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Tag: Music

Karate @ Link

Il secondo postulato di Adu il Vecchio, formulato verso il finire del ventesimo secolo, recita: “Tanto maggiore è il numero di magliette dell’artista o band che si sta per esibire (presenti tra il pubblico, NdA), tanto minore sarà la qualità dell’esibizione proposta”. Vi è poi un corollario che fa riferimento anche alle bandane e alle sciarpe ma ne parliamo un’altra volta. Trattandosi di un postulato è vero di per sé, senza bisogno di dimostrazioni o altro.

Ad ogni modo la prima data italiana, dopo qualcosa come diciassette anni dall’ultima volta, di domenica 31 luglio al Link di Bologna dei bostoniani Karate è lì a rimarcare ancora una volta l’assoluta veridicità di quanto sopra esposto.

Nessuna, dico nessuna maglietta dei Karate presente in loco (o almeno vista dal sottoscritto), in compenso, e anche dall’elenco (parziale) che segue s’intuisce la qualità enorme della serata: Girls Against Boys, Sebadoh, Fka Twigs, Nirvana (con la copertina dei Joy Division però…), Shelter, due Daniel Johnston, Jon Spencer Blues Explosion, Dinosaur jr, Pontiac, Eversor, Lush, Gazebo Penguins, Yob, The Soft Moon, Mad Season, Descendents, Idles, The Van Pelt, Wolfbrigade, Deus Ex Machina, Bauhaus e Einstürzende Neubauten.

Qui l’unico tasto un po’ dolente della serata, perchè ero partito da casa con la maglietta dei Marnero, ma me l’ero cambiata che dopo 150 km di macchina insomma non ero molto presentabile, e poi entro e chi vedo subito? Raudo e soci… Avrei potuto bullarmi un po’ ma vabbè…

Ma andiamo con ordine.

Già poco dopo le 20 l’area estiva antistante (o retrostante a seconda) del Link è già moderatamente affollata, segno tangibile di una serata per nulla ordinaria. In scaletta, prima del momento clou, due “vecchie” glorie del punk e hardcore italiano, i pesaresi Eversor (con il fondatore Marco Morosini tra il pubblico) e i torinesi Frammenti. Scelta quantomai azzeccata, visto anche la grande risposta e calore sprigionato dal pubblico sotto il palco. Si canta, si salta, un paio di tentativi piuttosto ben riusciti di stage diving, insomma tutto lascia intendere che se queste sono le premesse…

E poi… e poi, cosa vuoi dire.

Che i tre Karate salgono sul palco, e quei diciassette anni dall’ultima volta vengono dissipati dai primi attimi di Bass Sound, la linea di basso accolta da un boato del pubblico, Farina che ce lo ricorda, che saranno passati lustri su lustri, ma “one stays the same”, ed è subito 1998, sei un adolescente affamato ed insaziabile di scoprire e ascoltare e scoprire e ascoltare di nuovo e il tuo mondo è anche (soprattutto) lì, tra quelle note, quegli accordi. 

Il colpo di grazia per me arriva molto presto, ai primi accordi di Gasoline, ad urlare assieme “Stay” e “Sugar, Gasoline, When you’re nineteen, Sugar, if I keep it near, will it keep you here, will it keep you here”, e da lì in avanti è un lento, dolcissimo abbandonarsi ai racconti, ai ricordi, ai momenti. 

Troppo zucchero? Può essere, però è difficile spiegare (è difficile capire se non hai capito già). 

La sensazione che provavo, man mano si snocciolava la scaletta, era che in mezzo a quel pubblico così vario, ognuno, io compreso, venisse preso per mano da Geoff e soci, tanto il ventenne che li ha appena scoperti cazzeggiando su qualche sito (sì lo so che Scaruffi dà al massimo un 6.5) quanto il quarantenne per il quale sono il gruppo giusto al momento giusto che diventa di fatto culto, tanto i cinquantenni e oltre, capaci di cogliere il bello anche al di fuori degli anni ottanta.

La coda strumentale di This Day Next Year è suggello e apice di una serata di emozioni intense e reali, tangibili, genuine.

Mentre mi lascio il Link alle spalle, sulle note di —, penso a quanto ho letto una volta: “il mondo non aumenta di peso quando nasci né diminuisce quando muori, ma ciascuno di noi può lasciare un segno”. 

Di sicuro stasera qualche migliaio di persone tornerà a casa col cuore segnato in maniera indelebile.

 

Alberto Adustini

Nu Genea @ Acieloaperto X

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• Nu Genea •

+

LNDFK

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A C I E L O A P E R T O  X

Rocca Malatestiana (Cesena) // 29 Luglio 2022

 

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Foto di Isabella Monti
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Cosmo @ Balena Festival

Arena del Mare (Genova) // 23 Luglio 2022

COSMO

MAURIZIO CARUCCI

DITONELLAPIAGA

Balto

Lowtopic

Venice

 

L’estate del 2022 la ricorderò come la stagione che mi ha connessa al significato intimo e primordiale della musica. È l’anno in cui ho imparato a fare pace con la stanchezza e le delusioni, perché i miei anni non me li ridarà indietro nessuno ed è meglio divertirsi e sudare di fronte a un palco, perché anche se le ore di sonno che ti separano dalla sveglia per andare in ufficio sono poche, si riesce a trovare l’energia per lavorare. Ogni sforzo si riduce se ti rende felice.

