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Tag: laura faccenda

Dimartino: cantami, o Afrodite.

Dimartino: cantami, o Afrodite.

Il suo esordio da solista risale a quasi dieci anni fa. Il suo atteggiamento non è mai cambiato. Antonio Di Martino è l’artista che attinge dall’autenticità e dallo sguardo attento al mondo che lo circonda. È il cantautore sincero che approfondisce i temi legati alla fragilità umana, ai suoi contrasti e alla possibilità di conciliarli, nei contorni di personaggi estremamente reali. Un’intervista, un viaggio, nei luoghi e nel tempo. Dalle vie di Palermo, al Mar Mediterraneo. Dal tempio di Afrodite alle colonne dell’Olimpo che risuona di melodie dal respiro tanto anni Settanta quanto energico e internazionale.

A due anni dall’ultimo disco, il 25 gennaio è uscito Afrodite. Come è nato l’album soprattutto in riferimento alla dea della bellezza e perché è così diverso da tutti gli altri?

Nei due anni in cui sono stato in tour per il disco precedente ho raccolto molte idee e ne ho sviluppate altre che avevo già per alcune canzoni. Altre sono nate all’improvviso. Riconduco tutto a un’urgenza personale probabilmente. Degli spunti derivano anche da viaggi e dall’avvicinamento alla cultura messicana. I miei dischi nascono così, da stimoli che mi creo e da altri che arrivano fortuitamente. Non dietro a contratti discografici ma per urgenza espressiva, per volontà di raccontare. La diversità, invece, riguarda la produzione. Volevo che pezzi e testi molto intimi fossero prodotti in modo più estroverso, più fosforescente. Poi ho scelto il titolo Afrodite perché, innanzitutto, mi piaceva la parola, il rimando a qualcosa di antico ma allo stesso tempo molto legato al contemporaneo: il collegamento con la dea della bellezza in un mondo dove la bellezza brucia, non viene tutelata o curata. O peggio, viene data per scontata. C’è anche in rimando ad un fatto personale perché la notte in cui è nata mia figlia, dalla finestra dell’ospedale di Trapani si scorgeva il tempio di Afrodite, sul monte Erice. E l’ho visto illuminarsi, in una specie di visione.

Nei testi vengono descritti personaggi, storie, esperienze di vita quotidiana. Come si inserisce in questo contesto il personaggio, il musicista e l’uomo Antonio Di Martino?

Molte volte, quando scrivo, pur utilizzando la terza persona in realtà sto parlando di me. Tutte le canzoni che scrivo mi riguardano…sarebbe difficile il contrario. Altre volte inserisco nei testi momenti e immagini che ho vissuto e che ho visto per strada. La scena del bingo su La luna e il bingo l’ho vista davvero a Palermo. Oppure un pezzo come Daniela balla la samba parla di un frame quasi cinematografico a cui ho assistito: questa ragazza che ballava sul tetto di una macchina con un ritmo che ricordava quello della samba. Dentro quest’ultimo brano, però, penso di esserci anche io in qualche modo. È legato a un senso di sensualità a cui volevo aspirare. In quei personaggi mi ci rivedo molto… Ci sono forse talmente affezionato da immedesimarmi.

Afrodite è anche la dea della navigazione. Tutto l’album si ascolta come un’onda di emozioni contrastanti. Esiste un modo per conciliare la “ricerca dell’amore nel dramma di una vita normale”?

Eh…bella domanda! C’è sicuramente un modo per conciliare la ricerca dell’amore nel dramma di una vita normale. Io sono ottimista in questo. Il problema sta nel fatto che l’uomo contemporaneo non si accontenta più di una sola forma di amore. È come se avesse continuamente desiderio di cambiare, di innamorarsi di nuovo, probabilmente per una insoddisfazione insita nell’essere umano di oggi. Avere mille possibilità non lascia la libertà di apprezzare davvero… e si sfocia sempre in un sentimento vicino alla sofferenza.

