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Mese: Febbraio 2019

Negramaro @ RDS_Stadium

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• Negramaro •

Amore Che Torni Tour Indoor 2019

 

RDS Stadium (Rimini) // 14 Febbraio 2019

 

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Il 14 febbraio è il giorno in cui si celebra l’amore e i Negramaro non avrebbero potuto scegliere data migliore per dare inizio al loro tour che ha preso il via proprio la sera di San Valentino dall’RDS Stadium di Rimini.

Un inizio posticipato di qualche mese dopo il malore che a settembre ha colpito il chitarrista della band Lele Spedicato e la conseguente scelta da parte del gruppo di aspettare la sua ripresa per tornare a suonare tutti insieme.

Alle 21:00 si abbassano le luci ed ha inizio un intro commovente.

Giuliano Sangiorgi si siede al pianoforte ed inizia ad eseguire il brano Cosa c’è dall’altra parte scritto per l’amico Lele. Come per incantesimo Lele compare sulla scena a sorpresa suonando assieme a Giuliano la canzone scritta proprio per lui e commosso augura a tutti un buon San Valentino.

<<Ricordate che la cosa più importante della vita è l’amore. Perché l’amore aiuta tutti Grazie a tutti, tornerò presto. Grazie ancora>>.

E ci lascia lasciando il posto sul palco al fratello Giacomo che scalderà assieme alla band i cuori delle 5000 anime presenti e accompagnerà i Negramaro per tutto il resto del tour.

Il pubblico che riempie il palazzetto è eterogeneo in termini di età; un pubblico che alterna momenti di silenzio in risposta a quel modo di “rapire” l’attenzione delle persone che solo Giuliano Sangiorgi sa creare, ad altrettanti momenti di partecipazione calorosa e coinvolgente.

La voce principale dei Negramaro, Giuliano, diviene ben presto il protagonista della scena, carismatico leader di un gruppo che ha trascorso troppo tempo lontano dalle scene.

Il bisogno di tornare sul palco era tanto quanto quello dei fan di tornare a cantare a squarciagola le loro canzoni.

Nell’aria c’è del romanticismo.

Ci sono coppie di giovani amori e coppie di amori già vissuti ma comunque vivi.

Ci sono abbracci, sguardi d’intesa tra amiche, mani che si stringono e occhi lucidi, perché l’amore vanta milioni di sfumature che ogni singola canzone in scaletta sembra poter immortalare.

Come se ogni sfumatura fosse interpretata dalle parole delle canzoni di Giuliano Sangiorgi.

Dalla nostalgia de La prima volta, alle attese colme di speranza di Amore che torni, fino ad arrivare alle parole che toccano tutti quegli amori impossibili e non vissuti in Per uno come me e quegli amori eterni descritti in L’amore qui non passa.

La scenografia cambia continuamente, con laser e luci suggestive che rendono viva l’atmosfera. Palcoscenici scorrevoli che agevolano una scena in continuo movimento, vicini, sempre più vicini al pubblico “innamorato”.

I live dei Negramaro sono sempre una garanzia, un momento di riflessione personale ma soprattutto di condivisione legata a quella parola magica che inizia con la A e che dovrebbe muovere il mondo non solo il 14 febbraio, ma sempre.

E non importa quando possano far male le parole di certe canzoni o di quanto venga portata all’estremo la descrizione di quegli stati d’animo.

I Negramaro lasciano sempre e comunque Senza fiato.[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]

SETLIST:

 

FINO ALL’IMBRUNIRE

TI E’ MAI SUCCESSO

LA PRIMA VOLTA

ESTATE

SEI TU LA MIA CITTA’

IL POSTO DEI SANTI

RIDAMMI INDIETRO IL CUORE

MI BASTA

AMORE CHE TORNI

ATTENTA

PARLAMI D’AMORE

PER UNO COME ME

L’AMORE QUI NON PASSA

SOLO PER TE piano solo Giuliano Sangiorgi

SOLO 3 MINUTI / SEI

PEZZI DI TE

TUTTO QUI ACCADE

L’IMMENSO

VIA LE MANI DAGLI OCCHI

CI STO PENSANDO DA UN PO’

