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Mese: Febbraio 2019

Bring Me The Horizon “Amo” (RCA Records, 2019)

Quando pensiamo ai Bring Me The Horizon la prima cosa che viene in mente è un camaleonte. Si tratta di una band in grado di stupire e di cambiare per stare al passo con i tempi e non soccombere in un mondo, come quello della musica, in continua evoluzione.

La band dei cinque di Sheffield, formatasi nel 2004, ha iniziato la propria carriera influenzata dalle tendenze grindcore ed emo tipiche del periodo, successivamente sono passati al nu metal per poi approdare, con gli ultimi album, ad un alternative rock e ad un metal influenzato dal pop.

Ma nel 2019 hanno deciso di stupire tutti. Il 25 gennaio è uscito Amo il loro sesto album, un lavoro di difficile catalogazione perché al suo interno troviamo generi completamente diversi.

Nei suoi testi la band continua a trattare le tematiche che le stanno più a cuore come l’isolamento, la depressione e il nichilismo: tutte problematiche che caratterizzano la società moderna ma lo fa in un modo completamente nuovo.

Ascoltando le tredici tracce che compongono Amo ci ritroviamo quasi spiazzati dai continui cambi di genere.

Il singolo che ha anticipato l’uscita dell’album è stato Mantra, una delle canzoni più hard rock del disco.

Mantra è una parola, o una frase, che secondo le filosofie orientali è in grado di migliorare la condizione dell’uomo, ma la canzone in realtà è una riflessione sull’amore e sulla religione, sul darsi completamente e sul fidarsi incondizionatamente di qualcuno.

La traccia seguente Nihilist Blues non ha nulla a che fare con il rock: è un pezzo puramente elettronico che però strizza l’occhio alla dance anni ’90.

Ma i Bring Me The Horizon non si sono fermati qui. Abbiamo il nu metal di Wonderful Life, l’alternative rock con un pizzico di blues di In The Dark, le influenze tecno di Ouch, qualcosa di punk in Sugar Honey Ice & Tea. In un album così sperimentale non poteva mancare una traccia influenzata dal genere più in voga in questo momento: la trap. Ebbene si i BMTH si sono lanciati anche in questo filone con Why You Gotta Kick Me When I’m Down? e il risultato è sorprendente. Rap, trap e rock si fondono in questa canzone che è una critica a tutti quelli che desiderano solo il peggio per gli altri.

Nella canzone Heavy Metal, a cui ha preso parte anche il beatboxer Rahzel, i Bring Me The Horizon rispondono in anticipo alle critiche che colpiranno l’album proprio a causa del loro cambio di genere: ma questo a loro non importa.

Ascoltando questo album ci saranno sicuramente due scuole di pensiero: da una parte ci saranno i difensori dei BMTH che sosterranno che con Amo hanno raggiunto una maturità artistica che permette loro di spaziare da un genere all’altro. Dall’altra parte della barricata invece troveremo gli haters che li accuseranno di essersi venduti per cavalcare la moda del momento.

Ma non basta avere dei bei vestiti per essere alla moda… bisogna anche saperli portare e ascoltando Amo ci siamo resi conto che i BMTH sono riusciti a sentirsi a loro agio con tutti i generi e gli stili con cui hanno deciso di sperimentare.

 

Bring Me The Horizon

Amo

RCA Records, 2019

 

Laura Losi

While She Sleeps @ Zona Roveri

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• While She Sleeps •

 

S O  W H A T ?
EU ALBUM RELEASE TOUR

+

Stray From The Path

Trash Boat

LANDMVRKS

 

Zona Roveri (Bologna) // 17 Febbraio 2019

 

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Grazie a Hellfire Booking Agency[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Foto: Luca Ortolani

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1503314301745{padding-top: 10px !important;padding-bottom: 11px !important;}”][vc_column][edgtf_image_gallery type=”masonry” enable_image_shadow=”no” image_behavior=”lightbox” number_of_columns=”three” space_between_items=”tiny” image_size=”full” images=”11532,11530,11531,11521,11526,11528,11518,11529,11522,11519,11523,11520,11516,11527,11515,11524,11517,11525″][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]

 

Stray From The Path

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Trash Boat

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Landmvrks

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Nomadi @ Teatro Tenda

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• Nomadi •

 

NomadIncontro – 2° Premio Augusto Daolio

 

Teatro Tenda – Novellara (Re) // 16 Febbraio 2019

 

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Era il 2007. Avevo 16 anni quando mi facevo accompagnare dai miei genitori, armato di una delle prime compattine, al mio primissimo concerto.

Quel concerto era dei Nomadi ed è inutile che vi dica qual è stato il risultato di quelle fotografie.

Nonostante abbia assistito ad un’altra decina di live del gruppo, per vari motivi, non sono mai riuscito ad essere presente al Nomadincontro di Novellara.

Questo evento che si svolge tutti gli anni nel paese di Augusto Daolio, a ridosso del giorno del suo compleanno, rappresenta il momento più significativo in cui ricordare l’indimenticato cantante.

Ad aprire la giornata sono quattro artisti emergenti: Marco Sorana, Gianpaolo Scaiano, Vincenzo Greco e Sabrina Dolci. Tutti propongono un paio di brani a testa e vengono applauditi rumorosamente dal pubblico; d’altronde il Popolo Nomade è una grande famiglia e fa sentire tutti a casa.

Subito dopo è il turno di Pierdavide Carone con i Dear Jack che pescano carte da entrambi i repertori fino ad arrivare alla canzone Caramelle, esclusa dall’ultimo Festival di Sanremo.

Prima dei Nomadi c’è spazio per la solidarietà, tema da sempre caro al gruppo.
Vengono assegnate due borse di studio per la ricerca dall’associazione Augusto Per La Vita, fondata da Rosanna Fantuzzi, compagna di Daolio.

Poco dopo le 16.00 comincia il concerto.

È la prima volta che sento dal vivo Yuri Cilloni, da due anni nuovo cantante della band, e rimango piacevolmente stupito.

La sua voce si alterna a quella più rock e graffiante di Massimo Vecchi per ripercorrere 56 anni di storia nomade.

