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Mese: Dicembre 2018

Genova e la musica: un pomeriggio con i Banana Joe

Il 13 dicembre prossimo al Mikasa di Bologna, suoneranno per la prima volta i Banana Joe, band tutta genovese fresca di secondo posto al Rock Contest 2018.

Noi di VEZ abbiamo già conosciuto i ragazzi e ne abbiamo anche recensito l’album Supervintage (uscito il 26 ottobre, Pioggia Rossa Dischi, ndr), un freschissimo primo lavoro che travolge e talvolta, commuove, per quel sound grunge anni ’90 che, shakerato, non mescolato, fa breccia nel cuore di noi amanti del moderno/passato e della psichedelia dei fantastici sixties.

E poi li abbiamo conosciuti durante il Concerto per Genova quando ci hanno accolto sorridenti a concerto ultimato. Disponibili e gentili, con quell’attitude seria ma rilassata di chi ama seriamente il proprio lavoro e lo fa con passione, ci hanno salutato con la promessa di rivederci presto.

Oggi abbiamo intervistato Andrea, frontman e voce del gruppo.

 

Andrea, una domanda al volo, su due piedi: ma quanti anni avete? Siete davvero giovanissimi!

Beh, io di anni ne ho 25, Emanuele ne ha 30. In verità chi abbassa la media è Fulvio, il nostro chitarrista: ne ha 24.

 

E come vi siete conosciuti?

Fulvio e io ci siamo conosciuti ad una grigliata estiva sulle rive del Varenna a San Carlo di Cese (dei nostri amici ci hanno addirittura scritto sopra una canzone). Una festa dove si è mangiato tanto e si è anche bevuto, diciamo (ride). Abbiamo iniziato a jammare con batteria e chitarra e abbiamo capito che in qualche modo sarebbe stato bello poter lavorare assieme.

Era però il caso di trovare un vero batterista, perché appunto Fulvio suona la chitarra. Abbiamo invitato Lele, che già conoscevamo, al nostro primo live quando abbiamo aperto la data dei Combine, gruppo tedesco di origine iraniana.

E così siamo riusciti ad avere il nostro batterista, mentre prima c’erano solo turnisti.

 

Chi scrive la musica e i testi?

Ogni pezzo ha una scrittura a sé. Talvolta sono io che scrivo la musica e Fulvio magari scrive i testi. Oppure Lele il testo e Fulvio la musica. Oppure è un lavoro fatto assieme, in contemporanea. In realtà è molto difficile capire chi ha scritto cosa.

La risposta giusta sarebbe: “Musica e testi li scrivono i Banana Joe. Assieme”

 

E i Banana Joe, hanno un luogo del cuore, un luogo che amano e dal quale sono ispirati?

Ah per prima cosa i vicoli di Genova. Tutti i vicoletti di Genova.

Girando la movida genovese siamo sempre lì, tra i suoi caruggi e sicuramente questi hanno avuto una grande importanza nella scrittura dei pezzi e dei testi.

La periferia poi riveste per noi un ruolo davvero basilare. Genova Bolzaneto e Genova Sampierdarena sono due quartieri che siamo soliti frequentare poiché il primo è dove abbiamo il nostro studio di registrazione e poi in entrambi ci sono dei piccoli bar che somigliano tanto a quei baretti di periferia che amiamo tanto.

Una menzione in particolare va anche ai Giardini di Plastica, che in realtà si chiamerebbero Giardini Baltimora.

È uno spazio che dà il nome ad un pezzo che andrà nel nostro prossimo album ed è una zona che ci è rimasta molto impressa. Quando eravamo piccoli era uno spazio degradato anche se in realtà era nato come luogo per far giocare i bambini.

Sai quei parchetti dove le famiglie alla domenica portano i bambini a giocare, e dove appunto ci sono tutti questi giochi in plastica? Ora è in riqualificazione.

 

Noi ci siamo incontrati al Concerto per Genova, esperienza che per me da emiliano-romagnola è stata molto toccante. Come l’avete vissuta questa tragedia da “errore umano” e con che spirito avete partecipato al concerto?

Abito vicino a dove è successo il crollo del ponte (Ponte Morandi, ndr). Ero fuori a fare la spesa, pioveva a dirotto e ho sentito un boato. In quel momento pensi a tutto ma sicuramente non ad una cosa come questa.

All’inizio infatti non ci credevo. Mi sembrava una cosa impossibile. Per andare alle prove ci passavamo sotto ogni giorno. Lele infatti era a 300 metri dal luogo del crollo.

Ogni volga che passiamo di là, perché ora hanno aperto nuovamente la strada, viene un po’ di magone perché non sembra vero. Non vedere più quel ponte è una cosa sulla quale non fai mai l’abitudine.

Suonare a questo evento è stato bello, poiché Genova è una città attiva, ma solo in determinate situazioni. A livello culturale sembra molto provinciale, e questo anche per quanto riguarda la musica e i locali. Sembra quasi chiusa.

In questa circostanza invece abbiamo notato che le persone si sono attivate per far capire che la popolazione c’è. E così ci si rialza dal basso, e si va avanti.

 

Ma parliamo del Rock Contest 2018. Un bel secondo posto….

Sì, bellissimo. Il Rock Contest io l’ho conosciuto tramite il cantante del gruppo Lo straniero, gruppo piemontese di La Tempesta Dischi. È un contest molto ben organizzato e con un livello molto alto delle band in gara.

I live sono gestiti nel migliore dei modi e mi è stato riferito che molte band vogliono partecipare. Delle circa 800 domande pervenute, solo una trentina sono state selezionate.

La finale è stata bellissima e in giuria giudici del calibro di Maria Antonietta e de I Ministri. Presenti anche etichette come Woodworm. Una gran bella vetrina per noi genovesi competitivi e anche se avremmo desiderato il primo posto, siamo davvero orgogliosi.