Palermo e, in un’ottica più ampia, la Sicilia rappresentano due sfondi costanti della tua musica. Qual è il volto attuale della tua terra?

Palermo è una città molto cambiata, soprattutto negli ultimi cinque o sei anni. Il volto e l’atteggiamento dei palermitani sono mutati in meglio. C’è sicuramente una voglia di riscatto. Le stragi degli anni Novanta hanno provocato talmente tanto dolore fra i miei concittadini che ci son voluti quasi vent’anni per elaborare il lutto. Adesso ci si sta rialzando. Anche la parola antimafia ha assunto altri significati. All’inizio, era un concetto a cui ci si avvicinava per dovere. Oggi, i ragazzi nascono già con una coscienza antimafia, non ci sono dovuti arrivare. Hanno già una visione con gli anticorpi del loro ruolo all’interno della città. Tengo a sottolineare, poi, che Palermo è stata una delle prime città ad aprire i porti. È una prerogativa che risiede nella sua natura, da quando è stata fondata. L’idea del porto aperto rimanda all’antico nome, Panormus, città tutto porto. Un luogo in cui approdavano e convivevano greci, turchi, spagnoli. La città che sogno in questo momento è una Palermo tutto porto.

Mi ha colpito il tema del sogno. Canti di “sogni perduti”, di “sogni da adolescenti”. Che cosa può sognare un musicista all’interno del panorama italiano oggi?

Oggi, un musicista deve sperare di non dover mai scendere a compromessi per andare avanti. Deve fare il suo percorso attraverso la sua arte. Io sono molto legato a quegli artisti con una forte identità e con una grande capacità di mantenerla. Un artista dovrebbe aspirare al racconto del mondo attraverso i propri occhi e, nello stesso tempo, non tentare di cambiarne la visione per attirare più pubblico. Dovrebbe cercare invece di attirare il pubblico alla propria visione.

Per quanto riguarda la dimensione del palco… Come è stato portare Afrodite live?

Questo tour è stato una somma di tutti i dischi precedenti. Oltre ad Afrodite, ho scelto altre dodici canzoni da tutti e quattro gli album. Essendo trascorsi quasi dieci anni dall’uscita del primo lavoro in studio, ho voluto fare una specie di riassunto. Ho guardato queste fotografie in musica e mi sono chiesto se sono invecchiate, come sono invecchiate, se ha ancora senso cantare una canzone del 2010 o se quella canzone non parla più ai ragazzi. È stato bello sceglierle perché, selezionandole, mi sono accorto anche di come sia cambiato il mio modo di vedere il mondo… o di come non sia mai cambiato. Ci sono delle canzoni di dieci anni fa che esprimono gli stessi concetti che vorrei esprimere in questo momento. Da un lato, questa caratteristica mi spaventa perché ho sempre considerato necessario mettere in discussione le proprie idee. Dall’altro, però, mi rincuora perché mi sento una persona che ha portato avanti la propria coerenza.

L’ultima domanda è più una curiosità. Se potessi scegliere un personaggio della mitologia greca, sia divinità che non, chi vorresti essere?

I personaggi che mi vengono in mente sono tutti tragici (ride). Sono tutti veramente tragici. Così, senza pensarci, come scelta inconscia, ti dico Achille.

 

Intervista a cura di Laura Faccenda

Grazie a SIDDARTA 

Deproducers “DNA” (Ala Bianca Records, 2019)

Dopo essersi avventurati tra le stelle con Planetario (2012) e aver fatto ritorno sulla terra, tra le meraviglie del mondo vegetale in Botanica (2016), i Deproducers firmano DNA, il nuovo capitolo del progetto Musica per Conferenze Scientifiche, in collaborazione con AIRC. Lo straordinario collettivo artistico formato da musicisti, cantautori, produttori del calibro di Vittorio Cosma, Riccardo Sinigallia, Gianni Maroccolo e Max Casacci accoglie come frontman d’eccezione il filosofo e bio-evoluzionista Telmo Pievani per raccontare la storia dell’antenato comune di tutte le forme viventi, il DNA. 

