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Mese: Maggio 2019

AMORE E PSICHE: TREVISO IL CUORE, LA DOGANA IL NUCLEO. ECCO CORE FESTIVAL APEROL SPRITZ

Passione e progetto: la grande musica italiana, le radici di Home Festival per un nuovo disegno. La lettera aperta del founder Amedeo Lombardi: “Treviso, preparati al futuro”

 

Sono passati dieci anni e siamo diventati maturi e la maturità porta a naturali cambiamenti, a cercare nuovi e ponderati stimoli, a creare nuovi progetti con saggezza e serietà con la consapevolezza del desiderio e la coscienza di quello che si fa, di ciò che si è fatto ma soprattutto di quello che si farà.

Treviso è sempre stata il cuore di Home, abbiamo un legame unico, continuativo e dalle mille sfaccettature che solo l’amore può dare.

La nostra casa è qui, il bar dove tutto è nato è qui. Come l’evento FreedHome Day in Fonderia, o il Bistrò sulle Mura che dà vita con rispetto ad uno dei simboli di Treviso o ancora, gli Elvis Days, una manifestazione storica che pulsa nel cuore della “nostra” città. Ma non solo.

La “Fiera d’Irlanda” in Prato della Fiera aperta a tutti e per tutti, la collaborazione alla  realizzazione della giornata dell’arte e della creatività per gli istituti superiori, il box office in Piazza Borsa, un modo per veicolare turismo e attenzione verso il centro cittadino, a due passi dai giardinetti di Sant’Andrea. E di certo, le nove edizioni di Home Festival nell’area della Dogana che saranno ricordate per sempre.

E’ tutto qui. Ma razionalmente ed in modo naturale è tempo di crescere, di dare una nuova svolta. Avevamo bisogno di
nuovi stimoli, di un nuovo progetto ed ecco Il Core Festival Aperol Spritz, nato dall’amore per la nostra città e pianificato con la professionalità ormai decennale. La svolta proporrà infatti un cambio di paradigma, proponendo per la prima volta, a livello nazionale, il meglio delle tendenze musicali italiane, ambientate in uno spazio che avete conosciuto negli anni passati, dove saranno riproposte e rese più brillanti.

Questo è un nuovo progetto legato al territorio, ma con un’idea già precisa e pianificata, realizzato grazie alla sinergia con un’azienda, l’Aperol Spritz, con cui condividiamo i valori ed il modo di celebrare Treviso: i residenti, l’amministrazione comunale, le categorie economiche, tutte le persone che da sempre credono in Home.

Il resto è il racconto di migliaia di persone che ogni giorno ci contattano, centinaia di persone che incrociamo in città o nelle riunioni in giro per l’Italia o per il mondo. Il resto è il racconto di scelte artistiche innovative, capaci di portare sul palco il made in Italy che brilla, dall’indie al rap, passando per le canzoni che impazzano nelle playlist dei giovani, che sono il futuro della musica, che come noi alla loro età eravamo già il futuro anche se i “grandi”, magari, non se ne accorgevano.

Quest’anno sarà un vero e proprio cantiere che getterà le fondamenta per realizzare questa nuova idea, un nuovo inizio, un rifacimento con basi solide.

LA PROGRAMMAZIONE ARTISTICA GIORNO PER GIORNO

Venerdì 7 giugno il primo headliner a far pulsare i cuori del Core Festival Aperol Spritz è Calcutta, il fenomeno indie pop italiano che colleziona un sold out dopo l’altro. Pseudonimo di Edoardo D’Erme, Calcutta è un giovane cantautore di Latina, classe 1989, che ha raggiunto la fama grazie al singolo Cosa mi manchi a fare, primo estratto dall’album Mainstream (2015), seguito da Gaetano, Frosinone e il disco d’oro Oroscopo, il cui video ha raggiunto un milione di visualizzazioni su YouTube nel giro di un mese. A distanza di due anni, il 25 maggio scorso è uscito Evergreen, anticipato dai tre singoli Orgasmo, Pesto e Paracetamolo, album che ha subito conquistato il primo posto della classifica Fimi.

Arriva poi la band più irriverente della nuova musica italiana, i Pinguini Tattici Nucleari. Ad aprile di quest’anno, dopo due anni dall’ultimo album “Gioventù brucata”, la band bergamasca indie rock capitanata da Riccardo Zanotti pubblica “Fuori dall’hype”, il primo album di carriera ad uscire per una major, la Sony, che la impegnerà in un tour estivo con tappa a Treviso.

Venerdì presente anche Ghemon, cantautore italiano tra i big selezionati per il Festival di Sanremo 2019. Sulla scena musicale da quasi vent’anni, Ghemon ha pubblicato cinque dischi d’inediti, tra cui l’ultimo Mezzanotte, uscito nel 2017, che contiene successi come Un temporale, Bellissimo e la title track Mezzanotte.

E poi lei, la cantante mascherata più famosa della scena, Myss Keta. La rapper che ha conquistato le vette con il suo mix di elettronica e afro, è fresca di album, a marzo infatti è uscito PAPRIKA, per Island/Universal Music Italia, che vede prestigiose collaborazioni, da Guè Pequeno a Mahmood, da Wayne Santana della Dark Polo Gang a Gemitaiz, Luchè e Quentin40.

E dopo di lei, ci sono anche I Miei Migliori Complimenti, Postino, il dj e produttore italo-canadese Bruno Belissimo, il pop
stravagante di Auroro Borealo, Costiera, Jolly Mare dj set e la band trevigiana La Scimmia.

Sabato 8 giugno a tutto rap con Salmo, il rapper di Olbia capace di riempire i palasport. Il suo ultimo album “Playlist” ha conquistato le vette delle classifiche di vendita e di ascolto sulle principali piattaforme digitali, l’album è certificato doppio disco di platino. Impegnato nel “Playlist Tour”, Salmo stupirà il popolo del Core Festival Spritz con uno show unico. A condividere lo stesso palco, c’è Gemitaiz che porta una sferzata di hip hop romano. Attivo dal 2003 con l’etichetta Tanta Roba, l’artista l’anno scorso ha dato alla luce l’album “Davide” impreziosito da svariate collaborazioni con artisti del calibro di Gué Pequeno (con il quale ha inciso il terzo singolo Tanta Roba Anthem), MadMan, Fabri Fibra e Coez.

A Treviso arriva anche Achille Lauro, l’artista romano classe 1990 elogiato dalla scena rap nazionale con il primo mixtape “Barabba” (2013) per poi conquistare la fama grazie a “Dio c’è”, “Ragazzi madre” e “Pour l’amour”, nonché per la sua performance al Festival di Sanremo col brano “Rolls Royce” che l’ha incoronato nuova icona rock and roll italiana. Ad aprile è uscito “1969”, il nuovo album che lo vedrà impegnato in un intenso tour, con tappa imperdibile al Core. Ma non finisce qui, ci sono anche il rapper Luché, Ketama126 e gli immancabili amici Rumatera con la loro travolgente energia punk rock in puro dialetto veneto.

E poi, il collettivo artistico SXRRXWLAND, Christian Effe, il noto dj resident dell’Home, con le sue evoluzioni sonore, il pop del cantautore Dola e il rap dei Fuera. Sabato ancora potere alla consolle con il dj set di Susum e di Raphael Delaghetto, e infine Halba X Foldino, Giovaneeffe e A.Kawa.

Domenica 9 giugno J-Ax prosegue al Core Festival Aperol Spritz i suoi festeggiamenti per i 25 anni di una carriera di grande successo. E lo fa assieme a Dj Jad riunendo gli Articolo 31, band che ha fatto la storia del panorama italiano degli Anni Novanta e che ha fatto scatenare e cantare migliaia di persone con le canzoni simbolo L’italiano medio, La mia ragazza mena, 2030, Così com’è, Ohi Maria, pietre miliari di una generazione intera.

