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Tag: manuel agnelli

VEZ5_2022: Francesca Garattoni

A dicembre scorso, mentre pubblicavamo per il secondo anno di fila le personali top 5 della redazione e degli amici di VEZ, ci eravamo augurati come buon proposito per l’anno nuovo di tornare il prima possibile e in modo più normale possibile ad ascoltare la musica nel suo habitat naturale: sotto palco.
Nel 2022 tutto sommato possiamo dire di esserci riusciti, tra palazzetti di nuovo pieni e festival estivi senza né sedie né distanziamenti. Però ormai ci siamo affezionati a questo format-resoconto per tirare le somme, quindi ecco anche quest’anno le VEZ5 per i dischi del 2022.

 

Spoon Lucifer on the Sofa

Uscito a Marzo e in cuor mio già sapevo sarebbe stato il mio disco dell’anno. Così corposo, solido e pieno, non riuscivo a smettere di ascoltarlo perchè ogni volta che premevo play ero rapita in una dimensione parallela, un misto di ricordi, nostalgia e un’eterea sensazione di fresca leggerezza.
Gli Spoon sono tornati ai gloriosi vecchi fasti e hanno dato riprova di essere dei maestri dell’indie rock.

Traccia da non perdere: Astral Jacket

 

Manuel Agnelli Ama il Prossimo Tuo Come Te Stesso

Strano da parte mia inserire un disco italiano nella mia top 5 dell’anno e addirittura in seconda posizione, ma anche quello di Manuel Agnelli è un disco che ho fatto fatica a togliere dallo stereo. Ben costruito, si va da classiche tracce “Agnelliane” con il loro tipico essere sporche e graffianti alla dimensione splendidamente cinematografica di Pam Pum Pam e La Profondità degli Abissi, passando per pezzi grigio nebbia milanese di una bellezza struggente.

Traccia da non perdere: Milano con la Peste

 

Father John Misty Chloë and the Next 20th Century

Sebbene l’ultimo God’s Favorite Customer non avesse entusiasmato e mi avesse fatto pensare che il caro Josh si fosse un po’ prosciugato creativamente, questo Chloë and the Next 20th Century sorprende (e piace) parecchio: le atmosfere anni ’20, l’eco di cristalli tintinnanti, bicchieri da cocktail e il fruscio di abiti di seta sono evocati da un sound inaspettatamente retrò che però funziona, cavolo se funziona! Chloë and the Next 20th Century è un album tenero e piacione, da ascoltare languidamente, da ballare addirittura, con la compostezza e il garbo del secolo scorso.

Traccia da non perdere: Kiss Me (I Loved You)

 

Interpol The Other Side of Make Believe

Quando si parla di Interpol quello che viene in mente è eleganza e stile e The Other Side of Make-Believe è l’ennesima conferma che anche se passano gli anni la sostanza rimane quella. Forse sono di parte, perchè Paul Banks potrebbe anche leggere l’elenco telefonico e lo troverei comunque affascinante, ma questo non toglie che insieme alla chitarra pungente di Daniel Kessler e al pestare preciso di Sam Fogarino, le canzoni assumano il loro sound distintivo che è tipico ma allo stesso tempo lontano anni luce dall’essere stagnante, danno il conforto del conosciuto spingendo però l’ascoltatore verso nuovi orizzonti tutti da esplorare.

Traccia da non perdere: Fables

 

The Afghan Whigs How Do You Burn?

Greg Dulli sa come fare rock, è questa la certezza che viene confermata dal nuovo album de The Afghan Whigs: un rock potente ma composto, che va dritto al punto, cioè al cuore. Ed è un pezzo di cuore quello che c’è in questo How Do You Burn?, a partire dal titolo suggerito dal compianto Mark Lanegan, che da queste tracce ci canta le sue ultime note.

Traccia da non perdere: I’ll Make You See God

 

Honorable mentions 

Arctic Monkeys The Car – Fuori cinquina per un soffio, il nuovo corso di Alex Turner e soci è una piacevolissima (ri)scoperta. Cinematografico e piacione.

Band of Horses Things Are Great – Un po’ come per gli Spoon, anche i Band of Horses ritrovano la strada di casa, e tornano a fare un album degno di nota.

Marlene Kuntz Karma Clima – C’è bisogno di colta bellezza e questo è il disco giusto per soddisfarlo.

Editors EBM – Un disco un po’ strano al primo ascolto, ma che alla lunga prende e si fa ascoltare ancora e ancora.

