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Anno: 2022

Paolo Nutini @ Pistoia Blues

L’attesa inizia nel 2014, anno di pubblicazione di Caustic Love dopo il quale passano ben otto anni di silenzio fino alla recente uscita di Last Night in the Bittersweet, progetto con cui ha richiamato i fan attorno a sé, anche se non lo avevano mai scordato. Così, Paolo Nutini, il cantante britannico di origini toscane, ha chiuso l’ultima edizione del Pistoia Blues Festival con un sold out già annunciato e una piazza che lo ha circondato in un abbraccio caloroso di applausi, salti, sorrisi e canzoni cantate o masticate a fior di labbra. Un modo meraviglioso per accogliere chi ha lasciato un segno nel tuo cuore musicale, e per salutare una città che, come ogni anno, ospita vere e proprie esperienze sonore. 

Entrare nella piazza attraversando i controlli della sicurezza è ormai una prassi a cui non faccio più attenzione, tanto il servizio è veloce e professionale, senza intoppi e con tanta cortesia che, ammetto, fa sempre piacere. Vorrei dirvi che vedere tutte quelle persone in attesa mi sorprende, ma non è vero, lo trovo normale quando il palco promette tanta bravura ed emozioni, però ogni volta è come se fosse la prima, e ti fa piacere vedere quante persone hanno voglia di essere lì, come parte viva e pulsante dell’evento. A differenza della serata in cui si sono esibiti i Simple Minds, in piazza non ci sono sedie, ad eccezione dei classici spalti, ma non sembra un problema per nessuno, anzi, c’è un certo piacere a ricominciare a vivere i concerti come succedeva prima della pandemia. L’età è varia, un artista come Nutini riesce a riunire intere generazioni, e le differenze di qualsiasi tipo si annullano per qualche ora. 

Come la sera precedente, anche questa esibizione non è preceduta da nessun opener, Paolo Nutini sale sul palco semplicemente, esibendo una normalissima t-shirt chiara, jeans, un capello folto, forse qualche chiletto che il tempo ha concesso anche a lui, e tutta la voglia di infuocare quel pubblico che non aspetta altro da anni. Il loop rarefatto e potente di Afterneath apre il concerto, tra gli applausi e le voci estasiate del pubblico. Dall’aspetto del cantautore scozzese diresti che stava passando per caso davanti al palco, ha trovato un microfono, ha raccolto amici musicisti in una band e ha iniziato a cantare catturando l’attenzione di tutta la piazza. Non cerca di compiacere l’occhio del pubblico, a lui interessa l’orecchio e tutto ciò che può suscitare suonando, dimostrando di essere uno di quegli artisti talmente capaci che non deve vestirsi come un pagliaccio per riempire il palco. E Nutini sa come muoversi seguendo la propria musica, oppure facendosi seguire da essa, senza strategia, ma solo con la voglia di stare bene con chi lo ascolta. 

Grida i titoli delle canzoni come un regalo lanciato al suo pubblico, mentre lascia che altre parlino da sole con l’attacco delle prime note. Lose It è uno squarcio nell’aria, mentre Scream (Funk My Life Up) si avvale di un ritmo groovoso del funky, ma è con Acid Eyes che arriva, almeno per me, quella sensazione che prende ogni centimetro di pelle, partendo dal basso che sfoggia le sue capacità vocali tra toni alti e bassi, mentre il brano acquista un arrangiamento più rock rispetto all’originale. L’atmosfera sonora è rarefatta, sui monumenti vengono proiettati morbidi giochi di luce, mentre i battiti sono quelli del cuore di un pubblico che all’unisono inizia a cantare, e continuerà a farlo per molti altri brani, tra cui la sperata Candy, che riempie l’aria e il respiro di nostalgica e dolce fatalità. Intanto l’artista non solo canta, ma parla, fa delle battute, alza il bicchiere di birra per brindare con tutti quelli che sono lì, con il corpo, oppure solo col pensiero. Through the Echoes, invece, fa male, arriva con il suo timbro graffiante che ti strazia, non più un canto, quasi una richiesta di ascoltare veramente, prestare attenzione a chi abbiamo dentro di noi. Per Coming Up Easy il palco si popola di una schiera di sei corde che trasfigurano la piazza in un viaggio verso mete lontane, campi di qualcosa che attraversi con la mente, forse campi di quell’amore che la musica, solo lei, ti dà il coraggio di attraversare. 

Con il ritornello di Shine a Light, in pieno bis, coglie l’occasione di omaggiare i Simple Minds che lo hanno preceduto la sera prima cantando Don’t You (Forget About Me) per poi riprendere il suo brano, ma confermando così un legame con il gruppo che, come lui, proviene dal panorama musicale scozzese. L’esibizione dell’artista si conclude con un secondo bis in cui canta Guarda che luna di Fred Buscaglione, quell’omaggio ai grandi artisti del nostro passato che troppo spesso ci scordiamo. La canzone è struggente e inaspettata, come la sua interpretazione che è talmente intensa da rendere emozionato anche lui. In quel brano ci sono tutte le sue origini, tutta la sua sensibilità, la storia musicale che forse il padre si è portato dall’Italia e con cui è cresciuto. Il pubblico ascolta in religioso silenzio. C’è chi balla, chi si abbraccia, non necessariamente sono coppie, alcuni sono amici in piccoli gruppi. La musica quando è bella non ha età, e quando arriva ti scordi dell’alterigia con cui viene catalogata in compartimenti stagni e ti lasci solo trascinare dall’emozione del momento, dai ricordi che può evocare, o semplicemente dalla bellezza che senti far parte di te, anche se non sai come possa succedere. 

A fine serata, dalla piazza usciamo in una città che non ha voglia di dormire e popola il vivace centro mescolandosi a chi ha ancora le note nelle orecchie e nel cuore. Con me c’è Giulia, l’amica che mi ha accompagnata in questo concerto, e ha il sorriso più bello che si possa immaginare, oltre a tutta alla soddisfazione di chi ha vissuto una piccola bolla di sapone dove l’arte ci difende dalla noia quotidiana. In fin dei conti la felicità ha la distanza di un giro di do. Abbracci Pistoia con tutta la settimana che ti ha regalato, la stanchezza del corpo, la forza dello spirito, le luci che popolano ancora gli occhi. Si tratta di un arrivederci, ma già l’atmosfera del festival ti manca, solo qualche video e qualche scatto salvato sul cellulare ti dicono che non è stato un sogno, che è stato tutto vero. Saluti con il pensiero tutti quelli che hanno reso possibile questa bella esperienza, dagli artisti ai fonici, al servizio di sicurezza, perché tutti sono importanti perché un concerto possa essere realizzato. E non rimane altro che aspettare l’edizione del 2023.

