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Anno: 2023

I Gazebo Penguins e i loro dischi inevitabili quanto necessari

Dopo le quattro date evento per presentare il loro ultimo disco, Quanto, e in vista del prossimo tour in giro per tutta l’Italia, abbiamo intervistato i Gazebo Penguins, che si confermano una delle band più interessanti in Italia. E probabilmente la miglior live band che vi possa capitare di incontrare.
Ci ha risposto Capra.

 

Ciao ragazzi, grazie intanto per la vostra disponibilità e benvenuti su VEZ Magazine. A noi il disco è piaciuto davvero molto, per cui iniziamo col chiedervi quando avete iniziato a comporre le nuove canzoni e quanto tempo è stato necessario per avere le sette che sono poi finite nel disco.

“Allora, avevamo iniziato a buttare giù un po’ di bozze ancora prima del lockdown e successivamente abbiamo continuato a lavorarci anche durante i vari isolamenti forzati, ma onestamente pochissima della roba lavorata in quei periodi è finita nel disco, giusto un paio di giri. Quando si è potuto ricominciare a suonare da seduti abbiamo deciso di rimetterci in gioco, rivisitare le nostre canzoni e provare a dargli un senso un po’ deviato per il periodo deviato in cui ci si trovava a vivere.

Dopo quel tour, denso di sentimenti parecchio antitetici, è partito il lavoro più serrato verso il disco nuovo. Se dovessimo sommare tutti i mesi arriviamo tipo a contare quasi tre anni, ma in realtà i mesi più intensi e produttivi saranno stati otto.”

 

Si è trattato di un disco difficile da fare? E cos’è cambiato in voi rispetto al passato? Intendo soprattutto a livello compositivo, se negli anni è cambiato il modo di realizzare e registrare poi i brani. 

“È stato un disco nato e cresciuto in maniera molto diversa dagli altri.
Nel silenzio. Magari nemmeno tutti assieme. Le bozze dei pezzi crescevano settimana dopo settimana davanti allo schermo di un computer, senza fretta, cambiando e sostituendo parti se non ci convincevano più, riscrivendo fino a dieci finali diversi per la stessa canzone, a volumi bassi, senza amplificatori. E quando una prima scaletta del disco ci sembrava ok, abbiamo portato tutto il sala prove e alzato la manopola del gain.”

 

Sbaglio se dico di sentire una sorta di continuità, un trait d’union, tra Nebbia e Quanto? Sia come tematiche che molto anche a livello di sonorità.

“Probabilmente sì. Alla fine la ricerca del suono per noi è forse la prima cosa che emerge quando ci mettiamo a scrivere un disco nuovo. E la ricerca del suono non parte da zero, fa sempre parte di un percorso che hai intavolato nel momento in cui hai cominciato a prendere la musica sul serio. Procede. E si sposta man mano.
Sulle tematiche non sarei invece così sicuro di darti ragione.
Però, se volessimo trovare un tratto di continuità, potrei dire che Nebbia partiva da una riflessione sulle relazioni collegate a una dimensione – uhm – meteorologica, mentre Quanto prende spunto da tanti concetti cari alla meccanica quantistica e alla fisica del novecento per provare a raccontare storie del mondo, quello in cui viviamo, quello in cui vorremmo vivere, quello che non vivremo mai. In entrambi i casi si parte da una dimensione molto terrena, che da un album all’altro opera come uno scavo in profondità, nei recessi della materia e del tempo.”

 

Com’è nata l’idea di inserire il sax? Credete che in futuro potrà esserci spazio per altre sperimentazioni, anche più presenti e impattanti?

“Magari! Sulla strumentale di Nubifragio ci sembrava perfetto il suono del sax, uno strumento a fiato, un suono fatto di aria, che creasse qualcosa di turbinoso, ipnotico, e le idee portate da Mallo (Manuel Caliumi) in studio sono state esattamente quello che speravamo.”

 

Un po’ in controtendenza con quanto accade ormai sempre più frequentemente nello showbiz, non siete dei grandi utilizzatori delle collaborazioni, salvo rare eccezioni. C’è una motivazione dietro a questa scelta? E qualora ne aveste la possibilità, con quale artista, presente o passato, vi piacerebbe collaborare?

“Abbiamo sempre fatto uscire un disco nuovo solamente per un motivo di necessità. Non abbiamo mai avuto pressioni, né interne né esterne: un disco arrivava quando era il momento, quando per noi diventava inevitabile, necessario. Siamo legati all’idea, forse anacronistica, che la musica nuova che arriva debba rappresentarci nel modo più trasparente possibile, che sia qualcosa di nostro, in una maniera integra, completa. E, senza voler peccare di supponenza, ci piace l’idea di poter suonare tutto quello che ci serve per realizzarlo.
Detto ciò, non abbiamo nulla contro le collaborazioni, specialmente se diventano qualcosa che riesce ad entrare un po’ più nel cuore della composizione, senza essere troppo di superficie.
Abbiamo iniziato a fare qualche chiacchiera con i Post Nebbia, per capire se sia possibile inventarsi qualcosa che vada proprio in questa direzione.”

 

Come sono andate le quattro date di presentazione di Quanto? Avete già capito quali potranno essere i brani che entreranno in pianta stabile nelle scalette? La risposta del pubblico – almeno per quanto visto a Bologna – era stata davvero travolgente, segno che Quanto funziona davvero!)

