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BIRØ e la scrittura: un artista fuori dagli schemi

BIRØ è un cantautore classe 1990 originario di Varese.

Il suo “Capitolo 1: La Notte” (Vetrodischi) è un progetto che mira a coniugare testi propri della tradizione cantautorale italiana con la musica elettronica per raccontare storie attraverso musica e parole. I suoi brani raccontano eventi legati tra loro e come le pagine di un libro seguono uno sviluppo cronologico.

“Capitolo 1: La Notte” è la storia di un uomo che analizza le sue ossessioni, le sue paure e i suoi vizi, ma anche le proprie gioie e fortune, il tutto grazie ad uno stile narrativo personale. Tutti i brani sono ambientati in un’unica notte e questo spazio temporale diventa il filo conduttore tra una canzone e l’altra: i toni crepuscolari dei testi di BIRØ trovano nella commistione tra cantautorato ed elettronica un compagno perfetto per questo viaggio che dura fino all’alba.

Dopo la pubblicazione di “Incipit”, il suo primo EP ufficiale, BIRØ si è fatto conoscere al grande pubblico con un fortunato tour che ha avuto appuntamenti importanti come il Mi Ami 2017 e il Collisioni Festival riscuotendo ottimi feedback di pubblico e critica, candidandosi di diritto quale nome su cui puntare per il futuro.

Biro ci racconta, attraverso tre racconti brevi e inediti, il significato delle sue canzoni in maniera più ampia.

Il racconto è come un’espansione dell’universo narrativo del personaggio protagonista del disco. Mentre nel disco vengono presi in dettaglio certi punti e aspetti, nel racconto questi dettagli vengono messi sotto la lente d’ingrandimento.

La necessità era quella di raccontare il punto di vista del protagonista a partire soprattutto dalla sua solitudine e dalle sue dipendenze. Il disco sicuramente fa ben capire questi aspetti e penso riesca a riportarne una chiara immagine, mi sembrava che però ci fosse l’esigenza di spiegare anche il perché lui si sia ritrovato, le cause e le circostanze. E magari quali potrebbero essere le sue prospettive.

 

Oggi pubblicheremo appunto il primo di questi.

Buona lettura e correte ad ascoltare il suo album!

 

1 EPISODIO

 

Esco dal bar ciondolando. Appallottolo la schedina persa e cerco di fare canestro in un cestino vicino. Inutile dirlo, la pallina di carta cade molto prima del cestino.
Faccio fatica a stare dritto figuriamoci riuscire a fare canestro.
Accendo una sigaretta e mi incammino verso la macchina.
Milano di notte mi sta simpatica. E’ come se improvvisamente ci fosse un filtro che lascia emergere un’atmosfera più vibrante, tranquilla eppure sempre sull’attenti, come se potesse sempre succedere qualcosa anche dove il silenzio regna sovrano.

Le pozzanghere lungo la strada riflettono le insegne blu dei bar e le luci dei lampioni, sento qualcuno in sottofondo parlare della partita e all’improvviso penso che almeno su quello avrei potuto avere un po’ più di fortuna. Tre pali su quattro tiri. Un gol poteva scapparci, sbancavo un 200 euro che mi avrebbero fatto comodo

E in cosa li avresti spesi?

Magari avrei potuto organizzarle una cena.

Sii almeno onesto con te stesso.

Portarla fuori, non so cucinare.

Avresti comprato del vino.

Qualche bottiglia di vino per festeggiare.

Festeggiare cosa?

Ma festeggiare cosa? Cosa c’è da festeggiare? Anche riuscissi a parlarci sarebbe un gran successo e cosa farei per festeggiare?

Compreresti del vino.

Comprerei del vino. La causa di tutto.

Non ricordo quando ho cominciato a bere, non che esista veramente un punto preciso in cui si inizia, ma non riesco a ricostruire le circostanze per cui ho cominciato a bere così tanto. Non ci riesco, sono troppo ubriaco.

Metto le chiavi nella macchina e mi accorgo che l’ho lasciata aperta.
Sei veramente un coglione.

Un vero e proprio coglione. Ti accorgi anche tu che non è possibile? Si, per tante persone potrebbe essere una dimenticanza ma per te comincia a diventare un abitudine.

La moka.

L’altro giorno hai fuso una moka dimenticandoti il fornello accesso. Devi darti una regolata.
Ti serve una regolata.

La macchina è glaciale, dò un giro di chiave e dopo un lungo borbottio il motore parte.

Sei troppo ubriaco per guidare.

Devi stare calmo, tranquillo.

Prendi una cicca.

Cerco una cicca nel portaoggetti, c’è un pacchetto che sarà lì da chissà quanto ma lo prendo comunque. Sembra di masticare un sasso. Nel portaoggetti ci trovo anche un cd degli Smiths che non ricordavo assolutamente essere lì. E’ un “The Best Of”, quindi so esattamente a cosa vado incontro ma dò un’occhiata rapida alla tracklist.
Ti ricordi?