SENZA FIATO

MANTRE TUTTO SCORRE

NUVOLE E LENZUOLA

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]

Grazie a Live Nation Italia[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Testo: Claudia Venuti

Foto: Luca Ortolani

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1503314301745{padding-top: 10px !important;padding-bottom: 11px !important;}”][vc_column][edgtf_image_gallery type=”masonry” enable_image_shadow=”no” image_behavior=”lightbox” number_of_columns=”three” space_between_items=”tiny” image_size=”full” images=”11386,11395,11391,11399,11392,11397,11390,11381,11382,11402,11380,11405,11385,11403,11389,11383,11401,11379,11396,11394,11398,11387,11393,11400,11388,11404,11384″][/vc_column][/vc_row]

Rival Sons @ Campus Industry Music

[vc_row][vc_column][vc_column_text]

• Rival Sons •

+ Sheepdogs

 

Campus Industry Music (Parma) // 14 Febbraio 2019

 

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Sfortunatamente il camion dei Rival Sons è stato fermato alla dogana Svizzera. Fortunatamente sono stato avvisato.

L’apertura dei cancelli al Campus Industry Music era prevista per le 19.30 ma a causa del disguido è stata posticipata alle 22.00.

Mancano pochi minuti quando arrivo e la gente in attesa è già tanta. Nonostante la comunicazione sia stata data anche tramite Facebook, molti vengono da lontano e non hanno fatto in tempo a vederla.

Alle 22.10 si può finalmente entrare. Qualcuno esulta.

È l’unica data italiana del tour dei Rival Sons e le prevendite hanno fatto registrare il tutto esaurito già da tempo.

Il Campus si riempie velocemente e tocca ai The Sheepdogs rompere il ghiaccio. Il loro buon vecchio rock’n’roll fa subito colpo sui presenti, tanto che dopo un paio di pezzi sembra quasi che siano loro gli headliner della serata.

Finita la loro esibizione, però, la folla acclama a gran voce i veri protagonisti e sin dalle prime note di Back in the Woods tutto il locale comincia a cantare e saltare.

La presenza scenica di Jay Buchanan è potente tanto quanto la sua voce e coinvolge continuamente il pubblico in uno scambio di energia reciproco. Dopo Do Your Worst la band californiana scende dal palco prima del consueto bis.

Al grido unanime di “One more song! One more song!” sembra che i fan abbiano dimenticato definitivamente il tanto ritardo. C’è spazio ancora per Shooting Stars e Keep on Swinging prima dei saluti finali con un “Grazie mille Parma” urlato in italiano.

 

 

 

Grazie a Vertigo[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Testo e Foto: Mirko Fava

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1503314301745{padding-top: 10px !important;padding-bottom: 11px !important;}”][vc_column][edgtf_image_gallery type=”masonry” enable_image_shadow=”no” image_behavior=”lightbox” number_of_columns=”three” space_between_items=”tiny” image_size=”full” images=”11364,11354,11371,11361,11355,11363,11357,11373,11358,11359,11360,11356,11362,11365,11366,11367,11368,11370,11372,11369″][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]

 

The Sheepdogs

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1503314301745{padding-top: 10px !important;padding-bottom: 11px !important;}”][vc_column][edgtf_image_gallery type=”masonry” enable_image_shadow=”no” image_behavior=”lightbox” number_of_columns=”three” space_between_items=”tiny” image_size=”full” images=”11350,11353,11349,11352,11348,11351″][/vc_column][/vc_row]

I Hate My Village @ Locomotiv Club

[vc_row][vc_column][vc_column_text]

• I Hate My Village •

 

Locomotiv Club (Bologna) // 14 Febbraio 2019

 

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Anche questa sera, senza smentirsi mai, il Locomotiv Club di Bologna apre le porte per proporci suoni underground e d’avanguardia.

Un sipario rosso nasconde il piccolo palco già allestito e ad accoglierci è Stefano Pilia, chitarrista turnista live degli Afterhours, giocoliere di timbriche e di chiaroscuri elettronici. La sua performance è breve, totalmente strumentale e molto, ma molto sperimentale.

Della serie: o la ami, o la odi.