 

Alma Marlia

Idles @ Padova & Roma

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• IDLES •

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Parco della Musica (Padova) // 15 Luglio 2022

Ippodromo delle Capannelle c/o Rock In Roma (Roma) // 16 Luglio 2022

 

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Due anni fa, il Parco della Musica di Padova annunciava il primo grande evento estivo: il concerto della formazione inglese Idles.

L’hype schizzò subito alle stelle per quello che si prospettava un concerto imperdibile per appassionati e seguaci del genere ma non solo. Qualche settimana più tardi il governo annunciava il lockdown con cui iniziava il tristemente noto periodo pandemico. Il concerto degli Idles venne quindi rimandato all’anno successivo per poi avere luogo solo due anni più tardi.

Nel frattempo lo scenario mondiale è cambiato, il pubblico è cambiato, gli eventi – in un certo senso – sono cambiati. Ma andiamo con ordine.

Venerdì 15 Luglio 2022 è il giorno tanto atteso della data patavina della band di Bristol e il Parco della Musica si prepara ad accogliere il pubblico. Padova è la seconda data del weekend italiano degli Idles e arriva subito dopo un Carroponte (Milano) gremito e trionfante. Bisogna fare meglio o per lo meno eguagliare.

Negli ultimi tempi Joe Talbot e soci non sono certo rimasti fermi ma anzi, l’ultimo disco in studio Crawler (Novembre 2021) li ha portati in giro per i vari festival che quest’anno hanno potuto svolgersi dopo lo stop pandemico. Si sente dire da chi è tornato dai festival quanto spaccano dal vivo, quanto sono carichi, coinvolgenti, gli Idles un must have dei live in circolazione. Stasera li mettiamo alla prova.

L’apertura è affidata ai romani Calzeeni, band che accompagna i nostri eroi per tre date su quatto previste. Purtroppo chi scrive ha perso l’opening act a causa di disagi autostradali (fare il tratto Verona – Padova la sera d’estate è come fare la fila alle poste) ma, stando a quanto sento una volta a destinazione, mi sono perso solamente un tuffo nel punk anni ’90.

Arrivo in tempo per vedere Mr. Talbot e i suoi salire sullo stage accolti da una folla festante e affamata di pogo e sudore. Fin dalle prime note capiamo quello che ci aspetta.

Gli inglesi ruggiscono sul palco e ringhiano il loro post punk grezzo e incazzato, pesante come un macigno, dolce come un pugno dritto in pancia. La batteria martellante di Joe Beavis scandisce il pogo che parte all’istante dalle prime file. Il potente suono che dal palco si diffonde nel parco entra nelle orecchie dei presenti come una sassata contro un vetro. Se su disco gli Idles non scherzano, dal vivo si difendono anche meglio ed è proprio sul palco che la vena hardcore punk supera di gran lunga quella post punk che rimane però la base compositiva dei nostri.

Per quanto post punk sia un genere ampio e ormai parecchio abusato, rispecchia però il sound della band inglese che ci ricorda i momenti più incazzati dei Killing Joke nei loro periodi più illuminati, passando per i fraseggi disordinati alla Gang Of Four.

La scaletta è quella che ti immagini: spazio alle tracce dall’ultimo disco e qualche vecchia gloria qua e là, soprattutto sul finale.

Per quanto mi riguarda i momenti più elettrizzanti sono stati l’esecuzione di Meds, le chitarre impazzite di War e le grida di Crawl. Pieni voti anche per la tenuta del palco e il carisma di Talbot che fra un “grazi mille” e un altro non annoia mai chi ascolta senza essere coinvolto nel pogo.

Un’ora e quaranta più tardi gli Idles ci salutano lasciandoci sudati e senza fiato. Come non accadeva da tempo, il palco del parco si spegne e la matassa di gente avvinghiata subito sotto si scioglie lasciando scorrere una marea di facce sconvolte dal caldo, dallo show e dalla musica che fino a poco prima ha schiantato i timpani. Mi piace molto il pubblico che vedo intorno, un carosello di magliette di Misfits, Descendents, ma anche camicie hipster floreali, qualche abito nero e un po’ metal qua e là. La magia è finita e si torna a casa e lo facciamo con le orecchie fischianti che implorano un altro concerto del genere.

Che la musica dal vivo sia finalmente ripartita lo si era capito da qualche mese ma è con concerti del genere che si capisce cosa abbiamo perduto nei due anni precedenti.

 

Testo di Fernando Maistrello

Foto di Siddharta Mancini (Padova), Simone Asciutti (Roma)
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Manuel Agnelli @ Botanique

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• Manuel Agnelli •

Parco delle Caserme Rosse (Bologna) // 16 Luglio 2022

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foto di Francesca Garattoni

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LP in concerto lun 18/7 al Musart Festival Firenze – la cantautrice americana e i suoi brani più amati // Altri eventi: Peppe Voltarelli (dom 17) – Giuseppe Scarpato (lun 18)

LP in concerto al Musart Festival Firenze
Da “Lost on You” ai brani del nuovo album “Churches”,
i successi della cantautrice americana

Domenica 17 luglio Peppe Voltarelli in concerto al Cortile degli Uomini
Lunedì 18 luglio Giuseppe Scarpato in concerto a Marradi

LP

Lunedì 18 luglio 2022 – ore 21.15
Musart Festival – Piazza della Santissima Annunziata – Firenze

 

Finalmente LP al Musart Festival di Firenze. Dopo due anni di attesa, lunedì 18 luglio la cantautrice americana sarà sul palco di piazza della Santissima Annunziata. In scaletta i successi che hanno scalato le classifiche di tutto il mondo: da “Lost on You” a “The One That You Love”, fino ai brani del nuovo album “Churches”, uscito pochi mesi prima del tour.

Inizio ore 21,15. I biglietti – posti numerati da 34,50 a 69 euro – sono disponibili online sul sito ufficiale www.musartfestival.it (info tel. 055.667566) e nei punti Boxoffice Toscana www.boxofficetoscana.it/punti-vendita. Biglietti in vendita la sera dello spettacolo alla biglietteria del Musart Festival, via degli Alfani 39. Disponibile anche un Gold Package (129 euro) che, al biglietto di primo settore, aggiunge catering con buffet e, prima dello spettacolo, visita guidata ai luoghi d’arte legati al progetto Musart. Si recupera il concerto previsto per luglio 2020 e poi posticipato al 2021 e infine al 2022 a seguito della pandemia. Restano validi i biglietti acquistati per tutte le date.