Dopo qualche canzone ecco un’inaspettata interruzione: Valerio Staffelli sale sul palco. In tutto questo tempo non ha mai trovato un motivo per dare il Tapiro d’Oro a Beppe Carletti, quindi decide di assegnarli il famigerato premio per la carriera.

Lo show può riprendere. Si canta e ci si emoziona soprattutto quando arriva il momento de Il Vecchio e il Bambino seguito da Auschwitz.

Un pubblico multigenerazionale quello di questa serata, con nonni e nipoti che durante il ritornello di Io Voglio Vivere si fa influenzare dall’aria carnevalesca e riempie il cielo del tendone lanciando coriandoli. Il colpo d’occhio è bellissimo.

Come di consueto prima della chiusura del concerto con l’intramontabile Io Vagabondo, vengono letti tutti gli striscioni lasciati sul palco dai numerosi fan club.

Quello che funziona per un gruppo così longevo forse più delle loro canzoni, che restano sempre attuali, è il fatto che sul palco riescano ancora a divertirsi come all’inzio.

Sempre Nomadi

 

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Testo e Foto: Mirko Fava

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1503314301745{padding-top: 10px !important;padding-bottom: 11px !important;}”][vc_column][edgtf_image_gallery type=”masonry” enable_image_shadow=”no” image_behavior=”lightbox” number_of_columns=”three” space_between_items=”tiny” image_size=”full” images=”11556,11557,11558,11559,11560,11561,11562,11563,11564,11565,11566,11567,11568,11569,11570″][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]

Pierdavide Carone & Dear Jack

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Sabrina Dolci

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Vincenzo Greco

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Gianpaolo Scaiano

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Marco Sorana

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1503314301745{padding-top: 10px !important;padding-bottom: 11px !important;}”][vc_column][edgtf_image_gallery type=”masonry” enable_image_shadow=”no” image_behavior=”lightbox” number_of_columns=”three” space_between_items=”tiny” image_size=”full” images=”11535,11537,11536″][/vc_column][/vc_row]

P.O.D. @ Rock Planet

[vc_row][vc_column][vc_column_text]

• P.O.D. •

 

 +

Alien Ant Farm

’68

 

Rock Planet Club (Pinarella di Cervia) // 16 Febbraio 2019

 

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Finalmente sabato sera rimetto piede dopo un’infinità di tempo al Rock Planet Club di Pinarella di Cervia, forse l’ultimo vero rock club nei dintorni di Rimini, dove si possano godere ancora live performance alla vecchi maniera e ascoltare dj set che non propongano le solite scalette commerciali.

Il locale è già animato al mio arrivo e le pareti trasudano calore e umidità. La transenna è già occupata e il primo dei tre gruppi di stasera sta per iniziare la propria performance: parlo dei ’68.

Sconosciuti o quasi alla maggior parte dei presenti, ma pronti a entusiasmare e diventare, da stasera, già il gruppo preferito di molti, entrano Josh Scogin, ex leader dei Chariot (chitarra e voce) e Nikko Tamada (batteria) a presentare i brani del loro ultimo disco uscito nel 2017, “Two Parts Viper”. Si sono formati solo 6 anni fa, ma sembrano affiatati come se cavalcassero palchi insieme da una vita.

Josh ha una carica ed un carisma trascinanti e si muove come una molla sullo stretto palco del Rock Planet. Dalla chitarra escono suoni invertebrati, tutto senza scaletta, come gli viene; gli basta fissare Nikko negli occhi e via, sputano fuori un pezzo dopo l’altro in una performance di punk rock coi fiocchi: diretta, incessamte, dannatamente convincente.

Dopo un noise rock del genere, la scaletta degli Alien Ant Farm ci sembra quasi muscia chill out.

L’alternative rock di Dryden Mitchell (voce) deve sicuramente la sua fama al brano che li rese famosi, nonché cover del grande Michael Jackson, Smooth Criminal, che lasciano come “dulcis in fundo”; prima scaldano il pubblico con These Days e Movies, due brani ascoltati in radio ben 16 anni fa, ma che sono talmente orecchiabili che non possono che farci passare al meglio il tempo in attesa degli scatenatissimi P.O.D..

Comincia ad essere tardi e Sonny Sandoval (voce) sale sul palco alle 23.45 e saluta a mani giunte il suo amato pubblico. Anzi, la sua “familia”, così ci chiamerà per tutto il resto della serata.

E cosi noi ci siamo sentiti per tutto il tempo durante questo caldo, caldissimo concerto. Non solo per la temperatura che fa colare di sudore noi e loro, ma in primis per la sensazione di essere davvero una famiglia riunita dopo così tanto tempo.

Si perchè i P.O.D. hanno cavalcato il loro successo a cavallo degli anni 2000 e ci hanno fatto pogare  sedicenni con le loro BOOM e Rock the party, che stasera ci sparano fuori per prime.

Anche se hanno cambiato batterista e forse abbandonato il vecchio caro nu-metal per un rock un po’ meno aggressivo, Sonny , Marcos Curiel (chitarra) e Traa Daniels (basso) stasera ci dimostrano che non sono cambiati di una virgola: Sonny è una bomba umana che salta, si dimena col microfono in mano e non perde occasione per saltare dal palco fin dentro la folla.

A metà concerto anche io entro nella mischia e dopo un paio di pezzi mi ritrovo abbracciata a Sonny a urlare il testo di Murderer love insieme a lui. Beh… che dire: posso chiudere qui il racconto, perché chi come me ama il rock, non solo ascoltandolo in piedi appoggiato al muro, ma sudando dentro il pogo e preferisce arrivare casa con la gola in fiamme e le ossa tutte rotte, non può desiderare nulla di meglio di un live così.