La chitarra è un pennello che disegna architetture sonore, che partorisce campionature improvvisate. Tutto si conclude con un applauso di apprezzamento del pubblico e lo show procede puntualissimo.

Poco prima delle 22.30 infatti entrano, acclamatissimi dal pubblico i fantastici quattro di questo super gruppo italiano, chiamato I hate my Village: Fabio Rondanini (batterista dei Calibro 35 e Afterhours), Adriano Viterbini (chitarrista dei Bud Spencer Blues Explosion), con la collaborazione della voce di Alberto Ferrari (Verdena) e Marco Fasolo al basso (anche curatore della produzione) presentano il loro album new born omonimo.

Potrei raccontarvi dilungandomi inutilmente riguardo la scelta del nome della band o delle palesi influenze della musica africana, ma la verità è che questi quattro talenti non hanno avuto altro intento che far convergere, come in un imbuto di idee, le loro virtù musicali e compositive in totale spontaneità.

Una tavola rotonda di suoni, ritmi, improvvisazioni e tanto divertimento. Un brain storming musicale.

Rito, tradizioni, ancestralità. Forse è proprio questo che Fabio & Co. vogliono andare a ricercare con questi suoni contaminati e innovativi che però non perdono affatto le loro radici, palesemente groove e psichedeliche.

Infatti, dopo tutte le recensioni lette, temevo di ascoltare qualcosa di molto lontano dalle atmosfere rock, blues, a cui le mie orecchie sono abituate. E invece mi sbagliavo: questa perfetta energia sonora è nuova, ma infallibilmente stimolante e per nulla deludente.

Anzi, insegna: insegna che non deve per forza esserci un testo da cantare, una canzone che si apre, che abbia un centro e poi una fine. Ci si sente in preda ad un ritmo tribale, ma psichedelico che scuote, elettrizza e coinvolge.

E tutto questo hanno saputo far trasudare questa sera a noi famelici e curiosi ascoltatori.

Non potrebbero attaccare con brano migliore di Presentiment, durante la quale è più facile muoversi che canticchiare e basta.

Loro suonano e si divertono: e si vede. La voce di Alberto Ferrari canta in lingua inglese e si mescola perfetta e distorta in I ate my Village.

Prima dell’ultimo brano, quasi ci spiazzano attaccando con la cover di Micheal Jackson “Don’t stop til you get enough”, ma a questo punto tutto il Locomotiv sta ballando insieme a loro, la condivisione è totale e l’atmosfera primitiva dei primi brani lascia spazio ad una originalissima ballad senza tempo.

 

SETLIST

PRESENTIMENT

TRUMP

ACQUARAGIA

FARE UN FUOCO

I ATE MY VILLAGE

ELVIS

FAME

BAHUM

KENNEDY

TONY

COVER (DON’T STOP TIL YOU GET ENOUGH)

TUBI INNOCENTI

 

Grazie a Fleisch Ufficio Stampa[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Testo e Foto: Valentina Bellini

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1503314301745{padding-top: 10px !important;padding-bottom: 11px !important;}”][vc_column][edgtf_image_gallery type=”masonry” enable_image_shadow=”no” image_behavior=”lightbox” number_of_columns=”three” space_between_items=”tiny” image_size=”full” images=”11413,11411,11412,11422,11421,11419,11424,11416,11415,11418,11420,11423,11417,11425″][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]

 

Stefano Pilia

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1503314301745{padding-top: 10px !important;padding-bottom: 11px !important;}”][vc_column][edgtf_image_gallery type=”masonry” enable_image_shadow=”no” image_behavior=”lightbox” number_of_columns=”three” space_between_items=”tiny” image_size=”full” images=”11426,11427,11431,11428,11429,11430″][/vc_column][/vc_row]

Alice Merton “Mint” (Paper Planes, 2019)

Si intitola Mint il primo album dell’artista tedesca Alice Merton uscito il 18 Gennaio 2019 per Paper Planes, etichetta fondata dalla stessa artista e dal suo manager, nonché migliore amico, Paul Grauwinkel.

Alice dice di lui: “Trovare il giusto produttore è come trovare un pezzo mancante di un puzzle: sai che c’è da qualche parte, ma trovarlo richiede molto tempo.” È chiaro che questa scelta aiuterà l’artista nel dare massima espressione ed indipendenza al suo lavoro.

