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Mese: Febbraio 2019

SKA-P • ZEBRAHEAD ANNUNCIATI COME SUPPORTO DELLE DUE DATE DA HEADLINER.

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SKA-P

ZEBRAHEAD ANNUNCIATI COME SUPPORTO

DELLE DUE DATE DA HEADLINER. CON LORO ANCHE

GLI ITALIANI VALLANZASKA E LOS FASTIDIOS

27 GIUGNO | CARROPONTE | SESTO SAN GIOVANNI – MILANO

29 GIUGNO | SHERWOOD FESTIVAL | PADOVA

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Un’estate a tutto ska. Gli Zebrahead saranno di ritorno in Italia come supporti ufficiali delle due date da headliner degli Ska-P. Gli appuntamenti sono previsti per giovedì 27 giugno al Carroponte di Sesto San Giovanni – Milano, e per sabato 29 giugno allo Sherwood Festival di Padova. Ad aprire la prima data ci saranno anche i nostrani Vallanzaska, mentre alla lineup dello show in Veneto si aggiungono i Los Fastidios. Ricordiamo che gli Ska-P saranno protagonisti anche della prossima edizione del Bay Fest insieme a The Offspring e Nofx, dal 12 al 14 agosto a Bellaria Igea Marina (RN).

Più di venticinque anni di carriera, dodici album in studio, oltre due milioni di dischi venduti dal 1995 a oggi, e addirittura una nomination ai Grammy per una collaborazione con i Motorhead. Gli Zebrahead hanno vissuto l’epoca d’oro, il declino e l’attuale rifioritura dello ska. Più che dei reduci, delle vere e proprie testimonianze viventi della storia di un genere all’interno del quale hanno cavalcato l’onda del successo persino nei suoi momenti più bui.

Con la sua incredibile miscela di punk, hip hop e alternative rock, il gruppo si è da subito distinto come uno dei pionieri della nuova scena californiana di fine ’90, per poi emergere con il successo internazionale dei loro album degli anni 2000 come MFZB, Broadcast of the World e Phoenix, contenenti le hit Falling Apart, Hell Yeah! ed Anthem. Con altri cinque dischi usciti negli ultimi dieci anni e una presenza costante nei principali festival europei, la band si prepara a pubblicare il suo nuovissimo lavoro Brain Invaders, in uscita l’8 marzo.

Anticipato dal singolo All My Friends Are Nobodies, l’album è stato prodotto dalla band insieme a Paul Miner (storico collaboratore di New Found Glory, Atreyu e Thrice fra gli altri) e mixato da Kyle Black (Pierce the Veil, Paramore, New Found Glory). “Siamo davvero presi bene e non vediamo l’ora di vedere la reazione che i nostri fan avranno con questo nuovo disco. Ci siamo divertiti parecchio a scriverlo e registrarlo”, ha dichiarato il cantante e chitarrista Matty Lewis.

 

Ecco i dettagli delle due date:

 

SKA-P+ Zebrahead e Vallanzaska
27 giugno 2019 | Carroponte | Sesto San Giovanni – Milano
Ingresso: 25€ + diritti di prevendita

Ingresso in cassa: 30€

Biglietti disponibili sul circuito Mailticket.

 

SKA-P+ Zebrahead e Los Fastidios

29 giugno 2019 | Sherwood Festival | Padova

Ingresso: 25€ + diritti di prevendita

Ingresso in cassa: 30€

Biglietti disponibili su sherwood.it e su Ticketone.

 

By Hub Music Factory[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]

ANTI-FLAG • IN ARRIVO UNA DATA IN ITALIA A MAGGIO // 14 MAGGIO | HT FACTORY | SEREGNO (MB)

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ANTI-FLAG

IN ARRIVO UNA DATA IN ITALIA A MAGGIO

14 MAGGIO | HT FACTORY | SEREGNO (MB)

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]It’s the American attraction! Dopo gli show della scorsa estate, gli Anti-Flag sono pronti a tornare nel nostro Paese per una data all’HT Factory di Seregno (MB). L’appuntamento è per martedì 14 maggio 2019 per un tiratissimo concerto all’insegna di un po’ di sano punk rock.

Con più di vent’anni di carriera musicale alle spalle, dieci album in studio e svariati tour mondiali con band come Rage Against the Machine, Sick of It All, The Offspring e Rancid, gli Anti-Flag continuano instancabilmente a risvegliare gli animi del pubblico attraverso la loro musica. Diretti e taglienti, hanno dato voce negli anni a cause politiche, sociali e umanitarie rilevanti, collaborando con organizzazioni come PETA, Amnesty International, Sea Shepherd e Greenpeace.

Le loro performance dal vivo sono il loro cavallo di battaglia; il loro impegno e la voglia di cambiare il mondo si trasmette infatti in tutta la carica delle loro esibizioni: bagni di folla ed energia da vendere, sanno tenere il pubblico con gli occhi puntati sul palco e i pugni rigorosamente rivolti verso il cielo. Il quartetto di Pittsburgh (Pennsylvania), incarna uno spirito punk senza tempo che ancora oggi ha voce per dire la sua, in particolar modo dopo il risultato delle elezioni presidenziali americane del 2016.

L’ultimo album della band, American Fall, è uscito a fine 2017 su Spinefarm Records sulle ali del successo del singolo American Attraction, che dalla sua pubblicazione è continuamente la canzone più ascoltata degli Anti-Flag su tutte le piattaforme di streaming. Fortemente influenzato dai recenti sviluppi della politica americana, il disco ci ha comunque presentato una band che non ha perso la voglia di rinnovare il proprio sound.

“È un periodo in cui c’è un focus maggiore sulla politica, per ovvie ragioni. Quando questo accade, anche noi come band riceviamo un’attenzione maggiore. Essendo il nostro decimo album, volevamo essere sicuri che fosse coerente con quello che siamo. Allo stesso tempo, ‘London Calling’ è il mio disco preferito dei The Clash perché è stato rischioso. Da quando i The Clash hanno iniziato a essere sotto gli occhi di tutti, non hanno puntato sul sicuro. Abbiamo voluto spingerci anche noi oltre il limite, in un momento in cui avevamo gli occhi puntati addosso”, ha dichiarato il bassista Chris #2.

 

Ecco i dettagli della data:

 

ANTI-FLAG+ special guest
14 maggio 2019 | HT Factory | Seregno (MB)
Ingresso: 18€ (no prevendita)

 

Foto copertina: ©lucaortolani[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]

EPO • “Enea” esce l’1 marzo. La prima data a Milano, venerdì 8 marzo.

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EPO

Il 1 marzo esce ENEA, il nuovo album con ROY PACI ai fiati e RODRIGO D’ERASMO (Afterhours) agli archi.