E scherzi a parte, fosse stato per me avrei fatto vincere tutti. Ottimo livello e ottimi compagni di avventura.

 

Qual è il vostro rapporto con la stampa e più in generale con tutti i media?

Se non ci fosse la stampa non si conoscerebbe la musica.

Noi con i giornalisti ci siamo sempre trovati bene ed è veramente piacevole sapere che ci sono persone interessate a te e che vogliono conoscere la tua storia.

L’informazione in Italia rispetto agli altri paesi è comunque ad un livello piuttosto basso. E per questo va protetta e incentivata, non di certo fermata.

 

Ultimissima domanda, qual è la cosa che amate di più fare quando non vi occupate di musica?

A me piace tanto il cinema, Fulvio si dedica alla cucina perché è un cuoco provetto e di Lele posso dirti che ama tantissimo fare il papà. Ha un figlioletto di 6 anni e quando ne ha tempo, anche lui ama andare al cinema come me.

Una cosa che invece ci lega come gruppo, togliendo appunto la musica, è il fatto che siamo dei cazzoni! No seriamente, le nostre prove in studio sembrano puntate di Zelig. Lavoriamo con impegno e serietà, ma l’umorismo è uno dei nostri collanti principali.

 

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Banana Joe & Me, Concerto per Genova, 17 novembre 2018

 

Grazie mille Andrea e grazie ai Banana Joe.

Ci vediamo il 13 al Mikasa di Bologna.

E lì, ci andremo a bere una birra.

 

Sara Alice Ceccarelli

Gli U2, Dublino e l’Europa

Questa storia comincia circa un anno fa: è il 21 novembre 2017 e preordino il vinile di Songs of Experience per avere diritto al codice di accesso alle prevendite del tour degli U2 in anticipo rispetto alle vendite generali. Non posso restare senza biglietto.

22 gennaio 2018. È il fatidico giorno. Scatta l’ora X, metto i biglietti per il parterre nel carrello e vado avanti. Si carica la pagina. “I biglietti che hai selezionato non sono più disponibili”.

Sono rimasti soltanto quelli da più di 200 €, che non posso spendere, e quelli a visione limitata.

Per non restare senza opto per questi ultimi.

Pochi giorni più tardi vengono annunciati nuovi concerti, tra cui ulteriori a Milano e Dublino.

31 gennaio 2018. Aprono le prevendite per le date annunciate successivamente. Ci riprovo per Milano, con gli stessi risultati. Questa volta lascio perdere, in fondo i biglietti ce li ho già.

Poi comincia a frullarmi una strana idea nella mente: Dublino. Ultima data del tour. Nella loro città

Il parterre è ancora disponibile. Ma ho già i biglietti per Milano, non ha senso

“Sticazzi!”, penso, “li rivendo”. E mi ritrovo con un volo e un alloggio da dover prenotare.

10 novembre 2017. Arrivato alla 3 Arena vengo accolto da una folla di persone ammassate contro le ringhiere. La band sta passando e firmando autografi. Riesco a scorgere la testa di Bono attraverso lo schermo di un cellulare.

Le possibilità di avvicinarsi sono nulle e mi avvio verso l’ingresso per provare a prendere un posto decente.

All’interno la prima sorpresa: il fondale del palco è nero. Niente schermo né scenografia.

Gli schermi sono disposti lungo la passerella, su entrambi i lati.

Alle 20.30 si spengono le luci. Scorrono immagini di città distrutte durante la seconda guerra mondiale, accompagnate dal monologo di Charlie Chaplin in Il Grande Dittatore.

Poi parte The Blackout.

Le sagome di Bono, The Edge, Adam Clayton e Larry Mullen Jr. sono proiettate sui ledwall, ma sul palco non c’è nessuno.

Passa un po’ di tempo prima di rendersi conto che loro sono all’interno della struttura che sorregge gli schermi.

Il concerto diventa un racconto che parla della storia di quattro ragazzi di Dublino, sviluppandosi attraverso continui cambi di palco tra main stage, un palchetto rotondo posizionato a metà passerella e lungo la passerella stessa.

Passando per hit più e meno recenti arriva il momento di MacPhisto, l’alter ego diabolico di Bono, che anticipa l’esecuzione di Acrobat inserita in scaletta durante questo tour, per la prima volta in 27 anni.

 

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Da questo momento lo show diventa un inno all’Europa con immagini di esodi causati dalle guerre (durante una bellissima versione di Summer of Love con soltanto Bono e The Edge sul palco), di manifestazioni contro i neonazismi e neofascismi e il fondale del palco, prima nero, trasformato in una bandiera a stelle su sfondo blu.

Prima della fine c’è tempo anche per un tributo alla loro Dublino, con immagini della città proiettate durante City of Blinding Lights.

 

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“Paul is dead, I’m fucking Bono. That’s The Edge. Adam, Larry. And we’re the greatest rock and roll band in the Northside of Dublin.” E, forse visti i tanti non irlandesi presenti, anche in un pezzetto un po’ più ampio di mondo.

 

Dopo l’intenso bis si può uscire soddisfatti, nonostante alcune grandi assenti in scaletta, e andare a casa.

Però è sabato sera, e siamo a Dublino.

Un pub è la destinazione più probabile.

 

Testo e Foto: Mirko Fava

Intervista ai Modena City Ramblers – Riaccolti

In questo momento, mentre sono qui a scrivere questa intervista/chiacchierata, i Modena City Ramblers (MCR/Ramblers d’ora in poi) sono in studio per la registrazione live, del nuovo disco che uscirà prossimamente.

Ci saranno due esibizioni 17:00 e 21:00 davanti ad un fortunatissimo ristretto pubblico e le immagini e suoni che usciranno da questi due eventi saranno poi raccolte in un cd e dvd di prossima uscita.