Mint si ispira al tè alla menta che la cantante afferma di bere in questo periodo per calmare le sue paure e gli attacchi di panico, quella stessa menta che compare nell’immagine di copertina. È inoltre curioso il luogo in cui trova ispirazione per scrivere i suoi testi: tra gli scaffali dei supermercati.

L’album è composto da undici brani intimamente autobiografici tra cui i singoli No Roots, che ha raggiunto il disco di platino in sette nazioni, e Lash Out.

In 2 kids Alice Merton ripercorre l’amicizia con il suo manager, raccontando il loro rapporto attraverso gli occhi di due ragazzini meravigliati da quello che li travolge e delle paure vinte.

Nel brano funk-rock Learn to live, l’artista esprime la voglia di liberarsi da tormenti e preoccupazioni, per amare la vita e goderne appieno.

In Trouble in Paradise o Why so serious, invece, forti ritornelli e batterie incessanti invitano a vivere senza rimpianti. Perché prendersi troppo sul serio?

Questi ritmi si placano in Honeymoon heartbreak e nel blues Speak your mind.

La voce di Alice, inebriante, arriva al cuore della gente, invita a riflettere e lo comunica con un tono ribelle, con la grinta e la tenacia di una ragazza di 25 anni. I groove inarrestabili di basso donano un fremito a chi si presta ad ascoltare Mint. Per i 35 minuti di ascolto i problemi che toccano le nostre vite vengono accantonati lasciando libera la mente, e come il tè alla menta terapeutico alla cantante, il disco riesce perfettamente nel suo intento.

La parola chiave che emerge nei testi è la speranza: bisogna saper ascoltare oltre che assecondare le nostre sensazioni e queste doti che Alice Merton le esprime nei suoi brani con eleganza regalandoci un piacevole ascolto.

 

Alice Merton

Mint

Paper Planes

 

Silvia Consiglio

Le stagioni degli American Authors

Il 1 febbraio è uscito Seasons, il terzo album degli American Authors.

Con questo nuovo lavoro la band, capitanata da Zac Barnett, si discosta notevolmente dalle sue opere precedenti: eravamo abituati a canzoni ritmate dalle sonorità rock-folk, con banjo e mandolini di accompagnamento, ma questa volta i newyorkesi ci hanno spiazzato.

Ci presentano dieci canzoni che non solo sono un mix di stili diversi, ma la cosa che più colpisce sono i toni. Gli American Authors erano sinonimo di sonorità allegre e spesso ballabili, invece in Seasons ci troviamo ad ascoltare brani più riflessivi, a tratti cupi.

Si tratta di un cambio di rotta che era già balzato all’orecchio con i singoli che avevano anticipato l’uscita dell’album, canzoni come Deep Water, Say Amen e Neighborhood.

È come se la band stesse cercando un ritorno alla spiritualità e alla religiosità, una ricerca di valori più profondi. In Neighborhood, ad esempio, si sono avvalsi dell’aiuto di Bear Rinehart, cantante dei Needtobreathe, band dalla forte impronta cristiana; in Deep Water abbiamo l’Harlem Gospel Choir che sostiene Zac nel ritornello. 

Non mancano tuttavia le canzoni che ricordano la produzione precedente e che strizzano l’occhio ai brani che li hanno resi famosi: Can’t Stop Me Now, Bring It On Home, e soprattutto I Wanna Go Out sono quelli che più ricordano gli American Authors che ci hanno fatto cantare con brani come I’m Born To Run e Best Day of My Life. E’ qui che troviamo l’esplosione di energia e le melodie che ti catturano fin dalla prima nota, gli elementi che ci hanno fatto amare i primi due cd della band.

Ma la sperimentazione musicale dell’album non si ferma qui: abbiamo un brano quasi hip hop, Calm me down, che nonostante si discosti dal loro genere tradizionale, in Seasons trova il suo spazio ideale senza stonare o risultare fuori luogo.

Anche se personalmente non amo i brani eccessivamente cupi, credo che gli American Authors siano riusciti a trovare un equilibrio perfetto sperimentando nuovi generi e cambiando l’impronta delle loro canzoni, seppur rimanendo fedeli a se stessi: non si sono snaturati e questo è decisamente un punto a favore dell’album.