Un’occasione unica per rivivere quelle emozioni senza tempo. Non poteva di certomancare la band rivelazione dell’anno, i Måneskin, che con l’ep d’esordio Chosen (2017) hanno conquistato un disco di platino e, a seguire, il doppio disco di platino con l’omonimo singolo.

Dopo aver aperto il concerto milanese degli Imagine Dragons a settembre 2018, nello stesso mese presentano il singolo “Torna a casa” che ottiene il triplo disco di platino, a cui segue ad ottobre l’uscita del loro primo album “Il ballo della
vita”, già certificato doppio platino.

Emis Killa, artista con oltre 25 certificazioni tra dischi d’oro e platino, oltre 3.000.000 fan sui social, più di un milione di iscritti al canale Youtube, oltre due milioni di ascoltatori mensili su Spotify, con all’attivo un successo editoriale con il suo libro “Bus 323. Viaggio di sola andata”. Il 29enne milanese è fresco del quarto album in studio “Supereroe” per la Carosello Records (2018) certificato disco d’oro.

Domenica ad arricchire ulteriormente il cartellone artistico, arrivano altre perle musicali: il cantautore, musicista e producer romano Leo Pari, il romagnolo Duo Bucolico e Davide Petrella, il mago dei tormentoni italiani, autore di canzoni come “Pamplona” e “Vorrei ma non posto”.

E poi si vola dalle ambientazioni post elettroniche a graffi retrò di Nostromo al pop sintetico di Fosco17 fino alle sonorità rap del trevigiano Lee Odia; e ancora, la musica del cantautore Bruno Sponchia, l’ensemble dell’eclettica Funkasin Street Band,
le sperimentazioni elettroniche degli Holograph e per concludere, le peripezie folk della FGM B-Folk Band.

Gamification e musica, come imparare divertendosi con Syntorial

Con il termine gamification si intende comunemente l’utilizzo di principi e tecniche comuni nei giochi, applicate attraverso il game design, in contesti che di ludico, generalmente, hanno ben poco. Si tratta, insomma, di una strategia, ultimamente sempre più in voga, utile a rendere meno fastidioso e stressante lo svolgimento di precise attività, uno strumento a cui si affidano molte aziende per fidelizzare la clientela, quando non per motivare i propri dipendenti.

Uno dei tanti pregi della gamification è la sua applicabilità nei campi più disparati e tra questi c’è ovviamente la musica, la spesso noiosa, complicata ed ardua acquisizione di abilità e conoscenze necessarie per suonare degnamente uno strumento.

Joe Hanley, leader di Audible Genius, piccola software house statunitense, unendo le proprie competenze in qualità di insegnante, musicista e programmatore, ha ben pensato di dare vita a Syntorial, un software per PC che guida all’apprendimento dei rudimenti necessari per suonare il sintetizzatore, alternando lezioni teoriche con esercizi che non hanno nulla da invidiare ad un comune puzzle game.

Scaricato il software dal sito ufficiale, di cui esiste una versione di prova gratuita, ma il cui prezzo fissato per tutte le 199 lezioni è di 146,99 €, si verrà immediatamente introdotti ad un video che illustra le modalità di funzionamento del programma.

Avendo a che fare con un tutorial interattivo, come anticipato, il corso si avvierà con un filmato, utile ad apprendere i concetti espressi nella lezione di turno, sia essa interessata ad insegnare il lessico specifico o il significato e l’utilizzo delle icone e strumenti che compongono il sintetizzatore virtuale che occuperà costantemente la parte centrale dello schermo.

Una volta terminata la visione, si passerà immediatamente alla verifica pratica, veri e propri puzzle da risolvere, con tanto di valutazione e voto finale. A partire da un motivo preimpostato, vi verrà chiesto di riprodurlo, modificando indicatori ed effetti che compongono il sintetizzatore. Più i due suoni combaceranno, maggiore sarà il risultato ottenuto nell’esercizio.

Trattandosi di un software che ha tutte le intenzioni di incoraggiare lo spirito creativo degli aspiranti musicisti, nulla vieterà all’utente, durante i suoi molteplici tentativi, di salvare in qualsiasi istante una combinazione sonora particolarmente orecchiabile, da riutilizzare liberamente in un secondo momento.

Syntorial è un programma dalle grandi potenzialità, adatto ad un pubblico in linea teorica molto ampio. Essendo indirizzato principalmente a musicisti, è indispensabile possedere un minimo di dimestichezza con la materia in esame.

Al tempo stesso, tuttavia, ogni concetto è espresso in termini estremamente chiari e semplici, naturalmente solo in lingua inglese beninteso. A patto di possedere una tastiera USB da collegare al PC, praticamente imprescindibile per eseguire gli esercizi più complessi, e di saperla usare, con un po’ di buona volontà, persino un neofita potrebbe affidarsi a Syntorial per tentare la carriera di musicista di vaporwave, synthwave e generi affini.

Pratica, efficace, divertente, la creatura di Audible Genius è l’empirica dimostrazione di come la gamification funzioni anche in campo musicale e di quanto efficacemente veicoli l’apprendimento.

 

Lorenzo Kobe Fazio

Benjamin Clementine @ Teatro delle Celebrazioni di Bologna

“Musa, musa meravigliosa sì che esisti”

 

Esiste, sì. Non sempre si manifesta ma sono certa di averla vista, questa musa: aleggiava sulle spalle curve di Benjamin Clementine, al Teatro delle Celebrazioni di Bologna, in una tiepida sera di Maggio.

Prima del concerto, mentre cammino per via Saragozza, lo incrocio. È altissimo e così vestito di bianco, con quella strana acconciatura simile a un turbante, sembra un principe africano. Passeggia con un amico, lo riconosco, mi guarda, ci sorridiamo. Poco dopo lo rivedo, mentre sta facendo qualche foto con i fan. Anche in quel momento, mi immagino la musa della Musica e della Poesia vegliarlo e proteggerlo dall’alto.

Benjamin è di origine ghanese, ha vissuto in Inghilterra ed è parigino d’adozione. A 18 anni si trasferisce in Francia, in cerca di fortuna. Qui inizia a suonare per strada, come buskers, fino a quando non viene notato da un discografico, in metropolitana. Suona, canta, scrive poesie e spesso inventa parole che non esistono. Per tutti questi motivi, per questa sua natura meticcia, è difficile definirlo. Riduttivo chiamarlo artista soul, anche se indubbiamente, nella sua musica, di anima se ne sente parecchia.

Il suo concerto è anticipato dall’esibizione di Beaven Waller, talentuoso musicista texano. Quando termina, in perfetto orario, il pubblico è clamorosamente in ritardo, come da malcostume italiano. Verso le dieci la sala è finalmente piena, le persone iniziano a chiamarlo, applaudendo e gridando il suo nome.

 

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Dopo qualche minuto Benjamin Clementine arriva, si fa strada sul palco a piedi nudi e indossa il completo bianco che avevo visto poco prima, arricchito da uno strano collo vittoriano che gli dà un’aria ancora più regale.

Insieme a lui un quintetto di archi. Tra gli applausi si siede, appollaiandosi su uno sgabello alto, forse troppo per il pianoforte. In alcuni momenti del concerto è talmente ripiegato da sovrastarlo, come se lo stesse abbracciando.

Pochi artisti riescono a catalizzare l’attenzione del pubblico con la stessa potenza di Benjamin Clementine. È un artista intelligente, mercuriale. Vivace e un attimo dopo introverso.

Lo spettacolo inizia con Winston Churchill’s Boy. Difficile categorizzare la sua voce: è uno strumento controllato e perfetto, come se fosse nato apposta per raccontare tutte le sfumature dell’anima. Dal dolore, che è sempre profondissimo, all’amore, passando per la rabbia. La sua è una sofferenza latente, accennata e ostica. Questo è evidente soprattutto in pezzi come God Save the Jungle che evoca la crisi dei migranti senza mai diventare una tirata politica. Tutto, nelle sue canzoni, è raccontato da un punto di vista personale.