La mia filosofia da quattro spiccioli è frutto di un’altra serata al Balena Festival di Genova, che ha acceso l’Arena del Mare in uno dei sabati sera più attesi dell’estate. Gli headliner erano Ditonellapiaga, Maurizio Carucci e Cosmo, ma la serata è stata scandita anche da Venice, dai Balto e da Lowtopic, che si sono esibiti sul palco secondario.

A scaldare l’Arena è stata la voce di Venice, una giovane cantautrice di cui spero che sentiremo parlare ancora e bene e che ha preparato il pubblico alla grande diva della serata. Ditonellapiaga è un tornado indescrivibile: canta, rappa, balla, è divertente ed è libera e sensuale. È innegabile che io abbia un debole per le donne che salgono sul palco dell’Ariston per gridare la libertà sessuale su Rai Uno in faccia ai conservatori che sperano ancora in un’esibizione del trio Il Volo. L’artista ha fatto ballare il pubblico con alcuni suoi brani, come l’ultimo singolo Disco (I love it) e Repito, Chimica e Vogue, presenti nell’album Camouflage. Ma il grande successo atteso e protagonista anche del merchandising della cantautrice era Spreco di Potenziale, una canzone che parla di quando resti aggrappata a una relazione che non funziona e che è dolorosa, quando rincorri qualcuno che non ti fa sentire le emozioni che vorresti. Come descrivere Ditonellapiaga con una parola? Magnetica. 

 

ditonellapiaga balena

 

Dopo l’energia e i balli della prima parte della serata, è arrivata la quota strappalacrime e malinconica dell’evento: Maurizio Carucci, cantautore genovese ed ex frontman degli Ex-Otago. Senza giri di parole, bisogna ammettere che la sua musica è molto diversa dalle proposte degli altri artisti che si sono esibiti prima e dopo di lui e che è stato un rischio inserirlo nella line-up tra Ditonellapiaga e Cosmo. Alla fine, però, Carucci era di casa, era circondato da persone amiche ed è un artista che fa parte della storia cantautorale genovese. Infine, sentire il pubblico cantare da ogni angolo dell’Arena La nostra pelle e Mare, ha ricordato il legame tra la città e gli Ex-Otago e non c’era modo migliore per urlare che fossimo a casa nostra.

 

carucci balena

 

Dopo la quiete, ecco la tempesta: i Balto. È stata la prima volta che ho sentito il pubblico intonare il coro “se non metti l’ultima, noi non ce ne andiamo” a degli artisti che suonavano in un intermezzo e sul palco secondario. Alla band bolognese è bastata solo mezz’ora per farsi amare dalla gente e per dimostrare il suo potenziale di fronte a una fanbase scatenata e coinvolgente. Inoltre, io amo avere ragione (posso dare la colpa al segno zodiacale dei gemelli?) e per me è stato un orgoglio sentirmi dire dalle mie amiche: “È vero, sono proprio bravi!” Io vi avevo avvisato su queste pagine a gennaio, all’uscita dell’album Forse è giusto così. 

Arriviamo al momento più bello e atteso della serata. Cosmo è di una bravura immensa, un fuoriclasse indiscusso, una persona che lotta e manifesta le sue posizioni politiche e sociali anche quando sono scomode e, soprattutto, è un artista capace di caricare il pubblico in un modo pazzesco. Puoi non conoscere le sue canzoni e può non piacerti il suo genere, ma sentirlo dal vivo è un’esperienza divertente e coinvolgente. L’Arena del mare ballava e cantava sulle note di Tristan Zarra, Animali, Antipop e tanti altri successi di Cosmo che ha cantato insieme a Pan Dan, un’artista che voglio menzionare perché realizza e vende vestiti e accessori originali dentro ai sacchetti del pane e il suo business merita attenzione (e ricordiamo che ha creato degli iconici copri-capezzoli commestibili con la liquirizia). 

Cosmo fa emozionare, fa baciare le coppie in uno slancio di romanticismo, fa divertire e ti fa ballare e liberare il tuo corpo in mezzo alla gente. Ogni giorno siamo circondati da tante persone, dobbiamo muoverci tra potenziali critiche e amarci per quel che siamo senza paranoie sembra un atto rivoluzionario. Il concerto del cantautore e DJ è stato, per me, il significato della libertà: un momento esente da ogni giudizio, in cui anime e corpi difettosi si sono uniti per divertirsi e cantare. E verso il finale, l’artista ha ricordato che nell’antichità non c’era il concetto di tempo che abbiamo oggi, in cui ogni aspetto della nostra vita deve stare dentro a dei ritmi. La musica durava quanto voleva durare, il suo unico limite erano le energie fisiche e mentali. Dopo averci regalato altri grandi successi come L’ultima festa e Sei la mia città, Cosmo ha salutato e ringraziato il pubblico emozionato buttandola in caciara con O calipp te piace, una canzone neomelodica napoletana che alcuni mesi fa era diventata virale sui social network.