Le ultime due canzoni, Before I Go e soprattutto Real Place, sono forse due tra le più belle ballate che la band abbia mai scritto, soprattutto dal punto di vista dei testi.

Al primo ascolto forse Seasons potrebbe sembrare un po’ sotto tono rispetto ai lavori che lo hanno preceduto, ma credo che non ci si debba fermare qui. L’album è variegato, è vero, e di difficile catalogazione, ma la sperimentazione e i cambi di genere funzionano. Magari non ce ne si innamora al primo ascolto, come era successo con What We Live For, però queste canzoni riescono a catturarti e ad entrarti nel cuore.

 

American Authors

Seasons

Universal Island Records

 

Laura Losi

Kiko Loureiro @ Campus Industry Music

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• Kiko Loureiro •

 

+ Avelion

Campus Industry Music (Parma) // 12 Febbraio 2019

 

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text][/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Una goduria per le orecchie!

Sono queste le parole giuste per descrivere quello che è andato in scena ieri sera al Campus Industry Music di Parma.

A fare gli onori di casa ci pensano gli Avelion, formazione power metal parmigiana, che accolgono i primi ospiti del Campus scatenando tutta la loro energia.

Quando poi sale sul palco il trio capitanato da Kiko Loureiro si capisce subito che si farà sul serio. L’attuale chitarrista dei Megadeth comincia con i virtuosismi che ci accompagneranno per tutto il concerto.

Felipe Andreoli al basso e Bruno Valverde alla batteria non ci stanno a fare i comprimari e sfoderano tutta la loro abilità nei rispettivi assoli.

La tecnica mostruosa dei tre musicisti si fonde perfettamente in brani metal ed in sonorità più tipicamente brasiliane.

Le quasi due ore di concerto passano quasi senza accorgersene, restando estasiati dall’abilità della sezione ritmica e venendo catturati dalle melodie che escono dalla chitarra di Kiko.

 

 

Testo e Foto: Mirko Fava

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Avelion

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Kiko Loureiro arriva in Italia!

Kiko Loureiro è arrivato in Italia! Il chitarrista brasiliano di Angra e Megadeth è in giro per l’Europa con il suo tour da solista. Nel nostro paese, dopo aver toccato Roma e Milano, passerà dal Campus Industry Music di Parma il prossimo 12 febbraio.

Kiko Loureiro inizia a suonare la chitarra acustica a 11 anni, passando poco dopo alla chitarra elettrica.

A 21 anni Kiko Loureiro entra a far parte degli Angra, gruppo power metal di San Paolo, con cui ha pubblicato otto album in studio, tre cd live e due DVD live.

Nel 2005 pubblica il suo primo album da solista No Gravity, a cui sono succeduti Universo inverso (2007), Fullblast (2009) e Sounds of Innocence (2012).

Insieme a Chris Adler, già batterista dei Lamb of God, nel 2015 entra a far parte dei Megadeth. Con la band americana ha registrato l’album Dystopia, il quindicesimo in studio del gruppo.

Dopo aver vinto numerosi sondaggi come “Best Guitarist” ed essere apparso su copertine di riviste di settore, tra cui Cover Guitarra, Guitar & Bass, e Young Guitar, nel 2017 è stato il primo musicista brasiliano a vincere un Grammy Award suonando in un gruppo rock/heavy metal.

Considerato uno dei migliori chitarristi in circolazione, porterà sul palco un mix di metal e sonorità brasiliane, accompagnato dalla sezione ritmica degli Angra: Felipe Andreoli al basso e Bruno Valverde alla batteria.

Ad aprire il concerto troveremo gli Avelion, che VEZ Magazine ha già avuto piacere di conoscere lo scorso 5 settembre a Festareggio. La band power metal parmigiana lo scorso anno è stata in tour con gli Angra, ma questa volta giocherà in casa.

Al Campus Industry Music si preannuncia, quindi, una serata all’insegna del metal!