Nonostante il palco, davvero minimalista, la sua performance abbraccia la teatralità. Anche le canzoni, pur conservando quella eloquenza drammatica, sono spinte ai limiti. Mutano continuamente, prendendo strade inaspettate, come quando Clementine cambia il testo di I won’t complain, per raccontare la sua giornata bolognese, trascorsa al santuario di San Luca.

Spesso le sue interpretazioni lasciano spazio all’ironia o al falsetto. Non sempre queste scelte creative funzionano, ma non si può negare il suo talento.

La mia sensazione è che Benjamin Clementine non senta il bisogno di ripetersi per soddisfare le aspettative del pubblico. E, proprio questo atteggiamento, è una prerogativa dei grandi: Nina Simone, Nick Cave, Bob Dylan. Il suo è uno spettacolo geniale, dolce e mai noioso, durante il quale è impossibile non chiedersi quale strada imboccherà girato l’angolo dell’ultimo pezzo.

Quando vinse il Mercury Prize nel 2015 per il suo album di debutto, At Least For Now, in tanti hanno pensato che questo tizio con la voce angelica sarebbe diventato l’ennesimo cantante per tutte le stagioni, la cui musica poteva tranquillamente fare da sottofondo ad una serata romantica.

Ancora però non sapevamo quanto fosse eccentrico e originale questo ex-busker e in molti si sono dovuti ricredere. All’interno della sua musica, soprattutto nel suo modo di comporre testi, è impossibile non notare tutte le influenze di quei poeti e scrittori che ha amato: William Blake e Sylvia Plath su tutti, ma non è quello che sorprende.

È l’enorme capacità interpretativa. Tutto il suo corpo diventa strumento espressivo per raccontarci una storia, non solo la voce, ma anche le mani: schianta le dita sui tasti del pianoforte, gesticola, a volte si rivolge al pubblico come un direttore d’orchestra. La sua è un’urgenza espressiva impossibile da contenere.

Infatti Clementine parla molto, anche in italiano: buonasera, grande, grazie, chiede informazioni sulla partita di calcio che si è giocata la sera prima. È di ottimo umore, merito probabilmente anche del pubblico, caldo e reattivo.

I Won’t Complain è, come da previsioni, uno dei momenti più maestosi del concerto. La canzone si spoglia e si gonfia, fino a riempire l’intero teatro che sembra quasi non riuscire a contenerla.

 

 

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La prossima canzone è una delle prime che ho fatto in pubblico” inizia, “con questa ho smesso di ripetere le cose che facevano gli altri, i grandi artisti, e ho iniziato a cantare quello che sentivo io“. Parte Cornerstone, il pubblico si entusiasma già dalle prime note.

Clementine è sicuro, ma imprevedibile. Il suo volto è spigoloso, scolpito nell’ebano, ed è difficile dire, a volte, se si stia contorcendo i nervi oppure se si stia divertendo con il suo pubblico.

Su Adios scende dal palco e gira tra la gente, chiede partecipazione, ripete ossessivamente “the decision is mine, so let the lesson be mine” invitandoci a battere un piede a tempo fino a che non si ritiene soddisfatto della resa finale. Risale sul palco, si erge sulla ribalta dei musicisti, appoggia un piede scalzo sul piano.

È uno strano alieno Benjamine Clementine, ha la stessa sostanza matta dei grandi. Dopo l’ultima canzone, prima di lasciare la scena, spinge i musicisti a prendersi gli applausi del pubblico, facendosi da parte, un gesto che la dice lunga sul suo approccio umile verso la musica.

Al termine del concerto, mentre cammino nella notte bolognese in una serata finalmente primaverile, ho la sensazione di aver assistito a qualcosa di eccezionale. E la Musa, che indubbiamente esiste, protegga sempre Benjamin Clementine!

 

Daniela Fabbri

Foto di Carlo Vergani

Parma Music Park

L’estate in musica nella nuova arena concerti di S. Polo di Torrile, Parma

 

Anche Parma avrà la sua estate con musica e festival di primo piano: nasce nel parco di San Polo di Torrile in via Buozzi 3 una nuova arena concerti con un fittissimo programma. Sarà il Parma Music Park ad animare la stagione della città per tutta l’estate, a partire dal 24 maggio con concerti di spicco: dagli italiani come Marlene Kuntz, Capo Plaza, MadMan, Carl Brave agli internazionali come Cannibal Corpse, Groundation, Soulfly, Dub FX, Morgan Heritage e Dub Incorporation nella decima edizione del Positive River Festival, e ancora, sul fronte più indie, Ex-Otago, Pinguini Tattici Nucleari, Fast Animals and Slow Kids, Canova, I Hate My Village (Adriano Viterbini e Fabio Rondanini) più il metal medievale dei Folkstone e i festival a tema. I biglietti sono tutti in prevendita sul circuito Ticket One, online e nei punti vendita. Tutte le sere, apertura alle 19 e inizio concerti alle 21, per proseguire poi con i dj set.

L’estate di Parma sarà viva e in musica! A pochi chilometri dal casello autostradale, un imponente palco immerso nel verde ospiterà il Parma Music Park – la rassegna estiva curata dal Campus Industry Music di Parma in collaborazione con Positive River – che proporrà le migliori produzioni italiane e internazionali. La kermesse sarà dotata anche di area ristorazione, diversi bar e una zona campeggio e offrirà anche diversi eventi gratuiti. Per i più piccoli, inoltre, è prevista un’area gioco con gonfiabili, maghi e giocolieri. Una valida alternativa per le proprie vacanze: per chi resta in città e per chi verrà attirato dai nomi di richiamo.

Si comincia il 24 maggio con l’inaugurazione ufficiale, primo di tre giorni di festival gastronomico dedicato ad arrosticini e bombette più concerti, tutto a ingresso gratuito. Venerdì 24 concerto dei Folkstone, in tour con l’album appena uscito, ad aprile, “Diario Di Un Ultimo”, settimo lavoro della formazione, successore dell’acclamato Ossidiana uscito ne 2017 distribuito da Universal Music, prosegue il percorso iniziato quindici anni fa con una commistione originale di metal e suoni acustici e tipicamente associati alla musica folk del nord Europa, come cornamuse, arpe e flauti.

Si prosegue sabato 25 maggio con I Hate My Village, uno dei gruppi rivelazione del 2019, che nasce dall’incontro tra Fabio Rondanini alla batteria (Calibro 35, Afterhours) e Adriano Viterbini alla chitarra (Bud Spencer Blues Explosion e molti altri), accomunati dalla passione per la musica africana e dall’esigenza di dare voce alla loro ricerca del “groove perfetto”. Domenica 26, a vent’anni dalla morte di Fabrizio De André, ci sarà il concerto De André 2.0: non l’imitazione di un artista inarrivabile come De André, ma una vera e propria reinterpretazione, che si prende anche dei rischi, espressivamente parlando.

Dopo i giorni inaugurali i concerti proseguiranno con un continuo susseguirsi di artisti di primo piano. Da notare, subito, il primo giugno, il concerto dei Canova. Di recente formazione, dall’uscita del primo disco, nel 2016, “Avete ragione tutti” per Maciste Dischi, non si sono mai fermati, con centinaia di date, disco d’oro, premio MEI come miglior esordio e ora il nuovo album: “Vivi per sempre”. Poco dopo, venerdì 7 giugno, è il tempo de Il Festivalino, dove suoneranno in una sola serata quattro artisti italiani freschi e nuovi, che stanno conoscendo un successo in rapida crescita: i bolognesi Rovere – che portano in tour il primo recentissimo album, “Disponibile anche in mogano” -, e poi Megha – anche lui con il primo album di studio, Superquark -, e anche Rumatera e Cogito.