L’8 marzo a Milano la prima data live.

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Manca solo una settimana all’uscita di “ENEA”, il nuovo album degli EPO in arrivo il 1 marzo per SoundFly. La versione in vinile è già disponibile in preorder. Per la band napoletana è il quinto disco, e ospita nomi illustri come Roy Paci ai fiati e Rodrigo D’Erasmo (Afterhours) agli archi. La produzione è invece di Daniele “IlMafio” Tortora (Daniele Silvestri, Afterhours, Diodato) e caratterizza il disco con un sound internazionale sapientemente miscelato con la tradizione partenopea.

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Gli EPO annunciano inoltre una prima serie di date live. Di seguito il calendario degli appuntamenti ad oggi confermati:
08 marzo live @Serraglio (Milano)
14 marzo Showcase la Feltrinelli Napoli – Piazza dei Martiri ore 18:30

15 marzo live @Angelo Mai (Roma)
16 marzo live @Common Ground (Napoli)
23 marzo live @Reasonanz (Loreto)
“Per il nuovo album abbiamo scelto il titolo ENEA perché ha rappresentato per noi un viaggio lungo quasi 3 anni, partito dalle spiagge leccesi e terminato a Roma, anche se il cuore di tutto questo tortuoso percorso è stato sicuramente Napoli e la sua lingua.

Scegliere di usare il napoletano per tutti i brani disco è stato un azzardo che pian piano si è rivelata una nuova opportunità, la voce che istintivamente cercava di esprimersi con nuove sonorità e diventava più “strumento”, costringendoci a re-inventarci come musicisti. Una tela bianca ed una nuova tavolozza di colori. Evviva!

Gran parte dei brani è stata arrangiata e suonata in presa diretta ed è una mistura delle ispirazioni più disparate: brani che uniscono suggestioni sonore nord europee con la sanguigna veemenza dei canti popolari. Dai Sigur Ros a La Gatta Cenerentola del Maestro De Simone.

Storie di marinai persi in mare che cantano accompagnati da ritmi tribali. Melodie ispirate dal Pino Daniele di “vai mo’” unite al drunken beat di Kendrick Lamar.”

EPO

TRACKLIST:

01. Addò staje tu
02. ‘A primma vota
03. Nun ce guardammo arete
04. Dimmello mò
05. Luntano
06. Damme ‘na voce
07. Sirene
08. Auciello
09. Malammore
10. Ombra si’ tu
11. Appriesso ‘e stelle (CD bonus track)

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Gazzelle @ RDS_Stadium

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• Gazzelle •

 

P  U  N  K   T  O  U  R

 

RDS Stadium (Rimini) // 27 Febbraio 2019

 

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Ci sono momenti che attendiamo con ansia, quell’ansia positiva che ha il sapore di entusiasmo misto a voglia di vivere qualcosa che sappiamo già quando potrà farci star bene, ma bene davvero.

Ho aspettato il 27 febbraio proprio così, sapendo che il concerto segnato sul mio calendario aveva un nome speciale, quello di un artista che seguo dagli esordi, da quando ho ascoltato per la prima volta la sua prima canzone Non sei tu scritta con la tastiera che gli regalò suo padre a soli 6 anni.

L’artista in questione è Flavio Pardini, meglio conosciuto come Gazzelle che ieri sera è finalmente tornato sul palco dopo un anno di assenza per dare il via al suo Punk Tour e per farlo ha scelto l’Rds Stadium di Rimini.

Un RDS che non solo ha segnato la tappa zero di una lunga lista di appuntamenti in giro per l’Italia tutti sold out, ma che ha segnato anche un passaggio fondamentale per la carriera di questo giovane cantautore romano che ha sempre scritto canzoni senza dirlo a nessuno.

Tutto fino a quando non ha suonato per la prima volta nel sottoscala di un bar di Trastevere e fino a quando 3 anni fa, non ha deciso di inviare un messaggio alla sua attuale etichetta discografica Maciste Dischi chiedendo di poter inviare alcuni brani.

Gazzelle nasce così e ieri sera il suo pubblico non era più quello di pochi amici intimi in un bar, ma un grande pubblico capace di scaldare e riempire un palazzetto.

Un successo meritato, perché attraverso i suoi testi e con la sua musica riesce ad essere un ottimo compagno di avventura in questo viaggio chiamato vita, dando voce a tutte quelle sensazioni che nascono nella bocca dello stomaco difficili da mettere nero su bianco.

Alle 21:00 spaccate tutto buio e un minuto dopo inizia uno dei concerti più emozionati, vivi ed intensi a cui io abbia mai assistito.

Dopo un duro lavoro di prove durato mesi, Gazzelle, accompagnato dalla sua band e da un meraviglioso quartetto d’archi e coriste, brano dopo brano, spaziando tra le canzoni contenute nel suo primo album Superbattito e nel suo secondo album Punk, regala al suo pubblico momenti indimenticabili con scenografie e giochi di luce mozzafiato, oltre ad una dose significativa di energia allo stato puro.

Emozionato e nel suo perfetto stile Brit anni 90 è stato in grado di stupire senza sosta dall’inizio alla fine, compresa una finta chiusura del live interrotta solo per 60 secondi che scorrevano in un maxi schermo e segnavano un countdown che ha portato ad un cambio palco e in un attimo ha portato lui alle nostre spalle pronto ad intonare Quella te.

Per me un bel concerto è quello da cui non andresti mai via e che vorresti non finisse mai e ieri sera, ad un certo punto hanno riacceso le luci, lo spettacolo era finito ma io ero ancora lì a guardare quei coriandoli viola sul pavimento e a sorridere.

Ha fatto davvero Scintille.

 

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Grazie ad VIVO Concerti

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Testo: Claudia Venuti

Foto: Luca Ortolani

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1503314301745{padding-top: 10px !important;padding-bottom: 11px !important;}”][vc_column][edgtf_image_gallery type=”masonry” enable_image_shadow=”no” image_behavior=”lightbox” number_of_columns=”three” space_between_items=”tiny” image_size=”full” images=”11814,11818,11828,11832,11827,11823,11829,11824,11830,11815,11813,11820,11817,11831,11821,11826,11816,11822,11825,11819″][/vc_column][/vc_row]

DRONE126 • Fuori CUORE SANGUE SENTIMENTO

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DRONE126

Fuori CUORE SANGUE SENTIMENTO 

Il primo album del producer romano 
chiama a raccolta il collettivo Love Gang

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CUORE SANGUE SENTIMENTO è il primo album di DRONE126, producer di riferimento della Love Gang, in uscita oggi 22 febbraio per Asian FakeDrone126, mentore del suono del collettivo romano, ha interamente prodotto il disco, che esalta ogni singolo componente di una crew capace di imporsi all’interno della scena nazionale, partita dalle panchine di Roma, arrivata ai palchi di tutta Italia.