Subsonica @ Unipol_Arena

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• Subsonica •

8  T o u r

 

Unipol Arena (Bologna) // 11 Febbraio 2019

 

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]

 

Grazie a Vertigo e Studios Online[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Foto: Luca Ortolani

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1503314301745{padding-top: 10px !important;padding-bottom: 11px !important;}”][vc_column][edgtf_image_gallery type=”masonry” enable_image_shadow=”no” image_behavior=”lightbox” number_of_columns=”three” space_between_items=”tiny” image_size=”full” images=”11227,11235,11220,11242,11230,11231,11241,11240,11233,11234,11225,11239,11218,11232,11223,11236,11224,11226,11228,11229,11221,11237,11222,11238,11217,11245,11219″][/vc_column][/vc_row]

Death Cab for Cutie @ VEGA, Copenhagen

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• Death Cab for Cutie •

Thank You For Today tour

 

VEGA (Copenhagen, DK) // 10 Febbraio 2019

 

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]È domenica, fuori piove da una settimana e sebbene il mio istinto mi spinga verso il divano, mi metto in macchina con due ore e mezza di strada davanti a me verso Copenhagen e verso i Death Cab for Cutie.

Il concerto si tiene nel blasonatissimo VEGA, locale della capitale danese di cui ho sempre sentito parlare ma che non avevo ancora avuto l’occasione di vedere con i miei occhi.

La sala grande è al primo piano di un edificio grigio, squadrato, con un’aria da periferia di città comunista pre-caduta del muro, atmosfera che in un certo qual modo si respira anche all’interno salendo le scale con i pavimenti chiari, la boiserie a listelli e il corrimano da palazzone anni ’50-’60: chiunque ha una zia o una nonna che vive in un condominio del genere e sa a cosa mi sto riferendo. Varcate le porte di quella che sembrava un’ambientazione al limite del modernariato insipido, la meraviglia di una sala tutta in legno, balconata intarsiata e lampadari vintage. Per dirla con le parole di Ben Gibbard, leader della band, “sembra di suonare dentro un pezzo di arredamento molto costoso”. 

Ad intrattenere il pubblico prima dei Death Cab, salgono sul palco The Beths, neozelandesi che fanno un rock tranquillo e carino, perfettamente adatto a distrarre il pubblico per una buona mezz’ora dalla noia dell’attesa.

Il palco si svuota dal guazzabuglio di strumenti che era per il set de The Beths per lasciare un ampio spazio circondato dalle postazioni per i cinque membri del gruppo: batteria, basso, microfono, chitarra, tastiere e un pianoforte. Un allestimento essenziale, come essenziali sono le luci che illuminano il concerto per tutta la sua durata: semplici, pulite, per non togliere attenzione alla musica.

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_empty_space][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_single_image image=”11259″ img_size=”full” alignment=”center”][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_empty_space][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Le 21:00 spaccate: I Dreamt We Spoke Again, tratta dall’ultimo Thank You For Today apre le danze.

Una delle prime cose che noto sono i segni del tempo addosso a tutti i membri del gruppo, eccetto Ben Gibbard: lui non solo non sembra affatto scalfito dagli anni di carriera e da una vita in tour, ma è pure migliorato! Sarà forse il fatto che non sta fermo un secondo, si muove, corre avanti e indietro sul palco, saltella, sembra che il suo corpo non riesca a contenere la musica che ha dentro.

Le canzoni scivolano una dopo l’altra senza il minimo attrito. Come un meccanismo ben oliato, la band sul palco infila brani dall’ultimo disco sapientemente integrati in una scaletta che copre la loro intera produzione discografica. Passiamo attraverso Kintsugi, Narrow Stairs, Transatlanticism, andando indietro nel tempo fino addirittura a quella perla che è Photobooth, tratta da The Forbidden Love EP del 2000, uno dei primi segnali che nel Pacific Northwest, sotto alle ceneri del grunge, ancora ardeva una fiammella di speranza musicale.

Se con i brani da Thank You For Today il pubblico è timido e rispettosamente silenzioso, con le hit storiche come What Sarah Said, o I Will Possess Your Heart la sala si riempie di cori improvvisati, talvolta stonati, espressione di una partecipazione genuina ed incontenibile come l’energia sprigionata sul palco.