Spiccano anche i rapper MadMan + Massimo Pericolo, in concerto il 14 giugno, e Capo Plaza, live il 28 giugno. Madman, classe ’88, nato nell’ambiente underground, in passato ha conquistato il disco d’oro dopo solo due mesi dall’uscita dell’album “Kepler”, fatto con Gemitaiz. Ad aprile è partito con il nuovo tour “MM VOL. 3 TOUR”. Capo Plaza con “20”, il suo primo album, pubblicato nel 2018, ha conquistato due dischi di platino: un bel traguardo per il giovane rapper salernitano reduce anche da un tour europeo – cosa non particolarmente comune per un artista italiano – che si è concluso con un sold out all’Alcatraz di Milano.

Da notare alcune date di particolare peso all’interno del programma, come quella dei Marlene Kuntz dell’11 luglio. In occasione dei 30 anni di carriera e dei 20 compiuti dal loro terzo album “Ho ucciso paranoia”, tornano in tour per l’estate con una serie di date molto speciali “30 : 20 : 10 MK2”, che si aprirà proprio al Parma Music Park. Concerti particolari che proporranno i Marlene in versione “al quadrato”, in tre ore di spettacolo in cui la prima metà sarà interamente acustica e la seconda tutta elettrica.

Spazio alla musica italiana anche il 30 agosto con Carl Brave. L’artista romano porta le sue Notti Brave nel parmense, dopo la spettacolare esibizione all’ultimo concerto del Primo Maggio, dove si è esibito tra Noel Gallagher e Manuel Agnelli: una posizione in scaletta che dice molto. 16 milioni di visualizzazioni su Youtube in sei mesi per il brano “Posso”, in cui canta con Max Gazzè, e 60 milioni di visualizzazioni in un anno per “Fotografia”, in cui invece si esibisce con Francesca Michielin e Fabri Fibra, fanno ben capire dove punti Carl Brave in termini di fama.

Canzone d’autore, rap, pop, rock, indie, reggae, metal. Ce n’è per tutti i gusti nel programma del Parma Music Park. Per restare sull’ultimo citato, il metal, la parte del leone spetta ai Cannibal Corpse, formazione storica del genere in concerto a San Polo di Torrile il 25 giugno, ma è di tutto rispetto anche il concerto dei Soulfly, da Phoenix, che il 9 luglio portano a Torrile il loro undicesimo album di studio. Sul fronte reggae le date principali sono quella degli americani Groundation il 17 giugno – che tornano in Italia per presentare il loro ultimo lavoro “The Next Generation” – e l’appuntamento con il Positive River Festival, 18-21 luglio, che giunge quest’anno alla decima edizione e per l’occasione ha fatto le cose in grande con quattro giorni di concerti di spessore: Dub FX + Manudigital (18 luglio), Morgan Heritage (19 luglio) e Dub Incorporation (21 luglio).

E ancora tanta musica indie italiana nelle sue infinite sfumature. Il 9 giugno ci saranno i genovesi Ex-Otago con il “Cosa fai questa notte? tour 2019”, dopo i recenti singoli “Questa notte” e l’originale e appassionata versione quasi morriconiana di “Amore che vieni, amore che vai”; il 29 giugno i Pinguini Tattici Nucleari – con il nuovo disco uscito a marzo “Fuori dall’Hype” – e il 12 luglio Fast Animals and Slow Kids, che hanno da poco rilasciato nuovo video “Radio radio” e album “Animali notturni”. Ancora molte altre le date di un programma ancora in aggiornamento ma che già promette faville.

 

PROGRAMMA (in corso di aggiornamento)

24-26 maggio, Inaugurazione Parma Music Park – Arrosticini vs. Bombette Festival (ingresso libero)

24 maggio, Folkstone (ingresso libero)

25 maggio, I Hate My Village (ingresso libero)

26 maggio, De André 2.0 (ingresso libero)

31 maggio, Michele Luppi Band

1 giugno, Canova

7 giugno, Il Festivalino – Rovere + Rumatera + Megha + Cogito

8 giugno, Holi Summer Festival – La festa del colore (ingresso libero)

9 giugno, Ex-Otago

14 giugno, MadMan + Massimo Pericolo

15 giugno, Viva Woodstock (ingresso libero)

17 giugno, Groundation

25 giugno, Cannibal Corpse + Sadlist

28 giugno, Capo Plaza

29 giugno, Pinguini Tattici Nucleari

30 giugno, Fiera del Mistero

9 luglio, Soulfly

11 luglio, 30 : 20 : 10 MK² Tour

12 luglio, Fast Animals and Slow Kids

18-21 luglio, Positive River Festival, decima edizione

18 luglio, Dub FX + Manudigital

19 luglio, Morgan Heritage

20 luglio, TBA

21 luglio, Dub Incorporation

30 agosto, Carl Brave

 

COME ARRIVARE al Parma Music Park:

Località San Polo di Torrile

via B. Buozzi, 3, 43056 Torrile (Parma)

 

GOOGLE MAPS

Indicazioni qui: http://bit.ly/2ULOMo8

 

BUS

Per raggiungere San Polo di Torrile in autobus da Parma puoi scaricare gli orari degli autobus delle linee Tep al seguente link: http://www.tep.pr.it/download_colorno_5.aspx

 

TRENO

La stazione di San Polo di Torrile si trova sulla linea Parma  – Brescia e dista meno di 1 km dal Parma Music Park, circa 10 minuti a piedi. È la prima fermata in treno da Parma, circa 10 minuti di treno. Ulteriori informazioni le puoi trovare su: http://www.trenord.it/it/home.aspx

 

AUTO – Dal centro città: percorrendo Via Trento – Via San Leonardo e Via Colorno in direzione Colorno Casalmaggiore Mantova, passare l’abitato di San Polo fino alla zona industriale, girare a destra nei pressi della farmaceutica Glaxo Smith Kline. Seguire poi le indicazioni segnaletiche del Festival.

 

– dall’AUTOSTRADA A1 (da Bologna o da Milano): uscita PARMA. Prendere la direzione Colorno Casalmaggiore Mantova, passare l’abitato di San Polo fino alla zona industriale, girare a destra nei pressi della farmaceutica Glaxo Smith Kline. Seguire poi le indicazioni segnaletiche del Festival.

 

Parma Music Park

Località S. Polo – via B. Buozzi, 3 | 43056 Torrile, Italia

Tel.+39 370 3300851| facebook.com/ParmaMusicPark |instagram.com/parmamusicpark

[email protected] | www.parmamusicpark.com

La magia del Prado

•Quando l’arte incontra la musica•

 

Madrid è una delle mie città preferite, sembra avvolta da una patina magica che la rende unica al mondo. Ovunque ti giri non puoi fare a meno di sgranare gli occhi perché in ogni angolo puoi trovare una chiesa, un palazzo o una fontana che catturano la tua attenzione.

Madrid per me è sinonimo di arte e musica.

Tra i tanti musei che la città ospita ho deciso concentrare la mia attenzione sul Museo del Prado. Non solo perché nel 2019 vengono celebrati i suoi 200 anni ma perché raccoglie una collezione di opere da lasciare senza fiato.

L’imponente museo, costituito da un dedalo di stanze in cui è facile perdersi, ospita dipinti di alcuni degli artisti più importanti della storia: Tiziano, Durer, Bosch, Raffaello…elencarli tutti sarebbe impossibile.

Passeggiando per le sale, armata di cartina, passando da un quadro ad un altro mi sono accorta che moltissimi artisti nelle loro opere inseriscono riferimenti al mondo della musica.

Ci sono autori che decidono di celebrare i musicisti intenti a fare il loro lavoro, altri che immortalano momenti di festa, altri che celano dietro l’immagine di un musico i potenti del loro tempo e altri ancora che nelle loro opere a volte in primo piano, a volte celati in disparte, inseriscono degli strumenti.

Dopotutto la musica, una forma d’arte antica quasi quanto l’uomo, è parte fondamentale della vita di tutti e quando due arti così importanti si incontrano non possono nascere che dei capolavori.

In questa breve carrellata vedremo insieme alcune opere che contengono dei richiami al mondo nella musica e come i loro artefici hanno deciso di rappresentarla.