Era bello discuterne, a lei facevano schifo. Proprio schifo, non ne capivo la ragione ma lei diceva che la voce di Morrissey è una tortura. Schifo, usava proprio questa parola.

Apro la confezione e dentro trovo un piccolo biglietto che recita

Balli sopra un bacio tra le pieghe di un letto.

Che frase stupida, avrò avuto vent’anni quando l’ho scritta. Ecco, questa è una frase che fa schifo, ma allora ero tutto esaltato dallo scrivere e dallo studiare che mi sembrava una gran figata, mi sembrava di essere Morrissey.
Vuoi chiamarla.

Prendo il cellulare e scorro la rubrica.

Non farlo.

Squilla. Poi metto subito giù il telefono.

Non puoi averlo fatto veramente.

E invece si, cazzo, lancio il cellulare sul retro del sedile e tiro un pugno al volante della macchina. Mi sento un vero coglione. Lei magari adesso guarderà la chiamata e cosa penserà? Avrà paura?
Hai fatto una cazzata, fermati qui al semaforo, mastica la cicca e respira.

Si, mastica la cicca e respira.
Non ti manderà un’altra denuncia.

MASTICA LA CICCA E RESPIRA. Non c’è bisogno di agitarsi, adesso vai a casa e non succede nulla, bevi un goccio di birra, fumi una sigaretta e vai a letto e ti fai una bella dormita. Nulla di più semplice. Lei non ci farà caso, se ne starà col suo nuovo ragazzo e domani forse qualcosa cambierà.

Questa non è la strada giusta.

Forse, chissà. Le cose a volte non cambiano per niente, o se cambiano è in peggio.

Devi ritornare sulla circonvallazione per tornare a casa tua.

Ma io cosa ci posso fare? Mi sento in balia di tutto questo, degli eventi e di quello che lei ha scelto. Non capisco e non riesco ad uscire dalla convinzione che se valeva qualcosa allora valeva la pena anche lottare e non mi sembra giusto che mi sia rimasto così poco dopo tutto quello che ho dato.

Dai torna a casa, non ci pensare. Non fare cazzate, vuoi andare lì ubriaco come sei per fare cosa? Pensi che ti troverà cambiato?

Intanto parcheggio. Spengo il motore e all’improvviso è come se tutta la strada si fosse stata mutata. Il silenzio è ovunque. Riguardo l’ingresso di casa sua che per dieci anni è stata casa nostra. E’ una strana sensazione, vedere ciò che hai amato e che poi invece diviene qualcosa di estraneo. Inavvicinabile addirittura.
Sento dei passi, qualcuno sta chiacchierano. Una donna ride. I passi si fanno sempre più vicini, mi volto per guardarli.

E’ lei.

E’ lei.

Resta qui in macchina, aspetta che entrino e poi vattene. Nessuno ne se accorgerà.

Scendo dalla macchina, quando la portiera sbatte si voltano entrambi e se all’inizio sembrano non riconoscermi in breve capisco dalle loro espressioni che hanno capito benissimo chi sono.

Lei è spaventata, cerca le chiavi nella borsa compulsivamente, come se fosse la cosa più importante nel mondo e striscia contro il muro verso la porta.

Lui si avvicina a me con passo deciso. Cerco di spiegargli che va tutto bene, non voglio far niente, ma non appena alzo le mani in segno di resa le sue mi spingono forte sul petto buttandomi a terra. L’alcool amplifica la sensazione, mi gira la testa, se provo a rimettermi in piedi scivolo sul selciato.

Non faccio in tempo a rendermene conto che lui mi prende il bavero e mi assesta una centra sulla mandibola.

Ricasco a terra. Ci rimango. Fischia tutto.

Mentre resti steso per terra e un il sangue comincia ad invaderti la bocca senti voci in lontananza: “Sta bene?” “Starà bene!”. La porta sbatte, a poco a poco riesci a rimetterti in piedi con non poca fatica. Passi le dita sul colpo e constati che sta uscendo un po’ di sangue. Probabilmente domani si gonfierà e sarà un livido. Risali in macchina, giri la chiave e il motore torna a disturbare il silenzio della via. Torna a casa.

 

 

Il surrealismo di Lee Miller “in mostra” e sul palco

Marzo è il mese delle donne e anche nella sezione artistica di Vez abbiamo pensato di rendere omaggio a una figura femminile che, grazie alla sua forza e alla sua determinazione, è riuscita a farsi notare in un mondo prevalentemente maschile.

Modella, musa, fotografa e inviata: stiamo parlando di Lee Miller una donna che ha fatto la storia.

La sua infanzia fu tutt’altro che felice: in tenera età subì uno stupro da parte di un amico di famiglia ma, questo traumatico evento, non fermò la sua ascesa verso il successo. Sapeva cosa voleva e sapeva come ottenerlo.

Inizia la sua carriera a 19 anni quando Condé Nast in persona la nota e, folgorato dalla sua bellezza, la vuole tra le pagine delle sue riviste. E’ il 1927 quando fa la sua prima apparizione sulla copertina di Vogue.

