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TOdays Festival 2022 • Day 3

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sPAZIO211 (Torino) // 28 Agosto 2022

 

PRIMAL SCREAM

YARD ACT

DIIV

ARAB STRAP

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Il terzo giorno dei TOdays ha come protagonista la lineup. Un meraviglioso dessert, per completare l’indigestione, nomi da festival internazionale, nelle stesse sei ore.
Siamo infatti al primo sold-out dei tre giorni, ma era inevitabile.
Iniziano gli Arab Strap, ovvero l’unica coppia che si sia riunita in tempi di pandemia, per altro dopo quindici anni di separazione. Aidan Moffat e Malcolm Middleton sul palco sono un polo magnetico, creano musica, atmosfera, racconto, conto e caffè, grazie. La loro esibizione galleggia sull’elegante tappeto sonoro creato da Middleton sui cui Moffat recita e canta i suoi testi. Hanno iniziato nel 1995, e si vede. Soprattutto si sente. Monolitici. 

Il secondo, golosissimo, nome sul cartellone sono i DIIV, in tour per presentare l’ultimo lavoro, Deceiver, un disco che racconta la rinascita, o, forse, data la storia personale del cantante Zachary Cole Smith, siamo davanti a una resurrezione. L’album è stato registrato a Los Angeles e prodotto da Sonny Diperri (Nine Inch Nails, My Bloody Valentine).
Suonano ben tredici brani, trascinandoci tutti in un universo parallelo di dream pop e shoegaze, quasi patinato, a volte invece sporco e graffiato a ricordare certi momenti lirici di Corgan e soci.
Ciondolano i giovani.
Ciondolano i cinquantenni.
Ciondola il meteo (di nuovo).
E ciondola Torino da tre giorni.
È un set di altissimo livello, di maniera ma sorprendente, e alza tantissimo l’asticella della serata.

Asticella che faticano a superare gli Yard Act, terza band in lista. Erano attesi, attesissimi, e il loro live, al netto di tutto è stato buono. Dodici pezzi, dieci da The Overload, la super hit eponima che ha fatto ballare lo sPAZIO211 in toto, tutto ben eseguito anche se con qualche ma. Ho colto sfumature che nell’album non avevo colto e che hanno increspato il mio nasone. Era come se un rumore di fondo dei Franz Ferdinand si fosse incastrato nel mixer, cambiando d’accento l’intero album. Che rimane un disco di altissimo valore, sia chiaro.
“What an amazing lineup” chiosa il cantante James Smith, ricordandoci che la serata deve ancora vivere quello che tutti attendono come l’evento del TOdays 2022: i Primal Scream che ci ripropongono Screamdelica. 

Sul palco sale una leggenda vivente, Bobby Gillespie, fasciato in un sobrio completo che riprende la copertina di un’altra leggenda: l’album Screamadelica, uscito nel 1991 e di cui avremmo dovuto festeggiare il trentennale. L’odioso condizionale è lì a ricordarmi e a riportare alle cronache che la band inglese, del glorioso album, ha suonato due pezzi, il secondo dei quali nell’unico brano dell’encore. Niente full album. Hanno suonato un’ora, titoli di coda compresi, e ci hanno lasciato con il cuore infranto e senza limoncello.

Però.

Però alla fine ho sentito un set dei Primal Scream. Ho visto Gillespie. Movin’ on Up l’hanno suonata, torno a casa pure asciutto. Non sarà questo dispetto in zona cesarini a rovinare la tre giorni. La lineup della terza sera entra nella lista dei concerti torinesi da ricordare, vicino a quelli, pieni di mitologia, degli anni novanta. Perché Torino, in questo ultimo week end di agosto aveva un po’ quel sapore di una volta, di capitale inconsapevole di un movimento un po’ indie un po’ sabaudo, di piccolo centro magnetico per band che poi avrebbero segnato un’epoca. In fondo, al netto degli streaming, dei social, dei telefoni sempre più verticali, quello che conta è sempre e solo quello che accade sul palco e lì sopra la musica viene giudicata, goduta, ammirata, assaggiata. L’opera d’arte nell’epoca della sua instagrammabilità, ha valore quando vive nel momento del live. Segnare. 

