In questo particolare periodo storico, in cui il mondo della musica ne sta risentendo molto, qual è il tuo punto di vista da artista? Credi si potrà trovare una soluzione per “salvare” ciò che è stato perso in questo anno di buio totale?

C’è sempre una soluzione, l’essere umano si adatta con facilità, nonostante le disgrazie. È stato un anno difficile, spero che però ci porterà ad imparare ad apprezzare di più le cose semplici e i piccoli momenti di serenità. Oltretutto spero vivamente che le enormi lacune che sono venute fuori nel contesto artistico-musicale siano pian piano risanate in qualche modo. Se prima era più facile nasconderle, ora sono chiaramente visibili, spero vivamente che non si torni indietro.

 

Quest’anno è comunque stato molto produttivo per te. Ti va di svelarci qualcosa dei tuoi progetti futuri?

“Per ora ci sono in previsione nuovi singoli e la speranza di poter risalire presto su un palco.”

 

Elvira Cerri

Tre Domande a: Viadellironia

Come state vivendo questi tempi così difficili per il mondo della musica?

“Tutto quello che abbiamo sempre dato per scontato è stato messo in discussione: la certezza di poter fare delle prove, di poter registrare in studio. Ciò che ci sgomenta di più è questo stato di incertezza sul momento in cui potremo suonare live, in un vero live. Pensiamo inoltre che le condizioni di questa sospensione, ovvero lo stato di svilimento in cui versa la cultura, rendano molto difficile impostare una progettualità. È molto difficile provare entusiasmo e scrivere, studiare o proiettarsi in un futuro. Un artista non dovrebbe trovarsi ad operare in queste condizioni, perché sono cieche e claustrofobiche.”

 

Cosa vorreste far arrivare a chi vi ascolta?

“Vogliamo che l’ascoltatore comprenda innanzitutto la narrazione della nostra musica, insieme ai suoi modelli; intendiamo quindi il suo contenuto esplicito. Ma ci preme molto che chi ascolta comprenda gli aspetti più impliciti di quello che facciamo. Infine, quello che davvero preferiamo constatare è quel feedback vivo, live, meno ordinato e apollineo, che risponde quando ci esibiamo. Il live è davvero un soffio vitale su una materia preordinata, e ci manca moltissimo. Fa di una statua un corpo.”

 

Progetti futuri?

“Abbiamo scritto un po’ di cose nuove e cominceremo a lavorarci. Ma non vediamo l’ora di suonare dal vivo il nostro disco d’esordio, quindi la nostra aspettativa è riposta soprattuto nell’esperienza del live e in una condizione creativa più serena.”

Tre Domande a: Vanbasten

Come stai vivendo questi tempi così difficili per il mondo della musica?

“Non amo le polemiche, cerco si sfruttare questo momento per migliorare, colmare le lacune che mi porto dietro avendo iniziato a suonare tardissimo e poi aspetto, mi preparo in silenzio, sperando che chi occupa le prime linee non pecchi di egocentrismo dando l’esempio ad una società completamente spaesata.” 

 

Come e quando è nato questo progetto?

Vanbasten prima era il nome della mia band, quella fondata con i fratelli di quartiere, fatta di urgenza di esprimersi e rabbia. Adesso invece Vanbasten sono io e mi sento come se portassi un’eredità importante, sono ancora la voce di chi ha creduto in me e la paura di deluderli mi dà tanta forza. Questo progetto, Canzoni che sarebbero dovute uscire tot anni fa il mio disco d’esordio, è un po’ come un film, sono cambiati tanti personaggi, ma la trama centrale non ha mai perso coerenza.”

 

Se doveste riassumere la vostra musica in tre parole, quali scegliereste e perché?

“Popolare: nel senso che sono un uomo del popolo e scrivo solo per lui.
Diretta: Odio le frasi subordinate, mi piacere mettere al centro solo quello che conta, senza orpelli lirici.
Reale: Scrivo solo quello che vedo, solo quello che posso dire di aver vissuto e consumato. Poi in modo onomatopeico vengono le melodie e gli arrangiamenti.”

Tre Domande a: The Pheromone Syndicate

Come state vivendo questi tempi così difficili per il mondo della musica?

