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Mese: Marzo 2019

Måneskin @ Fabrique

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• Måneskin •

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Fabrique (Milano) // 24 Marzo 2019

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Grazie a VIVO Concerti

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Foto: Maria Laura Arturi

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L’infinito di Giacomo Leopardi

Duecento anni di dolce naufragare, tra musica e poesia

 

<< Perché Leopardi produce l’effetto contrario a quello che si propone. Non crede al progresso, e te lo fa desiderare; non crede alla libertà, e te la fa amare. Chiama illusioni l’amore, la gloria, la virtù, e te ne accende in petto un desiderio inesausto. E non puoi lasciarlo, che non ti senta migliore; e non puoi accostartegli, che non cerchi innanzi di raccoglierti e purificarti, perché non abbi ad arrossire al suo cospetto >>.

Francesco De Sanctis

 

Vicino al palazzo della famiglia Leopardi, a Recanati, si leva un’altura solitaria, dalla cui sommità lo sguardo può spaziare sul panorama sottostante. Un panorama che si estende dai colli al mare.

Durante la sua giovinezza, Giacomo Leopardi (1798 – 1837) vi si recava spesso, non tanto per ammirare la vista, quanto per immaginare: seduto dietro a una siepe che gli impediva di vedere il lontano orizzonte, egli lasciava operare la forza creativa della mente.

Un potere che, stimolato dalla momentanea sospensione dei sensi, lo rendeva spettatore di scenari ben più ampi, al limite della dimensione spaziale e temporale, quasi al di là della condizione umana. Nacque proprio qui L’infinito, uno dei più celebri componimenti del poeta, l’Idillio per eccellenza, contenuto nei Canti.

 

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A duecento anni dalla sua prima stesura, la città di Recanati ha voluto festeggiare l’importante anniversario organizzando conferenze, mostre, spettacoli e concerti dal 21 al 24 marzo, inaugurando la serie di eventi proprio in occasione della Giornata mondiale della Poesia, istituita nel 1999 dall’Unesco.

La data, che segna anche l’equinozio di primavera, riconosce all’espressione poetica un ruolo privilegiato nella promozione del dialogo e della comprensione interculturali, della diversità linguistica e culturale, della comunicazione e della pace. La celebrazione, appunto, cade il primo giorno di primavera in armonia con l’idea di un’arte poetica originaria e presupposto di tutte le altre forme di creatività letteraria ed artistica, luogo fondante della memoria della nostra società” – (dalla XXX Sessione della Conferenza Generale Unesco).

Il suggestivo palcoscenico del Teatro Persiani ha accolto il primo grande ospite della manifestazione, testimone del possibile incontro tra musica e poesia: Samuel, frontman dei Subsonica.

 

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Che cosa accomuna il cantautore e il sommo autore marchigiano? Innanzitutto, la centralità del concetto di infinito. Lo scorso 12 ottobre, la band di Torino ha pubblicato il nuovo album intitolato 8, un numero dalla valenza sia matematica, essendo l’ottavo lavoro in studio, sia metaforica.

Una cifra che, capovolta, rimanda al simbolo dell’infinito, allo scorrere del tempo e alla sua circolarità, in una sorta di eterno ritorno. Obiettivo, poi, del musicista è quello di non limitarsi al panorama di fronte a sé ma lanciare lo sguardo oltre la siepe, verso quell’orizzonte irraggiungibile che è prolifica fonte di ispirazione.

È questo costante andamento iperbolico che spinge l’artista a creare, ad innovare ed innovarsi. È il potente motore dell’immaginazione, madre di tutte le arti.

 

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Stasera, però, non ascolterete melodie propriamente “leopardiane” – ha confessato Samuel, prima di prendere posizione alla consolle e far ballare l’intero teatro sui ritmi dell’elettronica e della dance anni Novanta.

In realtà, il merito di aver osato nell’organizzazione di un dj set – che spesso sta per “utilizzo del suono alternativo e contemporaneo” – all’interno di un’occasione del genere, ha offerto la possibilità di indagare sulla natura del legame tra musica e poesia in tutta la produzione lirica del recanatese.

Le ore “suonano” ne Le ricordanze, così come suonano le “quiete stanze e le vie d’intorno al perpetuo canto” di Silvia nell’opera a lei dedicata. Suona il canto del “faticoso” agricoltore” ne Alla sua donna. Il vento “stormisce” ed ha una “voce” ne L’infinito. Tutta la poesia di Leopardi è come una cassa risonante.

 

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Versi più o meno noti sono suggellati da una colonna sonora a riprova dell’importanza che viene assegnata all’attitudine auditiva e al valore della vocalità. Fascinazioni e ritorni ad immagini concrete confermano la complicità tra suono e parola, tra musica e verso (si pensi al titolo dei Canti).

Chi teme, canta” – scrive Leopardi in un passaggio cruciale dello Zibaldone (3527), all’indomani delle delusioni del soggiorno romano (settembre 1823), durante una notte insonne e dominata dalla suggestione del vuoto. Un vuoto in cui l’immaginazione, diventata sterile, trova compenso in un’attitudine ad interrogarsi incessantemente, disperatamente.

Un vuoto che si apre a dismisura, che si muta in un fantasma di sogni quasi spezzati, esorcizzabile soltanto attraverso l’eccitazione dei sensi e della mente nell’armonia di suono e di parole. Un sogno che, benché sconfessato dalla realtà, se cantato, mantiene l’altissimo potere di attrazione.