Nella comunicazione tra musica e scienza, nel loro scambio reciproco, si sviluppa la narrazione dei temi cardini dell’evoluzione, dalla formazione delle prime cellule, alla comparsa dell’Homo Sapiens, fino alle nuove conquiste della genetica e della ricerca oncologica, sottolineandone il valore culturale ed umano. 

Un’opera innovativa, ambiziosa ma allo stesso tempo accessibile, che permette di trasformare un convegno scientifico in uno spettacolo live coinvolgente, immersivo che punta sulla sinergia tra brani inediti, immagini suggestive e una scenografia costruita ad hoc (la data zero del tour è prevista per il 9 aprile al Teatro Grande di Brescia, la Prima andrà in scena l’11 aprile al Parco della Musica di Roma). 

In una alternanza tra concetti esposti da un cantato semplice, al limite del “parlato” nelle voci di Pievani e Sinigallia, e atmosfere delineate dalla sola musica, vagante tra ambient, acustica, neoclassica e rock, Abiogenesi dà il via a questo viaggio, elevandosi a colonna sonora introduttiva, come una nuova Così parlò Zarathustra in 2001 Odissea nello spazio. Storia compatta della vita introduce la figura di Carl Segan, astronomo che nel 1966 inventò il calendario cosmico: l’intera storia dell’universo, dal big bang ad oggi, comparata ad un anno solare. Miliardi di anni compresi tra il primo gennaio e la mezzanotte del 31 dicembre. Un crescendo musicale che va di pari passo e sfocia in una pura traccia elettronica, dominata da una voce computerizzata che elenca, tappa dopo tappa, le scoperte fondamentali nella storia dell’uomo, ricordando i Daft Punk in Harder Better Faster Stronger.

Sullo stesso impianto sonoro si snoda DNA, la title track, in una successione di bassi potenti, suoni taglienti e la ripetizione delle iniziali delle basi azotate che compongono la doppia elica: A per adenina, C per citosina, G per guanina, T per timina. Suite cellulare è l’opera lirica del disco. Divisa in quattro movimenti, accompagna le fasi evolutive con solennità. Dalla ritualità di un coro iniziale, il ritmo cambia, si riempie e si completa. Monofonia e polifonia che rappresentano, in musica, il passaggio dagli organismi monocellulari a quelli pluricellulari, giungendo al picco di massima intensità nella nascita del sesso. Quest’ultima, definita in termini evoluzionistici come prevenzione naturale che allontana dal pericolo dell’omologazione e dell’uniformazione, si colora di tinte romantiche e ammiccanti nella melodia lontana di un sassofono. L’energia e la vitalità di L.U.C.A. celebrano l’ultimo antenato comune universale (Last Universal Common Ancestor) e si contrappongono allo scenario inquieto di Cancro, in cui le percussioni cupe e il timbro tipico dell’organo riecheggiano la Cavalcata delle Valchirie di Wagner. La chiusura è affidata a Serendipità, termine coniato dall’inglese Horace Walpole nel 1754 per indicare la fortuna di fare scoperte casualmente, trovando qualcosa di inaspettato nella ricerca qualcos’altro.

Un riassunto di tutte le vibrazioni precedenti, un’aria melodica di apertura e progressione. Quello che prima era un coro serioso, quasi gregoriano, ora sono voci illuminate dallo stupore. La sintesi del percorso di riflessione che si intraprende, spesso, anche grazie alla musica e alle sue capacità di introspezione. Il potere di unire questo strumento essenziale con la ricerca scientifica, fonte inesauribile di domande e risposte, metafora del processo di miglioramento di se stessi e dell’umanità, attraverso la conoscenza.