Soul Meets Body chiude la parte principale del concerto e mi ritrovo a pensare, ascoltandola, quanto i Death Cab for Cutie attraverso la freschezza delle loro composizioni, cantino un aspetto di Seattle diverso, rispetto a quello che è giunto a noi attraverso il grunge.

Nelle canzoni dei Death Cab for Cutie, c’è la freschezza della vita all’aria aperta, i boschi, il sole brillante che si specchia nel blu del Pudget Sound, l’attitudine filo hipster di una città che vuole togliersi di dosso la nomea di essere grigia triste e piovosa, cantata per anni in ballate cupe, disagio generazionale e rock ribelle chiuso in piccoli locali scarsamente illuminati.

Ben Gibbard rientra in scena da solo, chitarra acustica in mano, ed è il momento per, a proposito di leggerezza e solarità, I Will Follow You Into The Dark, delicata, malinconica ballata.

Anche il resto della band ritorna sul palco e c’è ancora tempo per altri tre pezzi prima di congedarsi da un pubblico estremamente caloroso per essere scandinavo.

Transatlanticism chiude con il suo crescendo travolgente un impeccabile concerto durato due ore.

Fuori piove ancora, ma adesso, con la musica dei Death Cab nelle orecchie e nel cuore, non mi importa più: chiudo gli occhi e faccio finta di essere a Seattle.

 

Testo: Francesca Garattoni

Foto: Joseph Miller

 

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Be Forest @ Bradipop

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• Be Forest •

Bradipop (Rimini) // 09 Febbraio 2019

 

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]L’atmosfera magica dei Be Forest.

Una batteria minimale suonata in piedi, a scandire ritmi essenziali e precisi, una chitarra sospesa che amalgama il tutto alla perfezione una linea di basso pulita il tutto accompagnato da una voce gentile ed eterea, questa è la miscela vincente dei Be Forest, band pesarese al loro terzo disco, Knocturne.

È la terza data del loro nuovo tour e noi li incontriamo, al Bradipop di Rimini.

Ahinoi! Puntuali si sale sul palco alle 00.00 (..) dove il trio ha suonato impeccabilmente per un’ora davanti ad un pubblico attento, trasportandolo nelle loro atmosfere cupe ed eteree, il loro è uno shoegaze, che strizza molto l’occhiolino ai primi The cure, con moltissime atmosfere dark e wave, segnate da basso plettrato e spesso distorto e da chitarre invase dal delay che avvolgono l’ascoltatore e lo lanciano in un viaggio lontano.

Quei suoni che hanno segnato l’epoca di Joy Division e My Bloody Valentine sono qui perfettamente reinterpretati da Costanza, Nicola ed Erica ed è innegabile che ora la band sia una delle più interessanti da qualche anno e non solo; infatti la band ha già avuto occasione di fare un tour europeo ed è in procinto di partire per un tour americano fra la fine di Marzo egli inizi di Aprile.

L’eleganza e la bellezza dei loro suoni, è qualcosa di cui andare fieri.[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Foto e testo: Michele Morri

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Dark Polo Gang @ Fabrique

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• Dark Polo Gang •

 

Fabrique (Milano) // 09 Febbraio 2019

 

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Grazie a Vivo Concerti e Words For You

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Foto: Maria Laura Arturi

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Ghostemane @ Estragon

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• Ghostemane •

Estragon (Bologna) // 08 Febbraio 2019

 

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Il death/rapper americano classe 1991 ha fatto tappa nel nostro paese per un unico appuntamento all’Estragon di Bologna.
Diventato ormai un vero nome culto all’interno della scena, grazie alle sue svariate influenze musicali che passano dal rap/trap arrivando all’industrial/doom, Eric Whitney aka Ghostemane ci ha regalato un live infuocato.

 

Grazie a Hellfire Booking Agency e ERocks Production[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Foto: Luca Ortolani

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Wavy Jones

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1503314301745{padding-top: 10px !important;padding-bottom: 11px !important;}”][vc_column][edgtf_image_gallery type=”masonry” enable_image_shadow=”no” image_behavior=”lightbox” number_of_columns=”three” space_between_items=”tiny” image_size=”full” images=”11154,11155,11156″][/vc_column][/vc_row]