Disco che per l’appunto sarà prodotto per la primissima volta con una raccolta di crowfunding, una grande novità per i MCR che dal 2014 ad oggi sono fieramente indipendenti sotto l’etichetta Modena City Records.

Disco n.17 della loro storia, iniziata nel lontano 1991, da allora ad oggi sono stati e sono tuttora un pilastro della musica indipendente italiana.

Con le loro sonorità uniche (specialmente all’epoca dell’esordio), che vanno dal tradizionale irish folk, al rock, al punk passando per sonorità dub e reggae, i MCR sono dei veri e propri sperimentatori, ma la radice più antica appunto, è quella della musica tradizional-popolare, e infatti questo disco, che sarà accompagnato con un tour invernale, sarà un disco di ritorno alle origini, alla loro condizione più primordiale, l’acustico.

 

Ciao Massimo (bassista ndr), come mai questa scelta?

Sono passati 20 anni da Raccolti, disco totalmente acustico, registrato in un pub irlandese della zona. Avevamo voglia di ricreare quel suono, che poi essenzialmente è quello da cui siamo partiti, quando nei primi anni ’90 cominciammo a suonare in giro con un repertorio di traditionals irlandesi.

Lo studio Esagono di Rubiera, dopo essere stato chiuso e smantellato, ha di recente riaperto con una nuova proprietà e  organizza anche eventi live all’interno della sala di registrazione (un vecchio casello del Parmigiano-Reggiano ristrutturato).

Così abbiamo pensato che poteva essere interessante riprendere una nostra esibizione acustica lì dove gran parte delle nostre registrazioni sono nate!

 

Vent’anni Anni da Raccolti, a mio avviso il più bel album acustico mai prodotto in Italia, dove la formazione è stata parecchio stravolta e cambiata, come è natura dei MCR “non sono un ensemble convenzionale ma una compagnia aperta”, quanto è difficile portare avanti un progetto musicale così completo e complicato come il vostro, con una formazione che ogni tot subisce qualche modifica? 

L’identità MCR e l’immaginario di cui si nutre la nostra musica sono talmente forti e condizionanti da esercitare una sorta di magnetica attrazione su chi fa parte della band. Non viviamo con difficoltà gli avvicendamenti, è come se fossimo una squadra di calcio, cambiano i giocatori, lasciando la loro importante storia ed esperienza tra i trofei in bacheca, ma lo schema, l’attitudine e la voglia di giocarcela restano  immutati!

 

Ci sarà qualche inedito come fu per Raccolti?  

Si, abbiamo per l’occasione scritto una ballad che si chiama, per l’appunto, Riaccolti. Il titolo, che poi sarà quello del disco dal vivo, è un chiaro rimando al disco di vent’anni fa. È una dedica alla storia di ognuno di noi, un invito a tenere sempre aperto il proprio cuore al ritorno, guardando però avanti.

 

“Un live è un live” e tutto può succedere, è successo qualcosa di strano e imprevisto durante la registrazione di questo disco? 

Fortunatamente nulla di troppo problematico! Sia noi che il pubblico eravamo un po’ intimoriti all’inizio, poi ci siamo lasciati andare e le vecchie e amiche mura dell’Esagono hanno di nuovo, come per tanti anni in passato, ‘riaccolto’ e fatto vibrare le nostre canzoni!

 

Chiaramente appena dici nuovo disco dei MCR tutti noi già immaginiamo una vostra esibizione dal vivo, perché i MCR sono una delle live band più produttive d’Italia, con ancora oggi sold out in tantissimi locali e piazza piene in tutta Italia. Dicci qualcosa su questo tour. 

Siamo già partiti con le prime date, è un tour che abbiamo anch’esso chiamato Riaccolti, pensando ai locali dove negli anni abbiamo suonato, molti dei quali purtroppo hanno chiuso, ma altri ancora ‘in trincea’ a lavorare con la musica cercando di proporre contenuti e musiche non omologate e indottrinate. Cosa per niente facile in questi tempi.

È una scaletta e un suono legato ai nostri esordi, le tipiche sonorità punk folk alla The Pogues da cui siamo partiti e alle quali nuovamente ci abbandoniamo per tutte le due ore del live. Rispetto al disco dal vivo registrato, totalmente acustico e senza basso, nei concerti non mancherà la ‘pompa’ di basso e batteria, ma per questo giro lasciamo a casa gli amplificatori e le chitarre elettriche!

 

Avete mai tenuto “un conteggio” di quanti live avete fatto? 

Lo abbiamo fatto in passato, poi, superato il migliaio, abbiamo perso il conto!

 

E’ passato più di un anno dall’ultimo disco Mani come rami, ai piedi radici, c’è anche del materiale inedito per un futuro disco?

Di pezzi inediti ne abbiamo sempre nel cassetto, assieme a Riaccolti abbiamo scritto anche altre cose che magari vedranno la luce in futuro.

Stiamo con calma pensando a cosa fare, piuttosto che il tradizionale disco, magari tra un anno o più, stiamo pensando non sia il caso, come già fanno molti artisti, di lavorare diversamente, mettendo on line in rete qualche pezzo ogni tanto, come fossero singoli o i vecchi EP, poi magari solo successivamente pubblicarli insieme su cd.

Ormai la musica è totalmente liquida, pensare alle canzoni come pezzi fisicamente legati a un disco è piuttosto riduttivo. Anche se poi, e il crowdfunding per Riaccolti lo testimonia, a nostro parere c’è sempre bisogno anche del supporto ‘reale’, cd o vinile, se non altro per il fan abituato a ‘possedere’ la nostra musica.

 

Lo studio Esagono di Rubiera è, per gli amanti dei Ramblers come me, una figura mitologica alla quale fare riferimento, li sono stati registrati i primi album dei MCR e da li veniva anche Kaba. Che significato ha per voi, dopo così tanti anni, suonare e registrare in questo luogo?