Giada: “È un periodo difficile non solo per la musica ma per la maggior parte delle attività e per i rapporti umani in generale. Questo 2020 ha cambiato tantissime abitudini perdendo quella “normalità” a cui tutti si era abituati. Noi ci reputiamo fortunati perché abbiamo saputo reagire al lockdown di Primavera invece di farci prendere dallo sconforto: ci siamo messi d’impegno sulla nostra musica e sul progetto The Pheromone Syndicate. Abbiamo scritto e pubblicato molti nuovi singoli e anche alcuni video, ovviamente fatti in casa con i mezzi a disposizione. Attendiamo con ansia che si possa tornare a suonare dal vivo ma nel frattempo rendiamo prezioso questo tempo creando ed imparando cose nuove.” 

 

Come e quando è nato questo progetto?

Sandro: “Il progetto The Pheromone Syndicate nacque nel 2017 come solista. Volevo staccarmi dal genere che per avevo suonato per una vita (l’heavy metal) per dedicarmi a quelle che per me erano nuove sonorità. I primi brani ed uscite furono delle sperimentazioni piuttosto lontane da quello che oggi è il nostro vero sound. Sul finire del 2018 conobbi Giada sul set di un videoclip musicale e decidemmo di far uscire un singolo in collaborazione. Ci trovammo molto bene a fare musica assieme e così nell’autunno del 2019 rilanciammo il progetto The Pheromone Syndicate come un duo vero e proprio. Possiamo quindi dire che gli attuali The Pheromone Syndicate ufficialmente siano “neonati” nella scena musicale.”

 

Se doveste riassumere la vostra musica in tre parole, quali scegliereste e perché?

Electro-Pop-Rock: così abbiamo definito il nostro stile musicale. Il massiccio uso di samples e synth e il ritmo dei brani è riconducibile soprattutto alla musica elettronica; le melodie di voce e l’approccio alle lyrics richiama di più la Pop Music (soprattutto di stampo americano) mentre l’attitudine, l’uso della chitarra elettrica e la struttura dei brani sono di stampo Rock. Ci rendiamo conto che in Italia questo genere è qualcosa che ancora mai sentito. Si allontana molto dai canoni del mainstream (a partire dal cantato in inglese). Per quanto ci riguarda questo è per noi un punto di forza e ci rende a nostro modo unici.

Tre Domande a: Cirri

Ci sono degli artisti in particolare a cui vi ispirate per i vostri pezzi?

“Sicuramente qualsiasi canzone o band ascoltata nella nostra vita ci ha influenzato. Le band più importanti sono state Verdena, Afterhours, Marta sui Tubi, Massimo Volume e C.S.I. per quanto riguarda l’Italia. All’estero sicuramente Bon Iver, RY X, Chet Faker, Hiatus Kayote, Alt-J. Potremmo continuare a elencare artisti per ore, tutti loro rientrano nelle nostre influenze.”

Se doveste riassumere la vostra musica in tre parole, quali scegliereste e perché?

“SPERIMENTAZIONE, perché uno dei nostri obbiettivi è quello di non porci nessun limite. Capita spesso di entrare in studio e “scambiarsi” i ruoli solo per vedere cosa esce fuori. Provare sempre qualcosa che non abbiamo mai suonato e cercare di renderlo “nostro” è qualcosa che ci piace da morire.
PSICHEDELIA, che significa “allargamento della coscienza”. Per noi la musica è anche un momento di introspezione. Succede spesso che si scriva un testo e ci si accorga in un secondo momento di quale fosse il suo significato profondo, quali aspetti rivelasse del nostro modo di pensare e anche quali messaggi per migliorare il nostro approccio agli eventi della vita. La speranza è che possa innescare questo processo anche nell’ascoltatore.
AMICIZIA, che potrà sembrare banale, ma è la parola che descrive perfettamente il rapporto tra noi tre. Suonare è, oltre che una passione incontenibile, un modo per passare del tempo con persone importanti, senza maschere, sinceramente, connettendosi attraverso la scrittura di canzoni. Non è una fortuna che capita a tutti, quindi merita di rientrare nei vocaboli scelti!”

Cosa vorreste far arrivare a chi vi ascolta?

“Ci piacerebbe che la nostra musica riuscisse a toccare le corde inconsce dell’ascoltatore. Nelle nostre canzoni mettiamo oltre al nostro vivere quotidiano, ricordi e riflessioni su delle storie molto strane che abbiamo avuto la fortuna di vivere. Penso che molto di quello che inseriamo nei testi e nelle musiche sia qualcosa che ogni essere umano sperimenta durante la sua esistenza e che quindi per questo ci si possa ritrovare. Nella speranza, perché no, che possa aiutare a sciogliere alcuni blocchi, a slegare dagli schemi. Senza, ovviamente, voler essere dei maestri o dei guru. Siamo persone comuni che scrivono di vite comuni che, in quanto tali, sono condivise un po’ da tutti.”