“Guarda, la presentazione di Quanto nella quattro date di dicembre è stato qualcosa di assurdo. L’idea precisa che avevamo, concordata assieme a Garrincha e ToLoseLaTrak, era quella di portare dal vivo, per la prima volta, il disco nuovo, senza la possibilità di ascoltarlo prima in streaming o altro. Suonarlo dal vivo, e comprarlo esclusivamente dal vivo. (Il fatto che, alla fine dei concerti, un sacco di persone abbia poi deciso di comprarsi il cd o il vinile di Quanto appena ascoltato per la prima volta è stato chiaramente per noi una sensazione incredibile, un senso chiaro di missione compiuta).
Ridare centralità al momento del live, riportare il concerto nel cuore dell’ascolto – che è un po’ la nostra visione della musica. E restituire al concerto dal vivo anche quell’aspetto di scoperta che un po’ si è perso negli ultimi anni: scoprire qualcosa di nuovo, che poi ti possa piacere o ti faccia cagare è uguale: sarà comunque qualcosa che prima non conoscevi. E fare in modo che un disco nuovo diventasse, alla fin fine, un momento per ritrovarsi, un incontro di persone, dal vivo, portate lì per sentire un concerto.
Per quanto riguarda le scalette, al momento, in questa prima parte del tour che è seguita alle date di anteprima, abbiamo deciso di rinnovarci ad ogni weekend, senza portare mai le stesse identiche canzoni da un posto all’altro in cui ci ritroviamo a suonare. Ce ne sarà una più punk, una più classica, una più dilatata, una più revival e via così.” 

 

Dopo oltre quindici anni di onorata carriera continuate ad avere sempre lo stesso contagioso entusiasmo dell’inizio, i vostri live sono sempre una festa clamorosa e la cosa che più mi fa piacere è che accanto a noi, seguaci della prima ora ormai quarantenni, ci son sempre più giovani e giovanissimi che conoscono le canzoni parola per parola, dalle più vecchie alle più recenti. Non deve essere stato per niente facile per voi star lontano dai palchi per così tanto tempo. Cos’è significato ritornare in mezzo alla vostra gente senza impedimenti, come non fosse mai successo niente in questi due anni?

“Un grande, enorme . Quattro concerti che hanno spazzato via quella sensazione di sfaldamento e freddezza che, per un certo periodo, parevano inscalfibili. Ma che non hanno cancellato il senso di impotenza che ha scavato a fondo, su cui ancora ci si trova a inscurirsi e pensare. Cercheremo di suonare il più possibile, perché il tempo perso non esiste più, è irrecuperabile, ma riempire di musica il tempo a venire è ancora possibile. E via andare.”

 

Alberto Adustini

Pearl Jam “Yield” 25 anni dopo

“How cool to have a yield sign where there’s nothing to yield to”
Jeff Ament

È il tre di febbraio del 1998.
Un martedì.
È appena uscito il quinto album dei Pearl Jam, ma l’ho lasciato sul tavolo, incartato, intonso.
No Code mi aveva annoiato, i Soundgarden si erano sciolti, il Seattle Sound si era perso, pochi mesi prima era uscito un certo OK Computer.
Un aereo militare statunitense ha appena tranciato i cavi della funivia del Cermis. 

Era la fine del Secolo. Il Novecento, non un secolo qualunque.
La musica che amavo stava morendo (male), dopo un decennio di gloria e sovrabbondanza, di esplosione globale di fenomeni, correnti, movimenti. MTV era lo specchio deformante in cui la mia generazione trovava conforto, e io ero attaccato ai miei Pearl Jam come naufraghi sulla zattera della Medusa.
Vedder, l’uomo che ha cantato il proprio giovane Werther interno in almeno tre dischi stupendi, decide di fare otto passi indietro (Gossard ne fece solo due), e propose una terza via, in zona cesarini, per dare a me, a noi, a tutti i giovanicariniedissocupati del pianeta, una proposta diversa da quella di autocommiserarci e autoflagellarci tra millenium bug e mille non più mille parte II.
I Pearl Jam misero in musica la suddetta proposta, lasciando come unico segnale preventivo un cartello di precedenza, laddove, di cartelli, ma soprattutto di precedenze, non ve n’era bisogno. Ament sogghignava, sottolineando la meraviglia del paradosso in diverse interviste. Vedder la prendeva (ovviamente) più alta, ma lo vedremo più avanti.
Quello che sembra perfettamente centrato, quello che allora ha riallacciato il mio cordone ombelicale con loro, furono le domande e le risposte che questo disco portava con sé. È un inno alla fine del mondo, che contiene le istruzioni per sopravvivere, nonostante tutto, nonostante noi. 
Già.
A fine febbraio 1998 inizierà la guerra in Kosovo. A metà mese diverse nazioni si esprimeranno contro la clonazione umana. In marzo Pakistan e India giocano con le atomiche. E Titanic vince undici statuette, un costosissimo e edonistico naufragio, a simboleggiare il genius saeculi.