 

Valentina Bellini

SETLIST:

Boom

Rock the Party (Off the Hook)

Will You

Panic Attack

Rockin’ With the Best

Soundboy Killa

Always Southern California

Circles

Satellite

Southtown

Murdered Love

Youth of the Nation

Beautiful

Alive

Listening for the Silence

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Grazie ad Hub Music Factory[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text] 

Foto: Valentina Bellini

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Alien Ant Farm

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1503314301745{padding-top: 10px !important;padding-bottom: 11px !important;}”][vc_column][edgtf_image_gallery type=”masonry” enable_image_shadow=”no” image_behavior=”lightbox” number_of_columns=”three” space_between_items=”tiny” image_size=”full” images=”11592,11593,11594,11595,11596,11597,11598,11599,11600″][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text] 

’68

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1503314301745{padding-top: 10px !important;padding-bottom: 11px !important;}”][vc_column][edgtf_image_gallery type=”masonry” enable_image_shadow=”no” image_behavior=”lightbox” number_of_columns=”three” space_between_items=”tiny” image_size=”full” images=”11605,11609,11602,11603,11601,11604,11606,11607,11608,11610″][/vc_column][/vc_row]

Le Butcherettes “bi/MENTAL” (Rise Records, 2019)

 

Le Butcherettes sono un gruppo punk rock al femminile fondato nel 2007 da Teri Gender Bender.

Il gruppo, originario del Messico, non sente tanto le influenze centroamericane ma bensì quelle del vicino Texas, attirando agli esordi l’attenzione di Omar Rodriguez-Lopez degli At The Drive In con un garage punk elettrizzante.

A distanza di quattro anni dall’ultimo A Raw Youth, Le Butcherettes tornano con un nuovo disco dal titolo bi/MENTAL. Prodotto per la prima volta senza Omar Rodriguez-Lopez a cui hanno preferito Jerry Harrison (Violent Femmes, Crash Test Dummies, Live, No Doubts), la band abbandona ulteriormente i suoni punk in favore di atmosfere più noisy.

La canzone di apertura Spider/WAVES si arricchisce nei cori della voce di Jello Biafra dei Dead Kennedys; nel disco partecipano anche la cantante e attrice cilena Mon Laferte e la punk rocker Alice Bag.

Le canzoni di Teri Gender Bender prendono l’ascoltatore e non lo lasciano più come succede con il brano Strong/ENOUGH, con il suo mix perfetto di pop e soul.

struggle/STRUGGLE è uno di quei brani che dimostra come la band sia cresciuta negli anni, da un classico e rude garage rock ad un rock più maturo e moderno, sperimentando anche con nuove sonorità come in Little/MOUSE.

Concettualmente, l’album può essere interpretato uno sfogo personale della cantante riguardo al difficile rapporto con la madre affetta da bipolarismo: l’esternazione di sentimenti a lungo repressi si sente in brani come in/THE END, che sottolinea come un difficile rapporto madre/figlia possa arrivare anche al punto di nascondersi dalla persona che ti ha donato la vita.

Mother/HOLDS è forse il momento più alto del disco, ma anche il più triste, con le urla strazianti della cantante che esprimono la sofferenza che l’ha accompagnata in tutti questi anni.

Nel brano /BREATH, chiusura del disco, si è così confusi dal bipolarismo di sentimenti che caratterizza l’intero album che si accarezza persino l’idea di liberarsi della propria esistenza seppellendosi nel mare.

Teri Gender Bender però è un animo battagliero, come si può vedere anche dalla copertina del disco: con questi tredici brani di bi/MENTAL non si arrende, lotta e ad ogni ascolto dell’album sconfigge i propri demoni. E noi con lei.

 

Le Butcherettes

bi/MENTAL

Rise Records, 2019

 

Carlo Vergani

Riccardo Sinigallia @ Rework Club

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• Riccardo Sinigallia •

 

 C I A O  C U O R E  T O U R

 

Rework Club (Perugia) // 15 Febbraio 2019

 

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Quella appena trascorsa, oltre ad essere la seconda settimana di febbraio, è stata, con molta probabilità, anche la seconda settimana più impegnativa degli ultimi anni.

Per qualche congiunzione astrale o strana energia, ho percepito tutto in modo amplificato: impegni quotidiani, emozioni ritrovate, riflessioni costanti sull’esistenza. E tanta stanchezza, compresa.

<< Quindi tu stasera prendi la macchina e vai da sola a Perugia? >> – mi ha detto, sorpresa, la mia collega, venerdì, prima che mi lasciassi la porta dell’ufficio alle spalle, accennando un con la testa. Perché ci sono strade che senti il bisogno di percorrere. Luoghi in cui devi essere. Concerti a cui desideri fortemente partecipare, nonostante tutto, nonostante tutti.

Il luogo in questione è il Rework Club di Perugia, dove sono entrata tanto presto da vederlo riempire, persona dopo persona, da tutto il pubblico arrivato per la penultima data del Ciao Cuore Tour di Riccardo Sinigallia.

Un pubblico con delle caratteristiche precise, quello dell’artista romano: pacato, discreto, educato, attento. Degli ascoltatori che, sicuramente, conoscono non solo il suo profilo di cantante ma anche quello di autore, arrangiatore, compositore, produttore.

Chi lo segue, sa che cosa significano i nomi Tiromancino, Max Gazzè, Niccolò Fabi, ma sa anche meglio, e a memoria, le canzoni dei suoi quattro album, la connessione con i suoi videoclip, le collaborazioni in ambito cinematografico.

Chi lo ama, sa che Riccardo Sinigallia porta tutto ciò sul palco, quando sale con lo sguardo timido, il sorriso emozionato e le mani giunte, sulle note dell’intro di So delle cose che so, brano con cui si apre l’ultimo lavoro in studio.

Accanto a lui, Laura Arzilli, sua moglie, al basso (in complementarietà anche cromatica, nel colore della maglia di lei e delle tinte verde acqua della chitarra del marito), Francesco Valente alle cinque corde, Andrea Pesce alle testiere e Ivo Parlati alla batteria.

Dietro di lui, una scenografia in continua evoluzione: proiettate sugli schermi, lancette VU METER, dapprima analogiche, poi digitali, vibrano ai colpi di suoni concreti, fisici, naturali e meno elettronici di quanto si potesse immaginare.

Protagonista è il cuore che prende la forma dell’organo anatomico, pulsante in ogni arteria, per sciogliersi nei contorni colorati del disegno stilizzato, universalmente riconosciuto.