Spirito frizzante e intelligente la Miller lascia New York per trasferirsi in Europa dove studia arte e fotografia. Ma non vuole stare soltanto davanti all’obiettivo, vuole di più.

Grazie alla sua bellezza diventa musa di numerosi artisti tra i quali basta ricordare Pablo Picasso che la ritrasse in ben 6 opere. Ma il legame più importante che ebbe in questa prima fase europea è senza dubbio quello con Man Ray.

 

Picasso Hotel Vaste Horizon bt Lee Miller

Picasso, Hotel Vaste Horizon

© Lee Miller Archives England 2018. All Rights Reserved. www.leemiller.co.uk

 

Inizialmente restio ad accettarla come allieva dovette ricredersi una volta scoperte le doti artistiche della donna. I due iniziarono un sodalizio artistico e personale che segnò le vite di entrambi. La loro relazione durò solo tre, intensi, anni e in questo periodo portarono avanti numerosi progetti e inoltre misero a punto la tecnica della solarizzazione fotografica.

Nel 1932, chiusa la storia con Ray, torna in patria, a New York, dove apre un suo studio fotografico in cui realizzerà per lo più ritratti.

Nel 1934 si sposa con Aziz Eloui Bey, un ricco egiziano, e si traferisce al Cairo. Qui si dedicherà alla fotografia scegliendo come soggetti le piramidi e il deserto, avvicinandosi così al reportage fotografico.

Nel 1937, durante un nuovo viaggio in Europa, conosce Roland Penrose pittore, storico e poeta che sarà uno dei maggiori esponenti del surrealismo britannico. I due iniziano a lavorare insieme ma presto il loro rapporto diventerà qualcosa di più: inizieranno una relazione che porterà la donna a lasciare il marito.

Nel 1939 Miller lascia l’Egitto per trasferirsi in pianta stabile a Londra.

Ma la pace e gli equilibri del mondo stanno per cambiare poiché il flagello della seconda guerra mondiale si sta per abbattere sul globo.

Il governo americano la rivorrebbe in patria ma la Miller non è avvezza a farsi dare ordini: ignorando i continui inviti dell’amministrazione Lee decide di rimanere nel capoluogo britannico.

Grazie alla sua testardaggine la Miller riuscirà ad essere accreditata, per Vogue, come corrispondente di guerra per gli stati Uniti. Un grande traguardo e un nodo cruciale per la sua carriera.

 

Copyright LeeMillerArchives Self portrait with headband New York USA c1932

Self portrait with headband, New York, USA, c1932

© Lee Miller Archives England 2018. All Rights Reserved. www.leemiller.co.uk

 

I suoi lavori ci restituiscono uno spaccato della vita londinese durante gli anni del conflitto il tutto sotto un’ottica completamente nuova: grazie alle sue foto vediamo il modo da un punto di vista femminile.

Ma è nel 1944 che le cose cambiano e i suoi orizzonti si allargano: la Miller sarà l’unica fotografa a seguire gli alleati durante lo Sbarco in Normandia.

Dopo il D-day viaggerà per l’Europa seguendo l’esercito e scattando foto per documentare dei pezzi di storia. Collaborando con David Sherman, fotografo di Life, si spinse fino a Parigi e a Berlino e arrivò fino al campo di concentramento di Dachau dove documentò le condizioni dei reclusi.

Fu una delle poche persone ad entrare nelle stanze private di Hitler. Una delle foto più celebri che la ritraggono è sicuramente quella scattata da Sherman mentre si sta lavando nella vasca del Fuhrer. Ho fatto uno strano bagno quando mi sono lavata lo sporco del campo di concentramento di Dachau nella stessa vasca da bagno di Hitler a Monaco.

La guerra però fu un’esperienza dura e lasciò sulla donna un segno indelebile. A causa del trauma subito cadde in un forte stato depressivo da cui riuscì ad uscire soltanto con l’aiuto di Penrose e di altri amici, tra cui l’ex amante Man Ray.

 

Copyright LeeMillerArchives Nude bent forward thought to be Noma Rathner Paris France c1930

Nude bent forward [thought to be Noma Rathner], Paris, France, c1930

© Lee Miller Archives England 2018. All Rights Reserved. www.leemiller.co.uk

 

La sua vita, intensa e fuori dagli schemi ha portato alla Miller una grande fama tanto che nel 2005 è diventata la protagonista di un musical di Broadway intitolato Six Pictures of Lee Miller.

Dal 14 marzo al 9 giugno 2019, al Palazzo Pallavicini di Bologna e curata da ONO Arte si terrà una mostra dedicata a questa grande donna dal titolo Surrealist Lee Miller.

La rassegna è composta da 101 scatti che ripercorrono l’intera carriera della fotografa: dagli esordi fino agli scatti bellici.

Preferisco fare una foto, che essere una foto, aveva dichiarato la Miller. Di foto ne ha realizzate parecchie e fare un salto a Bologna per conoscere il lavoro di questa donna, che non si è mai piegata davanti agli eventi, potrebbe essere una buona idea e anche una fonte d’ispirazione.