Tre Domande a: Filippo Cattaneo Ponzoni

Come e quando è nato questo progetto? 

“Mi chiamo Filippo Cattaneo Ponzoni, ho vent’anni e sono un cantante, chitarrista e cantautore di Bergamo. Dal 2018 sono il chitarrista di Ghemon e nel 2019 ho intrapreso in parallelo il mio progetto da solista. Ho iniziato a scrivere canzoni poco più di un anno fa e il processo è avvenuto in maniera molto naturale. Sicuramente i miei concerti, quelli insieme a Ghemon e l’attività in studio con lui hanno favorito e stimolato l’esigenza di scrivere. Ho lavorato al mio primo EP per circa un anno e il lavoro è arrivato a compimento durante il periodo di quarantena. La Tua Alternativa, il mio primo EP,  è stato prodotto da me e da Fabio Brignone, registrato da Marco Ravelli, fonico dei Pinguini Tattici Nucleari. Le copertine dei singoli e dell’EP sono state curate da Paolo De Francesco, noto grafico italiano che negli anni ha collaborato con Mika, Zucchero, Tiziano Ferro, Samuele Bersani, Diodato e molti altri.”

 

Cosa vorreste far arrivare a chi vi ascolta?

“Quando scrivo le mie canzoni cerco di esprimere il mio punto di vista riguardo tematiche e sensazioni che provo in prima persona e che sono comuni. Mi piace l’idea di lasciarmi influenzare e sperimentare senza mettere confini. Il sound che ne deriva è frutto di queste contaminazioni che vanno dal cantautorato italiano al Pop-Rock e al Blues dove la chitarra è protagonista ma sempre al servizio delle canzoni. Spesso è proprio questo strumento il punto di partenza della mia scrittura. Quello che vorrei far arrivare alle persone che ascoltano la mia musica è di immedesimarsi in quello che vivo. Nei miei testi penso ci siano spunti di riflessione che l’ascoltatore può fare propri e in cui si può identificare. Mi piacerebbe che la mia musica potesse emozionare le persone che la ascoltano.”

 

Progetti futuri?

“Attualmente sto lavorando a nuove canzoni e pensando ad un disco. Chiaramente c’è la speranza di poter tornare a suonare dal vivo. Tengo particolarmente all’aspetto live perché dal mio punto di vista è un’esperienza totalizzante in cui chi è sul palco può comunicare senza filtri e barriere con le persone.”

Tre Domande a: Lucio Leoni

Come state vivendo questi tempi così difficili per il mondo della musica?

“Altalenando momenti di calma a momenti di disperazione. Siamo in bilico e con prospettive decisamente ridotte ma non ci piace lamentarci. Riguarda tutti dunque proviamo a immaginare modi nuovi per continuare a raccontare storie. Questo, crediamo, è il nostro compito. Siamo davanti una tabula rasa, e paradossalmente potrebbe essere più facile. C’è da immaginare il futuro nuovo per modelli di spettacolo e ridistribuzione delle ricchezze economiche e culturali. Noi siamo quelli che sanno usare la penna per scrivere, per disegnare, per immaginare e noi siamo chiamati a dare la spinta propulsiva necessaria, altrimenti si muore.”

 

Ci sono degli artisti in particolare a cui vi ispirate per i vostri pezzi?

“Abbiamo ascoltato molta musica per realizzare questo disco (Dove Sei lavoro pubblicato in due parti distinte nel corso del 2020, la parte 1 a Maggio e la parte 2 a Ottobre) e artisti anche molto distanti tra di loro. Ne abbiamo fatto una sintesi, la nostra sintesi. Negli ultimi tempi ci stiamo avvicinando sempre di più alle forme dello spoken word in cui i confini della forma canzone si dilatano e si trasformano. Artisti come Kae Tempest, Joyner Lucas, George the Poet, e mondi distanti che invece lavorano sull’assenza e sui vuoti come ad esempio Son Lux ci hanno fatto da faro. Dove sei è un progetto complesso, diviso in due parti è un lavoro che parte dal pensiero e dalla parola, poi diventa suono. Abbiamo invertito il metodo lavorativo e ragionato su come costruire sfondi sonori alle storie che volevamo raccontare provando a mantenere un immaginario coerente in entrambe le parti. Quello che ci interessava, più che una forma riconoscibile dal “mercato” era ottenere un lavoro organico che potesse anche allontanarsi dall’idea della canzone (nel particolare) e di disco (nel generale); abbiamo lavorato su forme diverse, più simili alla letteratura che non al classico approccio discografico.”