Musart Festival propone anche i concerti di Peppe Voltarelli, domenica 17 luglio al Cortile degli Uomini dell’Istituto degli Innocenti (ore 21,15, sempre in piazza della Santissima Annunziata), e di Giuseppe Scarpato, lunedì 18 luglio alla Corte delle Domenicane di Marradi, nell’ambito degli eventi fuori città. Cantautore, anzi cantastorie, scrittore, attore, Peppe Voltarelli è tra gli artisti più eclettici ed estroversi in circolazione: “1992/2022 trent’anni di canzoni” è uno spettacolo di musica e parole che, partendo dai primi dischi pubblicati negli anni 90, racconta la traiettoria artistica di una ricerca che si muove tra la tarantella punk e la canzone d’autore con incursioni nel blues e nel teatro canzone.
Da anni chitarrista e produttore di Edoardo Bennato, Giuseppe Scarpato si presenta a capo del Hillside Power Trio, con Marco Polidori al basso e Gennaro Scarpato alla batteria. Formazione rodatissima che spazia dal rock al blues, dal funky al reggae, alternando brani propri e cover d’autore, presentate con arrangiamenti originali. Il gruppo ù ha collaborato con Piero Pelù, Alex Britti, Enrico Ruggeri, Velvet, Emma, Negrita e molti altri nomi noti del rock e del pop italiano.

Per LP ognuno di noi è un tempio, e in effetti se la Chiesa di LP, il perno su cui ruota il nuovo album “Churches” è l’amore, possiamo anche dire che tutte le sue canzoni si muovono in una traiettoria che è quella del rock fatto di fragilità e di forze, di melodie (vedi proprio “Churches”, “Yes”, “The One That You Love”) e di irruenze rock’n’roll. Del resto, tutti i movimenti dell’album girano intorno al cuore, alle relazioni, alla dichiarazione, e sicuramente sono state rafforzate, nella poetica, da questo momento di assenza, che nell’orizzonte musicale di LP l’ha aiutata a nutrire lo spirito delle sue composizioni.
Non c’è soltanto energia o irruenza, fra le pieghe di brani come “Safe Here” o nella combattiva e malinconica “Can’t Let You Leave”, c’è lirismo, c’è il volo altissimo di “When We Touch”, ci sono le collaborazioni, che sottolineano una tendenza a condividere emozione e creazione, in qualche modo a elaborarle assieme ad altri.
E c’è anche l’acustico che diventa elettrico – e viceversa – gli arrangiamenti che esplodono, come nel taglio secco e contagioso di “Goodbye”, il saluto necessario per ricominciare.
Non è un disco di rimpianti, “Churches”; è piuttosto il punto da cui ripartire, dal tempio, appunto, che siamo noi stessi e dalle relazioni che ci sostengono. Non è mai stata così vasta la musica di LP: un caleidoscopio in cui pop, rock, soul e un pizzico di folk (o addirittura dance) convivono fra di loro, senza mai stonare.

VISITE A LUOGHI D’ARTE – Prima dello spettacolo di LP – dalle ore 20 alle 21,15 — si potranno visitare gratuitamente giardini, luoghi di culto e palazzi monumentali adiacenti a piazza della Santissima Annunziata. Tra questi la Chiesa di S. Francesco Poverino, il Giardino del Museo Archeologico (solo il 20 luglio), il Museo dell’Istituto Geografico Militare, la Basilica di SS. Annunziata, la Mensa della Caritas Diocesana di S. Francesco ed i Cortili Monumentali dell’Istituto degli Innocenti.

MOSTRA BECAUSE THE NIGHT – Springsteen, Madonna e Cremonini allo stadio Franchi. Jovanotti, Vasco, Morricone e gli Spandau Ballet al Mandela Forum…
I grandi concerti fiorentini degli ultimi 12 anni rivivono nell’edizione 2022 della mostra fotografica “Because the night”. Tutti gli scatti sono a firma di Marco Borrelli. La mostra è in programma fino al martedì 26 luglio all’Ex Tipografia dell’Istituto Geografico Militare di Firenze (via Cesare Battisti 12, adiacente a piazza Santissima Annunziata). Per gli spettatori degli spettacoli serali, la mostra è aperta dalle 20 alle 21 con ingresso libero e riservato.

Musart è il festival che abbina grandi nomi dello spettacolo al fascino secolare di Firenze, in programma dal 13 al 26 luglio 2022. Sul palco principale di piazza della Santissima Annunziata saranno di scena Roberto Bolle, LP, Riccardo Cocciante, Achille Lauro, Vinicio Capossela, Goran Bregovic, Rock The Opera, Steve Hackett e Dado Moroni. Programma completo www.musartfestival.it.
Musart Festival è prodotto dall’associazione culturale Musart in collaborazione con Istituto degli Innocenti e Università degli Studi di Firenze. Main Supporter Fondazione CR Firenze, con il contributo di Regione Toscana, Città Metropolitana di Firenze, Comune di Firenze-Estate Fiorentina 2022, Toscana Promozione Turistica ed il sostegno di Publiacqua, Chianti Banca, Unicoop Firenze, Sammontana, Findomestic e Ruffino. Media Partner Destination Florence. La direzione artistica è a cura di Stefano Senardi.



Biglietti posti numerati LP
1° settore 69 euro
2° settore 57,50 euro
3° settore 46,00 euro
4° settore 34,50 euro
Gold Package 129 euro

Prevendite
Sul sito ufficiale www.musartfestival.it (info tel. 055/667566) e nei punti Boxoffice Toscana www.boxofficetoscana.it/punti-vendita

Info Musart Festival Firenze
Piazza della Santissima Annunziata – Firenze
Ingresso da via de’ Servi – Biglietteria via degli Alfani, 39
Info tel. 055.667566 – www.musartfestival.it
Facebook: @MusArtFestival

Ufficio stampa Musart Festival: Marco Mannucci
marco@mannuccionline.com cell. 347.7985172

Musica, Pornostalgia e Willie Peyote

Al secolo si chiama Guglielmo Bruno, classe 1985, proviene da Torino, città della Mole, delle macchine, del caffè, della cioccolata e delle origini del cinema italiano. In arte si chiama Willie Peyote e il 6 agosto aprirà la prima edizione del Sogliano Sonica Festival, presentando al pubblico Pornostalgia, l’ultimo progetto che si è inserito quest’anno nel panorama musicale nostrano. Su Twitter si definisce “Nichilista, torinese e disoccupato, perché dire cantautore fa subito festa dell’unità e dire rapper fa subito bimbominkia”. Con VEZ Magazine si è rivelato un artista dalle idee chiare e dalla grande passione che unisce al divertimento per ciò che fa. 

 

Vorrei partire dal 6 agosto perché avrai l’onore di aprire la prima edizione del Sogliano Sonica Festival. Cosa ti aspetti da questa data e come ti trovi a suonare in Romagna?

“Mi trovo bene, ma, lo sai, è difficile trovarsi male in Romagna. L’anno scorso il tour iniziò da Cesena, quindi ho un legame molto stretto con la Romagna e con tutta la scena romagnola. Sono contento ed è un onore aprire il Sogliano Sonica. Spero di farlo al meglio.”