 

Laura Losi

Anna Ox: un buon motivo per rivalutare la Lomellina

Suonano insieme da 10 anni, hanno alle spalle tre album, uno dal titolo GIOACCARDO (“Charles” Abnegat Records 2014), gli altri due ELK (“World” Picane 2015 e “Ultrafun Sword” Niegazowana 2016) e il primo marzo 2019 esce il primo ufficiale degli Anna Ox dal titolo Black Air Falcon Dive, grazie alla collaborazione tra l’etichetta To Lose La Track E LAROOM RECORDS.

La particolarità di quest’album è che sarà prevalentemente strumentale, un mix tra post-rock, elettronica, r’n’b, fatta eccezione per un’unica traccia. La traccia in questione si chiama Fucsite ed è quella che vede il featuring con Adam Vida, probabilmente sconosciuto alle orecchie dei più, ma necessario un solo ascolto per capire quanto la sua voce si sposi bene alla strumentale e quanto il pezzo funzioni.

Una voce decisa che non irrompe subito, ma merita di essere scoperta, come lo è d’altronde la storia che racconta il loro incontro.

 

Come è nato il gruppo?

Il nucleo degli Anna Ox suona insieme e si conosce da 10 anni. Veniamo tutti da Vigevano e siamo cresciuti suonando insieme, un po’ alla volta. Vigevano è un paesone e per noi suonare e andare a concerti di band conosciute e soprattutto sconosciute insieme (il video di Fucsite parla proprio di questo) è stata la colla della nostra amicizia. Dopo aver fatto parte di realtà eterogenee che in ogni caso ci hanno dato grandi soddisfazioni, abbiamo deciso di provare (per gioco all’inizio) a mettere insieme una formazione che prendesse spunto dalla musica strumentale, da anni la nostra principale passione. Abbiamo trovato una formula particolare, con un giro complicatissimo di cavi che permette al nostro fonico di essere a tutti gli effetti un membro live della band, dato che ogni suono che passa da chitarre e basso e controllato in uscita dagli ampli dalla sua postazione, per interpretare il momento ma partendo da una sorgente analogica.

 

Parliamo del nome, pare richiamare una cantante non propriamente sconosciuta…

È un classico nome da sala prova, che ha proprio quella dimensione lì che conserva a mio parere in potenza tutto quel sottotetto di amici che si incontrano da una vita per stare insieme e suonare e che sviluppano una chimica utile a partorire fenomeni del genere. In buona sostanza si voleva esser seri e chiamarci con un nome inglese di animale. Ox vuol dire toro e piaceva molto, ma da lì a rinominare la chat di gruppo Anna Ox il passo è stato breve. A dire il vero ci piace molto. Ovviamente musicalmente nessuno di noi ascolta con assiduità Anna Ox a, ma concordiamo sia una super cantante con alle spalle dei gran brani. Sarebbe bello un giorno fare un feat. con lei.

 

Come avete conosciuto Adam Vida?

Ho conosciuto Adam per pura coincidenza durante un viaggio di piacere in California nel 2015. Ero ospite di questa gentilissima signora italoamericana a San Francisco. La prima sera nel preparare la cena, mi raccontò che il giorno successivo ci sarebbe stato anche suo figlio che al momento si trovava al Coachella. Ovviamente ero convinto fosse fra il pubblico e invece era sul palco, come ospite di un noto rapper. Ho conosciuto una persona profonda, umilissima, con una storia e una visione del mondo affascinante nel cuore, che poggia le basi sull’accettazione della vita e del diverso (Adam è figlio di una immigrata italiana e di un immigrato senegalese). Siamo rimasti in contatto, scambiandoci la nostra musica (lui nel frattempo è diventato decisamente e meritatamente popolare). Vista la sua impennata non avrei mai immaginato che saremmo arrivati a collaborare fattivamente a un brano e invece il suo amore per la base di Fucsite è stato a detta sua folgorante e ispirante, tanto che mi sono ritrovato una mattina inaspettatamente una linea di voce su una mail con oggetto una roba del tipo: How does it works? Mannaggia, funziona da Dio Adam, altroché.

 

È previsto un album?

È prevista l’uscita di un album. Si chiamerà BACK AIR FALCON DIVE e uscirà per l’etichetta TO LOSE LA TRACK in collaborazione con LAROOM il 1° marzo. È composta da 7 tracce. Doveva essere tutto strumentale, ma alla fine Fucsite ha come ospite Adam Vida. È stato un esperimento stimolante e di successo, quindi è probabile che altre tracce del disco riusciranno cantate da altri artisti. Per quanto ci riguarda la dimensione strumentale ha comunque una dignità propria altissima, siamo grandi fan del genere ed in effetti le canzoni hanno tutte una propria emotività e grazia che permette loro di stare in piedi già da sole.

 

Alice Govoni

 

 

 

Futura 1993 è il network itinerante creato da Giorgia Salerno e Francesca Zammillo che attraversa l’Italia per raccontarti la musica come nessun altro, attraverso un programma radio e tante diverse testate partner. Segui Giorgia e Francesca su Instagram, Facebook e sulle frequenze di RadioCittà Fujiko, in onda martedì e giovedì dalle 16:30.