Il Maestro e Margherita di Bulgakov forse è l’ultima nota che ci si aspetterebbe di trovare a piè di pagina in un disco dei Pearl Jam. Eppure.
Colpa fu di Jeff Ament, bassista del gruppo, che rimase folgorato dai capitoli del romanzo dedicati a Ponzio Pilato.
Nota: la storia raccontata nel romanzo non è esattamente fedele a quella dei Vangeli, e il Pilato rappresentato nella canzone è quello della parte finale del libro: stanco, solo e dimenticato dalla Storia, vive in una montagna con il suo cane, triste per le occasioni perdute e per la solitudine di cui è prigioniero. In Pilate Ament tratta di tutto quello che abbiamo lasciato in sospeso, di come quel gomitolo di non-fatto possa trasformarsi in rimorso e follia.
I Pearl Jam – tutti i membri della band –  hanno raccontato in diverse interviste precedenti all’uscita del disco di quanto il gruppo fosse sfilacciato, esausto, disunito. I tour, la querelle con Ticketmaster, le frizioni interne, la precarietà esistenziale del ruolo del batterista della band, la difficoltà nel relazionarsi con un Vedder sempre più chiuso, tutti questi fattori avevano minato la stabilità della band.
C’è un cartello di precedenza, nella storia dei bivi che i Pearl Jam hanno preso. E sta lì per ricordare a tutti che esistono molte vie per ritrovare la strada e se stessi.
Una di queste è una sana chiacchierata con un gorilla senziente e di sconfinata cultura.
È ciò che Daniel Quinn racconta in Ishmael, un libro dei primi anni novanta, che si basa sulla relazione tra un gorilla e un uomo. Il primo, attraverso un dialogo filosofico, presenta al secondo una rilettura della storia dell’umanità, in particolare della civiltà del progresso e del suo destino, pare ineluttabile, fatto di autodistruzione. Il libro propone vie alternative, ma la parte più nera e critica del testo convoglia in quel capolavoro che sarà Do The Evolution, cui spetterà l’onore di diventare un video musicale di rara bellezza e forza comunicativa.
Ma l’Ishmael che rilegge la storia dell’uomo, la Bibbia e che illumina i finali possibili della Storia, è solo una parte dei molti riferimenti usati per tracciare la mappa disegnata dalla band.
Yield è un manuale con diversi capitoli, un po’ figlio di quel Vitalogy-pensiero di qualche anno prima, che ha l’enorme pregio di non prendersi troppo sul serio. Sarà la maturità, saranno le botte prese, quello che traspare è uno sguardo più lucido e sereno. E così la traccia iniziale Brain of J. ci pone subito nel mezzo della querelle tra noi e il mondo, mentre è la seconda canzone, Faithfull, a introdurre un elemento fondante del disco: un nuovo umanesimo, una nuova via ripulita da ciò che ha macchiato i secoli precedenti. E i nostri iniziano dalla religione, spazzata via in poco più di quattro minuti, liquidata come inutile illusione. L’unica entità cui dovremmo essere fedeli è seduta a fianco a noi, (ri)partiamo da qui.
Sfruttando questo primo assioma, Gossard riesce a far cantare a Vedder: 

‘Cause I’ll stop trying to make a difference
I’m not trying to make a difference
I’ll stop trying to make a difference
No way

No Way, terza traccia, è sintomatica del nuovo modo di lavorare della band: Yield è un disco corale, in cui tutti hanno portato un contributo, in cui tutti hanno il nome tra gli autori. L’io di Vedder diventa un noi, e l’amico Stone decide di farglielo giurare al microfono, ponendo le basi per la seconda legge di Yield: ammettere di aver bisogno dell’altro. Più umanità che umanesimo, ma siamo ancora alla casella di partenza.
Con un gioco di montaggio alla Tarantino, Given to Fly ci racconta qualcosa che potrebbe stare alla fine della nostra storia, non a metà album. La canzone ha dato vita a fiumi di interpretazioni, nonostante Vedder abbia dichiarato si tratti solo di una fiaba. Ma l’uomo che dall’onda spicca il volo e li libra in cielo è un’iconografia che potrebbe riempire libri di citazioni. Personalmente? Icaro, Prometeo q.b., ma soprattutto, a pelle, una “normale assurdità”, alla Mr.Vertigo, Paul Auster, 1994.
Sempre il duo McCready-Vedder firma la seguente Wishlist, la lettera d’amore scritta come avessimo ancora un Babbo Natale come musa, ma anche la lettera d’amore che vorremo ricevere domani stesso. Del resto, nel nuovo millennio, vorremo portarcelo, il nobile sentimento?
Di Pilate e del suo messaggio abbiamo già affrontato temi e radici, nonché di Do The Evolution, anche se meriterebbe menzione il riff di chitarra più goloso del disco.
MFC è la chiave dell’album. È la X sulla mappa. E di nuovo, per un gioco di montaggio, abbiamo la soluzione prima del dramma. Perché le canzoni seguenti, Low Light, In Hiding, Push Me/Pull Me, sono criptiche, sono oscure, parlano di cambiamento, di trasformazione, ma anche di chiusura al mondo ed eremitismo (pare suggerito da Sean Penn su pratiche apprese da Bukowski, ma è altra storia).
Saltelliamo su temi escatologici in Push Me/Pull Me fino al gran finale di Gossard, che nel nuovo millennio pare volesse portare soprattutto l’ironia e la sottile metafora. La ninnananna finale di All Those Yesterdays non serve a mettere a dormire i propri figli, come accadeva con il pargolo di Irons in No Code. Qui a nanna ci vanno i Pearl Jam, almeno nella loro versione adolescenziale, rabbiosa. Gossard stacca dal traliccio il Vedder-bambino, lo cala in un gruppo aperto al dialogo e mostra a tutti la strada, puntellandola qua e là, senza troppo senso, con segnali per rallentare la corsa.
Parere di pancia: Yield sfiora il concept album.
Anzi, compio un atto di coraggio e ammetto che più sprofondo nei testi, più mi perdo nei contenuti e più mi ritrovo tra le canzoni di The Wall, Pink Floyd, 1979. Lungi dal paragonare i due album, lungi ancor di più accostarli per peso specifico e importanza storica. Ma il lavoro di Waters è un viaggio (circolare) che inizia a esistere nel momento in cui il suo autore decide che il suo rapporto con il mondo, con il pubblico, con lo showbiz, deve cambiare. Il muro è isolamento, il muro è l’incertezza, è la paura. Il viaggio che Waters ci regala, fuori e dentro il suo muro, serve a mostrare a sé stesso e a noi che siamo liberi di isolarci, di perderci in atti creativi autoriferiti, liberi di goderci la nostra solitudine. Ma è soltanto uscendo dai nostri confini che otteniamo la completezza. Siamo umani solo attraverso una continua e consapevole condivisione.
Yield è un disco con una missione, almeno con un messaggio.
In MFC Vedder ci regala la classica metafora del viaggio in automobile. Ma tra le righe ci insegna a rimappare quello che ci sta intorno, a lavorare su come e cosa osserviamo. È un inside job, è un modo per ridistribuire le proprie risorse interne. Se in Rearviewmirror il futuro era nello specchietto retrovisore, nel lasciare il passato scappando, qui è il presente che viene modificato, con un atto creativo.
Libero arbitrio in libero incrocio.