 

Progetti futuri? 

“Trovare alternative performative. La situazione ce lo impone e la condivisione del momento live non può fermarsi; deve modificarsi in armonia con quanto sta succedendo a livello globale. Stiamo immaginando trasformazioni e produzioni diverse che possano intersecarsi con intelligenza a questo momento. Come dicevo prima, c’è da immaginare il futuro. E’ completamente saltato il banco e chissà chi ritroveremo sopra e sotto il palco; le generazioni cambiano con una velocità impressionante ormai e ci sarà da confrontarsi con quella che verrà generata da questo momento di trasformazione gigante che stiamo attraversando. Inutile adesso far previsioni o lavorare sul presente, il presente è immobile e non possiamo ancora interpretarlo perché ci siamo dentro. Quello che possiamo fare è gettare il cuore oltre l’ostacolo e cominciare ad identificare i contorni del domani.”

Three Questions to: Dig Two Graves

How and when was this project born?

“We started in 2017 by Josh and Kenny – who have been friends for years – and quickly found Mike, who was very interested in the project. We hit up Jesse over Instagram and the rest is history! Josh had one song written when we first started which we practiced and worked on to start out. After working on it for a while, it ended up changing pretty drastically and we finally decided on a certain version of the song. This then became our first single Wick. The earliest demos of the song are almost completely unrecognizable to what it ended up being.”

 

If you had to sum up your music in three words, what would you choose and why?

“Nice, fresh and organic. We believe that our music stands out from the metalcore/djent type of genre which was one of our goals from the start. We wanted to create a project that had the heaviness of that style of metal but with some more of our own sauce. We ultimately ended up going in a more melodic direction and tried to utilize a variety of song structures to keep things fresh.” 

 

What about your future projects?

“We are currently working on our debut full length album and we’re very super stoked on how it’s turning out. Two songs are very close to completion, which will most likely be released as singles before the album. Nothing is definite, of course, but that is the current plan. We are working to have at least one single out in the near future, hopefully.”

 

 

Come e quando è nato questo progetto?

Abbiamo cominciato nel 2017. Josh e Kenny erano amici già amici da anni, poi abbiamo subito trovato Mike, che era molto interessato al progetto. Abbiamo contattato Jesse su Instagram e il resto è storia! Josh aveva già scritto una canzone quando abbiamo iniziato e abbiamo provato e lavorato su quella per cominciare. Dopo averci lavorato su per un po’, la canzone era cambiata in modo abbastanza drastico e alla fine ci siamo decisi per una certa versione. Questa poi è diventata il nostro primo singolo Wick. I primi demo della canzone sono quasi completamente irriconoscibili dalla versione che poi è diventata. 

 

Se dovessi riassumere la vostra musica in tre parole, quali sarebbero e perché?

Bella, fresca e naturale. Crediamo che la nostra musica si distingua dal genere metalcore/djent, che era il nostro obiettivo iniziale. Vogliamo creare un progetto che abbia lo stile “heavy” del metal ma aggiungerci qualcosa di più nostro. Alla fine abbiamo preso una strada più melodica e cercato di usare arrangiamenti diversi per mantenere un’idea di novità.

 

I vostri progetti futuri?

Al momento stiamo lavorando sul nostro primo album e siamo molto emozionati per come sta venendo fuori. Due canzoni sono quasi finite e molto probabilmente verranno rilasciate come singoli prima dell’uscita dell’album. Ovviamente non c’è niente di definitivo, ma questo è il piano attuale. Stiamo lavorando per far uscire almeno un singolo nell’immediato futuro, si spera. 

 

Francesca Di Salvatore

Tre Domande a: Gaston

Come e quando è nato questo progetto? 

“Non ho lavorato intenzionalmente a questo EP (Cartoline, NdR). Faccio musica nel tempo libero e senza schemi o tattiche. Delle canzoni che avevo racimolato negli anni (ce ne sono alcune davvero vecchie, come Marea) queste cinque penso siano legate da un filo sottile ma tangibile. Sicuramente è ricorrente il tema della partenza, della ricerca di sé, del cambiamento e del distacco.
Mi sono sempre considerato uno spirito irrequieto, alla continua ricerca di qualcosa che forse neanche c’è.”