È cantato, celebrato all’unisono nella titletrack e in A cuor leggero, preceduto da una clip estratta dal film Non essere cattivo, di Claudio Caligari, di cui è la colonna sonora.

Luci soffuse illuminano, uno dopo l’altro, i personaggi raccontati nei brani. Coloro che non emergono e a cui Sinigallia confessa di essere così legato. Appare il Backliner, “comunuque fuori moda, mentre un’altra notte vola”. Le donne di destra, che si rintanano nei bagni e nella loro tristezza, “quando non escono la sera”.

C’è anche Dudù, con la sua pelle scura e l’amore per il ballo. Lo stesso amore per la danza che porta in scena la figlia di Riccardo, la bambina ritratta sulla copertina di Ciao cuore, con un balletto scatenato che termina con un passo a due assieme al padre.

Frangenti dinamici, nei quali l’artista si lascia andare trasportato dal calore del pubblico, si alternano a momenti di raccolta intensità: Se potessi incontrarti ancora, Niente mi fai come mi fai tu e Amici nel tempo sono eseguite al pianoforte, con un accompagnamento ridotto all’essenziale e la forza delle parole a riempire gli spazi e i silenzi.

Passato e presente del cantautore convergono, poi, un un attimo, o meglio ne La descrizione di un attimo, le cui note giungono come una rivincita, come una sorpresa, come un regalo per tutti noi.

Alla presentazione della band, seguono frasi di profondo riconoscimento per chi, negli anni, ha continuato a seguirlo, ad ascoltarlo, a rispecchiarsi nella sua musica e a capire la sua attitudine, così vera, di colui che suona a testa in giù.

Perché di Riccardo Sinigallia, oltre che l’indiscusso e confermato talento, è impossibile non apprezzare l’umiltà, l’umanità. La capacità di esprimere l’arte delle emozioni, la possibilità di cadere, rialzarsi e ricominciare.

Per Una rigenerazione, “scoprendo dentro al palmo della mano, un’altra immagine del nostro cuore”.

 

Grazie a 1Day[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Testo: Laura Faccenda

Foto: Simone Asciutti

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1503314301745{padding-top: 10px !important;padding-bottom: 11px !important;}”][vc_column][edgtf_image_gallery type=”masonry” enable_image_shadow=”no” image_behavior=”lightbox” number_of_columns=”three” space_between_items=”tiny” image_size=”full” images=”11455,11467,11465,11472,11456,11466,11457,11458,11471,11462,11470,11463,11461,11464,11468,11469,11460,11473″][/vc_column][/vc_row]

Sister Act – Il musical divino. Una storia d’amicizia

Prima dello spettacolo (qui di seguito il report di questa bellissima esperienza) ho avuto il piacere di incontrare Annalisa Missieri, il presidente della compagnia.

Abbiamo preso posto sui divanetti del teatro e abbiamo fatto quattro chiacchiere per capire come  è nata la compagnia e come mai hanno scelto proprio Sister Act per festeggiare i loro 10 anni di attività.

Questa compagnia si auto produce ( ha pochissime sponsorizzazioni) e tutto quello che vediamo sul palco è frutto del duro impegno e della passione di chi ha deciso di credere in questo progetto iniziato nel lontano 2008…

 

Il 2018 è stato un anno molto importante perché avete festeggiato il vostro decimo compleanno. Com’è nata questa compagnia?

Siamo nati nel 2008 in una parrocchia piacentina (quella del quartiere Besurica), però fin da subito abbiamo voluto progredire e quindi ci siamo costituiti come compagnia e associazione. Abbiamo cominciato a formarci, a studiare e a uscire dall’anonimato. E quindi a fare musical ispirati ai musical di Broadway.

 

Siete una compagnia molto variegata vero?

Siamo in 54 di varia età, abbiamo due minorenni e poi arriviamo fino ai sessantenni. C’è un nucleo storico, quello di 10 anni fa. Anche quello però era stato costituito tramite provini e poi man mano, quando c’è una nuova produzione facciamo delle nuove selezioni per ricercare gli interpreti. C’è anche chi chiede di entrare senza avere particolari velleità artistiche che però vuole dare una mano per gli aspetti tecnici. Queste persone quindi non fanno i provini ma si mettono a disposizione per il dietro le quinte che è importante come quello che si vede in scena.

 

Siete passati da Legally Blonde a Sister Act. Qual è stato il motivo di questa scelta?

Si tratta di un musical ispirato al famosissimo film del ’92 che piaceva un po’ a tutti. Il nostro regista, Mario Caldini, lo voleva da tempo ma non c’erano i diritti e quindi abbiamo dovuto aspettare che si liberassero. Non appena si è presentata l’occasione ci siamo buttati e abbiamo colto questa opportunità perché è una storia bellissima e coinvolgente. A noi piacciono i musical corali perché siamo in tantissimi, in prevalenza siamo donne, e questa era l’opera che andava bene per noi.

 

A quale versione del musical fate riferimento?

Noi utilizziamo una  traduzione italiana ovviamente. Il nostro regista ha scelto la versione del 2011 di Broadway perché ha all’interno anche dei brani che non erano presenti nelle versioni successive e quindi era un po’ più completo rispetto alle altre versioni.

Abbiamo una band dal vivo che deve tradurre i brani orchestrali in brani fattibili per una band. E’ più di un anno che lavoriamo a questo progetto. Facciamo prove settimanali, a volte anche due volte a settimana. Prima proviamo separati: ballerini, cantanti, band. Poi da un certo punto iniziamo a provare tutti insieme assemblando i vari pezzi. E da li iniziamo a vedere emergere lo spettacolo.

 

Avete ottenuto un grande successo e infatti avete dovuto raddoppiare le date…

Eravamo partiti con due date pensando che fossero sufficienti. Noi abbiamo due cast e in questo modo avremmo dato la possibilità ad entrambi di esibirsi. Poi la domanda è stata talmente alta che abbiamo aggiunto la terza data e da pochissimo la quarta, che sta andando via velocemente.

Grazie ad Annalisa Missieri e alla compagnia I Viaggiattori per la disponibilità.