Partiamo dal tedesco Hans Baldun Grien che nella sua opera Le Tre Grazie decide di trattare un soggetto di matrice classicheggiante molto caro ai rinascimentali. 

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Hans Baldung Grien, Armonia o Le tre Grazie, 1541-1544 

Al Prado possiamo ammirare anche l’opera di Rubens, che tratta lo stesso soggetto ma lo fa in modo totalmente diverso.

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Pieter Paul Rubens, Le tre Grazie, 1636 ca., olio su tela

Osservando i due dipinti, infatti, più che le somiglianze possiamo soffermarci sulle differenze.

Grien vive in un periodo turbolento, caratterizzato da scontri religiosi che sconvolgono gli stati tedeschi. L’artista si inserisce in un filone che viene denominato arte della riforma in cui le opere si caricano di una forte carica morale. 

Nel dipinto possiamo notare due strumenti, un liuto e una viola da braccio, e un putto che tiene tra le gambe uno spartito. L’opera, che a prima vista potrebbe sembrare di matrice puramente classica, nasconde in realtà un significato più profondo.

Sullo sfondo, attorcigliato al tronco di un albero, possiamo notare un serpente, nella cristianità simbolo per eccellenza del male e della corruzione. A questo punto, vista anche la presenza di un Cigno (che potrebbe rimandare alla seduzione di Leda ad opera di Giove) potremmo vedere nell’opera una critica negativa alla musica profana, tematica molto in voga nella patria dell’artista.

Diverso invece è il caso del nostro connazionale Tiziano Vecellio che ci propone un’opera dal titolo Venere con Organista e Cupido.

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Tiziano Vecellio, Venere con Organista e Cupido, 1540-1550

Anche quest’opera riprende un soggetto classico: la Dea della bellezza nuda distesa su un letto.

L’italiano però rispetto all’iconografia più tradizionale inserisce un musicista, abbigliato con indumenti del 500 e armato, che osserva quasi con desiderio il corpo di Venere.

Nelle sue fattezze possiamo facilmente riconoscere Filippo II, committente dell’opera.

Tiziano riesce a fondere alla perfezione il tema classico alla sua realtà inserendo nell’opera un giardino rinascimentale, carico di riferimenti simbolici.

Ma la musica entra anche nei quadri spiccatamente religiosi.

Antiveduto della Grammatica nella sua opera Santa Cecilia rappresenta la donna intenta a a suonare un organo, mentre sullo sfondo, in penobra, un angelo la ascolta rapito.

 

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Antiveduto Della Grammatica, Santa Cecilia, Olio su tela, 1611

Alle spalle della santa possiamo anche scorgere un violino e un liuto poggiato su un tavolo.

Il fatto che la santa stia suonando proprio un organo non è casuale dal momento che, secondo la tradizione, sarebbe stata proprio lei ad inventare questo strumento.

Inoltre il suo essere circondata da strumenti è dovuto al fatto che Santa Cecilia è, per la fede cristiana, la patrona della musica degli strumentisti e dei cantanti.

Ma andiamo a vedere un quadro pensato per essere esposto in un monastero situato a meno di cinquanta chilometri da Madrid: L’Adorazione dei Pastori di Juan Bautista Mainò. 

 

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Maino Juan Bautista, Adorazione dei Pastori, olio su tela, 1610 ca.

Nell’opera, che riprende la natività secondo il Vangelo di Luca, vengono rappresentati un gruppo di pastori e di angeli che venerano il bambino, appena nato. Il dipinto si articola su tre livelli e in quello inferiore, più vicino allo spettatore, possiamo notare un pastore intento a suonare.

In questa tela possiamo notare non solo l’influsso di Caravaggio ma anche quello di El Greco, che operava proprio a Toledo.

Ma la musica si inserisce con naturalezza anche nelle rappresentazioni dei paesaggi e della vita quotidiana. L’opera di Brueghel il Vecchio, Matrimonio in Campagna, ci fornisce uno spaccato su quella che era la vita nel primo 1600.

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Jan Brueghel Il Vecchio, Matrimonio in Campagna, olio su tela, 1612 ca.

L’autore, nonostante voglia porre l’accento sulla processione nuziale, da una grandissima importanza al paesaggio che viene rappresentato con grandissima cura.

La musica, allora come oggi, alle nozze rivestiva una grandissima importanza e quindi Brueghel inserisce i musicisti proprio nella processione. 

Notiamo infatti un uomo con un tamburo che precede lo sposo (vestito di nero con il collare), mentre tre uomini armati di strumenti a corda separano il gruppo degli uomini da quello delle donne, dove possiamo notare la sposa (anche lei in nero).

Oltre a Brueghel sono molti gli autori che hanno deciso di trattare un tema simile, basti ricordare Teniers o Snyders.

Chiudiamo questa carrellata con uno degli artisti più presenti al museo del Prado: Francisco de Goya y Lucientes.

Nonostante molti lo conoscano per opere cupe come Saturno che divora i suoi figli o Il sonno della ragione genera mostri, nel corso della sua lunga vita Goya ha attraversato diverse fasi influenzate dal suo vissuto personale, dagli artisti con cui è entrato in contatto e da una sorta di dualismo tra sentimenti e ragione.

Analizzeremo qui un’opera appartenente a quella che spesso viene definita la maniera chiara,         , confrontandola con un dipinto di suo cognato Ramon Bayeu y Subias.

In questa prima fase Goya prende spunto da persone comuni e dal folclore spagnolo e i suoi dipinti sono caratterizzati da colori chiari e da una sorta di spensieratezza.

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Francisco de Goya y Lucientes, Un uomo cieco suona la chitarra, olio su tela, 1778

In Un uomo cieco suona la chitarra Goya rappresenta uno straniero il cui ruolo è quello di spostarsi di città in città  portando notizie. In quest’opera possiamo notare anche altri personaggi come il nero, il cui ruolo tradizionale era quello di vendere acqua, il venditore di meloni e e il pescatore.

Nell’opera di Bayeu, Il musicista cieco, l’uomo è accompagnato da un ragazzo che gli fa da guida e lo aiuta a richiamare l’attenzione, grazie anche all’aiuto di un cagnolino.

 

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Ramon Bayeu y Subias, Il cieco con la chitarra, olio su tela, 1786 ca.

Nonostante il soggetto trattato sia il medesimo le due opere si discostano molto per la struttura, i colori e la composizione. L’opera di Goya ci restituisce uno spaccato della società spagnola mentre quella di Bayeu y Subias sembra quasi essere inserita un contesto pastorale.

Concludo qui il mio racconto sul Museo del Prado e lo faccio prendendo in prestito le parole di un grande artista, Pablo Picasso:

L’arte scuote dall’anima la polvere accumulata nella vita di tutti i giorni.

Questo è lo stesso compito che assolve la musica.

Nella vita frenetica e quotidiana di oggi spesso non troviamo il tempo di entrare in un museo, di soffermarci ad osservare un quadro, di godere della catarsi che certe opere sono in grado di offrirci. Spesso però la musica può sopperire a questa mancanza.

Musica e pittura sono due arti gemelle che vanno di pari passo, quando queste due si incontrano non possono che nascere opere importanti, in grado di toccare le corde della nostra anima

Laura Losi

LA LINE UP DI OLTRE FESTIVAL

La nuova arena della musica di Bologna

Dal 3 al 7 luglio nel Parco delle Caserme Rosse

 

Nasce a Bologna una nuova arena estiva dedicata alla musica: Oltre Festival, un invito a passare cinque giornate oltre le mura del centro, a esplorare generi e suoni, a scoprire artisti noti e meno noti che stanno lasciando il segno nel panorama artistico italiano.

 

Un Festival fresco non solo per la proposta musicale ma anche per la location: sarà, infatti, il Parco di Caserme Rosse, in Bolognina, ad ospitare la rassegna annunciata in occasione della presentazione del cartellone Bologna Estate 2019 promosso dal Comune di Bologna. Uo spazio periferico, dunque, che si trasformerà in uno dei luoghi più importanti della proposta culturale dell’estate bolognese.