Storia di amicizie nate ancora prima della musica, storia dei contorni più misteriosi della Capitale, storia di evasione e trasgressione: tutte questioni di cuore, sangue e sentimento. L’album raccoglie brani già pubblicati, come Lambrusco, Pretty de Niro, La Danza Dei Soldi, i tre singoli del cortometraggio trap-dantesco Amor Vincit OmniaCXXVI Spigoli. Con la seconda parte dell’album si entra in territori inediti, anche questi definiti dalle produzioni di Drone126, capace di plasmare il suono intorno alla Love Gang a sua immagine e somiglianza.

TRACKLIST
1. Lambrusco (Drone126 feat. Franco126)
2. Pretty De Niro (Drone126 feat. Pretty Solero)
3. La danza dei soldi (Drone126 feat. Ketama126)
4. CXXVI (Drone126 feat. Ketama126, Pretty Solero, Ugo Borghetti, Asp126, Franco126)
5. Spigoli (Drone126 feat. Ugo Borghetti, Franco126)
6. Poliabusatore (Drone126 feat. Ketama126, Pretty Solero)
7. Non a me (Drone126 feat. Pretty Solero, Ketama126, Gianni Bismark)
8. 2008 (Drone126 feat. Ketama126, Chicoria)
9. Buono a nulla (Drone126 feat. Franco126, Ketama126)
10. Caffè Illy (Drone126 feat. Asp126)
11. Mille scuse (Drone126 feat. Franco126, Pretty Solero)

BIO
Drone126, nonostante la sue giovane età, è diventato il producer di riferimento della Lovegang, ma per farlo serve più dell’amicizia pregressa: finiti gli anni del liceo Adrian si trasferisce a Berlino, dove studia ingegneria del suono, alimenta l’interesse per l’elettronica e la D’n’B aprendosi contemporaneamente all’hip-hop, in un modo più approfondito di quanto non avesse fatto a Roma, dove lungo le cuffiette correva soprattutto la rabbia del TruceKlan e del Rap old school che ha fatto la storia della capitale. La permanenza in Germania segna una svolta artistica: è lì infatti che conosce Il Tre, produttore romano che presenta Drone a Gemitaiz facendo così nascere una collaborazione che sfocerà in “Rap Doom”. Sempre a Berlino Drone126 inizia a collaborare con Ketama126 al suo primo disco, “Ketam City”, raccogliendo del materiale che si rivelerà utile anche per il successivo “Oh Madonna”, di cui cura diverse produzioni. Tornato in Italia Adrian porta con sé studio ed esperienza, ha tessuto nuovi rapporti senza però mai smettere di collaborare con quei vecchi amici che ora vede lanciati nel mondo della Musica: Franco126, Carl Brave, Pretty Solero, Asp126, Ugo Borghetti e lo stesso Ketama. Soprattutto ha un progetto in mente: “ho capito che io e i ragazzi dovevamo fare qualcosa per noi stessi e per la Città. Soprattutto volevamo dare sfogo a un’esigenza espressiva, creare uno spazio di resistenza al deserto che spesso abbiamo visto intorno a noi.”[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]www.instagram.com/drone126 /

www.facebook.com/Drone126

Ufficio Stampa: Astarte Agency

Label: Asian Fake |

www.asianfake.com | [email protected][/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column width=”1/3″][/vc_column][vc_column width=”1/3″][vc_column_text]23aecb1a 3eac 488f 87fa 0a9771b659c9[/vc_column_text][/vc_column][vc_column width=”1/3″][/vc_column][/vc_row]

SWMRS @ Santeria_Social_Club

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• SWMRS •

Santeria Social Club (Milano) // 25 Febbraio 2019

 

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ANTEROS

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Foto: Elisa Hassert

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Il “Club 27” in mostra alla Galleria ONO di Bologna

Esiste una maledizione nel mondo della musica, esiste un club esclusivo in cui nessuno spera di entrare. Stiamo parlando del “Club 27”.

Si tratta di un modo di dire, ormai entrato nella cultura popolare per identificare tutta una serie di morti, avvenute per lo più in modi misteriosi, che hanno avuto come protagonisti personaggi famosi del mondo del rock. Tutti scomparsi all’età di 27 anni.

Il “Club 27”  affonda le sue origini nel 1938 quando Robert Johnson, mito del blues muore a Greenwood, nel Mississippi.

Un personaggio dal passato controverso e dalla storia burrascosa e tormentata tanto che le leggende sulla sua figura iniziano a diffondersi quando l’uomo è ancora in vita e nel fiore degli anni. Pare infatti che fosse un chitarrista mediocre ma che, nel giro di poco tempo, abbia sviluppato delle doti fuori dal comune.

Nessuno era in grado di spiegare questo miglioramento così repentino e iniziò a diffondersi la voce che avesse venduto l’anima al diavolo per ottenere l’abilità come chitarrista. Un moderno Dr. Faust che anziché la conoscenza desidera l’abilità con lo strumento a sei corde.

Amante dell’alcool, delle belle donne e della musica troverà la morte a causa di questi 3 fattori. Sembrerebbe infatti che sia stato avvelenato dal gestore di un locale in cui si stava esibendo perché aveva flirtato con la moglie di quest’ultimo.

Una vita vissuta all’insegna di eccessi e feste sfrenate al limite della legalità. Ed è proprio l’abuso di droghe il principale responsabile della rovina di molti membri del Club 27.

E’ il caso di Brian Jones, fondatore e chitarrista dei Rolling Stones.

Se Mick Jagger, oggi settantacinquenne, continua a calcare i palchi con il suo amico Jones la vita non è stata così buona. L’uomo è stato trovato morto nella sua piscina, anche lui aveva solo 27 anni.

E’ il 1961 quando Brian conosce, durante un concerto all’Ealing Club di Londra, Mick Jagger e Keith Richards: un’incontro che cambierà per sempre la storia della musica. Jones fu il primo leader della band nonché colui che ne scelse il nome.

Un anno dopo i Rolling Stones si esibiscono per la prima volta a Londra e da quel momento la loro è una strada verso la leggenda. Nonostante il successo all’interno del gruppo iniziano ad esserci tensioni sempre più forti: differenze dal punto di vista artistico e screzi per questioni personali. Jones inizia a sentirsi escluso da Jagger e Richards, che invece sembrano giocare nella stessa squadra.

L’uomo troverà rifugio nell’alcol e nella droga che però inizieranno a renderlo estremamente inaffidabile. A causa di questi problemi il suo peso all’interno della band venne inizialmente ridimensionato e, nel giugno del 1969, verrà allontanato definitivamente dagli Stones.