Lowtopic ha chiuso la serata facendo ballare chi aveva ancora le forze e il coraggio di sfidare il mal di piedi e le gambe doloranti, ricordando, ancora una volta, il valore intimo e primordiale della musica: unire le persone e farci godere i piccoli e preziosi momenti della vita.

“Via, è ora di andare via/Iniziano a guardarci male/Eppure mi sento da Dio.”


Marta Massardo

foto di Plurale Video

Thurston Moore + Manuel Agnelli @ Balena Festival

Arena del Mare (Genova) // 21 Luglio 2022

 

Che la serata del 21 luglio del Balena Festival di Genova sarebbe stata diversa da quello a cui sono abituata l’ho capito appena varcati i cancelli e vedendo le sedie schierate sotto il palco principale del festival: per una frazione di secondo mi sono sentita portata indietro all’anno scorso, quando le sedie dovevano essere la normalità per qualsiasi concerto. Poi sono tornata alla realtà, allo spettacolo che avrei visto, e ho pensato che tutto sommato, quelle sedie poteva avere la loro ragione di esistere.

Il Balena infatti ha schierato due pezzi da novanta: Thurston Moore – chitarrista dei Sonic Youth – con la sua band prima, e Manuel Agnelli dopo.

A intervallare, Dellacasa Maldive e Cara Calma, alternando cosí in un denso cartellone vecchie glorie e nuove leve. Davanti al palco dove si sono esibiti loro però le sedie non c’erano e infatti sarebbe stato strano il contrario. Giovani ed energiche, le due band hanno accompagnato e fatto ballare la serata più “adulta” (passatemi l’aggettivo) dell’intero festival. 

Ad ogni modo, le sedie avevano ragione di esistere perché i due spettacoli sul palco principale sono stati una forma di rapimento. Osservare le dita di Thurston Moore muoversi come se avessero vita propria lungo la chitarra richiedeva una certa attenzione, oltre a suscitare stupore tra tutti i presenti. Per un’ora abbondante il chitarrista dei Sonic Youth avrà staccato le mani dal suo strumento – maneggiato con la cura con cui si maneggia un oggetto prezioso e allo stesso tempo usato con la gioia di chi sta giocando al proprio gioco preferito – per quelli che saranno stati dieci minuti in tutto, a voler stare larghi. Nessun effetto speciale, nessun abito stravagante: solo lui, la sua band e la musica. 

È stato diverso, ma è stato anche uno Spettacolo (lettera maiuscola voluta), uno di quelli dopo il quale non puoi fare altro che chiederti come sia possibile che esista un talento del genere.

 

20220712 manuelagnelli pistoia letiziamugri 23

 

Anche Manuel Agnelli era accompagnato dalla sua band, una band ringraziata a più riprese. Non a caso, la cosa che mi ha colpito di più probabilmente alla fine di questa serata è stata l’umiltà di cui hanno fatto prova tutti gli artisti presenti: grati della presenza del pubblico, grati per chi ha scelto di accompagnarli sul palco, grati per poter essere semplicemente lí. 

Il concerto è stato un andirivieni tra pezzi recenti e successi degli Afterhours, durante i quali il pubblico ha dimenticato dell’esistenza di quelle sedie sistemate con precisione. Non sono neanche mancati i momenti di contatto con il pubblico: alcuni più didascalici – in primis quello sulla dignità dei “pezzi su commissione” prima di intonare La Profondità degli Abissi, pluripremiata canzone scritta per il film Diabolik – altri più emotivi, come quello che ha preceduto Padania, altri invece genuinamente divertenti, dato che Manuel Agnelli, oltre a dar prova di grande umiltà, si è dimostrato anche incredibilmente autoironico. 

Se Thurston Moore aveva la chitarra, Manuel Agnelli aveva la voce. Ovviamente non è il suo unico strumento (l’affiancamento alla tastierista Beatrice Antolini durante Proci o l’assolo di chitarra verso la fine lo hanno ampiamente dimostrato), ma ieri sera è stata sicuramente il suo asso nella manica. Una voce potente che risuonava in tutto il Porto Antico e al tempo stesso malleabile, tanto da riuscire ad adattarla e a modificarla, fino quasi a sembrare persone diverse, a seconda del pezzo. 

E ieri sera, mentre guardavo il pubblico urlare insieme a lui pezzi come Non si esce vivi dagli anni ’80 o Ballata per la mia piccola iena, ho pensato che se avessi avuto l’età che ho oggi tra gli anni ’90 e l’inizio del 2000, sarei stata una fan sfegatata di quei pezzi lì.