Fine del festival, torno a casa e metto su Screamadelica.
In tasca quattro token.
Scarpe da lavare, polpacci di ghisa.
Ma ho ancora i bassi che saltellano sul diaframma.

 

Andrea Riscossa

foto di Ilenia Arangiaro

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TOdays Festival 2022 • Day 2

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sPAZIO211 (Torino) // 27 Agosto 2022

 

FKJ

MOLCHAT DOMA

LOS BITCHOS

SQUID

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]La seconda serata del TOdays inizia con una piacevole sorpresa. Gli Squid riescono in quindici minuti a richiamare il pubblico sotto il palco, a farlo ciondolare prima, saltellare poi e pogare infine. Fidatevi, dato l’alto numero di austeri sabaudi presenti, riuscire a sciogliere così le genti non è da tutti.
I cinque ragazzi di Brighton sono saliti sul mio personalissimo podio, senza scendere dalla prima posizione. Uno show senza momenti di calo, divertente, equilibrato tra il ben suonato e il buon delirio, con un cantante/batterista che sa essere piuma e sa essere fero, e del resto non è un caso se BBC Radio se li coccola, se KEXP li ha già invitati un anno fa e se la critica ha finito le metafore e le iperboli. Davvero eccellenti ed inaspettati.

Poi ci sono un’australiana, una uruguaiana, una svedese e un’inglese. Quella che potrebbe sembrare l’inizio di una (brutta) barzelletta è invece il quadro delle provenienze delle Los Bitchos, seconda band in cartello. Ancora più affascinante sarebbe elencare la lista delle influenze musicali o, ancora meglio, delle sfumature che si possono cogliere nel loro set. Come in una gara di degustazione di barolo ma coi frizzipazzi sotto la lingua, ho colto, nell’ordine: base di cumbia, anni settanta, condita con surf music, un pizzico di dream pop, a volte solo pop, una spolverata di punk, cadenze metal, follia e gioia Q.B..
Tutto questo, già al loro primo live di qualche anno fa, fece innamorare della loro musica un certo Alex Kapranos, noto ai più come leader dei Franz Ferdinand, che da quel giorno diventa il loro produttore.
Che dire di più. Divertenti, sicuramente originali, forse un po’ ripetitive, nonostante la mole di influenze citate.

Terzo gruppo in cartellone, i Molčat Doma, che giustificano la presenza di giovini vampiri new-goth a bersi una birra vicino a me.
Mentre si avvicina un temporale di biblica memoria, mi sovvengono i Subsonica, quando inneggiavano al Cielo su Torino. In questo caso è al fianco del gruppo bielorusso, creando un’atmosfera di gioioso Ragnarǫk, tra lampi e un sound che è un inno alla darkwave, alla coldwave, insomma quel piglio lì. I tre di Minsk devono la loro gloria ai social, in particolare a TikTok, che li ha portati dritti al successo negli USA. Il loro primo singolo, Sudno (Boris Rizhy), solo su Spotify conta qualcosa come 163 milioni di streaming.
Il loro live è coerente con immagine e cornice, non esce mai dai binari del genere sopracitato (tanto che omaggiano direttamente The Cure in una intro, citando A Forest) e svolge il suo compito, seppur in cirillico. 

A chiudere la serata ci pensa FKJ, acronimo French Kiwi Juice, e al secolo Vincent Fenton. 
Il palco viene trasformato in un salotto, con tanto di divano e luci soffuse. Pianoforte, batteria, chitarra, un sax e poco altro di analogico. Il polistrumentista francese ha un approccio simile a Tash Sultana, ma punta più sulla qualità e sul minimalismo, lo spettacolo è più intimista e meno di impatto. Ha raggiunto i due miliardi di streaming e ha collezionato un numero di live impressionante, compresi Coachella e Lollapalooza. Suona diversi generi, dalla french house al nu jazz, ma incasellare la sua musica in un solo genere o corrente è un esercizio vano.
Il suo live è stato funestato da una tempesta tropicale che ha lentamente spostato il pubblico verso zone riparate. Per i pochi eroici spettatori FKJ ha comunque portato a termine il suo show, dispiace non averlo applaudito fino all’ultima nota.

Fine della seconda serata, siamo zuppi ma salvi in auto.
In tasca due token.
Scarpe fradice e morale alto.
Molto, molto bene. 