 

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Chi teme, canta” – o meglio – invoca il canto come sorgente di forza sull’animo dell’uomo, in grado di colmare abissi, timori, incertezze. Non si pone come mero bisogno di distrazione, quanto come una rassicurazione, una restaurazione, soprattutto nel frangente della notte, quando le tenebre avvicinano alla constatazione tragica del rischio di fallimento.

Canto, melodia, musica e armonia sono assi portanti nella struttura poetica dell’autore. Si incontrano e si incrociano in un sistema che, a partire dal concetto di natura, assegna al suono un ruolo preminente, in linea con le teorie dell’arte nella sua primordiale autenticità pertinenti con la cultura estetica romantica.

Si afferma, in modo chiaro, nello Zibaldone (79): a differenza delle diverse arti (pittura, scultura, architettura, poesia) che “imitano ed esprimono la natura da cui si trae il sentimento”, solo la musica “non imita e non esprime che lo stesso sentimento in persona, ch’ella trae da se stessa e non dalla natura”.

 

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Secondo Leopardi, tutte le arti si servono dei più vari strumenti espressivi per raggiungere lo stesso obiettivo: il “diletto”.

L’identica considerazione vale anche per la musica i cui effetti, però, non appartengono alla sfera del “bello”, ma esclusivamente a quella del “piacere”, grazie alla capacità del suono di agire sull’animo umano a presa diretta, senza ricorrere al concetto di armonia, influenzato invece da molteplici indicatori di gusto.

I suoni, come gli odori, non sono definibili né belli né brutti, ma solo più o meno piacevoli. Essi, agendo direttamente sull’immaginazione e sul ricordo, suscitano quel desiderio infinito di cui il poeta tratta nella sua “teoria del piacere”, definendolo come tendenza connaturata all’esistenza che spinge l’uomo verso il piacere in senso assoluto.

 

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Un suono, un oggetto, un odore, un luogo ignoto, un ostacolo che restringe la vista, uno scenario sconfinato, sono i principali stimolatori di quella facoltà immaginativa che compensa l’inafferrabile conquista del piacere.

In questa accezione, il suono, sia in versione tenue che cupa, è un fenomeno naturale capace di evocare rappresentazioni poetiche: così una musica dolce o il rumore del tuono, un’orchestra classica o una traccia elettronica, la furia della tempesta o lo stormire del vento, creeranno “immagini bellissime in poesia”, rendendo dolce il naufragare.

 

Testo: Laura Faccenda

Foto: Luca Ortolani

Loren @ Bradipop_Club

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• Loren •

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C I   S A L V E R E M O   T O U R

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Bradipop Club (Rimini) // 23 Marzo 2019

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1552435940801{margin-bottom: 20px !important;}”][vc_column][vc_column_text]“Siamo soffitti poggiati a colonne sonore di vecchi film”

Soffitti, Loren

 

In un momento storico e sociale come quello in cui ci troviamo, ricordare a tutti che l’essenza di quello che siamo deriva da un passato che non dobbiamo dimenticare ha qualcosa di futuristico.

Una sorta di innovazione che in qualche modo ci rammenta di come siamo effettivamente dei piccoli esseri umani, nonostante molto significativi poiché minuscoli pezzi di un puzzle che crea un eterogeneo universo.

Un dolce eco, quelle colonne sonore di quello che ho scoperto essere la voce dei miei nonni paterni che mi hanno più volte ricordato che se non conosciamo la storia passata siamo destinati a ripetere gli errori nel futuro.

E se non bastasse questo cassetto della memoria che si apre per farmi amare una band colta e umile, arriva anche la canzone Giganti con i continui e involontari, per ammissione di Francesco (cantante e autore ndr), collegamenti con la nostra Romagna e nello specifico Rimini.

Tra Pantani e Simoncelli, durante la nostra cena assieme veniamo anche a conoscenza del nome passato della band, Amarcord, che chiude il cerchio sulla nostra terra e strizza l’occhio agli anni d’oro della musica italiana.

Quei Giganti appunto, sui quali poggiano delle colonne dalle radici profonde, scavate e riempite dai sacrifici e le gesta di un passato da tenere sempre nel cuore.

Grazie Loren, avete restituito compattezza e spessore ad un periodo spesso ripetitivo e ridondante del panorama musicale italiano attuale.

 

Sara Alice Ceccarelli

 

Ci sono concerti che non sono solo concerti perché non si limitano ad una semplice esibizione.

Ci sono band che non sono solo un insieme di persone con la passione per la musica, ma “anime” che ci mettono davvero l’anima in quello che creano, realizzano e che poi portano sul palco dopo prove su prove, per arrivare ad avere un risultato perfetto tra arrangiamenti e sacrifici.

È il caso dei Loren e del loro omonimo album uscito per Garrincha Dischi che ieri hanno fatto tappa al Bradipop Club di Rimini con il loro Ci salveremo Tour.

È facile innamorarsi di certe parole e del modo in cui vengono intonate ed interpretate da Francesco (penna e voce del gruppo).

Ed è altrettanto facile lasciarsi coinvolgere e trasportare completamente dall’energia che la band riesce a creare dal momento in cui sale sul palco.

Ognuno al proprio “posto di combattimento”, pronti per mettere in scena una lotta tra  sentimenti, corse e soste, promesse mantenute e mancate, amori che resistono al tempo e tempo che poi sembra sempre sfuggire dalle nostre mani.

Ho visto una moltitudine di concerti, sempre pronta ad immortalare con dei video quei secondi in cui si ha la possibilità di registrare dal vivo tutte le canzoni che ami e che fino a quel momento hai ascoltato solo nelle cuffie, magari stesa sul letto o in macchina mentre vai a lavoro.