Quel luogo, a cui abbiamo dedicato Il posto dell’airone, con cui si apre il concerto lì registrato, non ha per noi eguali per le emozioni e i ricordi che ci legano ad esso. Io, Franco e Robby è dal 1994 che ci registriamo.

Al suo interno è nata gran parte della nostra musica, e ancora oggi ritrovo ad ogni mio passo tra quelle mura, vecchi ricordi, volti, storie, aneddoti. Ma non sono fantasmi, sono bellissime memorie che continuano a vivere in me!

Tornare nel casello, e trovarmi a suonare proprio nello stesso angolino di un tempo, è stato profondamente emozionante. Ho dovuto faticare nel concentrarmi sulle parti e l’esecuzione, perché rischiavo di non farcela a reggere emotivamente.

 

Da sempre vi siete contraddistinti oltre per le sonorità anche per l’impegno sociale, portato avanti non solo nelle canzoni, ma anche con viaggi nei sud del mondo, dove sono nate canzoni meravigliose e memorabili come Canzone dalla fine del mondo, o Radio Tindouf solo per citarne alcune, sembra quasi che vogliate lanciare una sfida, un messaggio: in questo momento così buio e drammatico per l’Italia, dove la luce della solidarietà fatica a brillare e tutto sembra doversi disgregare, “stiamo uniti, aiutiamoci” e, per la prima volta, siete voi a chiederlo al pubblico di stare ancora più vicini, con un crowfunding. Come vivete questo periodo storico? 

È davvero, sotto molti punti di vista, un periodo buio. La nostra società sembra sempre più condotta verso una deriva di ignoranza e indifferenza, testimoniata da ciò che ci arriva dalle cronache politiche e non.

Siamo sempre più distratti a scrutare la superficie delle cose che ci accadono, dentro noi e in mezzo agli altri, attraverso lo schermo di un telefonino. Perdendo di vista la reale dimensione della nostra esistenza, dei nostri sogni, delle nostre responsabilità, delle nostre capacità.

Ma basta alzare lo sguardo da questi piccoli schermi, e il nostro vero orizzonte è sempre lì ad attenderci. Basta poco per accorgersene, un sorriso per la strada, il volo di un uccello, un profumo che esce da una finestra, una frase di Luigi Ciotti o Mimmo Lucano. La vita reale.

Con le sue scelte e tutti i suoi problemi, che non possono mai essere delegati o, ancor peggio, affidati nelle loro semplicistiche ed interessate soluzioni da “facebook like” a quegli inquietanti personaggi che oggi ci governano.

 

Sono previsti nuovi viaggi? E in caso dove?

Per ora nulla di particolarmente “esotico” sotto il nostro sole. Il nostro viaggio, come sempre negli ultimi anni, è un viaggio su e giù per l’Italia. Un viaggio che si nutre di strade provinciali, piccoli paesi, storie di periferia, volti e racconti dai quali è bello farsi ‘riaccogliere’…

 

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Modena City Ramblers jamming nel deserto, Tindouf, 2002

 

Una domanda che mi sono sempre fatto, conoscendovi da tempo e sapendo che ognuno di voi è un vero e proprio polistrumentista. Tolta la situazione più radicale e punk dove avete una formazione abbastanza delineata e precisa, quando vi ritrovate in una condizione come questa, acustica, e le possibilità di spaziare nelle sonorità di plettri e archi sono veramente infinite, come decidete “chi suona cosa?!?”

Personalmente ho volutamente, è solo per questo evento particolare, abbandonato il basso, per provare a lavorare, come band, su uno spettro sonoro diverso dal solito.

Cercare di dare ai brani della scaletta un nuovo equilibrio, più legato al folk e alle esibizioni da pub. Ho imbracciato prevalentemente la chitarra acustica dedicandomi alle semplici ritmiche e lasciato a Francesco e al nostro più recente ‘acquisto’, il ‘comandante’ Gianluca Spirito, il piacere di spaziare tra una grande varietà di strumenti tradizionali a plettro, dal bouzuki irlandese alla chitarra battente del nostro folklore fino al quatro venezuelano.

La scelta di ‘chi suona cosa’ è avvenuta in modo spontaneo e in base anche alle capacità tecniche di cui si dispone, e al proposito, da umile bassista punk, sapevo benissimo fin dove potermi spingere! 🙂

 

Una domanda per chiudere: sul serio Dudu si priverà del suo kilt?!? 

Assolutamente sì! Di ben due suoi kilt, i primi usati, nei tour del 2014 e 2015! Cosa non si fa per accalappiare raisers!!!

 

Lasciate un messaggio per “i Vez” che leggeranno questa intervista!

Un grande abbraccio a tutti i “Vez” dal cuore giovane e dalla voglia immortale di condividere con gli altri la camminata sul lato soleggiato della strada!

 

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Modena City Ramblers @ Rock Planet, dicembre 2017

 

Grazie di cuore per questa intervista e “mucha mierda” per quest’avventura!

Forza Vez, ora è il nostro momento, clickiamo sul link e partecipiamo al crowfunding 😉

Noi di Vez Magazine, li incontreremo e fotograferemo per voi il 15 Dicembre al Vidia di Cesena!

Per chi volesse approfondire la loro carriera lascio il link alla cara vecchia Wikipedia.