Pinegrove 11:11 – Il disco sconosciuto\novità dell’anno, ascolto piacevolissimo.

 

Francesca Garattoni

Manuel Agnelli @ Mamamia

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• Manuel Agnelli •

Mamamia (Senigallia) // 17 Dicembre 2022

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]foto di Siddharta Mancini

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Thurston Moore + Manuel Agnelli @ Balena Festival

Arena del Mare (Genova) // 21 Luglio 2022

 

Che la serata del 21 luglio del Balena Festival di Genova sarebbe stata diversa da quello a cui sono abituata l’ho capito appena varcati i cancelli e vedendo le sedie schierate sotto il palco principale del festival: per una frazione di secondo mi sono sentita portata indietro all’anno scorso, quando le sedie dovevano essere la normalità per qualsiasi concerto. Poi sono tornata alla realtà, allo spettacolo che avrei visto, e ho pensato che tutto sommato, quelle sedie poteva avere la loro ragione di esistere.

Il Balena infatti ha schierato due pezzi da novanta: Thurston Moore – chitarrista dei Sonic Youth – con la sua band prima, e Manuel Agnelli dopo.

A intervallare, Dellacasa Maldive e Cara Calma, alternando cosí in un denso cartellone vecchie glorie e nuove leve. Davanti al palco dove si sono esibiti loro però le sedie non c’erano e infatti sarebbe stato strano il contrario. Giovani ed energiche, le due band hanno accompagnato e fatto ballare la serata più “adulta” (passatemi l’aggettivo) dell’intero festival. 

Ad ogni modo, le sedie avevano ragione di esistere perché i due spettacoli sul palco principale sono stati una forma di rapimento. Osservare le dita di Thurston Moore muoversi come se avessero vita propria lungo la chitarra richiedeva una certa attenzione, oltre a suscitare stupore tra tutti i presenti. Per un’ora abbondante il chitarrista dei Sonic Youth avrà staccato le mani dal suo strumento – maneggiato con la cura con cui si maneggia un oggetto prezioso e allo stesso tempo usato con la gioia di chi sta giocando al proprio gioco preferito – per quelli che saranno stati dieci minuti in tutto, a voler stare larghi. Nessun effetto speciale, nessun abito stravagante: solo lui, la sua band e la musica. 

È stato diverso, ma è stato anche uno Spettacolo (lettera maiuscola voluta), uno di quelli dopo il quale non puoi fare altro che chiederti come sia possibile che esista un talento del genere.

 

20220712 manuelagnelli pistoia letiziamugri 23

 

Anche Manuel Agnelli era accompagnato dalla sua band, una band ringraziata a più riprese. Non a caso, la cosa che mi ha colpito di più probabilmente alla fine di questa serata è stata l’umiltà di cui hanno fatto prova tutti gli artisti presenti: grati della presenza del pubblico, grati per chi ha scelto di accompagnarli sul palco, grati per poter essere semplicemente lí. 

Il concerto è stato un andirivieni tra pezzi recenti e successi degli Afterhours, durante i quali il pubblico ha dimenticato dell’esistenza di quelle sedie sistemate con precisione. Non sono neanche mancati i momenti di contatto con il pubblico: alcuni più didascalici – in primis quello sulla dignità dei “pezzi su commissione” prima di intonare La Profondità degli Abissi, pluripremiata canzone scritta per il film Diabolik – altri più emotivi, come quello che ha preceduto Padania, altri invece genuinamente divertenti, dato che Manuel Agnelli, oltre a dar prova di grande umiltà, si è dimostrato anche incredibilmente autoironico. 

Se Thurston Moore aveva la chitarra, Manuel Agnelli aveva la voce. Ovviamente non è il suo unico strumento (l’affiancamento alla tastierista Beatrice Antolini durante Proci o l’assolo di chitarra verso la fine lo hanno ampiamente dimostrato), ma ieri sera è stata sicuramente il suo asso nella manica. Una voce potente che risuonava in tutto il Porto Antico e al tempo stesso malleabile, tanto da riuscire ad adattarla e a modificarla, fino quasi a sembrare persone diverse, a seconda del pezzo. 

E ieri sera, mentre guardavo il pubblico urlare insieme a lui pezzi come Non si esce vivi dagli anni ’80 o Ballata per la mia piccola iena, ho pensato che se avessi avuto l’età che ho oggi tra gli anni ’90 e l’inizio del 2000, sarei stata una fan sfegatata di quei pezzi lì.