Francesca Di Salvatore

foto di copertina Roberto Mazza Antonov
foto nel testo Letizia Mugri

Paolo Nutini @ Pistoia Blues

L’attesa inizia nel 2014, anno di pubblicazione di Caustic Love dopo il quale passano ben otto anni di silenzio fino alla recente uscita di Last Night in the Bittersweet, progetto con cui ha richiamato i fan attorno a sé, anche se non lo avevano mai scordato. Così, Paolo Nutini, il cantante britannico di origini toscane, ha chiuso l’ultima edizione del Pistoia Blues Festival con un sold out già annunciato e una piazza che lo ha circondato in un abbraccio caloroso di applausi, salti, sorrisi e canzoni cantate o masticate a fior di labbra. Un modo meraviglioso per accogliere chi ha lasciato un segno nel tuo cuore musicale, e per salutare una città che, come ogni anno, ospita vere e proprie esperienze sonore. 

Entrare nella piazza attraversando i controlli della sicurezza è ormai una prassi a cui non faccio più attenzione, tanto il servizio è veloce e professionale, senza intoppi e con tanta cortesia che, ammetto, fa sempre piacere. Vorrei dirvi che vedere tutte quelle persone in attesa mi sorprende, ma non è vero, lo trovo normale quando il palco promette tanta bravura ed emozioni, però ogni volta è come se fosse la prima, e ti fa piacere vedere quante persone hanno voglia di essere lì, come parte viva e pulsante dell’evento. A differenza della serata in cui si sono esibiti i Simple Minds, in piazza non ci sono sedie, ad eccezione dei classici spalti, ma non sembra un problema per nessuno, anzi, c’è un certo piacere a ricominciare a vivere i concerti come succedeva prima della pandemia. L’età è varia, un artista come Nutini riesce a riunire intere generazioni, e le differenze di qualsiasi tipo si annullano per qualche ora. 

Come la sera precedente, anche questa esibizione non è preceduta da nessun opener, Paolo Nutini sale sul palco semplicemente, esibendo una normalissima t-shirt chiara, jeans, un capello folto, forse qualche chiletto che il tempo ha concesso anche a lui, e tutta la voglia di infuocare quel pubblico che non aspetta altro da anni. Il loop rarefatto e potente di Afterneath apre il concerto, tra gli applausi e le voci estasiate del pubblico. Dall’aspetto del cantautore scozzese diresti che stava passando per caso davanti al palco, ha trovato un microfono, ha raccolto amici musicisti in una band e ha iniziato a cantare catturando l’attenzione di tutta la piazza. Non cerca di compiacere l’occhio del pubblico, a lui interessa l’orecchio e tutto ciò che può suscitare suonando, dimostrando di essere uno di quegli artisti talmente capaci che non deve vestirsi come un pagliaccio per riempire il palco. E Nutini sa come muoversi seguendo la propria musica, oppure facendosi seguire da essa, senza strategia, ma solo con la voglia di stare bene con chi lo ascolta. 

Grida i titoli delle canzoni come un regalo lanciato al suo pubblico, mentre lascia che altre parlino da sole con l’attacco delle prime note. Lose It è uno squarcio nell’aria, mentre Scream (Funk My Life Up) si avvale di un ritmo groovoso del funky, ma è con Acid Eyes che arriva, almeno per me, quella sensazione che prende ogni centimetro di pelle, partendo dal basso che sfoggia le sue capacità vocali tra toni alti e bassi, mentre il brano acquista un arrangiamento più rock rispetto all’originale. L’atmosfera sonora è rarefatta, sui monumenti vengono proiettati morbidi giochi di luce, mentre i battiti sono quelli del cuore di un pubblico che all’unisono inizia a cantare, e continuerà a farlo per molti altri brani, tra cui la sperata Candy, che riempie l’aria e il respiro di nostalgica e dolce fatalità. Intanto l’artista non solo canta, ma parla, fa delle battute, alza il bicchiere di birra per brindare con tutti quelli che sono lì, con il corpo, oppure solo col pensiero. Through the Echoes, invece, fa male, arriva con il suo timbro graffiante che ti strazia, non più un canto, quasi una richiesta di ascoltare veramente, prestare attenzione a chi abbiamo dentro di noi. Per Coming Up Easy il palco si popola di una schiera di sei corde che trasfigurano la piazza in un viaggio verso mete lontane, campi di qualcosa che attraversi con la mente, forse campi di quell’amore che la musica, solo lei, ti dà il coraggio di attraversare. 

Con il ritornello di Shine a Light, in pieno bis, coglie l’occasione di omaggiare i Simple Minds che lo hanno preceduto la sera prima cantando Don’t You (Forget About Me) per poi riprendere il suo brano, ma confermando così un legame con il gruppo che, come lui, proviene dal panorama musicale scozzese. L’esibizione dell’artista si conclude con un secondo bis in cui canta Guarda che luna di Fred Buscaglione, quell’omaggio ai grandi artisti del nostro passato che troppo spesso ci scordiamo. La canzone è struggente e inaspettata, come la sua interpretazione che è talmente intensa da rendere emozionato anche lui. In quel brano ci sono tutte le sue origini, tutta la sua sensibilità, la storia musicale che forse il padre si è portato dall’Italia e con cui è cresciuto. Il pubblico ascolta in religioso silenzio. C’è chi balla, chi si abbraccia, non necessariamente sono coppie, alcuni sono amici in piccoli gruppi. La musica quando è bella non ha età, e quando arriva ti scordi dell’alterigia con cui viene catalogata in compartimenti stagni e ti lasci solo trascinare dall’emozione del momento, dai ricordi che può evocare, o semplicemente dalla bellezza che senti far parte di te, anche se non sai come possa succedere. 