 

Teryble e l’omonimo singolo – Intervista di Futura 1993

Non si muove una foglia senza che Futura 1993 non se ne accorga. Questa volta ad attrarre la nostra attenzione è stato Guglielmo Giacchetta, che già da un po’ muove i suoi primi passi nell’underground bolognese col nome d’arte di Teryble. Con il suo ultimo, omonimo, singolo Teryble”, il giovane trapper del capoluogo emiliano vuole mettere in chiaro subito il suo intento: far tesoro di quanto prodotto fino ad adesso per ricominciare con un nuovo progetto al fianco di Parix Hilton, producer rinomato nella scena trap, ex chitarrista di Sfera Ebbasta, oltre che agente dello stesso Teryble. Abbiamo deciso dunque di fargli qualche domanda anche per testare di che pasta è fatto.

 

TERYBLE COVER SPOTIFYb

 

Guglielmo e Teryble, quanta distanza c’è tra la persona e il personaggio?
Sono sempre stato un po’ timido nell’esprimermi e raccontare quello che sono. Quello che ho creato fa parte di me, sono semplicemente io che racconto quello che non sono mai riuscito a dire. Non voglio etichettarmi come personaggio, non mi riconosco in nulla di quello che già esiste: i miei messaggi, quel che faccio, ognuno è libero di interpretarlo come gli pare.

Parliamo del tuo nuovo singolo: come è nato e qual è il suo messaggio principale?
È nato quasi per scherzo, in questa canzone ho raccontato in modo giocoso la mia vita e quello che sono, non abbiamo pensato a un messaggio preciso da dare ma piuttosto a presentare Teryble e le sue sonorità. Il vero messaggio arriverà con le prossime uscite, spero.

Hai affermato che Teryble è un collage di cose diverse; quali sono a tuo avviso le più importanti che caratterizzano il tuo alter ego?
Come ti dicevo prima, non credo sia etichettabile come alter ego, Teryble sono io, o meglio è una parte di me. Ciò che mi contraddistingue penso sia l’autoironia, direi che si vede abbastanza.

 

Come nascono i tuoi brani? Come gestisci il flusso creativo tra rime e strumentale?

Le canzoni, le rime e la strumentale escono sempre in modo estremamente naturale, per questo devo ringraziare Parix Hilton: ci chiudiamo in studio a parlare e fumare, è così che tutto nasce.

 

Qual è stata la motivazione che ti ha spinto a fare tabula rasa dei tuoi progetti autoprodotti per rilanciarti con questo nuovo progetto?
La voglia di rivalsa, di raccontare chi sono al meglio delle mie possibilità. Quel che facevo prima non mi rispecchiava, credo di aver trovato finalmente la mia dimensione.

Com’è il tuo rapporto con Parix Hilton? Come avete deciso di sviluppare un progetto artistico insieme?

Parix è un amico, un fratello e un collega, oltre ad essere il mio producer e il mio manager. Insomma è un elemento fondamentale del mio percorso musicale, ma anche di vita.

 

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La scena trap bolognese è in fermento, e giorno dopo giorno nascono nuovi ambiziosi progetti musicali. Come ti collochi in questo scenario? Perché Teryble è diverso?

Non c’è una scena statica a Bologna. Tutti i talenti che nascono qua poi faranno parte della scena di Milano, mentre noto un grande espatrio da Roma. Bologna è un punto di arrivo e un punto di partenza: un porto di talenti, si potrebbe dire così. Credo che l’unica differenza tra me e gli altri colleghi bolognesi sia la professionalità e la mentalità, punti fondamentali se vuoi che questa passione diventi un vero lavoro.

 

Considerando ciò che hai in serbo per il tuo pubblico, come pensi sarà il 2019 di Teryble?
Il 2019 per me è una sorpresa, il successo sarà determinato solo dalla continuità e dalla serietà. Tutto è già pronto, bisogna solo trovare il modo giusto di mostrarlo.

 

Ci salutiamo, ma con una domanda: perché vale la pena ascoltare Teryble?
Per qualsiasi artista credo non sia possibile spiegare la sua arte o perché a qualcuno potrebbe piacere. Le arti in generale non hanno un perché, specialmente la musica. È semplicemente il mio modo di esprimermi, può piacere come non piacere, c’est la vie.

Francesco Trovato

 

 

Futura 1993 è il format radio itinerante creato da Giorgia Salerno e Francesca Zammillo che attraversa l’Italia per raccontarti la musica come nessun altro. Segui Giorgia e Francesca su Instagram, Facebook e sulle frequenze di RadioCittà Fujiko, in onda il martedì e il giovedì dalle 16.30

 

 

 

Il “Club 27” in mostra alla Galleria ONO di Bologna

Esiste una maledizione nel mondo della musica, esiste un club esclusivo in cui nessuno spera di entrare. Stiamo parlando del “Club 27”.