 

Quando il rap è uscito dai quartieri afroamericani degli U.S.A. e si è diffuso a livello mondiale, c’è stata una frattura tra i puristi della musica che lo disprezzavano e chi invece ne accoglieva la novità e la modernità. Sapendo che tu provieni da una famiglia di musicisti, come hanno reagito alla notizia che ti saresti dedicato al rap?

“In realtà bene, nel senso che non era tanto il genere musicale quanto i contenuti l’aspetto a cui è sempre stata interessata la mia famiglia. Non hanno mai posto limiti all’ascolto di generi anche diversi da quelli che ascoltavano loro, perché viviamo in un contesto in cui si apprezza la musica come condivisione. Quindi non avevano limiti dovuti al genere, era più una questione di contenuti, perché alcune volte il rap ha una modalità molto hardcore di scrittura ed esposizione dei pezzi. Comunque, non mi hanno mai posto limiti, ho una famiglia molto aperta sui gusti musicali.”

 

Nelle tue tracce tu parli in modo chiaro e schietto. Conviene sempre parlare in modo chiaro?

“Convenire no, perché come sai la convenienza è un concetto che dipende dalle situazioni e dalle persone che ti circondano. Convenire, no. Lo trovo opportuno, soprattutto quando si parla di rap. Mi sono avvicinato al rap proprio perché è un genere schietto e diretto, quindi lo trovo parte della sua stessa forma artistica. Non riesco a pensare a un rap che non sia in qualche modo diretto e hardcore. Parlare chiaro anche nella vita non sempre è conveniente, ma questo non vuol dire che non sia giusto.”

 

In Pornostalgia troviamo la traccia Robespierre dove tu dici “Come Robespierre taglio la testa ai re/Fino a che non taglieranno la testa a me”, che è una chiara sfida al sistema, la voce di chi vi si pone contro rischiando tutto, anche se ci vive dentro. Quanto può essere difficile opporsi a un sistema, come può essere l’industria musicale, facendone parte? 

“Opporsi a un sistema di cui si fa parte è un concetto che rischia di essere fine a sé stesso. Io mi pongo contro un certo atteggiamento. Di per sé l’industria musicale non è sbagliata, credo che sia sbagliato l’approccio di quegli artisti che si lasciano un po’ troppo trascinare da altri nelle scelte e non dal proprio gusto musicale. Ci si dovrebbe sempre ricordare i motivi per cui sogniamo oppure si inizia a fare i musicisti, perché si rischia di perdere il contatto con quelli che sono stati i motivi che ci hanno spinto a fare delle scelte nella vita. Anche perché, pur inserendosi nelle regole del mercato, ed è normale che sia così, si può proporre una cognizione che sia un po’ più profonda e non solo volta al raggiungimento di obiettivi molto veloci, perché più velocemente raggiungi un obiettivo, più velocemente devi trovarne un altro da raggiungere.”

 

Quindi secondo te l’artista, anche quando è arrivato, deve concedersi più profondità ed emotività? Oppure può e deve fare altro?

“Ognuno deve fare le proprie scelte. Spero solo che siano tutti in pace con loro stessi per le scelte che fanno, che non si lascino troppo trascinare dalle leggi di mercato e dalle scelte altrui, perché penso che l’arte nasca soprattutto dalla libertà di esprimere sé stessi. Nel momento in cui ci si trova vincolati nell’esprimere quello che viene chiesto e non quello che provi, si perde il senso dell’arte.”

 

A proposito del mercato musicale: cosa ne pensi dei featuring in generale? Cosa possono portare agli artisti e cosa al pubblico?

“I featuring a me piacciono molto, li apprezzo, li faccio io per primo. Anche lì, dipende dalle logiche con cui si fanno certi progetti. Le persone che chiamo nei miei dischi sono artisti che stimo, persone che, prevalentemente, conosco umanamente, con cui condivido anche discussioni sui temi che poi andiamo ad affrontare nelle canzoni. Quando i featuring, invece, vengono creati a tavolino, credo che si perda il senso della collaborazione artistica perché effettivamente si perde il concetto artistico. Trovo interessante veder collaborare artisti diversi. Più diversi sono, più il lavoro è interessante.”

 

Sempre lo stesso film è una dedica a Libero De Rienzo dove emerge, però, anche un racconto autobiografico. Puoi dirci qualcosa di più?

“Il pezzo racconta gli ultimi mesi prima dell’uscita del disco, quindi questo ultimo anno che ci ha portato fino a qui, anno in cui c’è stata anche la scomparsa di Picchio. Per me lui è sempre stato un riferimento prima di tutto artistico perché io sono cresciuto guardando Santa Maradona, volendo essere lui, traendo ispirazione anche dal suo personaggio. Poi ho avuto modo di capire che non era un personaggio, che era proprio lui, che era sempre così, una splendida persona, un grande artista che ho apprezzato tanto anche lavorandoci insieme. Nelle conversazioni notturne mi ha dato anche un modo di vedere, un approccio che cerco di raccontare nel disco e in quella canzone in particolare: il discorso per cui il coraggio vale più del talento, le scelte difficili che hanno influenzato anche la sua fama. Se avesse fatto scelte più facili, sarebbe stato anche molto più riconosciuto dal pubblico, invece ha fatto sempre scelte coraggiose e coerenti con la sua visione artistica. Poterlo vedere da vicino, conoscerlo, condividere certi momenti mi hanno dato la conferma che si può fare anche così, si deve solo essere consapevoli che questa cosa non porta ad essere il bisogno di tutti, ma non tutti dobbiamo essere il bisogno di tutti.” 

 

Cosa è per te la Pornostalgia?

“Guarda, Santa Maradona presenta piuttosto bene il concetto di pornostalgia, nel senso che poi è un film che per me è stato formativo tra i diciotto e i venti anni, un film che ancora mi porto dentro. Ho anche potuto conoscerne i protagonisti, non solo gli attori, ma anche chi ha composto la colonna sonora, che per me è stata epocale. Inoltre, oggi mi trovo a vivere in una casa che si affaccia su uno dei luoghi in cui è stata girata una scena del film, e quando l’ho comprata non lo sapevo. In qualche modo è un film che mi accompagna sempre. Quindi se mi chiedi cosa rappresenta la pornostalgia ti direi Santa Maradona, oppure la trattoria, andare allo stadio con mio padre. Quella è secondo me la pornostalgia.” 

 

Alma Marlia

Simple Minds @ Pistoia Blues

Ma suonano ancora? Assolutamente sì, e non solo suonano, celebrano i loro 40 anni di hit con un tour mondiale dove Celebrating 40 Years of Hits diventa un vero e proprio motto. Questi sono i Simple Minds, che finalmente, dopo due anni di rinvii a causa della pandemia, hanno fatto tappa il 15 luglio al Pistoia Blues Festival 2022, scegliendo il palco toscano per esibirsi in una serata che ha abbracciato musicalmente i 42 anni della loro carriera con una formazione diversa da quella degli esordi, ma sempre capitanata dalla voce di Jim Kerr e dalle corde di Charlie Burchill.