Yield è un disco sulla fine del mondo.
E degli anni novanta.
E di un’umanità che deve cambiare.
Loro non potevano saperlo, ma da lì a un anno sarebbe arrivata la tragedia di Roskilde. Un anno dopo sarebbe cambiato per sempre il mondo, dopo gli attentati dell’11 settembre. E io ringrazio di aver ricevuto la mappa che Yield contiene prima che i Pearl Jam, come tutti noi, dovessero fronteggiare le difficoltà dei primi anni del nuovo secolo.
È stato un disco importante, perché ha un peso specifico enorme, ed è stato un regalo averlo nel 1998.
Il mondo andava a rotoli, come adesso.
Ma ero innamorato. Avevo amici, avevo ventuno anni.
E uno Yield in più a proteggermi.  

…All that’s sacred comes from youth…

 

Andrea Riscossa

Tre Domande a: Nebbia

Cosa vorresti far arrivare a chi ti ascolta?

È sempre una buona domanda questa, a cui non so bene rispondere perché sono consapevole di quanto la musica cambi a seconda di chi l’ascolta. Mi piacerebbe mostrare un mondo interiore che spero sia condiviso da molti, e spero di far entrare chi ascolta in questo mondo, farlo sedere con me in cima a una vetta come in Cime, oppure in un giapponese all you can eat in Texas Ravioli. Insomma credo molto nella musica come dialogo, per questo quello che voglio fare ora è suonare molto dal vivo per trasmettere in maniera diretta alle persone tutto questo.

 

Se dovessi scegliere una sola delle tue canzoni per presentarti a chi non ti conosce, quale sarebbe e perché?

Dal mio EP Altrove sceglierei forse Vortex per rappresentare un certo mio modo di fare musica: un po’ dark, anni ottanta, new wave, ma anche cantautorale e rappresentativo del mio mondo interiore. Dentro quella canzone c’è molto di me ed è forse quella più vecchia che ho scritto di questo EP. Mi piace pensare di creare un’atmosfera coerente con il mio nome, Nebbia, e con quello che avevo nella testa quando l’ho scritta.

 

Qual è la cosa che ami di più del fare musica?

Il fatto che sia un modo di essere, più simile al respirare che ad una attività conscia. Il fatto che non mi faccia mai stancare di farlo, e che debba sempre trovare nuovi modi per saziare questo meraviglioso Leviatano. E il piacere nel vedere quando tutto questo arriva agli altri, quando vedo che ci si riconoscono e che lo amano.

The Kooks @ Magazzini Generali

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• The Kooks •

 

Magazzini Generali (Milano) // 01 Febbraio 2023

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Foto di Federica Mulinacci
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The Smashing Pumpkins “Atum: A Rock Opera in Three Acts” (Martha’s Music/Napalm Records, 2022)

Act Two: l’aspettativa dolce-amara dell’anima rock.

Solitamente una recensione si compone di tre parti: un preambolo per introdurre l’artista e il progetto, un corpo centrale per focalizzarsi su alcuni dettagli del progetto stesso e una chiusura dove si tirano le fila del tutto condite da qualche considerazione. L’occasione dell’uscita del secondo atto di Atum – A Rock Opera in Three Acts può farci saltare un’altra presentazione di un gruppo come gli Smashing Pumpkins, che si presentano da soli, e ci proibisce di volgere nuovamente lo sguardo ai nostalgici ricordi della gioventù in cui Mellon Collie and the Infinite Sadness faceva da colonna sonora a inquietudini adolescenziali. Un secondo atto è un passaggio tra un primo e un terzo, che può convincerci a restare all’ascolto, oppure ad abbandonare senza mezzi termini, ma sempre un passaggio è. Così sarà questa recensione. 

La band aveva definito Atum come il seguito di quel Mellon Collie ancora tatuato nella pelle di tante generazioni. E quando dici così a chi ha ancora voglia di provare certi brividi sonori, l’aspettativa che crei è talmente alta che corri il rischio di passare dai fremiti di piacere al freddo più intenso in un solo accordo. Così è ascoltare questa seconda parte. Non possiamo dire che non sappiano suonare, né che la voce di Corgan non ci provochi quella stretta allo stomaco che ancora c’era tempo fa. Potremmo dilungarci sulle atmosfere elettro wave di Neophyte oppure quelle industrial di Moss. Anche l’evoluzione dal pop alla dance di Every Morning potrebbe attirare la nostra attenzione, così come potremmo confrontarci con la chiusura acustica di Springtimes. Tuttavia, quello che pervade dall’inizio alla fine è quella sensazione dolceamara che prova l’anima in attesa da tempo di ciò che aveva desiderato, così attaccata al ricordo del tempo che fu da rimanere sorpresa quando si accorge che invece il tempo è passato, così come rimane stupito Florentino, protagonista di L’amore ai tempi del colera di G. G. Marquez quando dopo anni vede finalmente il seno di Fermina non più giovane, ma solo per quello che è: il seno di una donna invecchiata dal tempo. Si rimane incastrati nello stupore, comunque circondato dall’amore che porti nel cuore per chi le emozioni te le ha fatte provare davvero, eppure qualcosa ormai sembra non esserci più.  