Si tratta di un modo di dire, ormai entrato nella cultura popolare per identificare tutta una serie di morti, avvenute per lo più in modi misteriosi, che hanno avuto come protagonisti personaggi famosi del mondo del rock. Tutti scomparsi all’età di 27 anni.

Il “Club 27”  affonda le sue origini nel 1938 quando Robert Johnson, mito del blues muore a Greenwood, nel Mississippi.

Un personaggio dal passato controverso e dalla storia burrascosa e tormentata tanto che le leggende sulla sua figura iniziano a diffondersi quando l’uomo è ancora in vita e nel fiore degli anni. Pare infatti che fosse un chitarrista mediocre ma che, nel giro di poco tempo, abbia sviluppato delle doti fuori dal comune.

Nessuno era in grado di spiegare questo miglioramento così repentino e iniziò a diffondersi la voce che avesse venduto l’anima al diavolo per ottenere l’abilità come chitarrista. Un moderno Dr. Faust che anziché la conoscenza desidera l’abilità con lo strumento a sei corde.

Amante dell’alcool, delle belle donne e della musica troverà la morte a causa di questi 3 fattori. Sembrerebbe infatti che sia stato avvelenato dal gestore di un locale in cui si stava esibendo perché aveva flirtato con la moglie di quest’ultimo.

Una vita vissuta all’insegna di eccessi e feste sfrenate al limite della legalità. Ed è proprio l’abuso di droghe il principale responsabile della rovina di molti membri del Club 27.

E’ il caso di Brian Jones, fondatore e chitarrista dei Rolling Stones.

Se Mick Jagger, oggi settantacinquenne, continua a calcare i palchi con il suo amico Jones la vita non è stata così buona. L’uomo è stato trovato morto nella sua piscina, anche lui aveva solo 27 anni.

E’ il 1961 quando Brian conosce, durante un concerto all’Ealing Club di Londra, Mick Jagger e Keith Richards: un’incontro che cambierà per sempre la storia della musica. Jones fu il primo leader della band nonché colui che ne scelse il nome.

Un anno dopo i Rolling Stones si esibiscono per la prima volta a Londra e da quel momento la loro è una strada verso la leggenda. Nonostante il successo all’interno del gruppo iniziano ad esserci tensioni sempre più forti: differenze dal punto di vista artistico e screzi per questioni personali. Jones inizia a sentirsi escluso da Jagger e Richards, che invece sembrano giocare nella stessa squadra.

L’uomo troverà rifugio nell’alcol e nella droga che però inizieranno a renderlo estremamente inaffidabile. A causa di questi problemi il suo peso all’interno della band venne inizialmente ridimensionato e, nel giugno del 1969, verrà allontanato definitivamente dagli Stones.

Poco meno di un mese dopo, il 3 luglio, Brian verrà trovato morto in piscina. Il coroner dichiarò che si trattò di un incidente ma la sua compagna, Anna Wholin, affermò che fu assassinato da un costruttore. Altre voci invece sostengono che i responsabili della morte siano stati proprio Jagger e Richards.

Passa poco più di un anno e l’8 settembre del 1970 il mondo della musica deve dire addio al più grande chitarrista della storia: Jimi Hendrix.

Hendrix prenderà parte al primo festival rock della storia, il Monterey International Pop Festival, dove concluderà la sua esibizione dando fuoco alla chitarra.

 

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(© Barry Wentzel)

 

Il mondo lo ricorda per la sua performance a Woodstock, che è entrato nell’immaginario collettivo come uno dei più grandi concerti della storia. Qui Hendrix si cimentò in una critica alla guerra del Vietnam: l’inno americano venne suonato in modo totalmente distorto per simulare il rumore degli spari e dei bombardamenti, un modo per ricordare l’orrore che stavano vivendo i suoi connazionali.

E’ proprio grazie a questi live iconici che Hendrix è entrato nel mito.

La sua ultima performance è stata sull’Isola di Wight. Il 18 settembre del 1970 verrà trovato morto soffocato a casa della sua fidanzata: un mix di alcool e tranquillanti gli è stato letale.

 

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(© Baron Wolman)

 

Passano solo poche settimane e il mondo della musica, ancora sconvolto dalla perdita del chitarrista, deve dire addio ad un altro nome importante: Janis Joplin.

Lei ed Hendrix avevo condiviso il palco a Woodstock ed ebbero anche una relazione.

La donna, di origini texane, durante l’infanzia venne bullizzata per la sua ideologia estremamente all’avanguardia. In una società razzista e maschilista la Joplin si fece portavoce dei diritti dei neri e degli omosessuali.

Nel 1969 prese parte al concerto in onore di Martin Luther King.

Janis viene considerata la regina del blues ma è ricordata per il suo temperamento irruente: basta ricordare l’aneddoto in cui ruppe una bottiglia in testa a Jim Morrison, che a causa dell’alcol era diventato rude, maleducato e molesto. Anche lei si esibisce nei festival di Monterey e ovviamente a Woodstock.

Venne trovata morta a causa di un overdose di eroina.