Provenienti dalla Scozia, terra di musica raffinata tra cui troviamo anche artisti come i Franz Ferdinand e Mogwai, i Simple Minds provengono dalla scena punk della Glasgow anni ’70 per poi addentrarsi negli anni ’80 con una serie di singoli di successo come Promised You a Miracle del 1982 o Waterfront del 1983. Tuttavia, è con la pubblicazione di Don’t You (Forget About Me) nel 1985 che diventano una delle più grandi band mondiali e tra la fine degli anni ’80 e dell’inizio degli anni ’90 vendono circa 60 milioni di dischi in tutto il mondo. Ma è proprio negli anni ’90 che per il gruppo inizia un lento declino e per un po’ la band si riduce a un duo formato da Jim Kerr e Charlie Burchill. Sono gli anni 2000 che vedono i Simple Minds riprendere forza pubblicando non meno di sette album in studio, tra cui l’ultimo, Walk Between Worlds del 2018, che ha raggiunto la quarta posizione nella classifica degli album del Regno Unito, e andare in tournée con l’arrivo dei nuovi membri Cherisse Osei alla batteria, Berenice Scott alle tastiere, Ged Grimes al basso.

Con questi ricordi in mente, mi avvicino alla piazza dove vedo file serpentine di un pubblico eterogeneo, accomunato dall’aver passato l’adolescenza in pieni anni ’80, e pronto, per una sera, a tornare indietro nel tempo, con un po’ di nostalgia per il tempo passato, e la voglia di catturarlo per una qualche ora di nuovo nel presente. Il concerto è sold out, la piazza è piena di sedie pronte ad accogliere il pubblico, ma nei dintorni c’è anche chi, non avendo potuto comprare il biglietto, aspetta trepidante ai margini, oltre le transenne, nella speranza di catturare qualche nota, un pezzo di strofa, chissà, magari quello che li ha fatti innamorare tanti anni fa. 

Il concerto inizia senza un’esibizione di una band di supporto, su un palco che si accende di luci e colori vivi e forti, che infuocano subito la piazza con le prime note e un Jim Kerr ansioso di concedersi al pubblico con la sua voce e sonorità sintetiche hanno trascinato il pubblico presente in un sound di pieni anni ’80. Kerr si muove sul palco con voglia di divertirsi e disinvoltura e anche se l’aspetto tradisce gli anni che sono passati, la sua energia sembra non essere stata toccata dal tempo. Parla in un italiano stentato ma efficace con il pubblico, l’impatto emotivo è alto, mentre Glittering Prize si muove su uno sfondo di paillette scintillanti che salgono verso un cielo indefinito insieme alla sua voce e neppure l’inciampo di qualche parola scordata di Promised You a Miracle lo ferma: Kerr chiede scusa e ricomincia, tra gli applausi di tutti, perché solo chi ama davvero ciò che fa può cadere senza abbattersi, e rialzandosi sempre. 

Dalla leggerezza di Promised You a Miracle, l’aria si riempie delle iniziali sfumature più cupe di Book of Brilliant Things dove la voce calda e profonda di Sarah Brown incanta il pubblico, mentre la musica lo scuote con la deriva rock che esplode successivamente, e da un canto evocativo, con l’arrivo di Kerr passa a vera grinta. La Osei fa scalpitare il pubblico con il suo assolo di batteria, lei che sta con i suoi strumenti al centro del palco, in alto, come una dea che abbraccia e sorveglia la band e il pubblico, si muove con forza e decisione, i capelli che si sono raffiche di battiti nell’aria, e le bacchette che sembrano l’estensione del suo corpo. Ed è in quel momento che sai che da grande vorrai diventare una tosta batterista. 

Mi guardo intorno e vedo che il pubblico ormai si è alzato, pochi sono quelli rimasti seduti, i più temerari vanno sotto il palco a scattare una foto per cui sono pronti a rischiare tutto, anche il rimprovero del servizio di sicurezza, e scappare felici come se avessero rubato un attimo di gioia. C’è chi balla e canta, come ballava e cantava il pubblico di giovanissimi del concerto di Ariete della serata precedente. Negli occhi la stessa voglia di musica e di libertà. Li immagini nella loro quotidianità, nella varietà dei mille lavori, magari seri professionisti, madri e padri attenti e preoccupati di ogni inquietudine dei propri figli, e poi li vedi lì, lontani dai pensieri per il momento di un concerto. Mentre l’immaginazione cavalca, Kerr incita tutti ad avvicinarsi al palco ed è il delirio, vengo travolta di ondate di persone che scendono dagli spalti per prendere un posto in prima linea, che si fanno spazio tra le sedie, le allontanano per vivere il concerto come deve essere vissuto: con tutto il proprio corpo. Magnificamente indisciplinati. Con l’attesissima Don’t you (Forget About Me) si raggiunge l’estasi e il delirio esplodono, e tutto è lecito, anche ballare come se non ci fosse un domani con passi che il tempo sembra aver scordato ma che la musica, solo per noi, riporta. Il brano viene interpretato con una sezione di canto extra-lunga, Kerr porge il microfono al pubblico per farlo partecipare e il pubblico non se lo fa ripetere due volte, anzi, non vedeva l’ora e canta a loop un “Lalala” per un tempo che sembra infinito. 

Il bis di rito inizia con un “Non vogliamo andare a casa! Vogliamo suonare più musica!” gridato da Kerr al microfono, in cambio di un boato di voci e applausi. Berenice Scott lascia le tastiere per duettare con la Brown in Speed Your Love to Me che diventa dolce ed evocativa, delicata, quasi una pausa che apre all’attesissima Alive and Kicking, decisa e potente. Il concerto si chiude con Sanctifying Yourself, il kick potente della batteria incalza le persone a ballare, la voce di Kerr invita a perdersi per una volta oppure per sempre su uno sfondo rosso dove volano sagome di colombe bianche. C’è il rock nell’aria, la voglia di scrollarsi i problemi via di dosso, barattarli per un po’ di bellissime note. 

Vado via dalla piazza con adrenalina nel cuore e nelle gambe, ma tra tutte le canzoni che hanno infiammato la serata, ripenso alla ballata Belfast Child, che ha ammutolito la piazza in religioso silenzio, per poi riempire l’aria di synth e batteria, con l’abbraccio della chitarra elettrica di Burchill. Una pausa surreale con il timbro di Kerr che riesce sempre a librarsi nell’aria, anche se il tempo gli ha donato delle sfumature a volte più basse, ma non per questo ne ha intaccato l’intensità. Mi vengono alla mente alcune critiche che ho letto per esibizioni per altri gruppi e cantanti a cui il tempo ha inevitabilmente cambiato un po’ la voce. Più che critiche, vendette musicali. Eppure questi artisti continuano a fare musica da anni, continuano a far provare emozioni, sensazioni che altrimenti rimarrebbero chiuse lì, in qualche parte di noi che neppure conosciamo. Questa è per me l’arte, non mantenere le corde vocali dei vent’anni, che poi, alla fine, l’età passa anche per il pubblico, ed è bello vedere che viaggiamo verso il futuro insieme. 