 

Testo e foto di repertorio: Michele Morri

Nightwish @ Mediolanum Forum

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• Nightwish •

+ Beast in Black

Mediolanum Forum (Milano) // 04 Dicembre 2018

 

 

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I Nightwish arrivano a Milano per l’unica data italiana del Decades Tour.
Non faccio in tempo ad entrare al Forum di Assago che si spengono le luci e i Beast in black, si impossessano del palco.Il loro power metal finlandese è l’ideale per scaldare gli animi dei presenti.
Coinvolgenti e con una serie di canzoni orecchiabili e che ti entrano in testa lasciano il segno anche in chi, come la sottoscritta, fino ad oggi non li conosceva.
Ma i veri protagonisti della serata sono i Nightwish che, dopo un anno di assenza dai palchi, tornano con uno show che ha creato grandi aspettative. La band finlandese propone una scaletta commemorativa che ripercorre i loro 20 anni di carriera.
I nostalgici lamenteranno l’assenza di Tarjia Turunem ma, a dirla tutta, la soprano Floor Jansen non è da meno. Voce potente e presenza scenica non indifferente: una vera valchiria.
Il gruppo parte subito alla grande con Dark Chest of Wonder; fanno fuoco e fiamme… In tutti i sensi.
La musica dei Nightwish è l’equivalente sonoro del Signore degli anelli: maestosa e potente. I video che accompagnano i brani, proiettati su un maxischermo, ti fanno immergere completamente nell’atmosfera magica ed epica che li caratterizza. Con Elan, ci ritroviamo nelle terre bucoliche della Contea, con Devil & the Deep Dark Ocean sembra di essere a Mordor, mentre Kingslayer ci catapulta nel mezzo di un’epica battaglia. I Nightwish giocano con i contasti accostando melodie celtiche a suoni duri, accompagnando il pubblico in un viaggio tra le loro canzoni ripercorrendo passo dopo passo le tappe della loro carriera.
La voce di Floor e di Marko Hietala ci accompagna per due ore tra headbanging, fiamme e fuochi d’artificio. Una scaletta interessante che ha visto l’assenza di alcuni tra i brani più noti della band, come Amaranth e Storytime, ma che funziona alla grande e che non ha deluso i tanti fan accorsi a sentirli. La chiusura del concerto è affidata a The greatest show on earth e Ghost love score; mentre una pioggia di coriandoli rossi cade sul pubblico e le fiamme esaltano i loro ultimi respiri il concerto arriva alla sua fine. Uno spettacolo per gli occhi.

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Testo: Laura Losi

Foto: Mirko Fava

 

Grazie a Vertigo[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1503314301745{padding-top: 10px !important;padding-bottom: 11px !important;}”][vc_column][edgtf_image_gallery type=”masonry” enable_image_shadow=”no” image_behavior=”lightbox” number_of_columns=”three” space_between_items=”tiny” image_size=”full” images=”10013,10016,10031,10014,10020,10028,10015,10027,10017,10021,10032,10024,10023,10025,10018,10030,10022,10019,10026,10029″][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]

 

Beast in Black

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J Mascis e il nuovo album Elastic Days

Nonostante siano già passate settimane dalla pubblicazione del terzo album in studio di J Mascis Elastic days (9 Novembre via Sub Pop), è solo da un paio di giorni che ho il tempo e la calma per potermelo godere come si deve e ascolto dopo ascolto è cresciuto in me il bisogno, anzi il dovere, di scriverne.

J Mascis, il terrore dei timpani quando è sul palco con i suoi Dinosaur Jr, chitarra elettrica in mano e muro di Marshall alle spalle, in versione solista si trasforma appropriandosi di una dimensione intima, calda e per nulla pericolosa per le orecchie.

 

 

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J. Mascis with Dinosaur Jr. live at Voxhall, Aarhus, Denmark, November 10th, 2016

 

Dopo il meravigliosamente struggente Several shades of why del 2011 e il leggermente meno brillante Tied to a star del 2014, con Elastic days Mascis torna ad avvolgerci con il calore della chitarra acustica e della sua voce malinconica ma rassicurante in 12 tracce che fanno perdere la cognizione del tempo.

Elastic days è un album autunnale, al primo ascolto uggioso come una giornata di nebbia, ma se riascoltato con attenzione è come camminare per strada e diventare consapevoli del calore dato dall’arancione delle foglie cadute per terra: c’è tanta bellezza anche nelle cose all’apparenza un po’ tristi, basta avere la serenità per vederle.

I testi hanno un vago sapore di rimpianto ma senza disperazione, canzoni come Web so dense si aprono in boccate di speranza a pieni polmoni; in I went dust c’è un giro di basso che riecheggia le atmosfere intimiste di  Vivadixiesubmarinetransmissionplot di Sparklehorse ma è lì che arrivano a scuotere da una depressione imminente i ritmi sostenuti della chitarra acustica a cui si intrecciano le melodie di quella elettrica.

Ogni traccia dell’album, a partire da See you at the movie fino alla chiusura con Everything she said, passando dalla title track, è una perla: dodici storie inizialmente sfocate e appena accennate pizzicate sulle corde, ma che nell’arco dei pochi minuti che servono per raccontarle crescono e si liberano in un rock gentile che avvolge e coccola rassicurante.

L’album finisce dopo appena poco più di 40 minuti e quando la musica svanisce quello che resta è la voglia di far ripartire il disco e ascoltarlo ancora e ancora.

J Mascis

Elastic days

Sub Pop

 

Francesca Garattoni

Le Luci Della Centrale Elettrica @ Teatro Massimo

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• Le Luci Della Centrale Elettrica •

Teatro Massimo (Pescara) // 02 Dicembre 2018

 

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[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Di tutto restano tre cose: la certezza che stiamo sempre iniziando, la certezza che abbiamo bisogno di continuare, la certezza che saremo interrotti prima di finire. Pertanto, dobbiamo fare: dell’interruzione, un nuovo cammino, della caduta un passo di danza, della paura una scala, del sogno un ponte, del bisogno un incontro.Fernando Sabino.

Domenica 2 dicembre è andata in scena sul palco del Teatro Massimo di Pescara la quinta data di quello che sarà l’ultimo tour de Le Luci della Centrale Elettrica, dopo dieci anni di attività.