Saluto tutti ed entro in platea pronta a vedere il mio primo musical. Felice nel vedere che chi crede nell’arte e nel teatro riesca ad avere la possibilità, grazie all’impegno e al duro lavoro, di avere la soddisfazione di recitare in un’arena senza neanche un posto vuoto.

 

E’ un sabato sera di febbraio quello che è generalmente considerato il mese più triste dell’anno, ma nonostante questo a Piacenza c’è una strana agitazione e i parcheggi sono più pieni del solito.

Questo è merito della compagnia made in Piacenza I Viaggiattori, che ha deciso di mettere in scena il musical Sister Act, con la regia di Dario Caldini.

Dopo il successo ottenuto a Salsomaggiore Terme e le due date sold out al Teatro Nuovo di Milano la compagnia ha deciso di tornare a giocare in casa e di replicare lo spettacolo con quattro date al Politeama (inizialmente erano solo due ma, visto il successo ottenuto, hanno deciso raddoppiarle).

Prendo posto in platea, con l’agitazione che mi accompagna ogni volta che provo una nuova esperienza. Nonostante io ami i musical non ho mai avuto occasione di vederne uno dal vivo e quindi non so bene cosa aspettarmi.

Qualche minuto dopo le ventuno, le luci si abbassano e una voce ci annuncia che lo spettacolo sta per iniziare.

Veniamo trasportati in un locale di Philadelphia dove una cantante di colore Deloris Van Cartier, sta per esibirsi. Capiamo fin da subito con chi abbiamo a che fare, una donna ambiziosa che vuole essere come Donna Summer: il suo sogno è infatti quello di esibirsi con un vestito bianco di palette e una pelliccia candida.

 

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Passa solo qualche minuto e apprendiamo la prima lezione di vita che questo musical ci vuole insegnare: le cose non vanno sempre come vogliamo noi.

La donna infatti assiste per sbaglio ad un omicidio commesso dal suo amante e quindi è costretta a chiedere aiuto alla polizia per nascondersi.

Eddie Umidino, il poliziotto che si occupa del suo caso, conoscendo bene la donna decide di portarla nell’unico posto in cui i sicari non andrebbero mai a cercarla: un convento.

 

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Ed è qui che inizia il bello. Facciamo conoscenza con le suore che vivono nel monastero, la madre superiora, che non vede di buon occhio l’arrivo della cantante, Suor Maria Roberta giovane novizia che non ha ancora capito quale sarà la sua strada, Suor Maria Patrizia l’ottimista e Suor Maria Lazzara la burbera amante del rap.

Ed è qui che l’esplosiva Deloris Van Cartier diventa la bomba Suor Maria Claretta riuscendo ad entrare fin da subito nel cuore di tutte le altre sorelle.

L’abito monacale non basta a nascondere l’essenza della protagonista che aiuterà le altre suore a capire chi sono davvero e lo farà attraverso la musica.

Quando le monache iniziano a proporre le loro messe rock il pubblico impazzisce, gli applausi spesso partono prima che le canzoni finiscano. Tutti sono conquistati dalla bravura degli attori sul palco ma soprattutto dalla timbrica  delle “suore”.

 

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Gloria Enchill, che interpreta Deloris, ha una voce calda e potente in grado di catturare l’attenzione dello spettatore fin dalle prime note. E quando verso la fine dello spettacolo la timida Maria Roberta, impersonata da Elisa Del Corso, canta il suo assolo, quello in cui acquista la consapevolezza di chi vuole davvero essere nella vita, il pubblico impazzisce scatenando un fragoroso applauso mentre Elisa sta ancora cantando.

Le scenografie sono semplici, facili da cambiare per permettere in modo agile i repentini cambi di scena e di abito. Ma funzionano alla grande perché non tolgono spazio ai veri protagonisti di questo show benedetto da Dio: gli attori ma sopratutto la musica (rigorosamente dal vivo visto che dietro le quinte c’è una band).

E’ lei la vera protagonista di questo spettacolo, una musica che prende il cuore e ti scalda l’anima.

 

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Ognuno in questo spettacolo capirà qual è il suo posto nel mondo proprio grazie alle canzoni. Si tratta di una storia sull’accettazione, l’inclusione ma sopratutto l’amicizia, una storia vecchia ma tuttavia senza tempo, capace di unire generazioni. Deloris, trova le sue sorelle, capisce che avere qualcuno accanto è più importante della fama se non hai nessuno con cui condividerla, anche se alla fine coronerà il suo sogno di essere come Donna Summer.

Suon Maria Roberta troverà la sua voce e avrà il coraggio di dire finalmente no, di lottare per le sue idee e questo grazie a un paio di trasgressivi stivali di vernice rossa che simboleggiano il suo legame con Deloris.

Persino la Madre Superiora, le cui canzoni sono quelle più lente di tutto lo spettacolo, alla fine si ammorbidirà e accetterà i cambiamenti che Suor Maria Claretta ha introdotto nel convento, prendendo parte all’ultima canzone che è una celebrazione dell’amore e dell’amicizia.

 

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Quando le luci si sono alzate al termine dello spettacolo mi sono guardata un po’ intorno e mi sono accorta che il pubblico era estremamente variegato: bambini, ragazzi, anziani, gente distinta e chi era pronto per andare a ballare.

Questo è il potere della musica, del teatro e dell’arte: unire tutti. Perché quando le luci si spengono e ognuno è seduto al proprio posto siamo tutti uguali, non ci sono differenze, perché tutti siamo rapiti dalla magia di quello che accade sul palco.

E mentre tornavo alla macchina, parcheggiata lontanissimo dal teatro, mi sentivo più leggera e più felice e, stranamente, sentivo anche meno freddo del solito mentre canticchiavo a bassa voce fammi volare. 

 

Laura Losi

Tra rap e letteratura: Tenebra è la notte di Murubutu

Tenebra è la notte: ed altri racconti di buio e crepuscoli è il nuovo concept album di Murubutu.

Il titolo, che strizza l’occhio al capolavoro di Francis Ford Fitzgerald Tenera è la notte, ci fa capire in modo chiaro sia qual è il filo conduttore del cd che qual è la caratteristica principale di questo rapper intellettuale.

Murubutu è una mosca bianca nel panorama musicale internazionale e ci propone un nuovo modo di fare musica rap.