Ecco, ieri sera io ho registrato ben poco, perché avevo paura di perdermi proprio la magia di quei momenti. Ieri per la maggior parte del tempo ho lasciato il telefono in tasca, perché più che rivedere un video, volevo sentire e conservare tutte quelle emozioni che arrivavano  una dopo l’altra. Senza sosta.

A fine concerto avevo perso la voce.

Sono tornata a casa con la convinzione che è importante avere una propria identità, perché è l’unico modo per arrivare al cuore delle persone.

Che si tratti di musica o di parole, arriva solo ciò che nasce dalla verità e dall’autenticità, tutto il resto tende a scomparire.

Per questo i Loren hanno una lunga strada da percorrere, appena iniziata ma sicuramente capace di conquistare ancora molti moltissimi cuori.

Loro dicono che Ci salveremo tutti e io ci credo. A me quest’album ha salvato un sacco di volte.

 

Claudia Venuti

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 SETLIST:

 

 

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[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Grazie a Garrincha Dischi

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Testo:

Foto: Luca Ortolani

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1551661546735{padding-top: 10px !important;padding-bottom: 0px !important;}”][vc_column][edgtf_image_gallery type=”masonry” enable_image_shadow=”no” image_behavior=”lightbox” number_of_columns=”three” space_between_items=”tiny” image_size=”full” images=”12572,12574,12580,12575,12582,12589,12581,12585,12577″][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1551660750403{padding-top: 0px !important;padding-bottom: 0px !important;}”][vc_column][edgtf_image_gallery type=”masonry” enable_image_shadow=”no” image_behavior=”lightbox” number_of_columns=”three” space_between_items=”tiny” image_size=”full” images=”12571,12579,12583,12584,12587,12588,12586,12591,12576″][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1551660750403{padding-top: 0px !important;padding-bottom: 0px !important;}”][vc_column][edgtf_image_gallery type=”masonry” enable_image_shadow=”no” image_behavior=”lightbox” number_of_columns=”three” space_between_items=”tiny” image_size=”full” images=”12578,12573,12590″][/vc_column][/vc_row]

Massimo Volume @ Teatro_Moderno

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• Massimo Volume •

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Teatro Moderno (Savignano sul Rubicone) // 22 Marzo 2019

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In Italia abbiamo tantissime “buone” band rock, di tanti sottogeneri diversi è vero, ma sono davvero tante nella cosiddetta palude del “alternative rock”, e poi ci son loro: i Massimo Volume.

Un passato di successo e collaborazioni con i più importanti artisti italiani, da Manuela Agnelli a Cristina Donà, i Massimo volume hanno sempre avuto uno stile e una classe unica nel genere tanto da aver sempre esaltato la critica.

L’occasione che cogliamo per ascoltarli dal vivo e raccontarveli è quella del concerto al Teatro Moderno di Savignano, dove i Massimo Volume, vengono accolti dagli applausi di un’attentissimo pubblico.

Oggi non sono degli scatenati ragazzini che si dimenano sul palco, la formazione è ripartita dalle origini e quello che ne è uscito è un disco eccezionale, suoni adulti, ritmi puliti e sonorità rock, ballad e suoni isterici, ma la prosa e la poesia di Clementi recitata come in uno spettacolo teatrale, (si avete capito bene, lui non canta: recita!), accompagna in un mondo meraviglioso l’ascoltatore, rendendolo partecipe per quasi due ore di un viaggio onirico ma terribilmente reale.

Se non avete mai ascoltato niente di loro il nostro consiglio è di non aver fretta e clickare play sui vostri dispositivi, i Massimo Volume vanno ascoltati, capiti, non è musica per chi ha fretta.

Il loro l’ultimo album, a distanza di 6 anni dal precedente è stato superapprezzato dalla critica, e anche da noi, Il Nuotatore è un album che viaggia all’interno dell’essere umano scovandone debolezze e illuminazioni.

“E ho imparato a naufragare senza perdermi nel mare e ho scoperto che può annegare anche chi rinuncia a navigare”

 

Grazie a Retro Pop Live[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Foto e testo: Michele Morri

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Gazzelle @ Palaestragon

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• Gazzelle •

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P U N K   T O U R

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Palaestragon (Bologna) // 21 Marzo 2019

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1552435940801{margin-bottom: 20px !important;}”][vc_column][vc_column_text]Prosegue senza sosta il Punk Tour di Gazzelle che continua a registrare sold out ad ogni tappa e quella di ieri sera al Palaestragon di Bologna non è stata da meno rispetto alle altre.

Noi di Vez Magazine stiamo seguendo questo sorprendente tour sin dalla data zero all’Rds Stadium di Rimini. Siamo stati a Roma, a Milano e c’eravamo anche ieri, perché ascoltare Gazzelle è un po’ come rivedere ancora una volta uno dei nostri film preferiti, uno di quelli che non stanca e non annoia mai anche se conosciamo a memoria ogni battuta e sappiamo benissimo come andrà a finire o come ci faranno sentire alcune scene.

Con lui va a finire che durante quell’ora ora e mezza di live, hai la possibilità di saltare, ballare, piangere, fermarti a pensare, avere la pelle d’ora, sentire il cuore battere un po’ più forte con alcune parole e allo stesso tempo ritrovarti a sorridere di fronte ad altre.

Con lui va a finire che senti tutto, anche quello che credevi di aver dimenticato o archiviato in qualche angolo della testa, perché ha il potere di scavarti dentro e andare a fondo.