 

Deproducers

DNA

Ala Bianca Records, 2019

 

Laura Faccenda

Jack Savoretti “Singing to Strangers” (BMG, 2019)

«Ci ho preso gusto ad essere italiano. Quando vado in giro, saluto con “Ciao!” o “Buongiorno!” nemmeno fossi Roberto Benigni. Ho riscoperto la mia italianità.» – ha dichiarato Jack Savoretti, artista nato da padre italiano e madre tedesco-polacca, in merito alla sua vita nella campagna inglese, dove si è trasferito ormai da tempo con moglie e figli, lontano dalla caotica Londra. E questa italianità ritrovata contribuisce alla riuscita del suo sesto lavoro in studio, Singing to Strangers, pubblicato per BMG il 15 marzo e caratterizzato da un’atmosfera vestita di un doppio ed elegante abito: quello pop della nostra tradizione e quello soul anni ’50, tanto francese quanto d’oltreoceano. 

Registrato proprio a Roma al Forum Music Village, lo studio fondato da Ennio Morricone, Piero Piccioni, Armando Travajoli e Luis Bacalov, il disco, nella produzione di Cam Blackwood, si ispira ai preziosi arrangiamenti della forma-canzone del bel paese. L’impalcatura sonora si erge su una duplice struttura costituita dalla band e dall’orchestra. Linee di basso massicce si fondono con le dolci armonie degli archi e con la vocalità così intima e riconoscibile di Savoretti. Un timbro rauco e un graffiato dolceamaro che attingono da sorgenti emotive profonde e da una grande tecnica.

«L’idea di Singing to Strangers è nata da mia figlia. Mi ha detto: “Papà perché non parli del tuo lavoro?”. Cantare per sconosciuti, appunto. Il tutto è legato dal tema dell’amore che si sviluppa all’interno di una colonna sonora di un film immaginario. Dell’Italia ci sono anche il cinema e lo scenario di Roma». 

Candlelight, traccia d’apertura e primo singolo estratto, nelle inflessioni rhythm and blues ricorda le liriche dei primi film di James Bond, mentre con Dying for you love, nella chitarra vibrata dell’attacco, ci si ritrova seduti sul divanetto di un caffè retrò ad ascoltare il crooner che canta d’amore. Magari in una scena di una pellicola di Tarantino. What more can I do e Things I thought I’d never do si inseriscono, cronologicamente, in richiami anni ’70, la prima sulla scia di Marvin Gaye e la seconda su quella dei brani più famosi di Elton John dello stesso periodo. Di grande spessore è la titletrack: un monologo recitato sul sottofondo delle corde pizzicate. Una domanda identitaria, una confessione tra la consapevolezza e il grido interiore. Che dire poi di Touchy situation, tra i cui crediti si legge il nome di Bob Dylan, autore di questo dipinto al femminile scritto nella fase di Time out of mind, musicato e sapientemente personalizzato da Jack Savoretti. 

La chiusura dell’album è affidata al potente effetto “live” delle due bonus track registrate alla Fenice di Venezia. Music’s too sad without you, appassionato duetto con Kylie Minogue, potrebbe benissimo rappresentare il brano cardine di un musical romantico, di quelli dal lieto fine, che fanno sognare. Vedrai Vedrai di Luigi Tenco che sfuma in Oblivion di Astor Piazzolla è l’omaggio accorato e definitivo a tutto il panorama melodico e melodrammatico. Su queste note, è come se apparisse il frame di un film in bianco e nero. Film di cui siamo protagonisti o spettatori, in un vecchio cinema dalle poltroncine di legno. Ecco le vie di una Roma notturna, illuminata dalle file dei lampioni. Attraversata, vissuta, mano nella mano con qualcuno. O con un sorriso malinconico, nel suo ricordo.

 

Jack Savoretti

Singing to Strangers

BMG, 2019

 

Laura Faccenda

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