Se nell’attesa siamo vissuti, nell’attesa ci troviamo, perché l’opera non è ancora conclusa. Le aspettative sembrano diametralmente opposte rispetto all’uscita del primo atto, i “se” si affollano nella mente, un po’ come quando si gira in moto e sei nel dubbio nell’affrontare o no una curva in un certo modo: quel dubbio contiene già la risposta. Rimane però il fatto che un’opera non può essere ascoltata solo in parte, perché è solo nella sua globalità che ha senso e parcellizzarla sarebbe tradire la musica stessa. Quindi non ci rimane che aspettare senza aspettarsi niente, e semplicemente continuare ad ascoltare. 

 

Smashing Pumpkins
Atum: A Rock Opera in Three Acts
Martha’s Music/Napalm Records

 

Alma Marlia

WHITE LIES e TURNSTILE: agosto rovente!

Hellfire Booking Agency presenta:

White Lies
https://www.whitelies.com/

Un inizio festival così non l’avete mai visto. Per la prima volta insieme, due astri lucenti del firmamento internazionale calcheranno il palco dell’Ama Music Festival nella prima giornata 2023.

Tenetevi forte, Hellfire Booking Agency  e Ama Music Festival annunciano Turnstile e White Lies!

Uno dei gruppi più scottanti del momento, non c’è palcoscenico che i Turnstile non abbiano messo in ginocchio. Marchiati da Scott Ian (Anthrax) come la rivoluzione dell’hardcore, il terremoto di Baltimora serve un mix di hardcore americano, metalcore e alt rock che ha brutalmente dilaniato il mondo in due. Coachella, Rock im Park, Rock am Ring, Primavera Sound, Dia de Los Deftones, Outbreak, Hellfest, Jera on Air: sono infiniti i festival che hanno avuto occasione di scontrarsi con le performance vulcaniche dei Turnstile, valse loro ben tre nomine ai Grammy e sold out stratosferici in ogni angolo del globo. Adrenalinici, esplosivi e devastanti, i Turnstile sono una scossa cui è semplicemente impossibile sottrarsi.

Scaraventati fra le stelle con lo stupefacente album di debutto «To Lose My Life», i White Lies non hanno nulla di ordinario. Supporti a Coldplay, Muse, Snow Patrol e sold out in tutto il mondo sono il pane quotidiano per una band in costante crescita e ben oltre l’elettrizzante: un posto fisso nelle Top Ten delle classifiche inglesi più esclusive e nei festival più eclettici del globo, i White Lies non fanno che reinventarsi con maestria, nuance e fervore impossibili da disinnescare, ricevendo premi per la loro inventiva e posizioni di rilievo assolutamente insormontabili.

Turnstile e White Lies daranno il via all’Ama Music Festival 2023 con delle performance da capogiro. Non potete assolutamente mancare.

 

23 AGOSTO 2023 | AMA MUSIC FESTIVAL, ROMANO D’EZZELINO
Via Cà Cornaro, 5, 36060 Romano d’Ezzelino (VI)
Evento FB: https://www.facebook.com/events/1199315217458192
Prevendite: amamusicfestival.com/tickets/

 

Per informazioni:

www.instagram.com/hellfire_booking
www.facebook.com/hellfirebooking
www.hellfirebooking.com
info@hellfirebooking.com

Comunicato stampa THE STORY SO FAR: ritorno da headliner!

Hellfire Booking Agency annuncia il gran ritorno headliner dei The Story So Far!

Scaturiti dalle spiagge californiane nel 2007, The Story So Far hanno contribuito a forgiare un ritorno del pop punk più adrenalinico, brusco ed esplosivo che mai. Quattro album, tre EP e una carriera florida e travolgente alle spalle, gli Story So Far tramutano lezioni emo e rock in ritmi tanto rapidi quanto incalzanti, guadagnandosi lodi dalle testate più rilevanti del globo, classifiche musicali e label discografiche. Cocktail di inni, poghi e ballad, in questi anni gli Story So Far sono più intensi che mai. Ma anche più innovativi di quanto li abbiate mai percepiti.

Gli Story So Far tornano per un’unica data headliner questo settembre, poco prima di calcare l’Unipol Arena in apertura ai blink 182 e a quattro anni dalla loro ultima parentesi italiana. Non potete mancare.

28 SETTEMBRE 2023 | SANTERIA TOSCANA 31, MILANO
Viale Toscana, 31, 20136 Milano
Evento FB: https://www.facebook.com/events/573430654689967

Prevendite*

Disponibili esclusivamente su Dice a partire dall’1febbraio alle 11:00

In collaborazione con Erocks Production

Tre Domande a: Terrøir

Come e quando è nato questo progetto?

Il progetto Terrøir ha iniziato a prendere forma durante la prima pandemia. Avevo appena finito di autoprodurmi il disco Bella Vite per il progetto Mosto, quando mi sono reso conto che ormai mi ero irrimediabilmente appassionato ai sintetizzatori, capendo più o meno come funzionavano. Così, ho iniziato ad assecondare una passione per la musica elettronica che era continuata a crescere in me in modo più o meno latente da quando da bambino avevo visto per la prima volta il video di Hey Boy Hey Girl dei Chemical Brothers. Nel frattempo però, avevo iniziato ad approfondire le tradizioni musicali del mio territorio, i Colli Tortonesi, a loro volta iscritti in un territorio più ampio chiamato delle Quattro Province: un territorio collinare e appenninico a cavallo delle province di Alessandria, Pavia, Piacenza  e Genova, dove si erano conservate, grazie ai canterini (gruppi di canto spontaneo) e ai duo piffero-fisarmonica, canzoni e tradizioni popolari nate oltre 100 anni fa. Così ho provato a unire le due cose ed è nato Terrøir.