Francesca Di Salvatore

foto di copertina Roberto Mazza Antonov
foto nel testo Letizia Mugri

Manuel Agnelli @ Botanique

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• Manuel Agnelli •

Parco delle Caserme Rosse (Bologna) // 16 Luglio 2022

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foto di Francesca Garattoni

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Pistoia Blues 2022

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 Pistoia // 7 Luglio – 16 Luglio 2022

 

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7 Luglio 2022

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The Tallest Man On Earth

foto di Letizia Mugri

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12 Luglio 2022

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Manuel Agnelli

foto di Letizia Mugri
testo di Alma Marlia

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13 Luglio 2022

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Willie Peyote

foto di Aurora Ziani

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14 Luglio 2022

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Ariete

testo di Alma Marlia
foto di Aurora Ziani

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15 Luglio 2022

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Simple Minds

di Alma Marlia

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16 Luglio 2022

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Paolo Nutini

di Alma Marlia

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Manuel Agnelli @ Pistoia Blues

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• Manuel Agnelli •

Piazza Duomo (Pistoia) // 12 Luglio 2022

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Ieri, come ogni anno, Pistoia ha accolto il pubblico del Pistoia Blues tra palazzi storici e mercatini etnici, nell’armonia del contrasto che fa vibrare nell’aria la voglia di arte e creatività. Entrati in Piazza del Duomo, il campanile sorveglia ogni kick e ogni riff che si librano da un palco che non sembra essersene mai andato, come fosse parte essenziale della piazza stessa, un battistero di musica dove ogni nota è una bellissima benedizione. E sono gli Zagreb, band di alternative rock di Castelfranco Veneto, che aprono questa cerimonia con il loro ritmo deciso e forte, che colpisce e piace ad ogni colpo. La dimostrazione che quelli della musica sono gli unici colpi allo stomaco che non fanno male. Ad assisterli ci sono i primi ascoltatori, gli appassionati veri che amano l’underground, e i fortunati che riescono ad uscire da lavoro in tempo per godersi la serata dal suo vero inizio. Guardandoti intorno, vedi lo sguardo incuriosito e attento di chi non li conosce, ma sa di aver fatto una bella scoperta. 

Agli Zagreb, seguono poi i Bluagata, sempre gruppo alternative rock, ma della più vicina Prato. Potreste dire che giocano quasi in casa, data la vicinanza delle città, ma gli spettatori non lo sanno, e lassù, sotto le luci dei riflettori, l’unica vera identità è la musica con la passione, e loro ce ne mettono tantissima. La prima canzone è Comodità tratta dal loro ultimo progetto Di stanze e Nevrosi. Il brano parla della nevrosi del consumismo, i riff sono potenti e incalzanti, i testi tagliano i compromessi per arrivare lì dove è più scomodo farli sentire, il tutto in un loop nevrotico che scopri e non ti lascia. Proseguono poi tracce che alternano potenza e arie rarefatte, e la performance si conclude con i saluti e i ringraziamenti di rito a un pubblico sempre più partecipe, con una promessa di rivederci, speriamo presto. 

Mentre il buio scende sulla città, e le sedie attorno a me si riempiono gradualmente, l’atmosfera diventa surreale, l’aria si carica di attesa, c’è chi sussurra, c’è chi applaude per incitamento, c’è chi sbuffa dall’impazienza e chi beve birra a tutto spiano con l’avidità negli occhi puntati sul palco. A me sembra ancora tutto scuro quando si sente la voce cantare fuori dal palco. Sembra che le persone stiano per urlare ma il pubblico si blocca, incantato dalle parole “Ora lo so / Se è amore che vuoi/ No, non dipende da quel che fai”, l’effetto è quello di un sogno eppure siamo svegli o forse no. Non importa, dal buio, vestito con solo pantaloni, gilet e la sua voce, esce Manuel Agnelli e l’emozione, prima sospesa, esplode. Al semplice canto si aggiunge la chitarra elettrica e via via tutti gli strumenti. Le luci si accendono, e vediamo l’artista accompagnato da una band di eccezione dove troviamo anche Beatrice Antolini, Giacomo Rossetti dei Negrita e due componenti dei Little Pieces of Marmelade, Frankie e DD. Agnelli è il secondo grande protagonista di Storytellers del Pistoia Blues 2022, con una performance dove ha regalato al pubblico i brani che lo hanno reso celebre come leader degli Afterhours e i suoi nuovi brani da solista.