 

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(© Baron Wolman)

 

Il 3 luglio del 1971 il poeta, leader dei The Doors viene rinvenuto senza vita nella sua vasca da bagno. La sua è forse una delle morti più misteriose del mondo della musica. Pare che l’autopsia sul cadavere non sia mai stata effettuata e che la notizia del decesso sia stata resa nota soltanto il 9 di luglio.

Jim Morrison non aveva un carattere facile. Venne incarcerato più di una volta e, nel 1967 un concerto dei Doors venne annullato poiché Morrison venne arrestato durante l’esibizione. Ma in quell’anno, grazie a Light My Fire, i Doors scrivono il loro nome a caratteri cubitali nell’Olimpo del Rock.

L’abuso di alcool e di droga però iniziano a lasciare il segno su Morrison, il degrado non è solo psicologico ma anche fisico. Quando nel 1971 decide di andare a Parigi, per dedicarsi alla poesia nessuno immaginava che non sarebbe più tornato. Jim è ancora la, nel cimitero di Peres Lachaise, e la sua tomba ormai è diventata un luogo di pellegrinaggio per i tanti fan.

 

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(© James Fortune)

 

Tutti questi musicisti avevano la J nel nome. Tutti loro sono morti a 27 anni. Strane coincidenze che hanno fatto subito gridare al complotto. Hendrix, Joplin e Morrison sono morti in meno di un anno. Morrison ci ha lasciato esattamente due anni dopo la scomparsa di Jones ( a cui aveva dedicato una poesia durante un esibizione all’Aquarium Theatre di Los Angeles).

Morti strane, poco chiare e misteriose, dove qualcuno ci ha visto lo zampino della CIA poiché tutti erano attivi nei movimenti del post sessantotto. Ma sono tutte supposizioni, tutte coincidenze che non hanno fatto che accrescere il mistero intorno a questi decessi.

Sembra che la maledizione si sia fermata, che le morti si siano arrestate. Questo fino al 1994. E’ proprio durante quest’anno che la stampa inizia ad utilizzare il nome “Club 27” quando il mondo viene sconvolto dal suicidio di Kurt Cobain.

 

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(© Michael Lavine)

 

I Nirvana iniziano la loro carriera nel 1987, e nessuno avrebbe mai pensato che sarebbero diventati, nel giro di due anni, una delle band alternative più importanti nella storia della musica.

Al loro primo concerto al Community World Theatre di Tacoma si esibiscono davanti a 13 persone. Ma quando nel 1991 esce Nevermind, e Smell Like Ten Spirit diventa l’inno della generazione X le cose cambiano. Le persone seguono con interesse la vita privata di Kurt che, nel 1991, sposa Courtney Love e continua a calcare i palcoscenici.

Ma il destino aveva piani diversi e la vita, a quanto pare, stava troppo stretta al leader dei Nirvana. Mentre Kurt è a Roma tenta il suicidio una prima volta e viene portato d’urgenza in ospedale.

 

Kurt Cobain © Charles Peterson.tif

(© Charles Peterson)

 

In Come As you Are cantava I swear I don’t have a gun, ma il modo per procurarsi un fucile alla fine lo ha trovato: è bastato chiedere aiuto all’amico Dylan Carson.

Il 5 aprile del 1994, dopo essersi iniettato un’ultima dose di eroina, Kurt si spara un colpo in testa. Il corpo verrà trovato solo tre giorni dopo da un elettricista.

Passano gli anni e le scene vengono sconvolte da una giovane donna con una voce profonda in grado di colpire chiunque l’ascolti: Amy Winehouse.

 

Amy Winehous © Mark Mawston

(© Mark Mawston)

 

L’album d’esordio Frank è un successo. La sua è una vita segnata dalla droga e dalle dipendenze; la canzone che la consacra è Rehab una dichiarazione del suo rifiuto di disintossicarsi dall’alcool.

Viene trovata morta nella sua casa di Camden e l’autopsia non chiarirà le cause del decesso.

Tutte queste figure, nonostante la brevi carriere, sono diventate delle vere e proprie icone del mondo della musica. Proprio per questo motivo ONO, Galleria di arte contemporanea di Bologna, ha deciso di dedicare una mostra ai protagonisti del Club 27.

Si tratta di 40 scatti, alcuni in esclusiva italiana, per rendere omaggio a queste figure iconiche che hanno lasciato un segno indelebile nella cultura e nell’arte.

La mostra rimarrà aperta fino al 24 febbraio ed è un occasione unica per vedere degli scatti che ritraggono gli sfortunati membri del club nel momento in cui erano ancora degli uomini e non ancora delle leggende.

 

Laura Losi

 

Sister Act – Il musical divino. Una storia d’amicizia

Prima dello spettacolo (qui di seguito il report di questa bellissima esperienza) ho avuto il piacere di incontrare Annalisa Missieri, il presidente della compagnia.

Abbiamo preso posto sui divanetti del teatro e abbiamo fatto quattro chiacchiere per capire come  è nata la compagnia e come mai hanno scelto proprio Sister Act per festeggiare i loro 10 anni di attività.