 

Ci sono degli artisti in particolare che influenzano il tuo modo di fare musica o a cui ti ispiri?

Dal lato della musica elettronica, sicuramente il duo francese The Blaze: il loro stile fatto di crescendo e di parti di piano e voce mi ha affascinato fin dalla prima volta che l’ho sentito. Inoltre, con i loro videoclip, hanno la capacità di trasformare le loro canzoni in soundtrack per raccontare delle storie che hanno come protagonisti una parte di umanità dimenticata (dagli immigrati magrebini, ai ragazzi africani, fino alle comunità rom) che grazie ai quei video ci sembrano molto più simili a noi, anzi, decisamente fichi.
Guardando invece più all’Italia il progetto Gran Bal Dub composto da Sergio Berardo (Lou Dalfin) e Madaski (Africa Unite) mi aveva fatto capire che poteva esserci un punto di incontro tra musiche popolari, in quel caso quelle occitane, e musica elettronica, in quel caso il dub. Così ho cercato nel mio territorio e ho scoperto il duo Stefano Valla e Daniele Scurati, che aveva riportato le musiche delle Quattro Province nelle piazze e persino tra i ragazzi delle valli: sono stati e sono la mia più grande fonte di ispirazione nella riscoperta delle nostre musiche.

 

Cosa vorresti far arrivare a chi ti ascolta?

Mi piacerebbe fare arrivare il concetto che se scaviamo nella nostra storia e nelle nostre tradizioni non troveremo delle risposte che ci dividono (come spesso traspare dai discorsi di alcuni politici) ma anzi, scopriremo che la storia si ripete sempre, nel bene e nel male. Scopriremo ad esempio con il testo de Il Sirio che eravamo un popolo di migranti che cercava fortuna nella ‘Merica (Argentina e Brasile) e che per farlo rischiava la vita in mare. O che anche i nostri bisnonni erano capaci di innamorarsi, ballare, divertirsi emozionarsi e piangere per gli stessi motivi per cui lo facciamo oggi. Vorrei far nascere la curiosità nei ragazzi e portarli a parlare con i propri nonni, portarli a scoprire le loro origini senza vergognarsene anche se sono provinciali. O semplicemente, farli ballare sulle stesse canzoni su cui hanno ballato i nostri antenati.

Galeffi @ Locomotiv Club

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• Galeffi •

Locomotiv Club (Bologna) // 28 Gennaio 2023

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]foto di Giorgia Zamboni

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Joe Henry “All The Eye Can See” (earMUSIC, 2023)

La voce che apre le crepe dell’anima

Cantautore. Joe Henry è un Cantautore, di quelli che ancora ti fanno provare emozioni profonde che resistono al tempo che scorre e alla modernità che aggredisce tutto, anche la musica. Trent’anni di carriera come cantautore e produttore discografico dalle molte collaborazioni tra cui possiamo contare nomi come Solomon Burke, Shivaree, Elvis Costello e molti altri. Ci si può perdere nell’elencare i suoi progetti tra album ed EP, tra cui ricordiamo il tagliente Civilians del 2007 e The Gospel According To Water del 2019, scritto dopo una diagnosi di cancro. Dominato dalla sua vena creativa, l’artista esce ora con All The Eye Can See, un album composto da dodici tracce che lo confermano ancora tra i più interessanti cantautori statunitensi della nostra epoca. 

Ascoltare l’album è un piccolo viaggio tra narrazioni sonore, dove il timbro dell’artista non sempre è perfetto, ma sono proprio queste imperfezioni che si ficcano come chiodi nella nostra anima creando crepe da cui possiamo dare uno sguardo a ciò che siamo, che potremmo essere o che non vogliamo essere più. Così colpiscono brani come il gioco di sola chitarra e voce di God Laughs, un canto che è richiesta di essere ascoltato da un Dio troppo spesso spettatore del destino dell’uomo. I brani si sviluppano musicalmente accogliendo oltre venti musicisti tra cui il figlio Levon Henry al sassofono e al clarinetto, David Pitch al basso, Patrick Warren al piano e John Smith alla chitarra acustica. Sono narrazioni di semplici quotidianità che svelano all’ascoltatore momenti speciali in cui entriamo quasi in punta di accordo come la nostalgica Kitchen Door o la melodia drammaticamente innamorata di Karen Dalton. Piccoli squarci nella tenda del quotidiani, fratture necessarie attraverso le quali la musica ci penetra per raggiungere l’amigdala delle sensazioni e dalle quali noi facciamo uscire le nostre reazioni emotive alle narrazioni che Henry fa accompagnandosi con la sua musica. E poi vieni colpito in pieno petto dalla title track che riassume tutto quello che l’artista ci vuole comunicare come con la semplicità di chi vuole solo descrivere senza giudicare la vita che ci scorre addosso “Trouble begins at waking / the weight of the world near-breaking / its wave on the heart’s undertaking / of all the eye can see”. Un momento di confidenza intenso, atteso per quasi tutto l’album. 

Joe Henry non crea musica di sottofondo per serate languide, né divertenti canzonette simili a jingle per festeggiare eventi, ma neppure un gioco di note fine a se stesso, perché le trame che crea sono un tessuto dove ricama storie sfumate dai colori scuri, ma sempre colori restano. Colori sonori che l’ascoltatore può usare come preferisce, portandoli con sé e attraverso le ombre farne uscire toni brillanti oppure vivendoli oscuri come sono. Un progetto questo che non si merita un ascolto casuale, bensì un’attenzione piena e consapevole delle melodie semplici e fluide ma ben studiate, in armonioso contrasto con i testi densi e spigolosi, ma, proprio per questo, assolutamente necessari. 