Dimenticatevi di quegli artisti arrabbiati che a suon di parolacce criticano la società. Ci troviamo di fronte ad un uomo che trae spunto per le sue canzoni dalla letteratura e dalla filosofia.

Tutti i brani che ci troviamo ad ascoltare nella sua nuova fatica sono un omaggio ai grandi narratori e pensatori del passato.

Il tema principale è la notte. E’ lei la regina dell’opera: quando il sole cede il passo alla luna il mondo cambia faccia. Le persone, la natura e le sensazioni mutano e tutto assume una nuova prospettiva.

E’ di notte che tutti diventiamo più fragili e ci lasciamo andare a considerazioni più profonde, è con il buio che mettiamo a nudo la nostra anima e affidiamo alla luna e alle stelle i nostri pensieri.

Murubutu, insegnante di filosofia e storia, è l’inventore di un nuovo genere musicale: il rap didattico. In un’epoca, come quella in cui viviamo, in cui sembra che la cultura e la musica, quella in grado di dire cose importanti, siano destinate a soccombere Murubutu è un faro nella notte.

Kafka, Dostoevskij e Wordsworth non solo incontrano il rap ma anche la mitologia greca e il cinema. Il rap di Murubutu non è una polemica asettica alla società ma arriva a toccare corde più profonde, più alte e va a fondersi con i testi che hanno fatto la storia della letteratura mondiale.

E’ una dimostrazione chiara di come la musica possa diventare uno strumento di crescita culturale in grado di rendere la letteratura accessibile a tutti.

Ogni canzone è una racconto (una storia d’amore, una riflessione sulla guerra, una lotta interiore) e ogni “favola” ci parla andando a toccare le corde giuste, quelle in grado di farci riflettere.

Murubuntu in questa sua missione non è da solo. Accanto a lui sono scese in campo alcune delle voci più riconoscibili e famose del panorama italiano come Caparezza, Willie Peyote, Dj West e Mezzosangue.

Musicalmente parlando si tratta di un rap impreziosito dall’incontro con altri generi musicali come il pop e persino il blues. Suoni caldi che si sposano alla perfezione con i testi che rimangono però sempre in primo piano.

Si tratta di uno storytebler incredibile. Wordsworth, la canzone a cui ha preso parte Caparezza, è un esempio emblematico di quante citazioni e di quante cose si possano dire in poco meno di 5 minuti.

Il beat martellante ti entra in testa e le voci dei cantanti ci guidano attraverso le sensazioni che il poeta prova osservando la luna, sentendosi piccolo, mentre vengono chiamati in giudizio altri personaggi come Vitruvio, Friedrich, Schelling, Artemide e Anubi.

Murubutu è un’artista che tutti, almeno una volta, dovrebbero ascoltare. Anche chi, come la sottoscritta, non ama il rap ne rimarrà stregato e si perderà nella profondità dei sui rap-conti.

L’album uscirà il primo febbraio e credetemi vale la pena ascoltarlo…magari quando cala la notte per godere appieno delle suggestioni che quei 16 pezzi vi regaleranno.

 

Tracklist

01. Nyx – Introduzione
02. Buio
03. La vita dopo la notte
04. L’uomo senza sonno
05. La stella e il marinaio
06. Wordsworth
07. La notte di San Lorenzo
08. Le notti bianche
09. Ancora buonanotte
10. Occhiali da luna
11. La notte di San Bartolomeo
12. Franz e Milena
13. Omega Man
14. Tenebra è la notte
15. Nyx – Conclusione

 

Laura Losi

Una Giornata con Imuri

Poco più di un mese fa, la riproduzione casuale di Spotify, mi propone una canzone, il titolo è: Duecento sigarette de IMURI ed è subito colpo di fulmine, un po’ come funziona con le persone. Ecco, a me funziona così con la musica ed è successo così con questa giovane band abruzzese composta da quattro ragazzi, che in un pomeriggio di inizio inverno hanno catturato la mia attenzione.

Dopo un po’ di ricerche, scopro che sta per uscire il loro album Chat Hotel per Garrincha dischi / Manita dischi, un disco che sin dalla sua data d’uscita (21 dicembre) non ha mai smesso di accompagnare le mie giornate. Imuri hanno un sapore diverso, innovativo sia nei suoni che nei testi, perché in loro c’è dell’estro, del non sentito e risentito, di capitoli di vita trasformati in testi capaci di farti andare a fondo.

Imuri vanno oltre “i muri”, le convinzioni e i limiti e non possono essere ascoltati in maniera superficiale perché di superficiale non hanno nulla. L’uscita del disco, precede di poco l’inizio del tour, organizzato e promosso da Vox Concerti.

La prima tappa è nella mia città: 19 gennaio al Bradipop Club di Rimini, ed è lì che ho un appuntamento con Lorenzo Castagna (cantante e fondatore della band) e con gli altri membri del gruppo: Antonio Atella, Valerio Pompei e Marco Fontana. Al mio arrivo i ragazzi sono alle prese con il sound check, ci presentiamo e aspetto che finiscano.

Un’attesa piacevole, perché è stato bello vedere quanto effettivamente un gruppo possa fare “gruppo” anche dietro le quinte.

A raggiungermi poco dopo è Lorenzo con il quale ho il piacere di sedermi per fare due chiacchiere. Ci accomodiamo sul divano e gli chiedo quelle che sono le mie curiosità.

 

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Partiamo dal principio, dall’idea di dar vita ad una band: come nascono Imuri? C’è stato subito feeling o avete dovuto imparare a convivere e conoscervi pian piano?