 

Questi i nomi annunciati in attesa che vengano svelate le prossime sorprese:

 

Noyz Narcos, Rkomi, Ernia, Speranza, Franco 126, Mecna, Motta, Murubutu, Giorgio Canali e Rossofuoco, Clavdio, Margherita Vicario, Nostromo, Fosco 17, Massimo Pericolo, Irbis37, Dola.

 

I concerti saranno a pagamento nelle giornate del 3-4-5 luglio e gratuiti il 6 e il 7.

È già possibile acquistare i biglietti su www.boxerticket.it e www.ticketone.it e in tutti i punti vendita autorizzati.

OLTRE Festival è organizzato da Zamboni 53 Store, Millenium Club e Unipol Arena in collaborazione con Arci Bologna e il patrocinio del Comune di Bologna.

 

L’Ufficio Stampa

Marco Pignatiello | Arci Bologna

  1. 329 5434389 | [email protected]

Per te, Chris Cornell.

Ci sono idee che passano veloci e fai volentieri finta di non averle viste.

Ti ritrovi con gli occhi piantati sulla libreria e che poi, lentamente, vanno alla deriva verso il soffitto.

Lascia stare….

Sto smaltendo le tossine dopo il ventennale della morte di Kurt Cobain, quando un calendario interno, un senso di déjà-vu ma soprattutto Google mi ricordano che il 18 maggio è la data in cui Chris Cornell ci ha lasciato, due anni fa. Forse una riflessione gliela devo.

Forse ci ha già pensato il mio subconscio la sera prima, in un sonno agitato, accompagnato da un sogno tarantiniano o tarantinesco, figlio di un’idea che, evidentemente, era già scesa in terra. Unendo sogno e ricordi, lasciando andare  finalmente gli occhi altrove, mi godo il mio viaggio, onirico e un po’ lisergico, autoindotto e senza pilota.

 

Requiem in a dream Tutto, dicevo, nasce da un sogno che diventa location. Una scena, in cui ho miscelato senza ritegno alcuno le mie memorie cinematografiche con una abbondante dose di narcisismo e protagonismo. Spesso localizzo una riflessione in un luogo, il mio vagare ha bisogno di uno spazio fisico.

Ecco, quella notte, questa notte, sono nella chiesetta di legno di Kill Bill. Purtroppo orfana di Uma, fortunatamente priva di Bill. Legno, banchi, io di nero vestito, a tre passi dal pulpito, in testa non un cappello, ma una nebbia di idee per un elogio funebre. Uno di quei discorsi che dovrebbero, in bello stile e poco tempo, rendere onore alla vita di un uomo.

Raccontando balle, santificando una vita.

Ecco, partiamo da qui. Mi aggancio alla scena e mi aggrappo al fantasmatico, lasciando la realtà a far da sfondo per una decina di minuti.

Tre passi dal pulpito.

Cazzo non so cosa dirò.

Servono tre pensieri, di quelli veloci, di quelli che quando hai finito e hai chiuso il cerchio ti sembra passato un minuto e in realtà hai appena buttato fuori il respiro precedente. Pensa, pensa….

 

Le cadre est un cache Il critico cinematografico André Bazin scrisse queste parole il secolo scorso, quando il cinema usava pellicole, analogie e non esistevano le trilogie. Cinque parole per definire lo spazio e il tempo del cinema, ma anche l’essenza dell’immagine. Ecco, vestito da Mister Pink, in un trionfo kitsch, con LaChapelle a far foto, a me viene in mente Bazin. Però è un buon punto di partenza per chiedere scusa a Chris.

Il concetto è semplice: tutto ciò che vedo in un’inquadratura è la scelta del regista, ma anche, dati i movimenti di camera e quelli degli attori e degli elementi mobili, semplicemente ciò che posso vedere.

La cornice è una benda che stabilisce il visibile e l’invisibile. Chris Cornell per me, per anni, è stata questa cornice, il margine dell’inquadratura. E’ stato il confine tra il visibile, o meglio tra il visto e ciò che stava attorno. Negli anni novanta definiva l’inquadratura della mia musica, entrava in scena ma ne usciva spesso.

Fu amore a prima vista con i Temple of the Dog nel ’91, fu epifania divina nel ’92 con i Soundgarden. Fu, insieme ai primi accordi di Release dei Pearl Jam, semplicemente il motivo per cui ancora adesso ascolto e scrivo di quegli anni. Uscì dalla mia inquadratura, poi tornò con gli Audioslave.

Poi nuovamente fuoricampo, per tornare a mettere a fuoco l’ immagine con dei live acustici che ancora oggi sono pura emozione. Cornell ha il merito di aver allargato le dimensioni della mia inquadratura musicale, segnando il confine e fornendo il metro, il riferimento: la sua estensione vocale era unica.

Ecco, dovrebbe diventare una unità di misura, il cornell, per calcolare l’estensione che inizia nei bassi di Cash e tende all’infinito. A volte all’eternità. Chris è stato ai margini, è stato il margine. Ha definito cosa era dentro e cosa fuori. Ma così come la cornice definisce l’osmosi tra visto e non visto, Cornell definiva ciò che ascoltavo.

La nostra lunga storia termina al teatro Arcimboldi di Milano, per un tour acustico legato a un disco che amo. Furono 22 pezzi. Chitarra, violoncello e una voce ultraterrena, da 24 cornell. Quel concerto è come un tatuaggio e ho solo il rammarico di aver messo a fuoco la mia inquadratura su di lui troppo tardi. Scusa, Chris.

Secondo passo. Due metri al palco, al microfono.

 

Fatti non foste per vivere come bruti

Se il regista occulto di questa mia fantasmagoria fosse davvero il Tarantino bene ci starebbe una citazione biblica, giusto un’Ezechiele per ammiccare. Invece, con moto d’orgoglio e inspiegabile reminiscenza evoco Dante. E dai.

Chris Cornell non è morto a ventisette anni. Per quanto tragico e pieno di rimpianti sia l’epilogo della sua vita io desidero ricordare la sua Storia. Perché è il suo viaggio a lasciarci a bocca aperta, non la sua morte.

Ci sono alcuni Ulisse che mi sono cari. Sono scrittori, sono musicisti, sono atleti, semplicemente esseri umani che in comune hanno la ferrea volontà, spesso lucida e programmatica, di superare i confini del conosciuto.

Si allargano i bordi dell’inquadratura grazie a persone che, consce delle conseguenze o in preda a sacra follia, decidono di esplorare ciò che gli è sconosciuto. E’ un gesto romantico ed eroico, egoista e blasfemo, sicuramente umano. Amo gli UIisse per l’inconsapevole innocenza o (e scusate) per l’innocente inconsapevolezza che è il loro motore primo.

Non c’è il gesto eroico di Prometeo che sfida confini, dei e regole per far progredire la Storia collettiva. L’Ulisse è un irrequieto, dai sensi iperstimolati, è un Morrison in cerca di porte, ha un obbiettivo che diventa ossessione, che sia Itaca, il Bello o la morte.

E il viaggio è ciò che diventa epica, la materia del nostro osservare, ciò che ci può dare ispirazione. Chris Cornell ci ha regalato un viaggio meraviglioso, fatto di ricerca, di cambiamenti e di ritorni. Non ho mai individuato un’evoluzione musicale in lui, ma semplice esplorazione, il suo essere un Ulisse è dato da un moto continuo e affamato.

Da me si è congedato cantando i Beatles come solo lui, Chris Ulisse Cornell, poteva fare.

Uomini così sono meteoriti, schegge che entrate in contatto con l’atmosfera non possono far altro che precipitare verso la loro fine, voluta perché scelta o giunta perché la Fortuna si è voltata. Qualunque sia l’intento, il suo precipitare è uno spettacolo, per gli uomini coi piedi –letteralmente- per terra.