 

Alma Marlia

The Smile @ Piazza Trento Trieste

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• The Smile •

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FERRARA SOTTO LE STELLE | FERRARA SUMMER FESTIVAL

Piazza Trento Trieste (Ferrara) // 15 Luglio 2022

 

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Foto di Lucia Adele Nanni
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Interpol “The Other Side of Make-Believe” (Matador Records, 2022)

“C’è sempre una settima occasione per una prima impressione”. Ci dice così Paul Banks, frontman e cantante degli Interpol, alla viglia dell’uscita di The Other Side of Make-Believe, settimo disco della band newyorkese. A quattro anni dall’ultimo lavoro –  Marauder (Matador Records, 2018) – gli Interpol si riscoprono la band indie rock che erano ai tempi del mai troppo amato Antics (Matador Records, 2014),  proponendo un album vivace, ispirato e preciso.

Quello che ha sempre contraddistinto la produzione degli Interpol è l’attenzione alla composizione, sempre sobria ed elegante, dei pezzi dove la chitarra dialoga sapientemente con la parte ritmica. Come è diventato un marchio di fabbrica la distorsione tagliente delle corde, inimitabile è anche la voce di Banks, seria, compunta e mai fuori posto. The Other Side of Make-Believe fa pensare ai primi dischi con pezzi come Fables o Renegade Hearts, anche se l’ispirazione si coglie nel vivo con i riff di Mr Credit, un pezzo squisitamente alla Interpol ma con una marcia in più. La vena darkwave non manca e si fa possente in brani come Greenwich o Into The Night, il cui giro di basso ammicca ai Joy Division.

Banks e soci sono sempre stati affini al post punk evocativo e nostalgico, senza perdere mai l’occasione di ricordare a chi ascolta la tragedia del vivere. Nota di merito va al pezzo di chiusura, Go Easy (Palermo), breve ma intensa ode alla malinconia.

Tornando alle parole di apertura, il nuovo modo di scrittura del disco – scritto e composto in isolamento per cause note sui monti – ha portato un’ispirazione diversa alla band, una vena compositiva che guarda al passato per riscoprirsi nel presente.

Il disco piacerà alla vecchia guardia dei fan, contenti di ritrovare le origini della band ma, non di meno, accontenterà anche chi si avvicina per la prima volta, forse per sentito dire. Con The Other Side of Make-Believe, l’oscurità si mette giacca e cravatta e sfila accanto ai suoi interpreti, gli ultimi veri gentlemen dell’indie rock.

 

Interpol

The Other Side of Make-Believe

Matador Records

 

Fernando G. Maistrello

Superorganism “World Wide Pop” (Domino, 2022)

La storia dei Superorganism non è decisamente quella canonica che abbiamo sentito milioni e milioni di volte, degli amici dell’infanzia che passavano ore ed ore a suonare nel garage di qualche zio e si esibivano alle feste del liceo. I nostri beniamini infatti provengono non solo da Paesi diversi, ma proprio da emisferi differenti (UK, Giappone e Australia) e sono entrati in contatto grazie a diversi forum online di musica, coltivando una sincera amicizia basata su scambio di canzoni e meme. Il legame virtuale diventò così profondo che nel 2017 si trasferirono quasi tutti (la cantante giapponese Orono Noguchi all’epoca studiava negli USA ma mandò la registrazione della sua voce ovviamente online) a Londra nello stesso appartamento per lavorare sulle loro produzioni psychedelic indie pop e postandoli ovunque nel mondo del web, finchè non arrivarono alle orecchie della Domino, che decise di scritturarli immediatamente. Così nel 2018 uscì il primo disco omonimo dei Superoganism che li impegnò in una tournèe mondiale e milioni di dischi venduti. 

Ora, a distanza di quattro anni, tornano con un secondo attesissimo disco, in uscita sempre con la stessa etichetta. La band ha subito alcune variazioni nella composizione ma lo spirito è rimasto invariato. La forza di questo gruppo sta tutta nell’estetica peculiare che li caratterizza, ricca di uno stile hipster un po’ sfigatino ma che oggi risulta cool, accompagnato da balletti che spopoleranno su TikTok e video musicali pieni di meme, unicorni ed arcobaleni. In tutto e per tutto figli di internet e la loro musica trasuda questo stile caleidoscopico ad ogni nota. 

Il nuovo disco, infatti, è farcito di basi pop prettamente stroboscopiche, autotune e chitarrine sghembe che lo rendono un ascolto piacevole e leggero, ricordando degli acerbi Tame Impala. Il primo singolo Teenager è un’ottima anteprima del mood di tutto l’album: sound melodioso ed orecchiabile con un video colmo di galassie iper colorate, delfini, e la band che cavalca un hot dog gigante mentre l’attore Brian Jordan Alvarez (ve lo ricordate in Will and Grace?) balla come se nessuno lo stesse guardando. 
Non fatevi ingannare dagli arcobaleni e dagli animaletti pucciosi, i testi della band spesso raccolgono alla perfezione i momenti di confusione e di solitudine che la nostra generazione sta attraversando, basti ascoltare Black Hole Baby oppure Everything Falls Apart, dove la sensazione che il mondo faccia acqua da tutte le parti è descritta con ritornelli soavi e post su instagram.  

Questo secondo disco conferma l’anima pop psichedelica della band senza cadere nello scontato e nel ripetitivo, pronto a diventare un trend glitterato da un momento all’altro.

 

Superorganism

World Wide Pop

Domino

 

Alessandra D’Aloise

Deaf Havana “The Present Is A Foreign Land” (SO Recordings, 2022)

I Deaf Havana tornano con un nuovo album, l’atteso The Present Is A Foreign Land, dopo quattro anni dall’ultimo disco Rituals, con un nuovo volto che vede la line up ufficiale ridotta ai due fratelli James e Matthew Veck-Gilodi.

I cambi di formazione sono stati frequenti per questa band, tanto quanto i loro cambi di stile all’interno del macro cosmo Rock.

Hanno iniziato da giovanissimi con un impetuoso Post Hardcore – Screamo che li ha portati a farsi le ossa sui palchi europei e facendosi piacere ai più.