Con lui va a finire che capisci persino cos’hai dentro e sei lì con il telefono in mano pronto a fare quella telefonata o mandare quel messaggio per dire quel: “Mi manchi” o quel “Ti amo”.

Con lui riaffiorano i ricordi e i vuoti, ma allo stesso tempo quel sano egoismo che a volte fa mandare tutto a fanculo.

Di solito dopo aver visto un artista dal vivo, dopo aver ascoltato per tanto tempo un suo disco in attesa di un suo concerto, l’unica cosa che mi vien voglia di fare è smettere di ascoltare la sua musica almeno per un po’.

Ecco, con lui va a finire al contrario, perché l’ho ascoltato anche oggi e sicuramente lo ascolterò anche domani.

 

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Grazie a VIVO Concerti

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Testo: Claudia Venuti

Foto: Sara Alice Ceccarelli

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1553186365022{padding-top: 10px !important;padding-bottom: 0px !important;}”][vc_column][edgtf_image_gallery type=”masonry” enable_image_shadow=”no” image_behavior=”lightbox” number_of_columns=”three” space_between_items=”tiny” image_size=”full” images=”12535,12528,12533,12525,12529,12531,12527,12536,12530″][/vc_column][/vc_row]

Jack Savoretti “Singing to Strangers” (BMG, 2019)

«Ci ho preso gusto ad essere italiano. Quando vado in giro, saluto con “Ciao!” o “Buongiorno!” nemmeno fossi Roberto Benigni. Ho riscoperto la mia italianità.» – ha dichiarato Jack Savoretti, artista nato da padre italiano e madre tedesco-polacca, in merito alla sua vita nella campagna inglese, dove si è trasferito ormai da tempo con moglie e figli, lontano dalla caotica Londra. E questa italianità ritrovata contribuisce alla riuscita del suo sesto lavoro in studio, Singing to Strangers, pubblicato per BMG il 15 marzo e caratterizzato da un’atmosfera vestita di un doppio ed elegante abito: quello pop della nostra tradizione e quello soul anni ’50, tanto francese quanto d’oltreoceano. 

Registrato proprio a Roma al Forum Music Village, lo studio fondato da Ennio Morricone, Piero Piccioni, Armando Travajoli e Luis Bacalov, il disco, nella produzione di Cam Blackwood, si ispira ai preziosi arrangiamenti della forma-canzone del bel paese. L’impalcatura sonora si erge su una duplice struttura costituita dalla band e dall’orchestra. Linee di basso massicce si fondono con le dolci armonie degli archi e con la vocalità così intima e riconoscibile di Savoretti. Un timbro rauco e un graffiato dolceamaro che attingono da sorgenti emotive profonde e da una grande tecnica.

«L’idea di Singing to Strangers è nata da mia figlia. Mi ha detto: “Papà perché non parli del tuo lavoro?”. Cantare per sconosciuti, appunto. Il tutto è legato dal tema dell’amore che si sviluppa all’interno di una colonna sonora di un film immaginario. Dell’Italia ci sono anche il cinema e lo scenario di Roma». 

Candlelight, traccia d’apertura e primo singolo estratto, nelle inflessioni rhythm and blues ricorda le liriche dei primi film di James Bond, mentre con Dying for you love, nella chitarra vibrata dell’attacco, ci si ritrova seduti sul divanetto di un caffè retrò ad ascoltare il crooner che canta d’amore. Magari in una scena di una pellicola di Tarantino. What more can I do e Things I thought I’d never do si inseriscono, cronologicamente, in richiami anni ’70, la prima sulla scia di Marvin Gaye e la seconda su quella dei brani più famosi di Elton John dello stesso periodo. Di grande spessore è la titletrack: un monologo recitato sul sottofondo delle corde pizzicate. Una domanda identitaria, una confessione tra la consapevolezza e il grido interiore. Che dire poi di Touchy situation, tra i cui crediti si legge il nome di Bob Dylan, autore di questo dipinto al femminile scritto nella fase di Time out of mind, musicato e sapientemente personalizzato da Jack Savoretti. 

La chiusura dell’album è affidata al potente effetto “live” delle due bonus track registrate alla Fenice di Venezia. Music’s too sad without you, appassionato duetto con Kylie Minogue, potrebbe benissimo rappresentare il brano cardine di un musical romantico, di quelli dal lieto fine, che fanno sognare. Vedrai Vedrai di Luigi Tenco che sfuma in Oblivion di Astor Piazzolla è l’omaggio accorato e definitivo a tutto il panorama melodico e melodrammatico. Su queste note, è come se apparisse il frame di un film in bianco e nero. Film di cui siamo protagonisti o spettatori, in un vecchio cinema dalle poltroncine di legno. Ecco le vie di una Roma notturna, illuminata dalle file dei lampioni. Attraversata, vissuta, mano nella mano con qualcuno. O con un sorriso malinconico, nel suo ricordo.