Molti penseranno che è facile avere una presa emotiva sul pubblico con Non si esce vivi degli anni ’80 oppure Male di miele, eppure le nuove collaborazioni e l’energia vocale dell’artista le rendono un’emozione nuova. Ascoltarle pensando di sapere già cosa succederà in ogni parola e rimanere spiazzati perché ci sono sfumature che ti prendono ancora di più è una sensazione bellissima. A quel punto non si può stare seduti, alcune persone si alzano dalla platea, si mettono ai lati e vivono il concerto con tutto il corpo, muovendosi, a volte a tempo, a volte no, ma non importa, la gioia che vedi sui loro volti rende tutto armonioso. Quello che però capisci è che Manuel Agnelli non lo puoi catalogare tra gli artisti da gusto di mezzo. Piace o non piace. Non è gradevole con riserva, né sgradevole ma potrebbe migliorare. Lui è ciò che è e non vuole mostrare niente di diverso, e sì è un artista divisivo perché c’è chi lo vede ormai omologato al sistema. Ma non è il sistema ad essere sbagliato in sé, è il modo in cui ti ci approcci che conta, e dopo aver cavalcato per anni la scena indie, Agnelli è riuscito ad entrare in una più ampia scena musicale dimostrando che se ne può fare parte rimanendo fedeli a sé stessi e proponendo i propri progetti curati e ben pensati; la sua capacità di scrittura non lascia niente al caso e non si è adeguato al modo semplice e veloce che impera in molte produzioni attuali. Profondità degli abissi, dalla colonna sonora del film Diabolik, è una dimostrazione di tutto questo. Agnelli ne racconta prima la genesi, le critiche che gli sono state mosse, mostra al pubblico il cuore con cui ha composto quella canzone, si mette a nudo ritenendoci persone a cui può fare quella confidenza. La sua interpretazione è da brividi, la canzone è bella, spietata, anche dolce se le permettiamo di raggiungerci. La voce di Agnelli è ferma ma vibra al tempo stesso di ogni emozione che ha messo in quel brano, e lì te ne freghi dei premi che ha vinto, ma non perché non abbiano valore, solo perché è un’emozione che va oltre la ragione, abbatte la logica, e anche dove fa male, ti rende felice. 

Pistoia Blues 2022 ha dato al suo pubblico la possibilità di vivere qualcosa di magico, fuori dalle dinamiche di chi critica solo per il gusto di farlo. Se Agnelli non volete ascoltarlo non ascoltatelo, non fatevi paladini di non si sa cosa facendo la morale su cosa debba fare o non fare, perché la sua onestà intellettuale sta nella musica ben fatta e nella capacità di trasmettere la passione per ciò che fa, in testi e composizioni che sfuggono alla banalità senza per questo ingozzarsi di parole ricercate che alcuni artisti prendono dal dizionario del desueto solo per fare colpo. Decidete se volete essere la piccola iena di cui canta o se volete una pelle splendida. Ma vivetelo, in ogni suo concerto, perché è lì che me capirete la forza e il messaggio. Smettete di picconare solo per il gusto o la moda di farlo e lasciate che l’emozione faccia il resto.

Il concerto si chiude con il bis di rito, che, ammetto, un po’ odio, ma forse anche l’artista condivide il mio pensiero, o così sembra, perché tutti si assentano giusto il tempo di bere un bicchiere d’acqua, e ritornano sul palco con la consapevolezza di dover chiudere, ma senza la voglia di farlo. Rimane nell’aria la loro musica, la voce del mio passato ancora presente, persone felici che escono e popolano di nuovo le strade della città piene di luci. Il silenzio è dietro l’angolo, l’adrenalina lotta con il sonno, gli scuri delle finestre accolgono l’emozione ancora viva. Non puoi fare altro che aspettare, con la promessa di un altro concerto, e la ritrovata spensieratezza delle sensazioni dei vent’anni. 

 

Alma Marlia

foto di Letizia Mugri

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An evening with Manuel Agnelli @ Teatro Fabbri di Forlì

Abituata ai concerti degli Afterhours, in piedi, schiacciata alla transenna, è strano pensare di ascoltare le canzoni che hanno fatto da colonna sonora alla mia adolescenza comodamente seduta su una poltroncina di velluto rosso, in un teatro.