 

Ci sono degli artisti in particolare a cui vi ispirate per i vostri pezzi?

“Artisti penso sia il termine giusto. Prendo ispirazione da ogni tipo di arte ed inaspettatamente. Nel corso degli studi universitari mi sono imbattuto in registi, pittori, musicisti, scrittori che hanno influito sul mio processo creativo. Ho tratto ispirazione anche solo da un titolo o da un dialogo, da una poetica o da corrente artistica. Penso ad esempio a Roman Opalka che ha ispirato un pezzo a cui sono particolarmente legato, Opalka.
L’arte è spesso l’input per creare l’arte stessa. A volte si tratta solo di rimescolare in maniera originale concetti già espressi, rimodernizzandoli ed adattandoli al proprio contesto storico-culturale. Se parliamo di musica poi sicuramente i grandi cantautori, sarebbe scontato anche citarli.”

 

Cosa vorreste far arrivare a chi vi ascolta?

“A chi mi ascolta cerco di raccontare la mia storia lasciando comunque ampio margine di immedesimazione.  Eventi e persone che affollano le mie giornate e la mia mente si mischiano in maniera indefinita, confondendo cause ed effetti.  Ne resta un ritratto malconcio di una gioventù mai vissuta a cuor leggero, per una pura inclinazione personale. Siamo spettri di vite felici fallite. Difficilmente riusciremo a diventare chi sognavamo e se anche ci riuscissimo potremmo scoprire che non era quello che volevamo davvero.”

Three Questions to: Fatality

How and when was this project born?

Fatality was formed in 2016 by me (Josh Abbott, vocals), Gareth Brimley (guitar) and ex-drummer Chris Batson, with our first EP being released in the same year. We performed at Asylum, a legendary Chelmsford venue for the release and raised £200 for the SNAP charity from merch and CD sales. In 2017 we recruited bassist Matt Shynn and subsequently recorded our second EP, which we released in 2019. We did a small tour of the Prey EP in aid of MIND and raised over £500 this time. In November 2019 we parted ways with Chris, our drummer, and joined forces with Jordan Maze, who now completes our current line-up. Since his recruitment in late 2019 we’ve written and performed a new set of tracks with Jordan as well as some Fatality originals. We played our first show with Jordan on a live stream in Summer 2020.”

 

Is there any specific artist you would like to collaborate with?

“For me personally it would be Jacoby Shaddix from Papa Roach. He’s someone that has hugely inspired me to do what I do and I am really influenced by his energy and stage craft. It would literally be the highest moment in my career if we got to work with him on a track or a project. If he’s reading this, then get in touch!” [laughs]

 

What about your future projects?

“Well, at the moment we’re unable to play unless there’s a completely reduced capacity which isn’t what we’re all about so the simple answer is no. As soon as we’re allowed to perform in indoor or outdoor venues or at festivals then we will be tirelessly booking and performing at shows again. However, we have new music in the works. We have a few tracks that are ready to be released and a load of new material that we’re constantly working on and refining. The Lesson, Indemnify and Eight will be released over the next few months with the idea that we will accumulate these and more tracks into a third project at the end of the year, ready for when live music is back.”

 

 

Come e quando è nato questo progetto?

I Fatality si sono formati nel 2016 con me (Josh Abbott, voce), Gareth Brimley (chitarra) e l’ex batterista Chris Batson e in quello stesso anno è uscito il nostro primo EP. Per l’occasione ci siamo esibiti all’Asylum, una location pazzesca a Chelmsford, e abbiamo raccolto 200 sterline da devolvere in beneficenza dalla vendita dei CD e del merchandise. Nel 2017 abbiamo reclutato il bassista Matt Shynn e successivamente abbiamo registrato il nostro secondo EP, che abbiamo pubblicato nel 2019. Abbiamo fatto un piccolo tour per l’EP Prey, dove abbiamo raccolto più di 500 sterline a favore dell’associazione MIND, che si occupa di salute mentale. Nel novembre 2019 Chris e la band hanno preso strade diverse e abbiamo incontrato Jordan Maze, che adesso completa la formazione attuale. Da quando è entrato nella band a fine 2019, abbiamo scritto e suonato una serie di nuove canzoni con Jordan, ma anche alcuni nostri pezzi più vecchi. Il primo concerto con lui è stato un live in streaming quest’estate.