 

Jack Savoretti

Singing to Strangers

BMG, 2019

 

Laura Faccenda

Canova @ Alcatraz

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• Canova •

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[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1552435940801{margin-bottom: 20px !important;}”][vc_column][vc_column_text]

Alcatraz (Milano) // 20 Marzo 2019

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Grazie a Magellano Concerti | Friends and Partners

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Foto: Elisa Hassert

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1553186365022{padding-top: 10px !important;padding-bottom: 0px !important;}”][vc_column][edgtf_image_gallery type=”masonry” enable_image_shadow=”no” image_behavior=”lightbox” number_of_columns=”three” space_between_items=”tiny” image_size=”full” images=”12513,12501,12498,12496,12499,12500,12506,12505,12510″][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1553186356715{padding-top: 0px !important;padding-bottom: 0px !important;}”][vc_column][edgtf_image_gallery type=”masonry” enable_image_shadow=”no” image_behavior=”lightbox” number_of_columns=”three” space_between_items=”tiny” image_size=”full” images=”12497,12509,12511,12503,12507,12502,12508,12504,12495″][/vc_column][/vc_row]

Il surrealismo di Lee Miller “in mostra” e sul palco

Marzo è il mese delle donne e anche nella sezione artistica di Vez abbiamo pensato di rendere omaggio a una figura femminile che, grazie alla sua forza e alla sua determinazione, è riuscita a farsi notare in un mondo prevalentemente maschile.

Modella, musa, fotografa e inviata: stiamo parlando di Lee Miller una donna che ha fatto la storia.

La sua infanzia fu tutt’altro che felice: in tenera età subì uno stupro da parte di un amico di famiglia ma, questo traumatico evento, non fermò la sua ascesa verso il successo. Sapeva cosa voleva e sapeva come ottenerlo.

Inizia la sua carriera a 19 anni quando Condé Nast in persona la nota e, folgorato dalla sua bellezza, la vuole tra le pagine delle sue riviste. E’ il 1927 quando fa la sua prima apparizione sulla copertina di Vogue.

Spirito frizzante e intelligente la Miller lascia New York per trasferirsi in Europa dove studia arte e fotografia. Ma non vuole stare soltanto davanti all’obiettivo, vuole di più.

Grazie alla sua bellezza diventa musa di numerosi artisti tra i quali basta ricordare Pablo Picasso che la ritrasse in ben 6 opere. Ma il legame più importante che ebbe in questa prima fase europea è senza dubbio quello con Man Ray.

 

Picasso Hotel Vaste Horizon bt Lee Miller

Picasso, Hotel Vaste Horizon

© Lee Miller Archives England 2018. All Rights Reserved. www.leemiller.co.uk

 

Inizialmente restio ad accettarla come allieva dovette ricredersi una volta scoperte le doti artistiche della donna. I due iniziarono un sodalizio artistico e personale che segnò le vite di entrambi. La loro relazione durò solo tre, intensi, anni e in questo periodo portarono avanti numerosi progetti e inoltre misero a punto la tecnica della solarizzazione fotografica.

Nel 1932, chiusa la storia con Ray, torna in patria, a New York, dove apre un suo studio fotografico in cui realizzerà per lo più ritratti.

Nel 1934 si sposa con Aziz Eloui Bey, un ricco egiziano, e si traferisce al Cairo. Qui si dedicherà alla fotografia scegliendo come soggetti le piramidi e il deserto, avvicinandosi così al reportage fotografico.

Nel 1937, durante un nuovo viaggio in Europa, conosce Roland Penrose pittore, storico e poeta che sarà uno dei maggiori esponenti del surrealismo britannico. I due iniziano a lavorare insieme ma presto il loro rapporto diventerà qualcosa di più: inizieranno una relazione che porterà la donna a lasciare il marito.

Nel 1939 Miller lascia l’Egitto per trasferirsi in pianta stabile a Londra.

Ma la pace e gli equilibri del mondo stanno per cambiare poiché il flagello della seconda guerra mondiale si sta per abbattere sul globo.

Il governo americano la rivorrebbe in patria ma la Miller non è avvezza a farsi dare ordini: ignorando i continui inviti dell’amministrazione Lee decide di rimanere nel capoluogo britannico.

Grazie alla sua testardaggine la Miller riuscirà ad essere accreditata, per Vogue, come corrispondente di guerra per gli stati Uniti. Un grande traguardo e un nodo cruciale per la sua carriera.

 

Copyright LeeMillerArchives Self portrait with headband New York USA c1932

Self portrait with headband, New York, USA, c1932

© Lee Miller Archives England 2018. All Rights Reserved. www.leemiller.co.uk

 

I suoi lavori ci restituiscono uno spaccato della vita londinese durante gli anni del conflitto il tutto sotto un’ottica completamente nuova: grazie alle sue foto vediamo il modo da un punto di vista femminile.

Ma è nel 1944 che le cose cambiano e i suoi orizzonti si allargano: la Miller sarà l’unica fotografa a seguire gli alleati durante lo Sbarco in Normandia.

Dopo il D-day viaggerà per l’Europa seguendo l’esercito e scattando foto per documentare dei pezzi di storia. Collaborando con David Sherman, fotografo di Life, si spinse fino a Parigi e a Berlino e arrivò fino al campo di concentramento di Dachau dove documentò le condizioni dei reclusi.

Fu una delle poche persone ad entrare nelle stanze private di Hitler. Una delle foto più celebri che la ritraggono è sicuramente quella scattata da Sherman mentre si sta lavando nella vasca del Fuhrer. Ho fatto uno strano bagno quando mi sono lavata lo sporco del campo di concentramento di Dachau nella stessa vasca da bagno di Hitler a Monaco.

La guerra però fu un’esperienza dura e lasciò sulla donna un segno indelebile. A causa del trauma subito cadde in un forte stato depressivo da cui riuscì ad uscire soltanto con l’aiuto di Penrose e di altri amici, tra cui l’ex amante Man Ray.