Ultimo passo. Ultimo respiro prima di prendere quel microfono in questa strana chiesa e decidere quali parole utilizzare. Bene, fedele e Linneo, Nick Hornby e alla mia mai dichiarata sindrome ossessivo compulsiva, ho scritto liste, redatto classifiche e creato playlist di Chris. Mi sono immerso in lui raddoppiando il peso della sua musica che già ascolto normalmente. Poi mi sono fermato, una mattina, a guardare mia figlia giocare.

 

Il puzzle.

Mia figlia ama i puzzle. L’ho osservata mentre cercava di comprendere il significato di ogni singola tessera. Io, dedito a Bazin, controllo i margini e i confini. Parto dagli angoli, osservo gli incastri. Lei prosegue cercando pezzi, piccoli particolari che si richiamino. Aggiunge tessere all’immagine che si è già composta. E mi sorprende. E imparo.

Penso a Cornell, allora. All’immagine così complessa che ho di lui, fatta di tante tessere di cui, spesso, ho solo guardato la forma e non ciò che rappresentava, perdendo il contenuto. Ecco, forse la vita di un uomo, anche la sua, va giudicata solo con tutte le tessere sul tavolo, magari senza partire dagli angoli. Grazie Chris.

 

Ci sono. So cosa dirò. Per te, Chris Cornell.

Dissolvenza, nero.

Titoli di coda.

 

Andrea Riscossa

 

Sei tutto l’Indie Fest vol. III

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• Sei tutto l’Indie Fest vol. III •

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Scarda
La MUNICIPàL
Auroro Borealo
UkuLele
Adelasia

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Monk (Roma) // 18 Maggio 2019

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Foto: Matteo Cassoni

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The National “I am easy to find” (4AD, 2019)

Sono passati solamente due anni da Sleep well beast, un disco così bello che tutt’ora è fatica toglierlo dallo stereo, che The National sono pronti a dare al mondo il loro ottavo album I am easy to find.

Come ogni album de The National, il primo ascolto non è mai facile ma è quello che rivela al subconscio dell’ascoltatore le atmosfere e il contesto: se Sleep well beast era un album notturno, cupo, introspettivo, prodotto tra le quattro mura di casa, questo nuovo I am easy to find è un album fresco e femminile, la cui produzione abbraccia Europa e Stati Uniti.

Con gli ascolti successivi, si prende invece coscienza di qualcosa di diverso dai precedenti album e una domanda prende forma: com’è possibile che i National siano riusciti a fare un album così tanto tipicamente loro ma allo stesso tempo così non loro?

Che cos’è che definisce l’identità musicale del gruppo? Il timbro baritonale e sexy della voce di Matt Berninger o gli arrangiamenti e le melodie dei gemelli Aaron e Bryce Dessner?

Tante domande, ma tutte lecite dal momento che nella maggior parte dei brani la voce di Berninger è affiancata, se non del tutto sostituita, dai contributi vocali delle artiste che hanno partecipato alla realizzazione dell’album, tra cui Lisa Hannigan, Sharon Van Etten, Mina Tindle, Gail Ann Dorsey e Kate Stables, mentre le melodie si avvalgono degli strumenti di un numero cospicuo di musicisti e membri d’orchestra, incluso l’amico Justin Vernon.

Eppure, questa famiglia allargata non solo non ha messo a repentaglio l’identità musicale del gruppo nel risultato finale, ma l’ha esaltata. Togliere per dare valore: quando viene a meno la connessione immediata voce-di-Berninger = The National, allora l’orecchio cerca e trova in altri elementi l’identità del gruppo, ed ecco che emerge l’intro al pianoforte di Oblivions o il rullare di Rylan, elementi identificativi che farebbero riconoscere una canzone de The National anche ad un sordo.

I am easy to find è un esercizio corale sapientemente diretto, una costellazione di brani come palloncini che fluttuano in cielo, legati al nucleo dei cinque membri del gruppo da nastri colorati.

Ogni singola traccia del disco ha un elemento di originalità al suo interno che non la fa assomigliare a nient’altro della produzione de The National, però allo stesso tempo, proprio quando l’originalità potrebbe far spaventare l’ascoltatore, arriva quell’elemento peculiare, unico e familiare, che conforta e dà sicurezza.

Questa dinamica di spingere un po’ più in là il confine di ciò che è la sonorità National e poi tornare in territori conosciuti, espansione e contrazione, non-aver-paura-ad-allontanarti-io-sono-qui, non è solo a livello dei singoli brani, ma anche proprio a livello dell’intero album.

La sensazione, ascoltando tutti i 63’ e 35’’, è che il disco respiri: la tripletta di brani di apertura — inspira — continua il discorso dove Sleep well beast l’aveva lasciato; Oblivions, The pull of you e Hey Rosey — espirasono diverse, tentano ognuna qualcosa di nuovo, e ci riescono con grazia; I am easy to find — inspira — riporta l’ascoltatore nella zona di comfort, per poi lasciare spazio ad altre due tracce — espira — che aprono a nuovi ritmi e nuove sonorità. Arriva e se ne va Not in Kansas — inspira — tipica ballata che dipinge paesaggi assolati da Midwest; altri due brani — espira — diversi, dagli altri e tra di loro: So far so fast è rarefatta e femminile, Dust swirls in strange light sembra quasi composta per una funzione religiosa. Hairpin turns e Rylan — inspira sono tutto quello che amiamo dei National; Underwater — espira — è un inframezzo strumentale che prepara alla commovente chiusura dell’album — inspira — con Light years.

Dopo vent’anni di carriera, possiamo dire che The National con questo loro lavoro abbiano tentato qualcosa di nuovo, in modo cauto forse, e ci siano riusciti con l’armonia e l’eleganza che li contraddistingue.

 

The National

I am easy to find

4AD, 2019

 

Francesca Garattoni

Un’idea condivisa è un buon punto di partenza, ne sono un esempio i Geller

Ed eccomi qui in una notte romana, l’aria è abbastanza fresca per essere l’11 maggio ed io sarò in compagnia di due ragazzi da intervistare e fotografare: i Geller.

Loro sono Valerio Piperata (autore dei testi, batterista, drum machine e timpani) e Dario Gambioli (cantante, compositore, synth e timpani), si sono conosciuti in un condominio a Centocelle durante un home party e hanno scelto di formare un duo per esprimere i loro pensieri che oscillano tra dipendenze e amore nelle sue varie forme.

Inevitabilmente ci ritroveremo a viaggiare con la loro musica.

 

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Male Male è il loro ultimo singolo nonché il title track dell’album di debutto uscito il 19 aprile per Giungla Dischi, anticipato dai brani Pausa, Ci pensi mai, Bomba a mano e Sprite, tracce inserite nelle playlist Spotify di Scuola indie e in quella dedicata alla nuova generazione pop Indie Italia.

Da aprile la band è in tour e questa sera giocano in casa: nella capitale. Ci accomodiamo sui divanetti del locale La Fine.

Ho percepito la loro umiltà sin dal primo sguardo e dal loro modo di accogliermi. Intervistarli è stato come scartare un cioccolatino, sapevo di trovare qualcosa di buono!

 

Ciao Geller raccontateci del vostro progetto, com’è nato, se avete progetti futuri…

V.: Il progetto è nato da parole, alcuni testi che avevo scritto e non sapevo esattamente cosa farne e durante una serata un po’ particolare ho avuto l’idea di parlarne con Dario, gli ho chiesto se avesse voglia di farci musica, lui è un musicista e ha detto… cioè non ha detto niente! Il giorno dopo si è presentato con una canzone, abbiamo visto che funzionava, abbiamo continuato e così è nato un disco intero.

D.: Il progetto nasce dall’unione tra lo scrittore che ha buttato giù dei testi e ha chiamato me, che ho musicato le sue parole. Ho scritto la melodia, gli accordi, l’impronta di produzione e abbiamo contattato l’etichetta discografica Giungla Dischi a cui è piaciuto molto questo primo provino e ci ha spinto a continuare a scrivere e a fargli ascoltare ancora la nostra musica. Così è nato il progetto e si è sviluppato così, all’inizio non c’era neanche il nome, c’era solo la canzone.