A fine serata, dalla piazza usciamo in una città che non ha voglia di dormire e popola il vivace centro mescolandosi a chi ha ancora le note nelle orecchie e nel cuore. Con me c’è Giulia, l’amica che mi ha accompagnata in questo concerto, e ha il sorriso più bello che si possa immaginare, oltre a tutta alla soddisfazione di chi ha vissuto una piccola bolla di sapone dove l’arte ci difende dalla noia quotidiana. In fin dei conti la felicità ha la distanza di un giro di do. Abbracci Pistoia con tutta la settimana che ti ha regalato, la stanchezza del corpo, la forza dello spirito, le luci che popolano ancora gli occhi. Si tratta di un arrivederci, ma già l’atmosfera del festival ti manca, solo qualche video e qualche scatto salvato sul cellulare ti dicono che non è stato un sogno, che è stato tutto vero. Saluti con il pensiero tutti quelli che hanno reso possibile questa bella esperienza, dagli artisti ai fonici, al servizio di sicurezza, perché tutti sono importanti perché un concerto possa essere realizzato. E non rimane altro che aspettare l’edizione del 2023.

 

Alma Marlia

Idles @ Padova & Roma

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• IDLES •

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Parco della Musica (Padova) // 15 Luglio 2022

Ippodromo delle Capannelle c/o Rock In Roma (Roma) // 16 Luglio 2022

 

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Due anni fa, il Parco della Musica di Padova annunciava il primo grande evento estivo: il concerto della formazione inglese Idles.

L’hype schizzò subito alle stelle per quello che si prospettava un concerto imperdibile per appassionati e seguaci del genere ma non solo. Qualche settimana più tardi il governo annunciava il lockdown con cui iniziava il tristemente noto periodo pandemico. Il concerto degli Idles venne quindi rimandato all’anno successivo per poi avere luogo solo due anni più tardi.

Nel frattempo lo scenario mondiale è cambiato, il pubblico è cambiato, gli eventi – in un certo senso – sono cambiati. Ma andiamo con ordine.

Venerdì 15 Luglio 2022 è il giorno tanto atteso della data patavina della band di Bristol e il Parco della Musica si prepara ad accogliere il pubblico. Padova è la seconda data del weekend italiano degli Idles e arriva subito dopo un Carroponte (Milano) gremito e trionfante. Bisogna fare meglio o per lo meno eguagliare.

Negli ultimi tempi Joe Talbot e soci non sono certo rimasti fermi ma anzi, l’ultimo disco in studio Crawler (Novembre 2021) li ha portati in giro per i vari festival che quest’anno hanno potuto svolgersi dopo lo stop pandemico. Si sente dire da chi è tornato dai festival quanto spaccano dal vivo, quanto sono carichi, coinvolgenti, gli Idles un must have dei live in circolazione. Stasera li mettiamo alla prova.

L’apertura è affidata ai romani Calzeeni, band che accompagna i nostri eroi per tre date su quatto previste. Purtroppo chi scrive ha perso l’opening act a causa di disagi autostradali (fare il tratto Verona – Padova la sera d’estate è come fare la fila alle poste) ma, stando a quanto sento una volta a destinazione, mi sono perso solamente un tuffo nel punk anni ’90.

Arrivo in tempo per vedere Mr. Talbot e i suoi salire sullo stage accolti da una folla festante e affamata di pogo e sudore. Fin dalle prime note capiamo quello che ci aspetta.

Gli inglesi ruggiscono sul palco e ringhiano il loro post punk grezzo e incazzato, pesante come un macigno, dolce come un pugno dritto in pancia. La batteria martellante di Joe Beavis scandisce il pogo che parte all’istante dalle prime file. Il potente suono che dal palco si diffonde nel parco entra nelle orecchie dei presenti come una sassata contro un vetro. Se su disco gli Idles non scherzano, dal vivo si difendono anche meglio ed è proprio sul palco che la vena hardcore punk supera di gran lunga quella post punk che rimane però la base compositiva dei nostri.

Per quanto post punk sia un genere ampio e ormai parecchio abusato, rispecchia però il sound della band inglese che ci ricorda i momenti più incazzati dei Killing Joke nei loro periodi più illuminati, passando per i fraseggi disordinati alla Gang Of Four.

La scaletta è quella che ti immagini: spazio alle tracce dall’ultimo disco e qualche vecchia gloria qua e là, soprattutto sul finale.