 

Joe Henry
All The Eye Can See
earMUSIC

 

Alma Marlia

THE PRODIGY di ritorno in scena in Italia a maggio con due date a Milano e Padova!

Barley Arts

presenta

THE PRODIGY

IL GRANDE RITORNO IN SCENA IN ITALIA

A MAGGIO A MILANO E PADOVA 

L’iconica formazione che ha reso popolare a livello planetario la scena big beat inglese torna finalmente su un palco italiano dopo anni di assenza. Maxim e Liam Howlett, in arte The Prodigy saranno nel nostro paese per due occasioni da non perdere: mercoledì 17 maggio 2023 all’Alcatraz di Milano e giovedì 18 maggio al Gran Teatro Geox di Padova. I biglietti per entrambi gli show saranno disponibili sui circuiti Ticketone eTicketmaster dalle 10 di lunedì 30 gennaio.

L’anno scorso The Prodigy hanno festeggiato il venticinquesimo anniversario di The Fat of The Land, l’album che li ha resi celebri grazie a pezzi generazionali come Firestarter, Smack My Bitch Up e Breathe, con l’uscita di una speciale edizione in vinile. Ora la band si prepara a tornare in Europa con un tour che includerà le due tappe italiane.

Virgin Radio è radio ufficiale dei concerti.

TheProdigy.com

THE PRODIGY

Mercoledì 17 Maggio 2023

Milano, Alcatraz – via Valtellina, 25

Inizio concerti h. 20:30

Biglietti disponibili su Ticketone e Ticketmaster.

Posto unico in piedi: € 50,00 + prev. / € 60,00 in cassa la sera del concerto.

Giovedì 18 Maggio 2023

Padova, Gran Teatro Geox – via Giuseppe Tassinari, 1

Biglietti disponibili su Ticketone e Ticketmaster.

Posto unico parterre: € 50,00 + prev. / € 60,00 in cassa la sera del concerto.

Tribuna a sedere: € 50,00 + prev. / € 60,00 in cassa la sera del concerto.

FOJA IN CONCERTO – Milano (02/02), Torino (03/02), Roma (09/02), Napoli (14/02)

FOJA

IN CONCERTO

MILANO, TORINO, ROMA E NAPOLI

LE DATE DEL TOUR NAZIONALE

DI “MIRACOLI E RIVOLUZIONI”

02 FEBBRAIO @BIKO – MILANO

03 FEBBRAIO @OFFTOPIC – TORINO

09 FEBBRAIO @LARGO VENUE – ROMA

14 FEBBRAIO@TEATRO BELLINI – NAPOLI

Link alle prevendite: https://linktr.ee/fojatour

 

I Foja annunciano per il mese di febbraio quattro date speciali: Milano (02/02), Torino (03/02), Roma (09/02) eNapoli (14/02) saranno le città che accoglieranno questo tour particolare per la band napoletana.

Così Dario Sansone, frontman dei Foja, descrive questi quattro appuntamenti: “Finalmente portiamo “Miracoli e Rivoluzioni” in giro per i maggiori club italiani. Questo tour per noi ha un valore emotivo enorme, perché ci permetterà di riabbracciare dopo tre anni il nostro pubblico sparso per lo stivale e rincontrarci attraverso le nostre canzoni. Questi saranno, inoltre, gli ultimi quattro concerti del nostro storico e amato chitarrista Ennio e ogni tappa sarà ancora più emozionante facendo festa sopra e sotto al palco.”

“Miracoli e rivoluzioni” è un disco che sa di presente, di passato, di futuro, in cui le strutture tradizionali della canzone sono permeate di suoni e di sfaccettature che continuamente ne cambiano gli orizzonti. E quindi Enzo Gragnaniello e Davide Toffolo, Clementino e Lorenzo Hengeller, Alessio Sollo e Alejandro Romero sono preziosi compagni di viaggio che con il loro contributo hanno fatto di Miracoli e Rivoluzioni una pietra angolare nel repertorio di questa band, un enorme atto d’amore che arriva a chi ha orecchie e cuore aperti.

Dal disco sono stati estratti cinque singoli con altrettanti video. L’ultimo, in ordine di tempo, è la splendida “Santa Lucia”, pubblicato lo scorso 22 novembre 2022 con il featuring di Clementino e la straordinaria partecipazione di Isa Danieli: https://www.youtube.com/watch?v=4-0SZ7kxOvc

I FOJA sono esponenti di un nuovo sound della tradizione folk napoletana. Hanno realizzato quattro album in studio, partecipato a diverse colonne sonore di lungometraggi di animazione. Sono stati candidati al David di Donatello e ai Nastri d’Argento come migliore canzone originale, e collaborato con artisti internazionali come Pauline Croze, La Pegatina, Shaun Ferguson, Weslie, Black Noyze, Alejandro Romero.

In tutto quello che fanno ci mettono l’anima. Ogni disco è un viaggio in una cultura ricchissima, visionaria e meticcia, elementi di ricchezza e crescita artistica, oltre che umana.