 

Copyright LeeMillerArchives Nude bent forward thought to be Noma Rathner Paris France c1930

Nude bent forward [thought to be Noma Rathner], Paris, France, c1930

© Lee Miller Archives England 2018. All Rights Reserved. www.leemiller.co.uk

 

La sua vita, intensa e fuori dagli schemi ha portato alla Miller una grande fama tanto che nel 2005 è diventata la protagonista di un musical di Broadway intitolato Six Pictures of Lee Miller.

Dal 14 marzo al 9 giugno 2019, al Palazzo Pallavicini di Bologna e curata da ONO Arte si terrà una mostra dedicata a questa grande donna dal titolo Surrealist Lee Miller.

La rassegna è composta da 101 scatti che ripercorrono l’intera carriera della fotografa: dagli esordi fino agli scatti bellici.

Preferisco fare una foto, che essere una foto, aveva dichiarato la Miller. Di foto ne ha realizzate parecchie e fare un salto a Bologna per conoscere il lavoro di questa donna, che non si è mai piegata davanti agli eventi, potrebbe essere una buona idea e anche una fonte d’ispirazione.

 

Laura Losi

Florence and The Machine @ Unipol_Arena

 

High As Hope Tour

Unipol Arena (Bologna) // 17 Marzo 2019

 

È già primavera all’Unipol Arena per la data bolognese dei Florence and The Machine. A poche ore dal tanto atteso ritorno della band capitanata da Florence Welch, il parterre è gremito di ragazze e ragazzi sorridenti che indossano coroncine di fiori, camicie dalle fantasie colorate, glitter e brillantini. Uno spirito di unione e spensieratezza che, galvanizzato ancora di più dall’energia degli eclettici Young Fathers in apertura, accoglie, intorno alle 21,15, gli otto musicisti che si posizionano ai rispettivi strumenti, su un palco dominato dai toni caldi delle luci e dei lunghi pannelli di legno.

 

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Ed ecco apparire lei, la regina della serata. Florence è vestita di un abito lungo ricamato, color acqua marina, in armonia perfetta con il suo candido incarnato e il rosso dei suoi capelli. Dalle prime note di June e Hunger, brani con cui esordisce anche l’ultimo lavoro in studio High As Hope, la voce eterea, potente, perfetta avvolge il pubblico in un crescendo di emozioni.

Ciao Bologna, è sempre bello tornare qui” – saluta – “Ogni volta che vengo in Italia, è un po’ come tornare a casa. Ora vi chiedo di cantare e ballare con me.  Non abbiate paura!

L’invito viene accettato, la vicinanza è concreta, palpabile. Tra canzoni del nuovo e del vecchio repertorio, l’artista inglese corre, salta, si libra in volo in piroette. Una figura in cui si fondono la libertà, il coraggio, l’istinto di un’amazzone e la grazia, l’eleganza, la delicatezza di una venere rinascimentale.

 

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Se South London forever è dedicata alla sua città natale ed è l’occasione per manifestare contro la brexit e qualsiasi tipologia di divisione in nome di un’Europa coesa, Patricia è un omaggio a Patti Smith, ispirazione costante nel percorso artistico della Welch. “Benvenuta a Bologna” – dice, guardando all’orizzonte, come se la sacerdotessa del rock fosse presente in quell’istante. Per Sky full of song, la scenografia si trasforma in un cielo stellato perché quel brano è sceso dall’alto, come necessità, come salvezza.

Si balla, si salta e, soprattutto, si fa un gesto sempre meno usuale durante i live. Infatti, su Dogs days are over viene fatta una richiesta: “So che è difficile, so che vi sembra strano…Ma, per favore, mettete in tasca per un attimo i vostri telefoni. Su, da bravi! Non condividete. Questo momento è vostro, solo vostro… e, se volete, posso dirlo anche in un inglese più formale… Togliete quei cazzo di telefoni!”.

È così Florence, spontanea, vera, umana. Cerca il contatto, scende le scale attraverso cui il palco arriva sino alle prime file e canta Delilah e What kind of man abbracciata ai suoi fan, aggrappata a loro, perché è grazie a loro che la melodia fiabesca di Cosmic love compie dieci anni. È grazie a loro che i suoi sogni di bambina sono diventati realtà. Ed è una sensazione tanto meravigliosa quanto terrificante, a volte. È una grande responsabilità, confessa, dimostrandosi profondamente riconoscente.

 

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L’encore è affidato alla solenne Big God e alla famosissima Shake it out. “Vi domando un’ultima cosa… cantiamola tutti insieme”. La chiusura perfetta del cerchio che rappresenta la rinascita di cui Florence è stata protagonista. Un inno a scuotere via i propri demoni, a danzare senza il loro peso sulla schiena. La consapevolezza di non poter cancellare mai totalmente il proprio passato ma accoglierlo, anche nel dolore. Lasciare che ciò accada, per liberarsi. Per volare alto, verso il proprio cielo. Per volare alto, come la speranza.

 

Testo: Laura Faccenda

Foto: Luigi Rizzo

Salmo @ Unipol_Arena

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• Salmo •

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P L A Y L I S T   T O U R

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Unipol Arena (Bologna) // 16 Marzo 2019

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1552435921124{margin-top: 20px !important;margin-bottom: 20px !important;}”][vc_column][vc_column_text]La sera del 16 marzo a Bologna, Maurizio Pisciottu in arte Salmo, ha coinvolto il pubblico dell’Unipol Arena in uno spettacolo degno di un artista navigato che calca palchi importanti da qualcosa come quarant’anni.