Poco meno di un mese dopo, il 3 luglio, Brian verrà trovato morto in piscina. Il coroner dichiarò che si trattò di un incidente ma la sua compagna, Anna Wholin, affermò che fu assassinato da un costruttore. Altre voci invece sostengono che i responsabili della morte siano stati proprio Jagger e Richards.

Passa poco più di un anno e l’8 settembre del 1970 il mondo della musica deve dire addio al più grande chitarrista della storia: Jimi Hendrix.

Hendrix prenderà parte al primo festival rock della storia, il Monterey International Pop Festival, dove concluderà la sua esibizione dando fuoco alla chitarra.

 

Jimi Hendrix © Barry Wentzel.jpg

(© Barry Wentzel)

 

Il mondo lo ricorda per la sua performance a Woodstock, che è entrato nell’immaginario collettivo come uno dei più grandi concerti della storia. Qui Hendrix si cimentò in una critica alla guerra del Vietnam: l’inno americano venne suonato in modo totalmente distorto per simulare il rumore degli spari e dei bombardamenti, un modo per ricordare l’orrore che stavano vivendo i suoi connazionali.

E’ proprio grazie a questi live iconici che Hendrix è entrato nel mito.

La sua ultima performance è stata sull’Isola di Wight. Il 18 settembre del 1970 verrà trovato morto soffocato a casa della sua fidanzata: un mix di alcool e tranquillanti gli è stato letale.

 

Jimi Hendrix © Baron Wolman.jpg

(© Baron Wolman)

 

Passano solo poche settimane e il mondo della musica, ancora sconvolto dalla perdita del chitarrista, deve dire addio ad un altro nome importante: Janis Joplin.

Lei ed Hendrix avevo condiviso il palco a Woodstock ed ebbero anche una relazione.

La donna, di origini texane, durante l’infanzia venne bullizzata per la sua ideologia estremamente all’avanguardia. In una società razzista e maschilista la Joplin si fece portavoce dei diritti dei neri e degli omosessuali.

Nel 1969 prese parte al concerto in onore di Martin Luther King.

Janis viene considerata la regina del blues ma è ricordata per il suo temperamento irruente: basta ricordare l’aneddoto in cui ruppe una bottiglia in testa a Jim Morrison, che a causa dell’alcol era diventato rude, maleducato e molesto. Anche lei si esibisce nei festival di Monterey e ovviamente a Woodstock.

Venne trovata morta a causa di un overdose di eroina.

 

Janis Joplin © Baron Wolman.jpg

(© Baron Wolman)

 

Il 3 luglio del 1971 il poeta, leader dei The Doors viene rinvenuto senza vita nella sua vasca da bagno. La sua è forse una delle morti più misteriose del mondo della musica. Pare che l’autopsia sul cadavere non sia mai stata effettuata e che la notizia del decesso sia stata resa nota soltanto il 9 di luglio.

Jim Morrison non aveva un carattere facile. Venne incarcerato più di una volta e, nel 1967 un concerto dei Doors venne annullato poiché Morrison venne arrestato durante l’esibizione. Ma in quell’anno, grazie a Light My Fire, i Doors scrivono il loro nome a caratteri cubitali nell’Olimpo del Rock.

L’abuso di alcool e di droga però iniziano a lasciare il segno su Morrison, il degrado non è solo psicologico ma anche fisico. Quando nel 1971 decide di andare a Parigi, per dedicarsi alla poesia nessuno immaginava che non sarebbe più tornato. Jim è ancora la, nel cimitero di Peres Lachaise, e la sua tomba ormai è diventata un luogo di pellegrinaggio per i tanti fan.

 

Jim Morrison © James Fortune.jpg

(© James Fortune)

 

Tutti questi musicisti avevano la J nel nome. Tutti loro sono morti a 27 anni. Strane coincidenze che hanno fatto subito gridare al complotto. Hendrix, Joplin e Morrison sono morti in meno di un anno. Morrison ci ha lasciato esattamente due anni dopo la scomparsa di Jones ( a cui aveva dedicato una poesia durante un esibizione all’Aquarium Theatre di Los Angeles).

Morti strane, poco chiare e misteriose, dove qualcuno ci ha visto lo zampino della CIA poiché tutti erano attivi nei movimenti del post sessantotto. Ma sono tutte supposizioni, tutte coincidenze che non hanno fatto che accrescere il mistero intorno a questi decessi.

Sembra che la maledizione si sia fermata, che le morti si siano arrestate. Questo fino al 1994. E’ proprio durante quest’anno che la stampa inizia ad utilizzare il nome “Club 27” quando il mondo viene sconvolto dal suicidio di Kurt Cobain.

 

Kurt Cobain © Michael Lavine.jpg

(© Michael Lavine)

 

I Nirvana iniziano la loro carriera nel 1987, e nessuno avrebbe mai pensato che sarebbero diventati, nel giro di due anni, una delle band alternative più importanti nella storia della musica.

Al loro primo concerto al Community World Theatre di Tacoma si esibiscono davanti a 13 persone. Ma quando nel 1991 esce Nevermind, e Smell Like Ten Spirit diventa l’inno della generazione X le cose cambiano. Le persone seguono con interesse la vita privata di Kurt che, nel 1991, sposa Courtney Love e continua a calcare i palcoscenici.

Ma il destino aveva piani diversi e la vita, a quanto pare, stava troppo stretta al leader dei Nirvana. Mentre Kurt è a Roma tenta il suicidio una prima volta e viene portato d’urgenza in ospedale.

 

Kurt Cobain © Charles Peterson.tif

(© Charles Peterson)

 

In Come As you Are cantava I swear I don’t have a gun, ma il modo per procurarsi un fucile alla fine lo ha trovato: è bastato chiedere aiuto all’amico Dylan Carson.

Il 5 aprile del 1994, dopo essersi iniettato un’ultima dose di eroina, Kurt si spara un colpo in testa. Il corpo verrà trovato solo tre giorni dopo da un elettricista.

Passano gli anni e le scene vengono sconvolte da una giovane donna con una voce profonda in grado di colpire chiunque l’ascolti: Amy Winehouse.

 

Amy Winehous © Mark Mawston

(© Mark Mawston)

 

L’album d’esordio Frank è un successo. La sua è una vita segnata dalla droga e dalle dipendenze; la canzone che la consacra è Rehab una dichiarazione del suo rifiuto di disintossicarsi dall’alcool.

Viene trovata morta nella sua casa di Camden e l’autopsia non chiarirà le cause del decesso.