Dopo l’abbandono da parte dello screamer Ryan Mellor (2005-2010) è quindi James a prendere completamente posto sotto il riflettore. Qualche anno dopo verrà finalmente introdotto suo fratello Matthew, tassello fondamentale per una sterzata decisiva, dando la chance alla band di vertire su un genere più melodico, iniziando le prime sperimentazioni di ibridazioni con il Pop, ma mantenendo comunque un forte carattere alternativo.

Negli anni, le parole sudano copiose tra chitarre che dialogano armoniose attraverso delay e riverberi, un loro trademark fondamentale, ed emozionano il pubblico che non può non rivedersi in scene quotidiane di relazioni complicate, di amicizie profonde suggellate negli anni, e rivalutate nel tempo che passa.

Il tema del tempo che passa per James è molto ricorrente e serve spesso come retrospettiva per confrontarsi sulla propria maturazione, ciò che il tempo gli ha portato via o ciò che nel tempo è riuscito a conquistare.

È proprio in Kids, uno dei singoli estratti dall’album, in cui possiamo notare questo aspetto di malinconia nel rivedere in maniera critica eventi passati e con la volontà di non voler perdere quella leggerezza del vivere tipica dei giovani, leggerezza persa nell’esorabile presa di coscienza di divenire adulti.

“Was it all in my mind? (we were just kids)
‘cause everyone else grew older in time (we were just kids)
I’ll be alone forever (we were just kids)
together (we were just kids)”

In Going Clear i Deaf Havana sviscerano il problema della dipendenza da stupefacenti, più volte trattato da James in maniera alle volte sottile, alle volte più esplicita.
In questo brano viene descritto l’aspetto della dipendenza  attraverso impatti fisici e psicologici descritti così limpidamente tanto da procurare i brividi a chi ascolta.
La sofferenza e il senso di alienazione è palpabile, come la sensazione di arresa o di conseguente rassegnazione.

“I don’t know what’s happening to me
I wake up soaking in my sheets
I do lines on the weekend
I do lines with my real friends
don’t you say a prayer for me
sometimes I pray I die in my sleep”.

Il carattere più forte e personale che ne emerge è l’ammissione di quanto sia difficile uscire da certe situazioni, e che ricaderci costantemente sia quasi un sintomo, alla fine, di rendersi conto di non essere del tutto convinti o pronti a seguire un percorso atto alla svolta conclusiva di distacco dalle sostanze 

“I fall back behind my lies
maybe I don’t wanna be sober”.

Non mancano in questo album, come in quelli precedenti, brani acustici o produzioni più introspettive alimentate dall’ausilio di un sempre più presente utilizzo di elementi derivanti dall’elettronica, come Nevermind, Trying-Falling e Somewhere (ft. IDER).

Il sound prevalente tende verso un orizzonte decisamente più Pop ma con radici salde nella cultura Rock dalla quale proviene, testimone principale la ricorrenza di riff decisi e assoli che danno quel kick in più di colore ai brani donandogli carattere.

A tratti si sentono comunque suoni ripresi da Rituals e dal meno recente All These Countless Nights, quasi a presagire di aver saputo già da anni quale fosse la nuova rotta per i nuovi lavori e di voler scommettere nuovamente sulla stessa formula.

L’alternanza tra brani con una buona dose di potenza e brani dai bpm più contenuti e sound prevalentemente acustici, ne bilancia uno scorrimento che porta all’ascoltatore sino alla fine dell’album senza mai annoiare. E si sa che la scelta della scaletta dei brani all’interno di un album è probabilmente uno degli ultimi lavori di post produzione con un carico elevato di responsabilità.

Negli scritti, come nel sound, i Deaf Havana registrano un livello di maturità dove i due elementi si comportano con un andamento inversamente proporzionale: se in passato le casse proponevano ruggenti chitarre e batteria acida e spezzata, accompagnando testi più superficiali e talvolta meno diretti, ora i pezzi suonano più introspettivi a favore di una comunicazione decisamente più diretta e consapevole.

Sono lontani i tempi di quando erano Smiles All Around o In Desperate Needs of Adventure ad accompagnami tra le fredde strade d’inverno tra Yonge Street e Victor Avenue di Toronto, ormai 12 anni fa.

Ma il bello di essere affezionati ad una band che ha saputo tenere vicini vecchi fan e nuovi (in Germania di recente stanno collezionando fans come margherite a primavera), sta proprio nel guadagnarsi la fiducia di lasciare agli utenti di potersi creare nuovi ricordi da legare a nuovi canzoni, piuttosto che continuare ad esaltare solo i grandi classici.

Nel complesso The Present Is A Foreign Land è uno spiraglio di speranza perché questo progetto continui e che non si strascichi ulteriormente, poiché ad oggi i Deaf Havana non hanno mai deluso.

 

Deaf Havana

The Present Is A Foreign Land

SO Recordings

 

Roberto Mazza Antonov

Ariete @ Pistoia Blues

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• Ariete •

Piazza Duomo (Pistoia) // 14 Luglio 2022

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Ritrovare tutto come sembra di averlo lasciato dà sempre la sensazione che il tempo non passi così velocemente come si dice, e così, dopo aver appena chiuso gli occhi dopo un concerto, ecco che Pistoia Blues Festival 2022 li riapre per ospitare un’altra protagonista del progetto Storytellers: la giovane cantautrice Ariete. Nata ad Anzio, classe 2002, l’artista, al secolo Arianna Del Giaccio, fa parte della corrente indie pop del panorama musicale italiano di cui in poco tempo è diventata protagonista con decisione e semplicità, passando dalla partecipazione a X-Factor del 2019 dove la sua eliminazione non è stata per lei un ostacolo, bensì un’esperienza che l’ha fatta crescere fino a portarla, ora, a calcare i palchi di tutta la penisola. 

Le strade di Pistoia sono questa volta riempite da un pubblico molto più giovane rispetto a quello di serate precedenti. All’inizio, sono circondata da vari adolescenti da soli, altri accompagnati dai genitori che, come me, si avventurano all’interno della piazza. Ci sono ragazzi anche più grandi, alcuni poco più che ventenni, che mi guardano con la stessa curiosità mista a divertimento con cui anche io e i miei amici, molti anni fa, guardavano i coraggiosi “zii” che si mescolavano alla nostra generazione. Quanto ci vuole poco, giusto qualche anno, per capire che l’amore per la musica non ha età. Altri non ci fanno caso, mentre qualcuno vede il pass e mi chiede informazioni pensando che sia della sicurezza. 

La serata si apre con l’esibizione dei BNKR 44, più che un gruppo, un collettivo musicale di sette ventenni della provincia di Firenze che scaldano il pubblico con il loro rap italiano, battute, il loro occupare ogni spazio libero del palco che trasmette la loro la voglia di divertirsi ed essere protagonisti della scena per tutto il tempo che gli è concesso. Nel frattempo, piazza del Duomo si popola sempre di più, l’età degli spettatori si alza, diventa più eterogenea, e anche se ormai lo sai, ogni volta è bello vedere come la musica riesca ad unire le generazioni, quelle che un po’ si amano e si scontrano nella vita di tutti i giorni, ma che per qualche ora si scorda dei conflitti per costruire un nuovo ricordo da condividere. 