Fare gruppo è come ricominciare ogni volta da zero, fino a quando non si trova un equilibrio. Ognuno di noi, singolarmente, ha sempre avuto una vita da musicista impegnata e avevamo già altri progetti con altre band. Io ad un certo punto nell’estate 2014, in una sera in cui mi stavo annoiando, non andai al mare ma rimasi in città e insieme ad un mio amico batterista, decidemmo di prendere un paio di birre e fare delle prove in sala, così senza impegno. Da lì abbiamo iniziato a muovere i primi passi. Post laurea ci siamo trasferiti a Berlino e abbiamo iniziato a scrivere il primo disco, successivamente sono tornato in Italia e lui decise di mollare. Io no e sapevo di un ragazzo bravissimo alla batteria che è Valerio e da lì abbiamo iniziato a lavorare seriamente per dar vita a questa band, abbiamo chiamato un bassista, perché ci siamo resi conto che il duo era un po’ povero, bassista che ha mollato a sua volta e poi è arrivato Antonio. Avere un gruppo è come una famiglia, è come un’azienda o una relazione e non è sempre semplice far combaciare sia gli impegni personali che le idee. Adesso però ci siamo stabilizzati anche con l’arrivo del quarto elemento, Marco, posso finalmente dire: ci siamo!

 

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Per quanto riguarda la nascita dei vostri brani, viene creata prima la musica o il testo? E di solito chi è il più ispirato fra voi?

I procedimenti sono diversi, il vecchio stile di rinchiudersi in sala prove dopo aver partorito un’idea sulla quale poi si ragiona insieme, ognuno dice la sua e si costruisce insieme l’impalcatura del brano. Molto spesso succede anche che vengono portati brani già realizzati quasi per intero, quindi con una stesura completa, che può essere chitarra e voce o piano e voce e poi insieme si arrangia tutto il resto. Di solito comunque è il testo che si adatta alla musica, sia per un discorso metrico che onomatopeico, poi ci sono anche stati casi in cui ho scritto prima il testo e poi abbiamo pensato alla musica. Quello più ispirato sono io e sono sempre io quello che scrive.

 

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Il vostro album è denso di stati d’animo e sentimenti che spaziano dal bene al male, dal positivo al negativo, da assenze a presenze, e lo avete anche definito un album-critica nei confronti di quest’epoca malata. Cosa inquina quest’epoca?

Questa è una bella domanda! Secondo me abbiamo perso molte cose e il fatto che abbiamo praticamente accesso a tutto, fa crollare automaticamente tutto. Da qui a 3 anni finiremo come in una puntata di Black Mirror, si è persa l’umanità, l’istinto, la spontaneità di ogni tipo di cosa, dai rapporti al fare musica. Si è abbassato tantissimo il livello dell’essere umano, dell’evoluzione stessa dell’umanità.

 

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All’ascolto apparite fuori dai classici schemi pre-impostati tipici di una categoria piuttosto che di un’altra. Sentite di appartenere ad una categoria in particolare e come definite la vostra musica? Se ne avete una.

Ognuno di noi ha un’influenza, abbiamo un retaggio solido e vero, perché abbiamo suonato tanto e sempre in diversi contesti e situazioni e abbiamo vissuto la musica suonata per davvero ed è inevitabile che ci siano influenze varie: dal rock al blues. A tratti anche un po’ di quella “psichedelia” che ci piace molto, anche se man mano stiamo cercando di raggiungere una forma-canzone più fruibile, per dare un messaggio più chiaro perché è finita l’epoca delle cose strane e un po’ “malate”.

 

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Secondo voi la musica è davvero un salva-vita capace di cambiare la vita delle persone? E quanto ha cambiato e sta cambiando la vostra?

La musica credo sia un’entità talmente potente, che fa da contorno e ci accompagna ogni giorno, in qualunque situazione di vita o momento di gioia e dolore. A livello lavorativo, si crea una sorta di rapporto di amore- odio. perché si tratta di dover tirare fuori sempre idee nuove ed è una lotta continua, soprattutto quando ti metti in gioco come in questo caso, che devi portare in giro il tuo prodotto e in qualche maniera convincere la gente che valga. La musica è come la poesia, è spietata: ti delude, ti fa stare a mille poi ti da le bastonate, ma stare senza è impossibile, io non riuscirei a smettere.

 

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Un tour appena iniziato, anche se avete già avuto modo di esibirvi, se doveste descrivere le sensazioni post live, come le descrivereste? Alla fine cosa vi portate a casa?

Dipende dai contesti e ci sono casi e casi. A volte veniamo apprezzati di più, altre volte meno. Le sensazioni alla fine sono tutte positive, perché avere l’opportunità di fare quello che amiamo è già motivo di gioia, senza avere troppe aspettative, o meglio, è giusto avere ambizioni ma senza avere troppe pretese. È un equilibrio sottile. Non mi piace tirare le somme, cerchiamo di goderci al meglio ogni momento e dare sempre il massimo che abbiamo dentro da dare al pubblico.

 

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E dopo aver assistito al loro live, non posso far altro che confermare quanto dichiarato da Lorenzo. Questi artisti sul palco riescono davvero a dare il massimo e fare del loro meglio. Sono solo all’inizio del loro tour, quindi consiglio a tutti di tenere d’occhio le date (in aggiornamento) per andare ad ascoltarli dal vivo, perché la loro musica merita.

La loro musica è vera ed è di quella musica suonata dopo prove su prove, quella che nasce dal sacrificio di tenere viva una passione e fare in modo che diventi anche qualcosa in più. Come un sogno che alla fine si realizza.

 

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Testo: Claudia Venuti

Foto: Alessio Bertelloni

Quando la musica elettronica incontra la poesia: da Spezia il progetto dei Mitilanti

Vengono da La Spezia, sono giovani e affamati di poesia (e di musica): si chiamano Mitilanti e sono un collettivo di poeti performativi. Da qualche tempo i loro testi sono entrati in contatto con una nuova realtà, la musica elettronica di Michele Mascis, dando vita ad un progetto innovativo di poesia sonorizzata che si è tradotto in un concept album intitolato Casa Dentro. Un prodotto che vuole raccontare il tema del viaggio e della marginalità nell’epoca della globalizzazione.

“Casa dentro contiene 6 brani inediti – ci spiegano – un progetto nato nella periferia della provincia della Spezia, in una mansarda di un borgo, San Venerio, che si affaccia sulla centrale elettrica a gas e carbone Eugenio Montale.

La nostra fonte di ispirazione – continuano – è stato “Il bestiario” di Maria Monti con Aldo Braibanti, oltre a performer come Luigi Nacci, Lello Voce, Gabriele Stera, ed esperienze come quella di Max Collini, (Spartiti, Offlaga Disco Pax), Pierpaolo Capovilla e Massimo Volume”.