Tutte queste figure, nonostante la brevi carriere, sono diventate delle vere e proprie icone del mondo della musica. Proprio per questo motivo ONO, Galleria di arte contemporanea di Bologna, ha deciso di dedicare una mostra ai protagonisti del Club 27.

Si tratta di 40 scatti, alcuni in esclusiva italiana, per rendere omaggio a queste figure iconiche che hanno lasciato un segno indelebile nella cultura e nell’arte.

La mostra rimarrà aperta fino al 24 febbraio ed è un occasione unica per vedere degli scatti che ritraggono gli sfortunati membri del club nel momento in cui erano ancora degli uomini e non ancora delle leggende.

 

Laura Losi

 

Riccardo Sinigallia: a Cuore aperto

Abbiamo già raccontato della magia del live di Riccardo Sinigallia al Reowrk Club di Perugia, lo scorso venerdì 15 febbraio. Proprio per quell’occasione, qualche giorno prima, lo abbiamo raggiunto telefonicamente.

Appuntamento alle ore 16,20. E tanta emozione nell’ascoltarlo.

Attraverso la chiave delle sue parole, ha aperto un mondo. Un mondo che ruota attorno al suo ultimo disco Ciao Cuore, ai personaggi che lo abitano, alla luce speciale dei loro occhi. Un viaggio nella musica, nei progetti, nella passione e nella grande umanità del cantautore romano.

 

A distanza di quattro anni da Per tutti, lo scorso 14 settembre è uscito il tuo ultimo album che si apre con una sorta di “anti-manifesto”: << So delle cose che so e non ti posso spiegare, perché non esistono tutte le parole >>. Quanto la musica può essere d’aiuto nel trovare un canale d’espressione o almeno alcune di quelle parole?

Ohhh questa è una domanda nuova! E mi piace molto perché è effettivamente il motivo, o almeno uno dei motivi, per cui questi versi di Franco Buffoni, un poeta del nostro tempo, mi hanno colpito. Io vivo questo testo, quindi, un po’ da ascoltatore e un po’ da cantautore. Lavorando da tempo come scrittore di canzoni, ho realizzato quanto il rapporto tra musica e parole proponga sempre nuove profondità, nuove possibilità, nuove relazioni. Il quesito sui significati e sul rapporto tra la musica e il testo, anche solamente in relazione alle potenzialità che la parola e il pensiero lasciano da qualche parte, è un motivo di grande interesse. Ecco perché quel testo mi ha tanto colpito e ho voluto musicarlo. La musica può dare nuove interpretazioni, può cambiare dei significati rispetto a una parola o una frase. Può spostarli…e questo è uno degli aspetti del fare e scrivere canzoni che mi affascina di più.

 

Della musica fanno parte anche i “tempi pari”. In Bella quando vuoi sembrano essere personificati in coloro che affermano: “Niente paura e intende niente coraggio”. A chi ti riferisci?

È una constatazione. Ovviamente, non sono il primo a farla…arrivo trenta, quaranta anni dopo Pasolini. È la testimonianza contemporanea di quello che vedo intorno a me. Dell’omologazione, punto. Sia dei linguaggi che dei rapporti, delle attitudini delle persone nel quotidiano. I tempi pari sono un parallelismo tra i tempi della musica pop che sono divisi sempre solo in quarti, ottavi, sedicesimi, trentaduesimi e la modalità in cui molto similmente gestiamo e schematizziamo il nostro tempo. Tempo che non è più diviso in secondi, minuti, giorni, mesi, anni ma è anche schematizzato – oserei dire – da un punto di vista spirituale. Mettiamo ogni cosa al suo posto senza nemmeno più sorprenderci o addirittura evitando di sorprenderci troppo per non uscire da quei binari. Ed è quanto di peggio può succedere a un essere umano. Da musicista, è ciò che mi fa soffrire di più nell’ascoltare la musica del mio tempo.

 

E invece che prospettiva si scorge, “suonando per anni a testa in giù”?

“A testa in giù” può assumere un duplice significato. Da una parte, indica il guardare per terra… quindi una specie di rassegnazione. Potrebbe, però, anche indicare un ribaltamento, una rivolta rispetto a questa rassegnazione. C’è anche una terza interpretazione che, in qualche modo, si avvicina alla prima. In questi ultimi anni, la fortuna del nostro paese ha sempre privilegiato un certo tipo di omologazione, come dicevamo prima. Invece, chi ha intrapreso una ricerca nella fragilità o nel fallimento è sempre stato obbligato a portarla avanti a testa in giù. Come di nascosto, chiedendo permesso. Sempre con quella sfumatura di criminalità, di vergogna e dovendo giustificare l’utilità di tutto ciò. È la ricerca, però, ad essere alla base di ogni scoperta, supponendo anche il fallimento e l’errore. È fondamentale che l’uomo ricerchi e non tenti soltanto di essere produttivo.

 

Protagonista dei tuoi brani, tanto da apparire nel titolo del disco, è il cuore (Ciao cuore, A cuor leggero). Quante e quali sfumature assume per te questo termine anche così “tradizionale” all’interno del panorama musicale italiano?

In realtà, lo uso esattamente per come è sempre stato usato nella tradizione italiana e non solo. È un simbolo che racchiude la mia orgogliosa rappresentazione del soul, di una musica che venga dalla semplice espressione di ciò che si è e della ricerca di sé, prima di ogni ragionamento o possibile utilizzo. Il soul romano è perfettamente sintetizzato in due parole: Ciao Cuore. Un saluto che può essere di benvenuto, di arrivederci o di addio. E il cuore che rappresenta il soul, l’anima.

 

In riferimento al tuo metodo di comporre canzoni, tempo fa, in un’intervista, hai dichiarato che non riesci a scrivere partendo da tematiche o da un evento storico. Come è nata allora Che male c’è, dedicata a Federico Aldrovandi?

Ho scritto quella canzone quando Valerio Mastrandrea mi ha portato due pagine su quella vicenda. Quella concretezza di cui parli non viene da me ma da una richiesta di Valerio. Poi ho lavorato sulle due pagine con il mio metodo tanto che nel brano non ci sono dei riferimenti così precisi alla vicenda. Ma se uno sa che parla di quello, ci si trova catapultato dentro. Io non riesco tanto a scrivere su un argomento…e non è nemmeno una cosa che mi va tanto di fare. Non vivo la canzone con un obiettivo giornalistico, come un’inchiesta. La vivo come una dimensione a sé che mi permette di aprire un varco spazio temporale in cui la realtà c’è ma solo come punto di riferimento.

 

In Dudù e Backliner delinei due figure “umili” che ho collegato, in ambito letterario, ai Vinti di Verga. Coloro che si accendono quando le luci si spengono. Che insegnamenti e che segreti possono svelarci?