Al mio arrivo, il palco e la scenografia sono coperti da teli neri. L’intenzione di creare attesa e curiosità con me generalmente funziona poco, dato che preferisco vedere il palco vuoto e immaginare cosa potrà succedere successivamente con gli artisti in scena.

In realtà la solennità dei tendoni neri unita al frastuono di un palazzetto sold out con personaggi di tutte le età hanno aggiunto un’aura di eccitazione che, diciamolo, ha toccato anche me.

L’artista olbiense, punta tantissimo sulla propria simpatia innata e sulla capacità di saper stare comodo comodo sul palco quasi come fosse casa propria e il risultato incarna un riuscito mix di sperimentazione ed eccitazione.

In un mondo indie tinteggiato principalmente di quel viola e rosa che io tanto amo, quello che Salmo ci presenta è un arancione carico nutrito da tinte rosso carminio. Un vitaminico mix che si amalgama con la forza espressiva di un artista a “tinte forti” che sceglie consapevolmente di essere differente affermando così la propria grandezza.

Sta esagerando, direte voi.

Ebbene, non proprio, dato che sono appena stata colpita all’altezza dell’ombelico dal pugno di un rapper che incorpora un sound rock sfiorando l’hardcore, perché forse non tutti sanno che Salmo alle spalle ha trascorsi rock, punk e metal dovuti alle tante collaborazioni con gruppi come Skasico e To Ed Gein, tra gli altri.

Jacopo Volpe alla batteria mi ha lasciato senza parole ancora una volta, passando da un rock melodico ad un rap atomico con la scioltezza con cui ci si addormenta dopo due ore di nuoto intenso. E che dire del basso di Dade (Linea 77 ndr)? Incredibile oggi sul palco come incredibile è sempre stato.

Salmo interagisce con il pubblico. Scherza, sfotte e poi chiede alla platea di collaborare con un pogo circolare che può fare invidia a Giotto. Una ragazza si ferisce e il dolce Maurizio la chiama sotto al palco per vedere se ha bisogno di qualcosa.

Cuore.

E mentre sono ancora qui a chiedermi se una bomba energetica come questa possa aver avuto precedenti, e per mia esperienza solo Caparezza lo eguaglia, Salmo ha fatto un cambio d’abito. Nero, tono su tono con luci stroboscopiche verdi che introducono il pubblico al suono techno che nemmeno alla festa dei cento giorni puoi trovare, e lì si che ti serve la carica, cazzo.

Arancione, rosso e giallo. Poi tinte acide, fredde. Occhiali da sole. Ora giubbino di pelle. Infine Nitro sul palco (per Dispovery Channel). E ancora stage diving buttandosi da un parapetto laterale… Salmo è un figo ragazzi, anche se non ha mai visto una partita di calcio (nota dolente per una calciofila) e non ha mai visto dal vivo una ola.

E comunque non è finita, perché ad un certo punto ci regala dei balli afro che se potessi gli chiederei se durante la propria adolescenza non sia passato qualche volta in Romagna alla Melody Mecca. No, perché ci saremmo potuti fare una birretta.

Comunque un giorno qui in redazione si diceva che ad ognuno il suo genere, ma se così fosse e nessuno si mettesse alla prova con ciò che non conosce, io non sarei qui a chiedermi come mai siano solo 6 mesi che ascolto Salmo.

Osate, ragazzi. Sperimentate. Ce lo insegna anche Salmo.

 

Grazie a VIVO Concerti

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Foto: Luca Ortolani

Testo: Sara Alice Cecarelli

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Danilo Sacco @ Teatro Sociale di Villastrada

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• Danilo Sacco •

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Teatro Sociale di Villastrada (Mantova) // 16 Marzo 2019

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Foto: Mirko Fava

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1551661546735{padding-top: 10px !important;padding-bottom: 0px !important;}”][vc_column][edgtf_image_gallery type=”masonry” enable_image_shadow=”no” image_behavior=”lightbox” number_of_columns=”three” space_between_items=”tiny” image_size=”full” images=”12448,12444,12440,12447,12442,12441,12445,12443,12439,12446″][/vc_column][/vc_row]

Grandine: emozioni, passione e autoproduzione.

Tra le tante cose che amo fare c’è sicuramente quella di scoprire nuova musica, quella che nasce da fogli sparsi scritti a mano, da momenti di solitudine tra quattro mura e quella che prende vita dalla passione di chi crede in maniera smisurata in ciò che fa, partendo da zero e partendo da solo.

Marco Cappugi, in arte Grandine è senza dubbio uno di quelli.

Mi sono innamorata della sua voce un anno fa, quando per caso (anche se credo che nulla accada per caso) sono “inciampata” nell’unico singolo allora disponibile su Itunes: America.

Chi mi conosce sa bene il mio amore per gli States e la facilità con la quale io riesca ad amare qualunque cosa provenga da lì o abbia a che fare con questa parola.

Così leggo il titolo e in automatico schiaccio play, dando inizio al mio viaggio nella sua America, attraverso il suo concetto di America, come sempre paragonata a qualcosa di grande, al massimo a cui aspirare anche per fare una semplice promessa d’amore.

E’ proprio così che inizio a conoscere meglio questo ragazzo siciliano con il sogno di incidere un album.

Inizio a seguire passo dopo passo il suo lavoro, il suo impegno e le sue registrazioni in studio e quello che vedo mi colpisce, la sua umiltà mi colpisce tanto quanto le prime note di quell’unico singolo disponibile.