Per quanto mi riguarda i momenti più elettrizzanti sono stati l’esecuzione di Meds, le chitarre impazzite di War e le grida di Crawl. Pieni voti anche per la tenuta del palco e il carisma di Talbot che fra un “grazi mille” e un altro non annoia mai chi ascolta senza essere coinvolto nel pogo.

Un’ora e quaranta più tardi gli Idles ci salutano lasciandoci sudati e senza fiato. Come non accadeva da tempo, il palco del parco si spegne e la matassa di gente avvinghiata subito sotto si scioglie lasciando scorrere una marea di facce sconvolte dal caldo, dallo show e dalla musica che fino a poco prima ha schiantato i timpani. Mi piace molto il pubblico che vedo intorno, un carosello di magliette di Misfits, Descendents, ma anche camicie hipster floreali, qualche abito nero e un po’ metal qua e là. La magia è finita e si torna a casa e lo facciamo con le orecchie fischianti che implorano un altro concerto del genere.

Che la musica dal vivo sia finalmente ripartita lo si era capito da qualche mese ma è con concerti del genere che si capisce cosa abbiamo perduto nei due anni precedenti.

 

Testo di Fernando Maistrello

Foto di Siddharta Mancini (Padova), Simone Asciutti (Roma)
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Simple Minds @ Pistoia Blues

Ma suonano ancora? Assolutamente sì, e non solo suonano, celebrano i loro 40 anni di hit con un tour mondiale dove Celebrating 40 Years of Hits diventa un vero e proprio motto. Questi sono i Simple Minds, che finalmente, dopo due anni di rinvii a causa della pandemia, hanno fatto tappa il 15 luglio al Pistoia Blues Festival 2022, scegliendo il palco toscano per esibirsi in una serata che ha abbracciato musicalmente i 42 anni della loro carriera con una formazione diversa da quella degli esordi, ma sempre capitanata dalla voce di Jim Kerr e dalle corde di Charlie Burchill.

Provenienti dalla Scozia, terra di musica raffinata tra cui troviamo anche artisti come i Franz Ferdinand e Mogwai, i Simple Minds provengono dalla scena punk della Glasgow anni ’70 per poi addentrarsi negli anni ’80 con una serie di singoli di successo come Promised You a Miracle del 1982 o Waterfront del 1983. Tuttavia, è con la pubblicazione di Don’t You (Forget About Me) nel 1985 che diventano una delle più grandi band mondiali e tra la fine degli anni ’80 e dell’inizio degli anni ’90 vendono circa 60 milioni di dischi in tutto il mondo. Ma è proprio negli anni ’90 che per il gruppo inizia un lento declino e per un po’ la band si riduce a un duo formato da Jim Kerr e Charlie Burchill. Sono gli anni 2000 che vedono i Simple Minds riprendere forza pubblicando non meno di sette album in studio, tra cui l’ultimo, Walk Between Worlds del 2018, che ha raggiunto la quarta posizione nella classifica degli album del Regno Unito, e andare in tournée con l’arrivo dei nuovi membri Cherisse Osei alla batteria, Berenice Scott alle tastiere, Ged Grimes al basso.

Con questi ricordi in mente, mi avvicino alla piazza dove vedo file serpentine di un pubblico eterogeneo, accomunato dall’aver passato l’adolescenza in pieni anni ’80, e pronto, per una sera, a tornare indietro nel tempo, con un po’ di nostalgia per il tempo passato, e la voglia di catturarlo per una qualche ora di nuovo nel presente. Il concerto è sold out, la piazza è piena di sedie pronte ad accogliere il pubblico, ma nei dintorni c’è anche chi, non avendo potuto comprare il biglietto, aspetta trepidante ai margini, oltre le transenne, nella speranza di catturare qualche nota, un pezzo di strofa, chissà, magari quello che li ha fatti innamorare tanti anni fa. 

Il concerto inizia senza un’esibizione di una band di supporto, su un palco che si accende di luci e colori vivi e forti, che infuocano subito la piazza con le prime note e un Jim Kerr ansioso di concedersi al pubblico con la sua voce e sonorità sintetiche hanno trascinato il pubblico presente in un sound di pieni anni ’80. Kerr si muove sul palco con voglia di divertirsi e disinvoltura e anche se l’aspetto tradisce gli anni che sono passati, la sua energia sembra non essere stata toccata dal tempo. Parla in un italiano stentato ma efficace con il pubblico, l’impatto emotivo è alto, mentre Glittering Prize si muove su uno sfondo di paillette scintillanti che salgono verso un cielo indefinito insieme alla sua voce e neppure l’inciampo di qualche parola scordata di Promised You a Miracle lo ferma: Kerr chiede scusa e ricomincia, tra gli applausi di tutti, perché solo chi ama davvero ciò che fa può cadere senza abbattersi, e rialzandosi sempre. 