 

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Il 16 aprile è uscito il singolo “Male male” il testo dice: “Hai sempre qualcosa da fare, qualcuno che credi di amare, mi servi che sto male” l’amore è qualcosa che arricchisce o una dipendenza? 

V.: Tutto il disco parla di questa dipendenza affettiva, in questo brano racconto di una ragazza in un periodo non facile e in questo caso l’amore è visto come una dipendenza.

D.: Un amore malato, ossessivo che quando manca crea disturbo.

 

Una curiosità i vostri testi sono a tratti malinconici e ribelli, sono esperienze personali o è la società vi è d’ispirazione?

V.: Noi siamo due persone super polemiche in realtà!

D.: Direi che è un connubio tra gli stimoli esterni che non ci piacciono e le nostre esperienze.

 

“Bomba a mano” lo dice il testo stesso è un’esplosione per liberarvi dai tormenti, in una scala di priorità cosa non tollerate assolutamente nella realtà che viviamo?

V: Hai colto bene, la bomba a mano è una liberazione da stati d’animo privati, personali che hanno a che fare più con la tua vita che con quello che ti capita.

D: Quello che non tolleriamo fondamentalmente è la superficialità, la mancanza di cultura, il voler dire per forza la propria senza avere gli strumenti per potersi interfacciare con il discorso in questione.

V: In Italia è un periodo in cui si ha questa tendenza… te lo abbiamo dovuto dire!

D: E’ la prima volta che tocchiamo questo tasto, non ce lo hanno mai chiesto.

 

Come sta andando il vostro tour? C’è qualcosa che ricorderete con stupore o delusione?

V: Siamo un po’ storditi ancora, perché siamo stati catapultati in qualcosa che non abbiamo mai fatto, in un progetto esclusivamente elettronico in cui ci siamo soltanto io e Dario sul palco, dipende tutto da noi lo show e quindi stiamo affrontando ogni concerto in ogni città come fosse la prima volta.

D: Questa è la terza data, siamo in fase di rodaggio totale, stiamo ancora capendo se questa cosa la sappiamo fare…

 

Chi ha creduto in voi? C’è qualcuno che vorreste ringraziare?

V: Chi ha creduto in noi dal principio è Andrea Rapino, manager, discografico di Giungla Dischi.

D: Sì lui ha abbracciato il progetto da quando c’era solo un provino fatto con il mio telefono. Aveva percepito qualcosa che poi si è confermata con tutti gli altri brani. Vorrei menzionare Spotify che ci ha dato un grosso spazio senza avere nessun tipo di connessione o di motivazione particolare per farlo, quindi vuol dire che il progetto è piaciuto per aver puntato su di noi nelle playlist e questo lasciacelo dire, fa piacere!

 

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Piacere mio avergli stretto la mano e aver assistito subito dopo ad un live electro-pop. Non ho dubbi, la musica sanno farla proprio bene! Lasciarsi cullare dal suono sotto le mani di Valerio e dal tono di voce caldo di Dario è stato travolgente e in un attimo via tutti i pensieri! Prima di tornare a casa ho fatto una passeggiata lungo Trastevere, ammirando Castel Sant’Angelo con il sorriso sulle labbra. Apprezzo questi momenti di vita vera, dove si è uniti anche tra sconosciuti, dove ci si sfiora e si canta guidati solo dalle emozioni, non serve nient’altro per star bene.

Abbiamo bisogno di semplicità e al tempo stesso di contenuti e i loro brani meritano l’ascolto, vengono memorizzati, ricordati e cantanti sin da subito.

L’amore va cantato ma ricordiamoci, non deve far male!

 

Foto e intervista di: Silvia Consiglio

 

Redh “Torneremo EP” (Artist First, 2019)

Torneremo di Redh è un EP di sei brani che strizza l’occhio completamente al pop italiano indie. Sonoritá, riferimenti testuali, riverberi, tastiere: ogni elemento ci porta a pensare che l’obiettivo dichiarato sia finire sulla playlist Spotify “Indie Italia”, o quantomeno sulla playlist “Scuola indie”.

Già dall’apertura del primo brano Dormi veniamo proiettati in atmosfere da tastiere new-anni ’80 stile Thegiornalisti. Poi parte la voce, e ci togliamo ogni dubbio: molto riverbero, voce molto eterea alla Tommaso Paradiso.

Scorrono i brani e le caratteristiche di cui sopra si confermano passo dopo passo. Le canzoni scorrono tra sonorità orecchiabili, synth retro e testi che trattano di amori post adolescenziali-pre ingresso nei 30. 

Tutte e sei le canzoni infatti raccontano storie d’amore (spesso finite male o mal corrisposte) dal punto di un vista di un ragazzo giovane, presumibilmente universitario. I toni non sono mai però drammatici e i riferimenti linguistici che raccontano le sensazioni del cantante sono molto concreti e di facile comprensione.

Da un punto di vista strumentale, vengono elette come protagoniste le tastiere. La chitarra ha un ruolo marginale, usata quasi sempre per aggiungere colore piuttosto che per dettare la linea armonica, eccezione fatta per il malinconico brano Ci credi, in cui le chitarre escono fuori come protagoniste. La parte ritmica delle canzoni è dominata invece dalla scelta di utilizzare la drum machine elettronica al posto della batteria acustica. Scelta condivisibile che rende le sonorità dell’album complessivamente fresche e moderne.

Riguardo alla produzione musicale da un punto di vista tecnico, possiamo affermare, come detto sopra, che la scelta stilistica dei mix e dei master dei brani riflette anche in questo caso la tendenza a volere seguire le sonorità dell’indie italiano. E, quindi, si accentua molto l’utilizzo del riverbero sia nelle tastiere che nella voce, il basso non viene fatto uscire troppo nel mix e le chitarre lavorano molto sulle note singole spesso messe in delay. Ma, se nella parte strumentale questa scelta stilistica è premiante e rende il sound fresco e coerente con il mondo indie italico, nella voce il risultato non è altrettanto apprezzabile. Infatti, la voce risulta essere troppo appesantita da un eccesso di riverbero che le fa perdere un po’ di chiarezza, portandola a non amalgamarsi completamente nel mix complessivo dei brani e nascondendosi tra le frequenze dominati delle tastiere, anch’esse, come già detto, molto riverberate.

Per quanto riguarda la struttura delle canzoni — strofa, ritornello, variazioni — Redh mostra una buona consapevolezza e maturità compositiva: i brani scorrono tutti fluidi e arrivano alla fine con leggerezza, senza cadere in inutili barocchismi. Gli intro durano il giusto, le strofe conducono correttamente ai ritornelli, i quali entrano puntuali e assumono la giusta importanza nell’equilibrio dei brani. Anche da un punto di vista armonico, i ritornelli sono ben valorizzati e spesso risultano essere ben orecchiabili.

Per concludere, Redh ha creato sei brani leggeri, abbastanza maturi da un punto di vista della produzione — eccezione fatta, forse, per la scelta sbagliata nel missaggio della voce — e con un’apprezzabile capacità nel creare melodie orecchiabili e piacevoli accompagnate da un sound moderno ed azzeccato.

La parte debole dell’album sono, invece, i testi delle canzoni: da un lato troppo monotematici (si parla sempre e solo di storie d’amore) e dall’altro lato privi di spunti interessanti nella scelte stilistiche e lessicali. Mancano infatti quelle metafore, quelle parole giuste, quelle frasi apparentemente idiosincratiche che ti fanno dire “wow” mentre le ascolti. Forse, manca anche un po’ di ironia nel modo di raccontarle, queste storie d’amore.

 

Redh

Torneremo EP

Artist First, 2019

 

Michele Mascis

Ultimo @ Mediolanum_Forum

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• Ultimo •

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Mediolanum Forum (Milano) // 16 Maggio 2019

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Foto: Johnny Carrano

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Grazie a VIVO Concerti

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