 

Andrea Riscossa

foto di Roberto Mazza Antonov

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TOdays Festival 2022 • Day 1

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sPAZIO211 (Torino) // 26 Agosto 2022

 

TASH SULTANA

BLACK COUNTRY, NEW ROAD

HURRAY FOR THE RIFF RAFF

ELI SMART

 

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Il compito di rompere il ghiaccio e dare inizio alla festa spetta a Eli Smart, giovane cantautore di origine hawaiana, trapiantato in quel di Liverpool e seguito dalla stessa etichetta di Arlo Parks. Il mix piuttosto ardito produce quello che lo stesso artista definisce “Aloha Soul”.
Sul palco c’è una band di ragazzi capaci e che si divertono, con un sound sicuramente figlio di contaminazioni lontane, ma che alla fine, al netto di tutto, fa semplicemente ballare il pubblico sotto palco con una proposta fresca, di facile ascolto e piacevole. Insomma, uno spritz per iniziare va più che bene.
Da registrare il fatto che il bassista sembri il figlio segreto di Jack Black, cosa che, inevitabilmente, lo fa diventare subito un idolo assoluto.
Si metta agli atti anche il fatto che l’intera band, finito lo show, è scesa tra il pubblico e ha partecipato e ballato fino all’ultima canzone dell’ultimo gruppo. 

Con Hurray For the Riff Raff si cambia registro. La seconda band della prima serata alza l’asticella, ma era previsto. Alynda Segarra sembra una giovane Patti Smith, per presenza e padronanza dei testi. Le sue radici portoricane e newyorchesi si fondono in un mix che spazia dal folk al (quasi) raggaeton. Sugli scudi il bassista che suona con un dito il basso, con la mano destra le tastiere e si diletta nei cori, il tutto contemporaneamente. Sfatato pubblicamente il dramma del multitasking maschile.
Son stati una piacevole sorpresa, soprattutto dopo averli visti dal vivo. 

Ora, sappiate voi che leggete che il sottoscritto era sottopalco soprattutto per il terzo nome in cartellone, i Black Country, New Road, orfani di Isaac Wood.
La setlist del collettivo è composta da brani mai registrati e nulla, quindi, proviene dai due dischi precedenti, For the First Time e Ants From Up There.
I nostri però non deludono. In riga, spalmati sul palco come improbabili personaggi di una inquadratura di un film di Wes Anderson, danno vita a quanto di più vicino a un klezmer jazzato minimalista post-qualcosa. Per quanto questa definizione abbia senso. Si susseguono dialoghi senza regole tra strumenti, che diventano attori di un racconto e che entrano in scena con urgenza, per mostrare un punto di vista, a costo di farlo fuori tempo. Un Satie con la sindrome di Tourette.

A chiudere segue Tash Sultana, il live più atteso dal pubblico della serata, quello anagraficamente più giovane dell’intero festival. Del resto la giovane polistrumentista australiana ha una storia tutta social, talento e streaming a grandine. Nasce come artista di strada, nel 2016 pubblica su youtube il singolo Jungle. In cinque giorni arriva al milione di visualizzazioni (ora ne conta 149 milioni, è ancora online). Nel 2016 crea la sua etichetta indipendente Lonely Lands Records e pubblica il primo EP, Notion. Seguono tour, fama mondiale, due dischi.
Sul palco di Torino Tash suona tutto quello che le passa vicino. Dalla chitarra al flauto, dalle percussioni al sax. Si auto-campiona con la loop station, crea e costruisce il pezzo davanti al pubblico, poi improvvisa. La prima parte dello show è una dimostrazione muscolare di talento. Non c’è autotune, sono brandelli di bravura analogica che passano per la loop station e che riverberano e amplificano, diventano subacquei, perdendosi in lunghissimi assoli.
È padrona del palco, nonostante la giovane età e le dimensioni ridotte. Un piccolo punto di fuga lassù, sul palco, in perenne movimento e urgenza creativa.

Finita la prima serata, abbiamo orecchie sazie e gambe molli.
In tasca tre token.
Scarpe distrutte e polvere nei denti.
Benissimo.

 

Andrea Riscossa

foto di Roberto Mazza Antonov

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