Voglio citare, a riguardo, una frase di Giannino Ferretti della canzone In viaggio: “Viaggiano i viandanti, viaggiano i perdenti. Viaggiano i perdenti più adatti ai mutamenti”. Questo verso mi ha sempre colpito molto perché anche io tendo a privilegiare in maniera naturale, sia quando scrivo che nelle relazioni, le persone che hanno negli occhi il racconto di chi non emerge. Vedo sempre una luce diversa nei loro occhi. Li trovo più interessanti rispetto agli “adattati”. Mi affascina raccontare quelle persone. Poi… non si sa mai eh…magari un giorno scriverò una canzone su Totti!

 

Tutti i personaggi del tuo album appaiono, uno dopo l’altro, sia sulla copertina che nel videoclip di Ciao Cuore, trasformandolo nel trailer che riassume il progetto. Come nasce questa attenzione per l’aspetto più figurativo e più visivo della musica?

Alla fine del disco mi sono dilettato sull’aspetto iconografico e visivo delle canzoni. Ho capito che sarebbe stato possibile simboleggiare ogni brano attraverso una persona, un oggetto o un personaggio. Quello che viene fuori è un ritratto di famiglia, la famiglia allargata di Ciao Cuore. A quel punto mi sono divertito a rappresentare la figura della rockstar decadente, quasi un Keith Richards romano, interpretata da Valerio Mastrandrea nel video e in cui io mi identifico. È nato tutto in modo molto naturale ed è stato divertente.

 

Il sound del disco è un mosaico di molte influenze: dal blues all’elettronica, dai ritmi tribali a un’impronta cantautoriale che dà ampio spazio alla linea vocale. A quali ascolti o a quali generi ti sei ispirato?

È la naturale evoluzione del lavoro di ricerca che ho fatto in questi anni, in cui mi piace moltissimo lavorare in editing e in fase di rimescolamento della forma-canzone e del suono dal punto di vista strutturale e compositivo. Invece, per quanto riguarda la voce, avevo voglia di essere molto asciutto e concreto. Mi sono mosso su questi due livelli: un editing anche feroce nella parte “climatica” e sonora, mantenendo sempre il testo perché non volevo che si perdesse niente. Per me il testo è centrale. Non vuol dire che non lavori sperimentando effetti sulla voce o che non l’abbia fatto altre volte anche in maniera preponderante. Su questo disco, però, mi interessava essere più assertivo nella parte vocale.

 

E ti senti più produttore o più cantautore?

Non separo molto i due aspetti. L’idea di me come produttore si è creata negli anni, avendo lavorato a dischi di altri artisti. Io non faccio questa distinzione. Per me la parte preponderante sta nella relazione tra il lavoro sonoro e le parole. Vive lì in mezzo l’aspetto che mi interessa di più, quello che cerco. E che non sta né nella produzione fine a se stessa… che anzi mi infastidisce… o nel testo e basta. Ma è sempre nell’insieme.

 

Per l’ultima domanda, cito un tuo verso: “Ho cercato tanto la felicità, al limite dei sogni, per un’eternità”. Oggi, l’hai trovata?

Credo che non sia tanto rilevante per me immaginare, cercare o pormi l’obiettivo di essere felice quanto accorgermi di essere felice. Questo è il lavoro che sto facendo perché è la cosa più complicata. La rivelazione arriva quando ti accorgi che stai attraversando un momento di felicità. E godere di quell’attimo è molto complesso per noi occidentali. Da questo punto di vista, dovremmo intraprendere proprio un percorso di ascolto interiore e rispetto a quello che c’è intorno a noi. Perché quando ti accorgi della felicità, sei veramente felice.

 

Laura Faccenda

Subsonica: sogniamo, perché c’è sempre qualcosa in più

I Subsonica sono tornati. Lo hanno fatto percorrendo strade che seguono curve dorate, come i contorni del numero Otto, scelto come titolo del loro ultimo album. Una cifra, un simbolo denso di significati. Uno fra tutti, la continuità.

I cinque musicisti di Torino, dopo oltre due anni di esperienze da solisti, si sono ritrovati per scrivere un nuovo capitolo della loro ultra ventennale carriera come band. Le solide radici affondate negli anni Novanta, la consapevolezza del mutamento dei tempi, lo sguardo attento all’attualità, la volontà di esprimersi con il loro linguaggio, la musica. Passato e presente che convergono in un unico, spettacolare tour, in giro per l’Italia.

Abbiamo parlato di questo e di tanto altro con Samuel, che ci ha svelato il segreto grazie al quale il microchip emozionale dei Subsonica è ancora così ricettivo e in costante evoluzione.

 

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Si sta per concludere il fortunato tour che promuove Otto, il vostro ultimo lavoro in studio. Che cosa racchiude questo titolo, oltre al significato prettamente matematico?

Il primo spunto ci è venuto pensando al fatto che questo è il nostro ottavo album. In più, l’otto è un numero pieno di simboli. Se girato in orizzontale, indica l’infinito, quindi il tempo che crea un ciclo su se stesso. In qualche modo, i Subsonica fanno parte di questo immaginario… è molto tempo che siamo insieme e abbiamo assistito allo scorrere di vari cicli della musica. Per alcune culture orientali, l’otto è il numero della ricerca dell’equilibrio, con il suo nucleo centrale e i due cerchi laterali. Anche questo aspetto sembra raccontare l’esigenza di un gruppo come il nostro, composto da cinque teste pensanti, di forte carattere e che necessitano di un equilibrio fra loro. Tutta questa serie di ispirazioni e scintille ci ha fatto propendere alla scelta del titolo.

 

Il 18 gennaio è uscito sulle piattaforme Vevo e Youtube il video di Punto Critico, brano che descrive realisticamente “questi anni senza titolo”. Quanto la musica può essere o può tornare ad essere uno strumento di denuncia e di comunicazione oggi?

La musica è sempre stata un veicolo di comunicazione e di racconto. Ciò che cambia sono le esigenze della società e di chi ascolta la musica. È cambiato anche il modo di ascoltarla. Quando noi abbiamo iniziato, si incideva su vinile, adesso si ascolta in streaming. Cambiano le modalità attraverso cui gli uomini usano la musica, che rimane però sempre un linguaggio fondamentale. In questo momento, stiamo assistendo ad una costruzione e ricostruzione di nuove forme di linguaggio. Ad esempio, il rap o la trap hanno riportato al centro dell’attenzione la parola. Perciò, per certi versi, di fronte a un passaggio epocale, la gente sta ritornando ai concerti, le sale diventano sempre più piccole e il pubblico sempre più numeroso. Molte realtà musicali approdano a stadi e palazzetti in tempi brevissimi. È in corso un processo di enorme cambiamento musicale.