Giorno dopo giorno arriva il 18 gennaio, giorno d’uscita di Origami il suo album d’esordio e grazie al mio piccolo spazio su VEZ magazine con la rubrica “VEZ incontra” ho l’opportunità di incontrare Marco e fare in modo che riesca a raccontarsi un po’ e lo fa con il suo carico di umiltà ed emotività in questo modo….

 

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Marco Cappugi in arte Grandine, come nasce la scelta di questo nome e come inizia la tua/ sua storia? 

Il nome Grandine deriva dal mood delle mie canzoni, la mia musica è molto malinconica e si basa sui miei ricordi e le mie emozioni. Ricordi ed emozioni che spesso fanno male dentro e che ti segnano. Anche se sono siciliano, amo il freddo e l’inverno, sono un po’ meteoropatico. Cercavo un nome che descrivesse tutto questo e un giorno guardando un anime giapponese sentì il nome “Grandine”, me ne innamorai subito e decisi di farlo mio.

Per la realizzazione di Origami, il tuo primo album, hai utilizzato la piattaforma Musicraiser, promuovendo l’iniziativa sui social network, hai ottenuto il risultato che speravi? Raccontaci com’è andata. 

Essendo completamente auto-prodotto e non avendo alle spalle un’etichetta discografica o qualcuno che investa sulla mia musica, cercavo un modo per poter affrontare le spese di realizzazione e promozione dell’album. Così decisi di provare la strada del crowdfunding. All’inizio ero scettico, ci speravo ma non credevo che sarei riuscito a farmi finanziare dalle persone che ascoltavano la mia musica, era uscito solo il primo singolo America e pensavo fosse troppo poco per poter coinvolgere tanti fan. Per fortuna mi sono dovuto ricredere. America è arrivata al cuore di tante persone che mi hanno aiutato nella campagna di crowdfunfing su Musicraiser e sono riuscito, grazie a queste persone stupende, a finanziare il disco. Sono molto soddisfatto di come sia andata.

Hai tentato altre strade prima di decidere di auto-produrre interamente il tuo album o è stata una scelta netta, fatta a prescindere dall’eventualità di avere una casa discografica alle spalle? 

Mi piace autoprodurre la mia musica. Ogni canzone è come un figlio per me e mi piace potermi esprimere in libertà senza dover sottostare alle leggi di qualcuno o alle leggi di mercato. Ho sempre fatto quello che mi piace, senza pormi limiti e mi piacerebbe restare libero. Ovviamente sarei un ipocrita se ti dicessi “non voglio una casa discografica alle spalle”, però se mai succederà in un futuro spero che mi lascino la libertà di esprimermi.

 

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I tuoi testi sono ricchi di sentimenti, di vita vera e quotidiana, raccontata con estrema naturalezza, tanto da sembrare appunto “vissuta”. Quanto c’è di Marco nei tuoi testi? 

Direi il 100%. Non sono uno di quegli artisti che si creano il personaggio e raccontano di cose mai avvenute per vendere qualche disco in più. Tutto il mio mondo musicale ruota intorno a quello che sono veramente. Dal mio vestiario alla mia musica. Per me scrivere è uno sfogo, un modo per esternare quello che non riesco a dire nella vita di ogni giorno. Non sono una persona che parla molto, ma nella musica mi sento libero di raccontare tutto quello che sento. Scrivere una canzone è un po’ come fare una seduta da uno psicologo, e una volta conclusa la canzone e averla riascoltata mi emoziono tantissimo quasi al punto di piangere, proprio perché parla di cose che mi sono tenuto dentro per tanto tempo.

La tua musica è un mix perfetto di tanti stili che vanno dal pop al rap all’indie, pensi di esser cambiato in base ai tempi o hai sempre spaziato tra i vari generi? E se ne hai uno, qual è il tuo preferito? 

Come dicevo prima mi piace essere libero. Nella mia vita ho suonato diversi generi e diversi strumenti, dal punk al metal, dalla chitarra alla batteria. Quando ho iniziato a fare musica suonavo in un gruppo punk/rap, poi in un gruppo nu metal dove la componente rap era sempre presente nonostante si trattasse di metal. Ovviamente col passare del tempo la musica si evolve e cambiano i suoni. Io ho sempre suonato quello che mi piace a volte anche fregandomene se quel genere fosse ormai “obsoleto”. Più che un cambiamento credo sia un’evoluzione. Un artista, dal mio punto di vista, deve sempre sperimentare, evolversi e sapersi mettere in gioco. Mi piace ascoltare di tutto, non credo molto nella distinzione di genere nella musica, credo che se una canzone è scritta bene non importa il genere o chi la canti, conta solo quello che ti fa provare.

Il tuo disco è appena uscito e siamo solo all’inizio del 2019, sono previsti appuntamenti durante quest’anno, per ascoltarti dal vivo?

Ancora non c’è niente di ufficiale ma sto lavorando per portare Origami su più palchi possibili, speriamo bene.

Qual è l’augurio che fai a te stesso?

Di non cambiare mai. Di scrivere musica sempre e solo per la gente che come me ha qualcosa da esternare e non ci riesce a parole, mai per vendere qualche disco in più.

 

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Le parole di Marco, che siano all’interno dei suoi testi o all’interno di un’intervista, arrivano.

Arrivano i suoi messaggi positivi e arriva una speranza, cosa rara come questa sua sensibilità che traspare in ogni nota. La musica di Grandine è davvero forte come un chicco di grandine, è in grado di spaccare qualunque cosa volendo oppure semplicemente può rendere tutto più bello, anche solo per un attimo.

 

Claudia Venuti