Formazione:

 

DARIO SANSONE voce e chitarra

ENNIO FRONGILLO chitarra elettrica

LUIGI SCIALDONE   chitarre e mandolino

GIULIANO FALCONE basso elettrico

GIOVANNI SCHIATTARELLA batteria

MIRACOLI E RIVOLUZIONI – Il disco

 

MIRACOLI E RIVOLUZIONI è il nuovo album dei FOJA, uscito nel mese di aprile 2022. In questo ultimo lavoro sono molte le collaborazioni con ospiti che hanno condiviso il miracolo di un frammento, di una scintilla creativa: ENZO GRAGNANIELLO, voce e anima inconfondibile, presente in una profondissima “’Nmiezo a Niente”; DAVIDE TOFFOLO dei TRE ALLEGRI RAGAZZI MORTI, voce e autorevolezza nell’ironica e riflessiva “A cosa stai pensando?”; CLEMENTINO, che mette il suo flow al servizio di una ballad struggente come “Santa Lucia”; il pianoforte di LORENZO HENGELLER che libera dieci dita cariche di swing nell’intensa “Stella”; la poesia di ALESSIO SOLLO ne “L’Urdema Canzone”; ALEJANDRO ROMERO, guest internazionale nella rilettura in napoletano di un classico come “A mano ‘e D10S”, dedicato anima cuore e bandoneón a Diego Armando Maradona, alla sua rivoluzione sportiva e umana. 

E infine ALESSANDRO RAK e le sue illustrazioni, la genialità poetica di storie come “Yaya e Lennie – The Walking Liberty”, il lungometraggio di animazione della MadEntertainment da cui è tratta “Duje comme nuje”, canzone dell’amore assoluto inserita nella colonna sonora dell’ultima fatica del regista napoletano, legato al leader dei Foja Dario Sansone da amicizia e collaborazione decennale.

 

“Miracoli e Rivoluzioni” è sensibilità, impegno, passione allo stato puro, un progetto che consegna un immaginario che va solo vissuto, con quella libertà e creatività che fanno dei Foja una delle band napoletane più importanti degli ultimi venti anni, autori di una rivoluzione stilistica che ha elevato la nuova musica napoletana mettendola in relazione con i suoni dell’oggi e la visione del domani. 

 

Link al videoclip del brano ‘Addò se va’:https://www.youtube.com/watch?v=QlgTjj6-pLo  

Link al videoclip del brano ‘Tu’: https://www.youtube.com/watch?v=kDe_7pcdDuc  

Link al videoclip del brano ‘A mano ‘e D10S’ feat. Alejandro Romero:  

https://www.youtube.com/watch?v=TT3lrAEjmrs  

Link al videoclip del brano “Duje Comme Nuje’: https://www.youtube.com/watch?v=Su0hg5ggozo 

Link del videoclip “Santa Lucia” feat. Clementino e Isa Danieli:

https://www.youtube.com/watch?v=4-0SZ7kxOvc

 

Management: Luciano Chirico – edizionigraf@gmail.com

Booking: Cmoncmnproduzioni@gmail.com

Ufficio Stampa e promozione: Big Time pressoff@bigtimeweb.it

Ufficio Stampa Full Heads: Giulio Di Donnagiulio@hungrypromotion.it

  

FOJA - BIO BREVE 

 

I Foja nascono nel 2006. Hanno all’attivo quattro album in studio, ‘Na Storia Nova, Dimane Torna ‘O Sole, ‘O Treno Che Va e Miracoli e Rivoluzioni. Con il secondo e il terzo ottengono un posizionamento nella cinquina finale delle Targhe Tenco nella categoria miglior album in dialetto. Girando l’Italia per anni, hanno calcato palchi prestigiosi, registrando sempre il sold-out, tra cui quelli del Teatro di San Carlo con uno show diretto da Franco Dragone (Cirquedu Soleil), dell’Arena Flegrea con uno speciale spettacolo che ha unito musica e illustrazioni dal vivo, del Cortile della Reggia di Capodimonte, del Palazzo Reale e di Castel Sant’Elmo a Napoli davanti ad un pubblico di oltre seimila persone. La loro musica è stata utilizzata con successo in diversi film come L’arte della felicità (EFA European Film Award) e Gatta Cenerentola, ottenendo la candidatura per la miglior canzone originale sia al David di Donatello con i brani “’A malia” e “A chi appartieni”, che ai Nastri d’Argento con “’A malia”. Dal 2018 hanno inizio collaborazioni discografiche con artisti internazionali (Pauline Croze, La Pegatina, Shaun Ferguson, Weslie, Black Noyze, Alejandro Romero). Nel novembre del 2018 registrano il tutto esaurito nelle date del loro Tour Europeo nei migliori club delle principali capitali e, nel 2019, volano oltreoceano per il loro Tour Canadese e Statunitense tra club e grandi teatri. Nel 2020 chiudono il loro primo decennio di attività discografica con lo speciale cofanetto “Dieci” che raccoglie l’intera produzione, compresi diversi brani fuori album e un inedito. 

Nel 2021 escono in contemporanea due nuovi singoli, “ADDÒ SE VA” e “TU”, primi segnali del nuovo progetto discografico. Nel mese di giugno è stata rilasciata ’A Mano ’e D10S” versione in napoletano di “(INRI) La mano de Dios” canzone scritta da Alejandro Romero e dedicata a un campione senza tempo, Diego Armando Maradona. Del brano è stato pubblicato anche il videoclip con la regia di Michel Liguori e la produzione di Anartica Film, girato in parte all’interno dello stadio Ex San Paolo ora Stadio Diego Armando Maradona. A fine ottobre esce “Duje commeNuje”, singolo e video presente nella colonna sonora di “Yaya e Lennie – The Walking Liberty”, nuovo film di animazione della Mad Entertainment diretto da Alessandro Rak e di cui Dario Sansone, leader dei Foja, è anche aiuto regista, direttore artistico e autore delle musiche insieme a Alessandro Rak e Enzo Foniciello.  L’8 aprile 2022 è uscito il nuovo album dal titolo “Miracoli e Rivoluzioni”. 

 

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