La scelta solenne dei teatri, appunto, per celebrare un anniversario importante e per ripercorrere le tappe di un progetto musicale, culturale, artistico, intrapreso nel 2008. Tra la Via Emilia e la Via Lattea.

È stato proprio Vasco Brondi a leggere la citazione con cui ho scelto di iniziare. La sintesi perfetta dello spettacolo a cui ho assistito. La lancetta segna le nove quando si alza il sipario su una scenografia essenziale, arredata unicamente dagli strumenti.

Ecco entrare ad uno ad uno i musicisti e posizionarsi: Rodrigo D’Erasmo al violino e al piano, Andrea Faccioli alle chitarre, Gabriele Lazzarotti al basso, Daniela Savoldi al violoncello e Anselmo Luisi alle percussioni. In prima linea, Vasco Brondi che, subito dopo aver eseguito Coprifuoco, saluta il pubblico del capoluogo abruzzese, instaurando quel profondo dialogo che ha contraddistinto il live.

Il tema che ha unito il susseguirsi di canzoni, aneddoti, racconti, poesie e letture è stato il viaggio. Primo fra tutti, quello che i brani de Le Luci portano inevitabilmente a fare.

Una commistione di immagini universali e particolari, scenari interspaziali che deflagrano, in uno zoom, su attimi di vita quotidiana, anche nei suoi risvolti più amari e dolorosi. Sinestesie, metafore, senso di identificazione.

Appaiono i parchi della città, i palazzi grigi, i sogni infranti sulle pareti. Una generazione in preda a domande sul proprio futuro, sul proprio destino. Risposte che talvolta si spezzano nella droga, nel senso di isolamento, nella dispercezione di se stessi.

E allora si prova a immaginare come possa essere la vita al di là, distante da lì. Fuori da un bar della Via Emilia che si trasforma nella Via Lattea. Lontani dal paese natale.

Si sale su un’auto, su un aereo, su una nave o su un gommone in balia delle onde.

<< Sapete… in questi anni sono giunto ad una conclusione che mi ha arricchito molto. Non sempre la soluzione migliore è quella di abbandonare la propria città. Io l’ho capito dopo aver girato tanto. E l’ho capito, in particolare, grazie a quelle persone che io chiamo maestri. I CCCP. Il loro motto era: “Non a Berlino ma a Carpi, non a New York ma a Modena”. Un giorno, con un paio di regionali, io e un mio amico siamo andati a Carpi. Volevamo capire cosa ci fosse di così speciale. Invece era quasi peggio di Ferrara…! Ecco, io ho capito che potevo fare qualcosa anche a Ferrara >>.

Il viaggio è anche interculturale. La letteratura, la poesia che prendono per mano la musica. Brondi legge dei passi di Roberto Bolano, scrittore cileno della metà del Novecento che ha narrato alcune vicende legate al Centro e Sud America, tra emisfero nord e emisfero sud, immergendole in una dimensione onirica.

Si ricollega così, alla canzone di De Gregori, ispirata dalla versione di Bob Dylan, Una Serie di Sogni.

<<Da un po’ di tempo a questa parte, prima dei concerti ascolto sempre questo brano. È una ricorrenza, una fissa, non lo so. Ma mi fa pensare esattamente a quello che provo quando sono qui >>.

Il tutto è amplificato dalla maestria degli arrangiamenti: il lamento malinconico del violino e del violoncello, il ritmo cadenzato delle percussioni e del basso, le chitarre che, da sempre, fanno da collante.

Non ne poteva mancare una, poi. La chitarra acustica consumata e vissuta, ridipinta chissà quante volte, con su scritto Le Luci Della Centrale Elettrica.

Ed è abbracciando solamente la sua chitarra che Vasco Brondi torna sul palco per l’encore.

<< Il pezzo che sto per eseguire l’ho scritto dieci anni fa. Si intitola La gigantesca scritta COOP ed era contenuta nel nostro primo disco che registrai in un container nelle campagne ferrarese dove di solito registravano solo gruppi metal. C’erano solo gruppi metal a Ferrara >>

ride

<< In quel momento ero fermamente convinto di quello che stavo facendo. Per me quelle canzoni erano qualcosa di importante. Allora partecipai anche a un concorso a Monselice. Uno di quei posti dimenticati da Dio, per uno di quei concorsi tipo alla Vanna Marchi. Dovevi pagare per partecipare. Ebbene, io anche pagando non riuscii a superarlo. Lì alcune delle mie certezze iniziarono a vacillare >>.

Il picco emozionale raggiunge le stelle con Per Combattere l’Acne. Si è creata una vibrazione potentissima tra palco e pubblico. C’è chi ha iniziato a cantare. C’è chi, vicino a me, ha percepito la scarica elettrica generata da quei fili scoperti che si ripetono nel testo.

Ed è stato un regalo grandissimo. Infine, il viaggio raccontato è quello dell’uomo, e non solo dell’artista, Vasco Brondi.

Prima di concludere, prende in mano l’ultimo disco, prodotto con l’artwork e le sembianze di un libro. Lo sfoglia, fino all’ultima pagina, sulla quale sono riportati tutti quei ricordi e quelle esperienze senza i quali non sarebbe stato l’Essere Umano di oggi.

Scorrono scene precise, simili a quelle delle sue canzoni: la prima volta che sua madre è andata ad un concerto e lui era ubriaco fradicio. Il messaggio di lei, a fine serata, “Sei stato meraviglioso”. Cantare con Manuel Agnelli, come nei suoi sogni.

Una sua frase su un muro di Catania. Riconoscere, tra i visi presenti, suo fratello che canta a memoria i suoi brani. Le luci che si accendono, il boato del pubblico che lo travolge tanto da spingerlo indietro, in uno spazio vuoto.