 

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Bottiglie rotte è stato il singolo che ha anticipato Otto. È ispirato dagli effetti deformanti e narcisistici che caratterizzano l’era social. Qual è il vostro rapporto con l’evoluzione tecnologica e dei media? Voi che siete stati i primi musicisti in Italia ad aprire un sito internet, nei primi anni duemila…

Sì, noi siamo stati il primo gruppo ad avere un sito legato alla musica e siamo stati, forse, tra i primi al mondo a registrare in mp3. Tra noi c’è un ingegnere informatico che, in quei periodi, si stava laureando e aveva in mano tutte le nuove onde della tecnologia. Il supporto mp3 era in fase di studio e costruzione, proprio a cura di uno dei suoi professori. Oggi, ovviamente, i nativi “duemila” sono nati già immersi in questo alfabeto di comunicazione e hanno una lucidità, una rapidità e una leggerezza nell’utilizzo superiore a tutti quelli venuti prima. Ma questo fa parte della storia del mondo: tutti quelli che vengono dopo si avvalgono degli strumenti scoperti dai propri genitori o fratelli maggiori per poi reinventarli al meglio. Nel testo di Bottiglie rotte non è contenuto un giudizio. C’è un racconto del presente. Un presente composto da tanti palcoscenici infilati nelle tasche di ognuno di noi e nei nostri telefoni. Abbiamo ormai a disposizione un vero e proprio palcoscenico, per farci vedere da chiunque. C’è chi lo utilizza in maniera più intelligente e chi invece sembra “buttarsi un po’ via”. E anche quello fa parte della naturale andamento del mondo.

 

Fin dagli esordi, la vostra attitudine è stata sempre fortemente innovativa, puntando sui suoni elettronici e sulla cultura delle basse frequenze. Dopo oltre vent’anni di carriera, che sfumature assume oggi il verbo “sperimentare”?

Sperimentare è l’unica forma di comunicazione e di linguaggio che conosciamo. La sperimentazione ci dà la possibilità di continuare a sperare perché nella ricerca si ha comunque la speranza di trovare qualcosa. Quindi, da sempre siamo stati ricercatori e sperimentatori di nuove tecnologie, dallo studio, alla scrittura, all’utilizzo della lingua italiana, per arrivare fino al live. Oggi, per primi, suoniamo su un palco completamente in movimento, mai utilizzato in Italia. Ogni sua parte si muove insieme a noi, lasciando un po’ tutti a bocca aperta. È uno spettacolo molto ambizioso e che, fortunatamente, siamo riusciti a amalgamare insieme alla musica. Quando si costruiscono delle scenografie così ricche, si corre il rischio di nascondere quella che è la parte fondamentale del concerto, la musica. Invece la peculiarità del nostro tour è proprio la capacità di trasportare la musica in uno scenario imponente.

 

Gli spettacoli, infatti, hanno un potente impatto visivo, oltre che sonoro. Le cinque pedane che si muovono sul palco è come se rappresentassero ognuno di voi. Come è cambiato il ruolo di ogni componente della band nel tempo? Come siete “posizionati” oggi?

Oggi siamo posizionati tutti in linea, come avviene nell’ultima parte del concerto. Nella costruzione di questo spettacolo, abbiamo tenuto conto proprio del fatto che i Subsonica sono una vera band: dei caratteri molto forti e la necessità di ognuno di compiere un proprio gesto creativo. Due cose che ci hanno messo sempre un po’ in difficoltà ma che ci hanno sempre dato linfa vitale, tanto da essere uno dei gruppi più longevi con la stessa formazione in Italia. Nel momento in cui vedi il palco, vedi anche questo racconto. Non un solo palco, ma cinque, ognuno con il proprio carattere, con il proprio movimento, con i propri video, le proprie luci e immagini. E i Subsonica sono questo: cinque elementi che potrebbero vivere musicalmente da soli, ma che suonano insieme al di là delle difficoltà e con il desiderio di mediazione. Abbiamo compreso come imbrigliare e canalizzare le nostre personalità, rendendole complementari in una fonte inesauribile di ispirazione.

 

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Sono sempre stata affascinata dal rito della costruzione della setlist. Avete più di un centinaio di brani in repertorio… In che modo li avete scelti per la scaletta?

Diventa sempre più complicato, con otto dischi e con più di un centinaio di canzoni, appunto. Due ore di concerto si sviluppano, più o meno, su una ventina di brani… Quindi sì, è difficile! Poi tra il pubblico c’è chi si affeziona più a un pezzo rispetto a un altro, oltre a quelli esaltati da tutti. Noi, avendo fatto anche i dj e arrivando dal periodo storico in cui i dj erano le rockstar, ci approcciamo alle scalette con questo meccanismo. Un meccanismo legato alla danza e al movimento fisico. Si parte con un’onda inziale, poi una breve pausa, poi una ripresa, poi un’altra piccola pausa e il finale in crescendo. Al concerto dei Subsonica non vai solo ad ascoltare musica o a cantare delle canzoni, vai anche a ballare e vivere fisicamente il live. Ed è proprio il nostro pubblico a richiedere questo.

 

Ospite e compagno di viaggio in tournée è Willie Peyote, con cui avete collaborato per la realizzazione del singolo L’incubo. Come nasce questo featuring?

Le nostre collaborazioni nascono da un incontro umano, prima che musicale. Tra di esse, è rarissimo trovare un contatto dettato da ragioni puramente di marketing o di interesse. Prima abbiamo la necessità di conoscerci e di apprezzarci l’uno con l’altro. Per quanto riguarda Willie, abbiamo assistito al suo percorso e alla sua crescita, essendo anche lui di Torino. Ci sono molti punti in comune, che derivano anche dal fatto che si è un po’ formato con la nostra musica. Ci siamo resi conto che oggi, con Willie, sembrava di rivedere i Subsonica degli inizi. Non tanto per il tipo di musica o per le cose che dice, ma per il tipo di affezione che il pubblico crea attorno a lui. Quell’affezione di riconoscimento non relativo alla gratitudine ma a una questione di identificazione, in lui e nella sua musica. Stesso meccanismo che avevamo vissuto noi, sulla nostra pelle, negli anni Novanta. È nata da lì la curiosità. Ci siamo incontrati, gli abbiamo fatto sentire una canzone che avevo scritto e avevo lasciato fuori dal mio album solista – tra l’altro questa è una notizia inedita (ride) – e lui l’ha riadattata, piacendogli molto, secondo il suo stile musicale. Ha modellato la sua parte e il tutto è stato riarrangiato in stile Subsonica. È venuto spontaneo, finito il suo tour, chiedergli di venire con noi. Nello spettacolo è stato creato uno spazio per lui, dove facciamo L’incubo, a cui segue I cani, un suo brano suonato da noi, e Radioestensioni, una canzone del nostro primo disco. Gli abbiamo chiesto di riscriverne una parte e Willie ha accettato con grande emozione perché quell’album è stato una delle sue più grandi ispirazioni. Tutto quadra, insomma!