 

C’è qualche artista in particolare con cui vi piacerebbe collaborare?

Parlando personalmente, sarebbe Jacoby Shaddix dei Papa Roach. È un artista che mi ha ispirato moltissimo nel fare quello che faccio e la sua energia, il suo modo di stare sul palco hanno una grande influenza su di me. Se riuscissimo a lavorare con lui per un pezzo o un progetto, sarebbe letteralmente il picco della mia carriera. Se sta leggendo questo, contattaci! [ride]

Progetti per il futuro?

Beh, al momento non possiamo suonare se non con capienze estremamente ridotte e non è quello che stiamo cercando, quindi la risposta più semplice è nulla. Non appena sarà permesso esibirsi all’aperto, al chiuso o ai festival, allora ci prenoteremo e faremo di nuovo concerti senza sosta. Ad ogni modo, siamo al lavoro su nuova musica. Alcuni pezzi sono pronti per essere rilasciati e c’è un sacco di nuovo materiale su cui stiamo costantemente lavorando e che stiamo rifinendo. The Lesson, Indemnify e Eight usciranno nei prossimi mesi e c’è l’idea di raccogliere questi ed altri pezzi in un terzo progetto per la fine dell’anno, che sia pronto per quando tornerà la musica dal vivo.

 

Francesca Di Salvatore

Tre Domande a: Tugo

Come e quando è nato questo progetto? 

“Il progetto Tugo nasce agli inizi del 2018 dopo un paio di anni di letargo del nostro precedente progetto musicale. Venendo da anni di militanza sui palchi di mezza Italia con un progetto acustico piuttosto scanzonato, la voglia di infilare nuovamente il jack nell’ampli e imbracciare, stavolta, strumenti elettrici era tanta; abbiamo così deciso di dare vita a qualcosa di nuovo, partendo però da solide radici: un’amicizia ventennale e la sala prove di sempre. Mesi e mesi di jam interminabili in sala prove e a metà 2019 siamo tornati a calcare i palchi forti di 7/8 nuove canzoni firmate Tugo.”

 

Se doveste riassumere la vostra musica in tre parole, quali scegliereste e perché?

“Ruvida: quando sul palco si è solo in tre c’è poco da fare: si butta il cuore oltre l’ostacolo, ci si mette tanta passione e, se si cerca di suonare rock, provi a fare quanto più casino possibile coi pochi mezzi a tua disposizione. Power trio raffinati nella scena rock internazionale non ne ricordo: Nirvana, Biffy Clyro, Muse, Motorhead, Verdena… tutta gente che ha sempre prediletto l’acufene alla partitura per corno inglese.

Genuina: per carità, belle le schede audio, bello Logic e Ableton Live, belli i sampler, i sintetizzatori modulari e le drum machine. Ci piacerebbe davvero tanto sperimentare nuove sonorità, imparare a miscelare le forme d’onda per riprodurre digitalmente il barrito dell’elefante indiano; purtroppo il tempo che possiamo dedicare ad imparare ad utilizzare questi device è poco (abbiamo ormai una certa età) per cui, per adesso, facciamo ancora alla vecchia: jack nell’ampli, volume sul 8/9 e pedalare. Pochi fronzoli e tanta voglia di picchiare sulle pelli.

Nostalgica: il nostro suono, se anche solo ci guardiamo in casa (Italia), non è certo la moda del momento. Tra fenomeni it-pop e trap, sedicenti cantautori e finti gangsta, la scena rock nostrana è dormiente da anni. Siamo cresciuti musicalmente a cavallo degli anni ’00 e imprescindibilmente ne abbiamo assorbito i suoni e l’attitudine provando poi a riproporli coi nostri pezzi. Una battaglia persa in partenza ? Chi lo sa…”

 

Progetti futuri?  

“Nelle prossime settimane uscirà il video di Giorni, il primo singolo estratto dall’omonimo EP. Sicuramente dopo i bagordi del release party torneremo in sala prove per comporre nuovi pezzi che, molto probabilmente, ci porteranno in studio nuovamente prima della fine dell’anno. Al momento non abbiamo ancora live programmati, l’inverno si prospetta avaro di occasioni per la musica dal vivo soprattutto quando si parla di band emergenti; vedremo dove ci porterà la fama scaturita dal lancio del nostro primo EP e, nel frattempo, ci godiamo il “lavoro” in sala prove.”