Dalla leggerezza di Promised You a Miracle, l’aria si riempie delle iniziali sfumature più cupe di Book of Brilliant Things dove la voce calda e profonda di Sarah Brown incanta il pubblico, mentre la musica lo scuote con la deriva rock che esplode successivamente, e da un canto evocativo, con l’arrivo di Kerr passa a vera grinta. La Osei fa scalpitare il pubblico con il suo assolo di batteria, lei che sta con i suoi strumenti al centro del palco, in alto, come una dea che abbraccia e sorveglia la band e il pubblico, si muove con forza e decisione, i capelli che si sono raffiche di battiti nell’aria, e le bacchette che sembrano l’estensione del suo corpo. Ed è in quel momento che sai che da grande vorrai diventare una tosta batterista. 

Mi guardo intorno e vedo che il pubblico ormai si è alzato, pochi sono quelli rimasti seduti, i più temerari vanno sotto il palco a scattare una foto per cui sono pronti a rischiare tutto, anche il rimprovero del servizio di sicurezza, e scappare felici come se avessero rubato un attimo di gioia. C’è chi balla e canta, come ballava e cantava il pubblico di giovanissimi del concerto di Ariete della serata precedente. Negli occhi la stessa voglia di musica e di libertà. Li immagini nella loro quotidianità, nella varietà dei mille lavori, magari seri professionisti, madri e padri attenti e preoccupati di ogni inquietudine dei propri figli, e poi li vedi lì, lontani dai pensieri per il momento di un concerto. Mentre l’immaginazione cavalca, Kerr incita tutti ad avvicinarsi al palco ed è il delirio, vengo travolta di ondate di persone che scendono dagli spalti per prendere un posto in prima linea, che si fanno spazio tra le sedie, le allontanano per vivere il concerto come deve essere vissuto: con tutto il proprio corpo. Magnificamente indisciplinati. Con l’attesissima Don’t you (Forget About Me) si raggiunge l’estasi e il delirio esplodono, e tutto è lecito, anche ballare come se non ci fosse un domani con passi che il tempo sembra aver scordato ma che la musica, solo per noi, riporta. Il brano viene interpretato con una sezione di canto extra-lunga, Kerr porge il microfono al pubblico per farlo partecipare e il pubblico non se lo fa ripetere due volte, anzi, non vedeva l’ora e canta a loop un “Lalala” per un tempo che sembra infinito. 

Il bis di rito inizia con un “Non vogliamo andare a casa! Vogliamo suonare più musica!” gridato da Kerr al microfono, in cambio di un boato di voci e applausi. Berenice Scott lascia le tastiere per duettare con la Brown in Speed Your Love to Me che diventa dolce ed evocativa, delicata, quasi una pausa che apre all’attesissima Alive and Kicking, decisa e potente. Il concerto si chiude con Sanctifying Yourself, il kick potente della batteria incalza le persone a ballare, la voce di Kerr invita a perdersi per una volta oppure per sempre su uno sfondo rosso dove volano sagome di colombe bianche. C’è il rock nell’aria, la voglia di scrollarsi i problemi via di dosso, barattarli per un po’ di bellissime note. 

Vado via dalla piazza con adrenalina nel cuore e nelle gambe, ma tra tutte le canzoni che hanno infiammato la serata, ripenso alla ballata Belfast Child, che ha ammutolito la piazza in religioso silenzio, per poi riempire l’aria di synth e batteria, con l’abbraccio della chitarra elettrica di Burchill. Una pausa surreale con il timbro di Kerr che riesce sempre a librarsi nell’aria, anche se il tempo gli ha donato delle sfumature a volte più basse, ma non per questo ne ha intaccato l’intensità. Mi vengono alla mente alcune critiche che ho letto per esibizioni per altri gruppi e cantanti a cui il tempo ha inevitabilmente cambiato un po’ la voce. Più che critiche, vendette musicali. Eppure questi artisti continuano a fare musica da anni, continuano a far provare emozioni, sensazioni che altrimenti rimarrebbero chiuse lì, in qualche parte di noi che neppure conosciamo. Questa è per me l’arte, non mantenere le corde vocali dei vent’anni, che poi, alla fine, l’età passa anche per il pubblico, ed è bello vedere che viaggiamo verso il futuro insieme. 

 

Alma Marlia

The Smile @ Piazza Trento Trieste

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• The Smile •

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FERRARA SOTTO LE STELLE | FERRARA SUMMER FESTIVAL

Piazza Trento Trieste (Ferrara) // 15 Luglio 2022

 

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Foto di Lucia Adele Nanni
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Pistoia Blues 2022

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 Pistoia // 7 Luglio – 16 Luglio 2022

 

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7 Luglio 2022

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The Tallest Man On Earth

foto di Letizia Mugri

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12 Luglio 2022

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Manuel Agnelli

foto di Letizia Mugri
testo di Alma Marlia

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13 Luglio 2022

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Willie Peyote

foto di Aurora Ziani

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14 Luglio 2022

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Ariete

testo di Alma Marlia
foto di Aurora Ziani

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15 Luglio 2022

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Simple Minds

di Alma Marlia

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16 Luglio 2022

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Paolo Nutini

di Alma Marlia

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BOnsai Garden 2022

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Parco delle Caserme Rosse (Bologna) // 29 Giugno – 21 Luglio 2022

 