 

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Il vostro tour è partito con l’European reeBot 2018, toccando nove città europee per poi approdare in Italia con l’8 Tour. Qual è un aspetto dei concerti all’estero che vi manca quando suonate in Italia e qual è un aspetto dell’Italia che vi manca quando siete all’estero.

All’estero suoniamo in spazi più ridotti, nei club. E i club sono i luoghi in cui noi siamo nati, abbiamo ascoltato la musica e abbiamo costruito la musica che volevamo fare. È il posto in cui vai solamente con gli strumenti e con la tua musica. L’essere innamorati dei club rimarrà sempre nel DNA dei Subsonica. In Italia, invece, riempiamo spazi più ampi con la necessità di costruire un vero e proprio spettacolo. È un altro tipo di attitudine, molto bella anche questa e in cui ci stiamo divertendo, portando in giro uno spettacolo così entusiasmante. È come se diventasse tutto più teatrale, ecco. Ovviamente, in Italia, è tutto più emozionante, per il calore del pubblico… un pubblico esperto, che conosce la musica, che ama la tua musica e che rivolta sul palco una quantità esorbitante di energia. Ecco, siamo fortunati ad avere molti fans che vivono all’estero e che ci permettono di suonare in Europa, facendo esperienza della sua diversità e bellezza. E siamo fortunati a poter tornare in Italia e realizzare uno spettacolo come quello dell’8 Tour.

 

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Per concludere, prendo in prestito una delle canzoni a cui sono più affezionata. In un contesto come quello attuale, che cosa sogna Aurora?

Più si va avanti e più è difficile sognare… Aurora sogna l’abbiamo scritta quando i nostri sogni stavano prendendo forma. Vedevamo che, in qualche modo, ce la stavamo facendo. Il personaggio di Aurora era una figura alla ricerca di una realizzazione, che non si riconosceva nella società e che si sentiva diversa. Sentiva di più e doveva raccontare qualcosa di più. Oggi, la situazione è invariata. Perché quando vivi la tua vita, percependo che il mondo attorno non ti rappresenta e avendo la necessità di costruire un tuo alfabeto, sei un’Aurora.  E Aurora oggi racconterebbe qualcosa di diverso, sicuramente… Ma la matrice e il meccanismo che fa diventare una persona qualunque un’Aurora è il non aderire a quello che si ha intorno e pensare che, forse, c’è qualcosa in più da scoprire.

 

Testo di Laura Faccenda

Foto di Luca Ortolani

Foto di copertina di Chiara Mirelli

 

Trail Of Dead @ Covo_Club

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• …And You Will Know Us By The Trail Of Dead •

 

+ Oaks For Rent

 

Covo Club (Bologna) // 23 Febbraio 2019

 

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Grazie ad Hub Music Factory

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Foto: Carlo Vergani

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Oaks For Rent

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Buckcherry @ Rock Planet

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• Buckcherry •

 

 +

Adelitas Way

KLOGR

 

Rock Planet Club (Pinarella di Cervia) // 23 Febbraio 2019

 

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SETLIST:

 

HLAH

IT’S A PARTY

SOMEBODY F’D W ME

ROSE

LIT UP

SAY FUCK IT

BACKDOWN

EVERYTHING

2 DRUNK

SORRY

BENT

GLUTTONY

CRAZY BITCH

***OUT OF LINE***

***RIDIN***

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Grazie ad Hub Music Factory[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text] 

Foto: Mattia Celli

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Adelitas Way

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KLOGR

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Telekinesis “Effluxion” (Merge Records, 2019)

Dieci anni fa, nel 2009, un giovanotto di nome Michael Benjamin Lerner pubblicava un album intitolato Telekinesis! sotto lo pseudonimo, appunto, di Telekinesis. Era un album fresco, un indie pop interessante, fortemente influenzato dalle sonorità di quei Death Cab for Cutie di cui il suo mentore, amico e produttore Chris Walla faceva parte, ma che lasciava intravedere un potenziale notevole.

Dieci anni e altri tre album dopo, arriva Effluxion, quinta prova in studio della one man band Telekinesis, in cui Michael Lerner suona, balla e canta di tutto e di più, dalla sua amata batteria al trombone ai campanacci da mucca.

In questi anni abbiamo avuto il piacere di seguire l’evoluzione di questo talentuoso ragazzo dai modi gentili e l’abbiamo visto passare dagli esordi indie rock all’esplorazione e ricerca in uno spazio fatto di synth come nel penultimo lavoro Ad Infinitum del 2015. Con Effluxion invece, ritroviamo quelle sonorità pop familiari, riff di chitarra confortevoli, che suonano inequivocabilmente Telekinesis senza però risultare ripetitive.

 

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Telekinesis @ Sonic Boom Records – Seattle, WA (2011)

 

La prima metà dell’album ha dei rimandi fortemente beatlesiani: nella cadenza della traccia di apertura Effluxion così come nella ritmica di Like Nothing ritroviamo degli elementi di pop molto classico, ma emergono anche una maturità ed una pacatezza compositiva che rendono l’ascolto facile e contemporaneamente intrigante.

Queste sonorità piacevolmente senza tempo persistono in Running Like a River fino ad arrivare a Set a Course. Qui, a metà canzone, l’album ha una svolta: Michael sembra ricordarsi di essere anche e soprattutto un batterista ed ecco che potente e preciso arriva a mettere il suo marchio di fabbrica al resto dell’album, portandolo in quel territorio di power pop ed indie rock che rendono i suoi lavori così accattivanti.

Da How Did I Get Rid of Sunlight? fino a A Place in the Sun non potrete fare a meno di sbattere un piede o muovere la testa per tenere il ritmo: batteria e chitarra entrano nelle orecchie e vanno a stimolare il nostro sistema nervoso provocando questa reazione tanto involontaria quanto liberatoria e spensierata.

Out for Blood chiude l’album con un ulteriore cambio di atmosfera rispetto alle tracce che l’hanno preceduta, con le tastiere a scandire il ritmo e a dare una sferzata di ossessività che si sposa alla perfezione con l’urgenza del testo.

Effluxion si esaurisce in 31 minuti di piacere per le orecchie e di svago per la mente, avvincente nei suoi cambi di ritmo e così compatto da non poter fare a meno di ascoltarlo un’altra volta ancora.

 

Telekinesis

Effluxion

Merge Records, 2019

 

Testo e foto: Francesca Garattoni