Durante la pausa tra gli opener e l’esibizione di Ariete, i ragazzi sotto il palco applaudono, chiamano a gran voce l’artista, fanno commenti fisici e sentimentali, la voglia di ascoltarla e vederla si può quasi toccare. Improvvisamente, mi trovo in un bosco di cellulari alzati in attesa di cogliere l’attimo tanto atteso in uno scatto, forse in un video da far diventare una storia, il futuro ricordo del concerto. Finalmente, Ariete sale sul palco! Sono circondata da uno scroscio di applausi, gridolini di esultazione mentre guardo quella ragazza acqua e sapone, con il corpo esile perso dentro a un jeans e una camicia extra large, gli occhi che guardano tutti sotto la tesa di un cappello che lascia sfuggire qualche ricciolo bruno: l’anti-divismo fatto persona. E con la stessa semplicità con cui è salita sul palco, abbraccia la chitarra e lascia che le note di Specchio si diffondano per la piazza, per andare oltre lo sguardo serio dei palazzi, superare le transenne e girare per le strade della città. L’impatto emotivo esplode, subito, senza se, senza ma. 

Ariete canta molti dei suoi successi, che, anche se rispetto ad altri artisti più esperti possono non sembrare molti, racchiudono un percorso artistico e personale di rilievo, come Quel Bar, il suo primo singolo, che diventa parte del cuore musicale della serata con il suono morbido e fluido della sola chitarra acustica. In canzoni come Giornate noiose oppure Cicatrici, scritta a quattro mani con Madame, oppure Tatuaggi, l’artista non racconta la sua generazione come un narratore venuto da lontano, lei la rappresenta nelle sue dolcezze, nei disagi profondi e incerti, nelle certezze che sbaragliano molti quarantenni, nell’allegria e nella leggerezza dei vent’anni che non può e non deve essere condannata. La sua voce è dolce, ma non per questo non possiamo definirla decisa e consapevole di ciò che sta esprimendo, la musica arriva, ma non è aggressiva neppure quando dal semplice accompagnamento della chitarra si passa al supporto della band. I testi sono belli, c’è scrittura, voglia di comunicare parlando il linguaggio della propria età.  E poi c’è lei, che riesce a creare un legame emotivo con tutto il pubblico, quello venuto ad ascoltarla perché già la adora, ma anche quello che è lì per curiosità o perché trascinato da qualche figlio. Quella ragazza di appena vent’anni riesce a catturare l’emozione, sì.  Si muove sulla scena senza esitazione, ma non per questo scorda di essere lì, davanti a tanta gente, e ne senti tutta l’adrenalina, quella che forse abbiamo tutti a quell’età quando raggiungiamo qualcosa di bello, quella che alcuni artisti con tanti anni di esperienza alle spalle sembrano aver scordato, e che, per quanto tecnicamente bravi, hanno barattato per un qualche porto sicuro. 

Su quel palco, lei non canta e basta, parla, dialoga, scherza con chi ha davanti come un’amica, raccoglie i pupazzi e i reggiseni che le vengono lanciati, racconta del difficile periodo del Covid19 e della distanza sofferta da molti di noi, decide che quella distanza è l’ora di annullarla partendo proprio da quelle assi che la sorreggono e fa salire sulla scena tre fan, tre ragazze che con le loro storie di forza e fragilità si aprono a quella piccola parte di mondo pronta ad ascoltarle. Eccola la “generazione di imbecilli” che parla di sé, racconta abissi e superfici della gioventù, e non vedo e non sento niente che non abbia visto e sentito quando quell’età ce l’avevo anche io, e qualcuno guardava alla mia generazione col ghigno da primo della classe. Perché in fin dei conti “Essere giovani fa schifo/ e non poter decidere fa tanto male”, canta Ariete dal suo microfono, e il ritornello diventa un unisono, un canto comune, forse uno sfogo di una gioventù che ha il dito degli esperti di vita puntato addosso. I ragazzi cantano, cantano come fossero all’uscita di scuola, in attesa di un bus che li porterà chissà dove, e in fondo quello che sognano è solo la musica e un po’ di libertà. Lasciamogli vivere quei vent’anni, o quei quindici, quei venticinque, senza caricarli del peso dei quaranta, o anche oltre, delle responsabilità di un futuro che è ancora nelle nostre mani. Non condanniamoli solo perché quell’età non l’abbiamo più. 

Un commento a parte va a L’ultima notte, commissionata prima da Netflix come colonna sonora per la serie Summertime e diventata poi quella dello spot di un famoso gelato, e, ammetto, il brano con cui ho davvero conosciuto l’artista. La canzone colpisce per come rievoca l’allegria e la nostalgia di morbide sere d’estate passate tra amici, falò e sguardi innamorati, pesca tra i ricordi emotivi di un’età dove tutto sembra possibile e la vita la vivi in punta di labbra. Ariete colpisce per tutta l’emozione che riesce ad esprimere nelle sfumature della voce, nella sua interpretazione semplice e i sorrisi che senti su ogni parola. Questo ci mostra come con il famoso “sistema” musicale, quello più ampio, il mainstream, si possa collaborare rimanendo però, al tempo stesso, coerenti con le proprie scelte artistiche. Ariete lo dimostra, si può fare!

Il concerto si chiude con il rituale bis, dove l’artista canta la più recente Castelli di lenzuola e chiude con la più vecchia 18 anni, storie autobiografiche che arrivano al cuore e a qualche lacrima di chi le ascolta. Lei come sempre la interpreta l’ultima traccia con la sua naturale semplicità, ma il testo è spietato, ha in sè lo squarcio profondo in una vita adolescente che dovremmo ascoltare di più, forse conoscere un po’ meglio, e a volte chiederle anche come sta. Dicono che l’arte debba allontanare dalla banalità e scuotere, beh, Ariete lo fa, se glielo permettete e non la allontanate dalle vostre playlist solo per la sua giovane età. 

 

Alma Marlia

foto di Aurora Ziani

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Pistoia Blues 2022

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 Pistoia // 7 Luglio – 16 Luglio 2022

 

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7 Luglio 2022

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The Tallest Man On Earth

foto di Letizia Mugri

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12 Luglio 2022

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Manuel Agnelli

foto di Letizia Mugri
testo di Alma Marlia

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13 Luglio 2022

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Willie Peyote

foto di Aurora Ziani

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14 Luglio 2022

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Ariete

testo di Alma Marlia
foto di Aurora Ziani

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15 Luglio 2022

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Simple Minds

di Alma Marlia

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16 Luglio 2022

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Paolo Nutini

di Alma Marlia

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