Quel vuoto che sta sempre lì, quello da cui escono le canzoni e che, in quel momento, è stato riempito.

Ieri sera Le luci della Centrale Elettrica e Vasco Brondi hanno illuminato quel vuoto. Lo hanno riempito di musica, di vibrazioni, di sogni, di energia positiva, di voglia di andare avanti.

La caduta è diventata una danza, la paura una scala, il sogno un ponte, il bisogno un incontro. Un incontro davvero indimenticabile.

 

Testo: Laura Faccenda
Foto: Davide Orlando[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1503314301745{padding-top: 10px !important;padding-bottom: 11px !important;}”][vc_column][edgtf_image_gallery type=”masonry” enable_image_shadow=”no” image_behavior=”lightbox” number_of_columns=”three” space_between_items=”tiny” image_size=”full” images=”9979,9981,9982,9983,9980,9984″][/vc_column][/vc_row]

Danko Jones @ Rock Planet

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• Danko Jones •

Rock Planet (Pinarella di Cervia) // 01 Dicembre 2018

 

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[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1503314301745{padding-top: 10px !important;padding-bottom: 11px !important;}”][vc_column][edgtf_image_gallery type=”masonry” enable_image_shadow=”no” image_behavior=”lightbox” number_of_columns=”three” space_between_items=”tiny” image_size=”full” images=”9929,9948,9922,9934,9939,9925,9926,9938,9931,9921,9944,9923,9935,9946,9924,9927,9928,9932,9933,9940,9937,9943,9942,9936,9945,9941,9930,9947″][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]

Prima Donna

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Galeffi @ Locomotiv Club

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• Galeffi •

Locomotiv Club (Bologna) // 01 Dicembre 2018

 

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]

Ad un anno dall’uscita del suo album d’esordio Scudetto, Marco Cantagalli in arte Galeffi è agli sgoccioli del suo Golden Goal tour.

Un anno intenso per il cantautore romano, che ieri ha fatto tappa, con la sua band al Locomotiv Club di Bologna.

Con la sua voce inconfondibile e quello stile che lo differenzia molto nell’attuale panorama Indie italiano, Galeffi ha regalato al suo pubblico un live così live in un’accezione e traduzione ampia del termine stesso, che è risultato impossibile non rimanerne affascinati.

A rompere il ghiaccio ci ha pensato la pianola, inseparabile compagna di Marco e probabilmente il suo posto sicuro sul palco, visto che molte delle canzoni in scaletta le ha cantate seduto lì: come Uffa che ha aperto lo show e Occhiaie che invece lo ha chiuso.

Nel bel mezzo del live, è arrivato anche un ospite d’eccezione: il leader de Lo stato sociale Lodo Guenzi, con il quale Galeffi ha cantato uno dei brani più famosi della band bolognese: Amarsi male.

E’ stato un momento particolarmente bello, non solo per il duetto in sé, ma perché tra uno scambio di battute col pubblico che cantava talmente forte da sovrastare le loro voci e i suggerimenti delle parole dimenticate, sembrava fosse più una prova generale fatta tutti insieme, di un probabile concerto immaginario, che un’esibizione perfetta e impeccabile, di quelle che prepari ore prima.

E infatti i due non avevano avuto nemmeno modo di provare il brano ed è stato bello così, nella totale improvvisazione del momento.

Chitarre e voci.

Tra giri in Pedalò e richieste di Puzzle da comporre, tra una Tazza di te e parole quasi impronunciabili come Mamihlapinatapai, quello che emerge in maniera prepotente da ogni testo di Galeffi non è solo l’originalità nel raccontare stralci di vita, pensieri e dubbi quotidiani di qualunque giovane ragazzo, ma ad emergere è soprattutto amore.

Amore che a volte manca, a volte torna, a volte sparisce e a volte ferisce.

Amore cantato con mille sfumature diverse.

I suoi testi cullano e curano l’anima di chi è tendenzialmente nostalgico per natura, ma allo stesso tempo romantico e sognatore e fanno quasi venire voglia di perdersi un po’, solo per il gusto di potersi poi ritrovare.

Riesce a raccontare in maniera talmente semplice le paure, che alla fine dimentichi quasi di averne.

Un grazie per aver fatto sentire anche a noi Tottigol  per 90 minuti di live.

E’ stata senza dubbio una gran bella partita, dove a vincere non è stato solo l’artista che ha avuto ancora un ottimo riscontro da parte del pubblico, ma anche del pubblico stesso, che ha la fortuna di riconoscersi e ritrovarsi nella musica di Galeffi.

Noi di Vez abbiamo avuto il piacere di scambiare due chiacchiere nel suo camerino prima che iniziasse il live e presto troverete sul nostro sito il reportage di foto,video e intervista.

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Testo: Claudia Venuti

Foto: Luca Ortolani

 

Grazie a Carlo C. e Leonardo G. | Magellano Concerti | Maciste Dischi |[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1503314301745{padding-top: 10px !important;padding-bottom: 11px !important;}”][vc_column][edgtf_image_gallery type=”masonry” enable_image_shadow=”no” image_behavior=”lightbox” number_of_columns=”three” space_between_items=”tiny” image_size=”full” images=”9771,9766,9768,9792,9791,9786,9781,9773,9793,9790,9772,9789,9769,9782,9770,9787,9767,9774,9775,9784,9777,9778,9779,9788,9780,9776,9783,9785″][/vc_column][/vc_row]

Prodigy @ Rds Stadium

[vc_row][vc_column][vc_column_text]

• Prodigy •

| No Tourists Live |

RDS Stadium (Rimini) // 01 Dicembre 2018

 

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]

Grazie Barley Arts. Grazie per aver incluso VEZ Magazine tra le riviste in accredito per quella che io definirei più una esperienza di vita che un concerto.