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29 Giugno 2022

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Rancore

foto di Alessandra Cavicchi

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1 Luglio 2022

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Fulminacci

foto di Roberto Mazza Antonov

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2 Luglio 2022

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Guè Pequeno

foto di Luca Ortolani

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3 Luglio 2022

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Ernia

foto di Luca Ortolani

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Leon Faun

foto di Luca Ortolani

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6 Luglio 2022

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Fast Animals And Slow Kids

foto di Lucia Adele Nanni

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13 Luglio 2022

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POP X

foto di Roberto Mazza Antonov

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Kokoroko @ Acieloaperto X

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• Kokoroko •

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A C I E L O A P E R T O  X

Rocca Malatestiana (Cesena) // 12 Luglio 2022

 

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Riccardo, un amico, mi dice “hai mai sentito loro? Sono una bomba”. Mi passa il telefono con Abusey Junction in riproduzione e impazziamo insieme.

Il giorno seguente, appena sveglia, li inserisco immediatamente nella mia playlist e da quel momento sono sempre stati una gran presa bene!

Collettivo Afrobeat di Londra fondato dalla trombettista Sheila Maurice-Grey, i Kokoroko sono Richie Seivwright (trombone e voci), Yohan Kebede (tastiere), Ayo Salawu (batteria), Tobi Adenaike (chitarra), Onome Edgeworth (percussioni) e Duane Atherley (basso). Dopo il grande successo del brano Abusey Junction e del loro omonimo EP del 2019, quest’anno i Kokoroko ci regalano i singoli Something’s Going On, We Give Thanks e Age of Ascent, lasciando tutti con il fiato sospeso in attesa del disco di esordio Could We Be More, in uscita il 5 agosto per Brownswood Recordings.

E oggi finalmente posso vederli dal vivo in questo magnifico posto che è la Rocca Malatestiana di Cesena nel contesto della rassegna acieloaperto.

Per arrivare alla location c’è un percorso in salita che mi fa rimpiangere di aver mangiato troppe pizzette all’aperitivo. La vista però vale assolutamente la pena. La Rocca è illuminata da grandi fari ed è molto suggestiva. Mi guardo intorno e già c’è musica live: Devon Miles Project e Savana Funk sullo stage B. Scaldano la serata e scaldano noi. C’è una bella situazione, familiare, amichevole e raccolta. 

Ore 21 circa la gente si avvicina al palco principale, qualcuno si siede a terra nell’attesa. 

Ed eccoli finalmente! I Kokoroko salgono sul palco. Li applaudiamo timidamente ma loro partono a bomba. Bando alle ciance, qui si fa musica. 

L’apertura è travolgente. La presenza di ognuno dei musicisti si fa sentire. Il sound è ipnotico e complesso, i fiati si intrecciano e poi lasciano spazio alle percussioni e al basso che tirano da morire. E le voci… strumenti anche loro. 

Già all’inizio ho l’impressione che la band non si fermi mai. Siamo talmente trascinati dai ritmi che ciondoliamo, ci culliamo sulle nostre gambe. È un’estasi continua.

Torniamo nel presente solo nell’attimo in cui Sheila annuncia Carry Me Home, un pezzo del 2019 con un incredibile solo di synth anni ’70.

Il bello dei Kokoroko è che sono un collettivo, un gruppo in qualsiasi senso delle parole. Manifestano una grande energia sul palco, trasmettono positive vibes e sono lì per comunicare con gli ascoltatori attraverso il mezzo più potente che possiedono: la musica. 

Così Yohan, che, come ci racconta Tobi, ha studiato per molti anni il piano, vorrebbe farci ascoltare qualcosa. A.O.A è una coccola: le percussioni delicatissime, la dinamica della batteria e la tromba, in un accompagnamento che si rivela romanticissimo sotto la luna piena. 

Il concerto prosegue e ci gasa sempre di più. Integrity e Caribou ci rendono liberi e balliamo a ritmo di samba jazz, battiamo le mani e i piedi. I Kokoroko si godono il palco e noi ci godiamo loro.

Finalmente Onome presenta il gruppo e annuncia Something’s Going On, un pezzo che in molti aspettavano. Il primo singolo pubblicato quest’anno dalla band che preannunciava già qualcosa di eccezionale. 

Siamo alla fine. I Kokoroko si inchinano, salutano e scendono dal palco. Il pubblico li applaude. 

Parte la musica di sottofondo, quella bastarda che ti fa capire che è quasi ora di tornare a casa. Richiamiamo la band sul palco ma siamo già rassegnati e aspettiamo l’accensione delle luci, altra spia malevola di fine concerto. 

E invece…

…Ayo sale sul palco, annuncia un’ultima canzone ma con una richiesta: dobbiamo scatenarci! E che ce lo dici a fare! 

Faremo come il jazz, andremo d’impulso!

 

Cecilia Guerra

Foto di Isabella Monti
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The Kid Laroi @ Alcatraz

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• The Kid Laroi •

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Alcatraz (Milano) // 12 Luglio 2022

 

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Foto: Claudia Bianco
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