Noi di Vez abbiamo fatto due chiacchiere con Michele, che ci ha raccontato della sua collaborazione con i poeti e di come la musica elettronica si sia adattata perfettamente alla loro forma d’arte. Un progetto nuovo e originale che ci auguriamo di sentire presto dal vivo.

Ecco l’intervista!

 

Ciao Michele! Raccontaci un po’ di te…

Ciao Vez! Sono Michele Mascis e sono un musicista…per hobby! Si può dire che la musica sia il mio passatempo preferito che mi distrae dalla vita di tutti i giorni. Mi sono avvicinato a lei piuttosto tardi, intorno ai 18 anni e per questo mi manca tutta la fase tipicamente adolescenziale dei primi gruppi rock liceali. Le cose si sono fatte un po’ più serie dopo l’università, quando iniziai a interessarmi di produzione e di musica elettronica grazie ad un’amica. Piano piano cominciai a produrre la musica in autonomia e le cose cambiarono.

 

Negli anni subentrarono poi alcuni progetti…

Sì, nacquero alcuni progetti paralleli di cui faccio tuttora parte: prima di tutti i Frequenza, poi i Palmaria e infine i Mitilanti. A proposito di quest’ultimo, si tratta di un collettivo di poeti performanti che recitano poesie moderne. Qualche tempo fa mi chiesero di unire le forze per creare un qualcosa di originale facendo incontrare la musica elettronica alla poesia. Da questa collaborazione è nato il tema del disco, cioè il viaggio, che accomuna tutti i lavori.

 

Dai Frequenza, ai Palmaria fino ai Mitilanti: quali sono le differenze tra i progetti a cui hai aderito?

Frequenza e Palmaria sono due progetti molto vicini, soprattutto perché alcuni dei componenti sono gli stessi. I Mitilanti, come dicevo, sono invece un progetto diverso e originale per il quale mi sono messo a disposizione. Frequenza e Palmaria sono due realtà creative dove si mettono insieme le idee, mentre con i Mitilanti sono sostanzialmente due mondi differenti che si incontrano, si tratta di un progetto eterogeneo.

 

In che modo un musicista e dei poeti riescono a collaborare?

È molto semplice in realtà: loro mi mandano i loro testi tramite WhatsApp e io creo la musica lasciandomi ispirare dalle loro parole. Ma non è mai un processo unilaterale: una volta creata la melodia si discutono sempre i dettagli insieme in base alle esigenze e ai gusti del gruppo. Si parte sempre dalle parole e da alcuni riferimenti musicali, come possono essere i Massive Attack o altra musica elettronica. La cosa interessante è che non sono mai costretto a seguire uno schema preciso “strofa-ritornello-strofa” come nelle canzoni, ma il processo creativo è molto più libero e senza vincoli di tempo e durata.

 

L’album prende il nome di Casa Dentro, perché?

Si tratta di un concept album sul tema del viaggio – tema scelto da loro – dove si fa riferimento, in antitesi, alla casa come punto di riferimento nella vita. Sentirsi a casa dentro se stessi inteso come viaggio spirituale/mentale, ma anche il viaggio fisico fatto di movimenti e spostamenti. Uno dei suoni che ho proposto, infatti, è stato proprio quello dei passi di chi affronta il viaggio a piedi.

 

Quali sono i tuoi progetti futuri in ambito musicale?

Sicuramente con i Frequenza e con i Palmaria c’è in progetto di continuare a suonare e fare uscire dei nuovi singoli. Mentre con i Mitilanti sarebbe interessante partecipare a qualche festival e suonare insieme dal vivo per l’Italia per far conoscere questa commistione di generi artistici.

 

Giovanna Vittoria Ghiglione

Naftalina @ Bevitori_Longevi

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• Naftalina •

 

Bevitori Longevi (Forlimpopoli) // 15 Febbraio 2019

 

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Grazie agli amici Naftalina e Retro Pop Live

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Buon VEZ Valentino con la nostra Playlist

San Valentino è una festività che per molti non ha senso di esistere. Per loro si tratta di una ricorrenza stupida inventata probabilmente dalle marmotte che incartano il cioccolato sulle Alpi svizzere per aumentare i loro introiti.

Dall’altra parte troviamo invece gli inguaribili romantici. Tutti quelli che amano il 14 febbraio alla follia, che non vedono l’ora che arrivi questo giorno per festeggiare con il proprio partner.

Che voi vi troviate da una parte o dall’altra però una cosa non cambia: San Valentino è la festa dell’amore.

Troppo spesso secondo me ci confondiamo e pensiamo che sia soltanto la festa degli innamorati ma in realtà se noi ampliassimo i nostri orizzonti potrebbe acquistare un senso nuovo.

San Valentino è la festa dell’amore in tutte le sue forme: quello tra genitori e figli, l’amore tra amici e quello per le nostre passioni. Ognuno in questa giornata che sia single o accoppiato ha almeno una persona o una passione che ama e che riempie le sue giornate.

L’usanza di scambiarsi regali in questo giorno ha origini antichissime e risale, pensate un po’, al medioevo quando era di moda l’amor cortese. Noi di VEZ, che a modo nostro amiamo le tradizioni, quest’anno abbiamo pensato di fare un piccolo dono a tutti voi (anche a te che stai leggendo questo pezzo storcendo il naso).

Siccome la nostra passione è la musica abbiamo unito i nostri cervelli e abbiamo creato una playlist per voi che contiene canzoni di ogni genere: ballate, serenate, canzoni strappalacrime, brani sensuali, grandi classici e anche qualcosa che viene dalla nostra infanzia.

Ma Vez non siamo solo noi della redazione: siete anche, e sopratutto, voi che ci leggete. Ormai fate parte del gruppo e quindi anche i brani che ci avete segnalato via Instagram e via Facebook hanno trovato la loro collocazione nella playlist.

Penso di essermi dilungata anche troppo e quindi vi lascio ascoltare le vostre canzoni in pace.

Buon VEZ Valentino regaz!

 

Laura Losi