E siamo qui, io e il mio brother da una vita Michele Morri, a vedere un gruppo, The Prodigy, che fa parte di tutti noi cani sciolti (ndr).

Un gruppo di Braintree, UK, che dagli anni novanta è sulla scena con una sperimentazione musicale che li ha portati ad essere inseriti nel filone del Big Beat, genere totalmente British che propone un mix di rock, dance, psichedelia e techno hardcore.

Vorrei sottotitolare questo articolo con “Una serata con The Prodigy ovvero quella esperienza di vita che ti mancava”.

Sicuramente mancava a me questa esperienza, dato che seguo questo gruppo da che ne ho memoria e che nel mio adorato Velvet (vedere la maglietta di Morri per questa serata su Facebook, ndr) questo sound non poteva mancare mai.

Perché poi diciamocelo, chi di noi quasi quarantenni non associa qualche momento della propria adolescenza a un gruppo come questo?

E quindi vai a un loro concerto credendo di sapere quello che ti aspetta.

Fai la fila, attendi il tuo turno al controllo borse e zaini.

E fa freddo, regaz.

Poi entri e ti fai fregare dalla tasca 15 euro che avevi appositamente inserito a casa per comprare le birre.

E sino a qui, ancora inconsapevoli, si procede come d’abitudine.

Poi tutto cambia. Un’ora e mezza di concerto durante la quale tutti noi presenti abbiamo dato l’anima, le corde vocali e i menischi.

E se non fosse che il giorno dopo mi devo svegliare alle 5:30 per andare a lavorare, probabilmente avrei lasciato volentieri sulla pista anche qualche tendine rotuleo.

Mi sono sottratta, ahimè, al pogo selvaggio e non ne vado fiera, ma non mi sono sottratta ai salti e al ballo dalla canzone NUMERO UNO.

Quell’incipit anfetaminico di Breathe che ti spinge e ti tira e ti travolge.

E poi non ci capisci niente. E dici solo WOW.

E poi Voodoo People e verso il finale Firestarter e Smack My Bitch Up.

Luci, tante luci. Fumo e nebbia e ancora luci.

E quando tutto finisce realizzi che fino a poco prima eri proprio nell’occhio del ciclone, in un vortice spazio temporale che ti ha spettinato per poi lasciarti solo con un senso di vuoto a dover tornare miseramente a casa.

È così che mi sento, mentre punto la sveglia e mi chiedo se domani riuscirò ad andare a lavorare.

Grazie ancora gentile Barley Arts e grazie allo Staff dell’RDS Stadium, perché qui a Rimini, questa sera, ci siamo divertiti.

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Testo: Sara Alice Ceccarelli

Foto: Michele Morri

 

Grazie a Barley Arts[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1503314301745{padding-top: 10px !important;padding-bottom: 11px !important;}”][vc_column][edgtf_image_gallery type=”masonry” enable_image_shadow=”no” image_behavior=”lightbox” number_of_columns=”three” space_between_items=”tiny” image_size=”full” images=”9815,9796,9800,9798,9805,9817,9799,9807,9801,9813,9808,9802,9806,9803,9814,9804,9809,9810,9797,9811,9812,9816,9818,9819,9820″][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]

Slaves

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1503314301745{padding-top: 10px !important;padding-bottom: 11px !important;}”][vc_column][edgtf_image_gallery type=”masonry” enable_image_shadow=”no” image_behavior=”lightbox” number_of_columns=”three” space_between_items=”tiny” image_size=”full” images=”9830,9822,9826,9828,9831,9832,9827,9823,9824,9825,9829,9833,9834″][/vc_column][/vc_row]

Black Winter Fest 2018 @ Campus Industry Music

[vc_row][vc_column][vc_column_text]

• Black Winter Fest 2018 •

Campus Industry Music  (Parma) // 01 Dicembre 2018

 

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Gli affamati di metal ieri hanno trovato pane per i loro denti.

Al Campus Industry Music di Parma si è infatti svolta l’undicesima edizione de Black Winter Fest, festival metal nella sua anima più dura e cruda.

Dalle 15:00 si sono alternate sul palco del locale band internazionali provenienti da tutta Europa, in particolare dai paesi scandinavi, dove il black metal raggiunge forse il massimo spessore.

Tra queste alcune in Italia per la prima volta, come i finlandesi Antimateria o gli scozzesi Saor, mentre altri, come i norvegesi Tsjuder sono tornati dopo anni di assenza e come unica tappa nel nostro paese.

Il gruppo più acclamato, però, è stato l’ultimo ad esibirsi: i Marduk, che hanno presentato il loro ultimo album Viktoria.

Circa dodici ore di musica che hanno attirato numerosi fedeli, italiani e non, ad una manifestazione che sembrava più un rito pagano che un vero e proprio concerto.

Scaletta della giornata:

• Afraid of Destiny (Italia)
• Scuorn (Italia)
• Attic (Germania)
• Sojourner (Nuova Zelanda/Svezia/Italia)
• Antimateria (Finlandia)
• Saor (Finlandia)
• Acherontas (Grecia)
• Valkyrja (Svezia)
• Archgoat (Finlandia)
• Tsjuder (Norvegia)
• Marduk (Svezia)

 

Testo e Foto: Mirko Fava[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1503314301745{padding-top: 10px !important;padding-bottom: 11px !important;}”][vc_column][edgtf_image_gallery type=”masonry” enable_image_shadow=”no” image_behavior=”lightbox” number_of_columns=”three” space_between_items=”tiny” image_size=”full” images=”9849,9843,9842,9845,9850,9844,9847,9846,9848″][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]

Tsjuder

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Archgoat

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Valkyrja

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Acherontas

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Saor

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Antimateria

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Sojourner

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Attic

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Scuorn

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Afraid of Destiny

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