Mentre cammino per le strade che mi portano al Teatro Fabbri di Forlì, in occasione di An Evening with Manuel Agnelli mi chiedo che pubblico troverò. Chi, come me, che ha iniziato ad amarlo durante la sua militanza nelle file del rock indipendente italiano oppure persone che lo conoscono soprattutto per i suoi ultimi trascorsi televisivi? Questa cosa mi spaventa un po’.

Mentre mi accomodo nel mio posto numerato, tiro un sospiro di sollievo. Il pubblico di Agnelli è cresciuto, è diventato più trasversale, ma il clima che si respira è lo stesso che ho incontrato in passato ai suoi concerti. Ci si scambia opinioni sull’ultima volta che lo si è visto live e mi accorgo che in tanti non hanno la minima idea di cosa aspettarsi da questa inedita serata concerto-evento.

La modalità d’impianto teatrale per alcuni musicisti non è però così nuova. Penso alle “Conversations with Nick Cave”, che tanto amo e che probabilmente anche Agnelli segue con interesse. Impossibile credere che non si sia ispirato a lui per questo format che tocca diversi ambiti, dalla conversione al concerto, passando per il reading.

Anche solo la vista del palco fa intuire quale sarà l’atmosfera della serata: un appendiabiti, alcune valigie, due poltrone, un giradischi, dei vinili, un plotone di chitarre pronte per le esecuzioni acustiche.

Rodrigo D’Erasmo e Manuel Agnelli arrivano sul palco alle nove e mezza passate, entrambi indossando un cappotto. Se lo tolgono e senza dire niente partono con il primo pezzo, una cover della canzone The Killing Moon di Echo and the Bunnymen, seguita dal primo dei tanti ringraziamenti al pubblico.

Agnelli sembra rilassato, “con la musica ho trovato il mio linguaggio. Ho iniziato a fare rock contro tutto e tutti, ma ad un certo punto ho perso l’obiettivo. Combattevo per qualcosa, ma non ricordavo più per cosa, così ho scritto questo pezzo“. È Padania la canzone che usa per iniziare a parlare di sé.

 

Manuel Agnelli Nicola Dalmo 2019 002

 

 

Tra una chiacchiera e l’altra si arriva a Male di Miele. Agnelli quando parla dell’album “Hai Paura del Buio?” che li ha consacrati alla storia della musica italiana, racconta con ironia di quei tempi, tutt’altro che facili per gli Afterhours.

La band era indebitata con lo studio di registrazione, nessuno voleva comprare il nastro, Manuel aveva perso il lavoro e la sua ragazza l’aveva lasciato. A quei tempi viveva sopra un negozio di animali che, quando passava davanti, parevamo ridere di lui.

Nonostante questo “ho iniziato a preoccuparmi solo quando i pezzi sono diventati allegri“. La versione di Come Vorrei al pianoforte è ancora meglio di quella in studio. Un pezzo dalle sonorità dolci, ma dal testo disperato.

Anche il successivo, Pelle, viene eseguito al piano, con l’accompagnamento del violino di Rodrigo. Il risultato è un’esecuzione ariosa del brano originale. Ammetto di aver temuto l’effetto nostalgia, ma tutti i brani rieseguiti durante An evening with Manuel Agnelli acquistano una nuova identità, senza per questo tradire quella che già conosciamo.

L’ironia non manca mai, nemmeno quando tocca alcuni dei momenti più difficili della sua vita. È il caso di “Folfiri o Folfox”, l’ultimo album di inediti che racconta della morte del padre. Un lavoro catartico, dove “la musica è venuta in soccorso, per buttare fuori le tossine“.

Curioso pensare che proprio un disco così difficile e pesante, sia arrivato primo in classifica. Quando Agnelli e D’Erasmo eseguono Ti cambia il sapore il palco si tinge di verde e di blu, come se fossero imprigionati dentro un acquario, a fare i conti con il dolore. L’esecuzione è da brividi.

Si apre il momento “miti”, con una cover di The Bed di Lou Reed, tratta dall’album “Berlin“. Questo brano era la colonna sonora dei primi viaggi in giro per l’Europa di Agnelli, e dei suoi primi approcci con il sesso.

Come può un album come questo fare da sfondo a dei rapporti sessuali di un ragazzino di sedici anni? Manuel ha la risposta: “ci si nasce con questa sensibilità. Il sesso allegro non mi è mai interessato. E chissà, forse sono proprio io l’inventore del sesso emo“. Probabilmente l’aneddoto più divertente tra i tanti che Agnelli condivide con il pubblico, e proprio questi racconti sono uno dei tanti elementi che arricchiscono il live.

Bianca ottiene una piccola ovazione. Al termine del pezzo i due vanno a sedersi sulle poltroncine in fondo al palco e mentre bevono un bicchiere di vino Agnelli legge un brano di Ennio Flaiano.  Poi a ritmo serratissimo, eseguono una cover irriconoscibile dei Joy Division. Il pezzo è più simile a come l’avrebbe suonato Nick Drake, che ai suoni graffianti e caustici della band di Ian Curtis.

Uno degli aspetti più interessanti di questo concerto-evento è sentire parlare Agnelli dei suoi miti musicali e riferimenti culturali. E di quelli che, inaspettatamente, non l’hanno mai influenzato nonostante con la loro musica abbiano sancito un periodo storico. È il caso di Kurt Cobain, che oggi sarebbe quasi coetaneo di Manuel.

Erano gli anni Novanta, cadeva il muro di Berlino e in Italia imperversava Mani Pulite. Sembrava che l’onestà e la verità, stessero per vincere su tutto il resto. Il mondo poteva cambiare, finalmente tutto era possibile, nella società, nella Musica, ovunque. Poi, Kurt si suicidò e mise il sigillo a quel periodo storico. Tutto cambia per rimanere uguale.

L’abilità di Agnelli, spalleggiato dal fondamentale Rodrigo D’Erasmo, è di aver messo in piedi uno spettacolo intimo e toccante, delicato e profondo, carnale e leggero. Si passa da una lettura a un aneddoto personale, da una cover a un pezzo storico degli Afterhours, senza quasi accorgersene.

Come quando si è tra amici veri, quelli a cui si vuol bene, che tra un bicchiere di vino e il consiglio di un buon libro o un disco, si finisce a tirare tardi.

La cover di State Trooper di Springsteen è una delle meglio riuscite di tutta la serata. Tra l’urlo riverberato di Agnelli e il violino di Rodrigo, che sembra riprodurre il suono del sistema nervoso, non viene tradita la forza del pezzo che parla di chi non è mai riuscito ad integrarsi, di chi vive ai margini, dei diversi.

Il concerto scivola via, una diapositiva dopo l’altra, con Manuel che si racconta molto anche nel privato, dalla prima telefonata di Mina arrivata quasi per caso nel 1995 agli inevitabili talent. Agnelli dice di essersi liberato, durante quell’esperienza televisiva.

Di aver capito che molta della musica che viene prodotta oggi è “musica di merda“, ma che in mezzo a tutto questo ci sono pezzi interessanti e che, spesso e volentieri, è proprio sua figlia a farglieli conoscere. È il caso di Lana Del Ray. La cover di Video Games è il pezzo che non ti aspetti, eppure sembra essere tutto al posto giusto. Il pubblico ascolta incantato.

Sono passate più di due ore dall’inizio del concerto, ma il ritmo è ancora sostenuto. Nell’ultimo “encore” infila Ballata per la mia piccola Iena, Ci sono molti modi e Non è per sempre con il pubblico che canta – male – insieme a lui il ritornello. Mi scoppia il cuore.

È il momento dell’ultimo pezzo che “servirà a togliervi quello stupido sorriso ingiustificato dalla faccia“, ci dice Manuel con un’espressione da gatto. Parte Quello che non c’è.

Al termine del concerto il pubblico si alza in piedi, Agnelli e D’Erasmo se ne vanno tra gli applausi.

Quello che si è visto sul palco del Teatro Fabbri è un nuovo Manuel Agnelli, più leggero, più risolto forse, che non ha tradito quello che è stato. È una nuova versione che ha portato il musicista ruvido e puro, tutto nervo e rabbia, a una nuova dimensione, colta, irriverente e autoironica.

 

Manuel Agnelli Nicola Dalmo 2019 003

L’impressione che ho avuto è che Agnelli abbia voluto rompere con un certo passato che forse gli stava stretto da un po’. Quello dell’ambiente “indie” che spesso, in Italia, fa rima con snob e autoreferenzialità.

Probabilmente stanco di quel clima asfittico, pieno di limiti, di barricate e di regole, Agnelli durante questa serata ha rivendicato più volte il desiderio e il diritto di fare quello che vuole, di essersi guadagnato la propria libertà.

Anche quella di non prendersi, finalmente, troppo sul serio.

 

Testo: Daniela Fabbri

Foto: Nicola Dalmo