Questa compagnia si auto produce ( ha pochissime sponsorizzazioni) e tutto quello che vediamo sul palco è frutto del duro impegno e della passione di chi ha deciso di credere in questo progetto iniziato nel lontano 2008…

 

Il 2018 è stato un anno molto importante perché avete festeggiato il vostro decimo compleanno. Com’è nata questa compagnia?

Siamo nati nel 2008 in una parrocchia piacentina (quella del quartiere Besurica), però fin da subito abbiamo voluto progredire e quindi ci siamo costituiti come compagnia e associazione. Abbiamo cominciato a formarci, a studiare e a uscire dall’anonimato. E quindi a fare musical ispirati ai musical di Broadway.

 

Siete una compagnia molto variegata vero?

Siamo in 54 di varia età, abbiamo due minorenni e poi arriviamo fino ai sessantenni. C’è un nucleo storico, quello di 10 anni fa. Anche quello però era stato costituito tramite provini e poi man mano, quando c’è una nuova produzione facciamo delle nuove selezioni per ricercare gli interpreti. C’è anche chi chiede di entrare senza avere particolari velleità artistiche che però vuole dare una mano per gli aspetti tecnici. Queste persone quindi non fanno i provini ma si mettono a disposizione per il dietro le quinte che è importante come quello che si vede in scena.

 

Siete passati da Legally Blonde a Sister Act. Qual è stato il motivo di questa scelta?

Si tratta di un musical ispirato al famosissimo film del ’92 che piaceva un po’ a tutti. Il nostro regista, Mario Caldini, lo voleva da tempo ma non c’erano i diritti e quindi abbiamo dovuto aspettare che si liberassero. Non appena si è presentata l’occasione ci siamo buttati e abbiamo colto questa opportunità perché è una storia bellissima e coinvolgente. A noi piacciono i musical corali perché siamo in tantissimi, in prevalenza siamo donne, e questa era l’opera che andava bene per noi.

 

A quale versione del musical fate riferimento?

Noi utilizziamo una  traduzione italiana ovviamente. Il nostro regista ha scelto la versione del 2011 di Broadway perché ha all’interno anche dei brani che non erano presenti nelle versioni successive e quindi era un po’ più completo rispetto alle altre versioni.

Abbiamo una band dal vivo che deve tradurre i brani orchestrali in brani fattibili per una band. E’ più di un anno che lavoriamo a questo progetto. Facciamo prove settimanali, a volte anche due volte a settimana. Prima proviamo separati: ballerini, cantanti, band. Poi da un certo punto iniziamo a provare tutti insieme assemblando i vari pezzi. E da li iniziamo a vedere emergere lo spettacolo.

 

Avete ottenuto un grande successo e infatti avete dovuto raddoppiare le date…

Eravamo partiti con due date pensando che fossero sufficienti. Noi abbiamo due cast e in questo modo avremmo dato la possibilità ad entrambi di esibirsi. Poi la domanda è stata talmente alta che abbiamo aggiunto la terza data e da pochissimo la quarta, che sta andando via velocemente.

Grazie ad Annalisa Missieri e alla compagnia I Viaggiattori per la disponibilità.

Saluto tutti ed entro in platea pronta a vedere il mio primo musical. Felice nel vedere che chi crede nell’arte e nel teatro riesca ad avere la possibilità, grazie all’impegno e al duro lavoro, di avere la soddisfazione di recitare in un’arena senza neanche un posto vuoto.

 

E’ un sabato sera di febbraio quello che è generalmente considerato il mese più triste dell’anno, ma nonostante questo a Piacenza c’è una strana agitazione e i parcheggi sono più pieni del solito.

Questo è merito della compagnia made in Piacenza I Viaggiattori, che ha deciso di mettere in scena il musical Sister Act, con la regia di Dario Caldini.

Dopo il successo ottenuto a Salsomaggiore Terme e le due date sold out al Teatro Nuovo di Milano la compagnia ha deciso di tornare a giocare in casa e di replicare lo spettacolo con quattro date al Politeama (inizialmente erano solo due ma, visto il successo ottenuto, hanno deciso raddoppiarle).

Prendo posto in platea, con l’agitazione che mi accompagna ogni volta che provo una nuova esperienza. Nonostante io ami i musical non ho mai avuto occasione di vederne uno dal vivo e quindi non so bene cosa aspettarmi.

Qualche minuto dopo le ventuno, le luci si abbassano e una voce ci annuncia che lo spettacolo sta per iniziare.

Veniamo trasportati in un locale di Philadelphia dove una cantante di colore Deloris Van Cartier, sta per esibirsi. Capiamo fin da subito con chi abbiamo a che fare, una donna ambiziosa che vuole essere come Donna Summer: il suo sogno è infatti quello di esibirsi con un vestito bianco di palette e una pelliccia candida.

 

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Passa solo qualche minuto e apprendiamo la prima lezione di vita che questo musical ci vuole insegnare: le cose non vanno sempre come vogliamo noi.

La donna infatti assiste per sbaglio ad un omicidio commesso dal suo amante e quindi è costretta a chiedere aiuto alla polizia per nascondersi.

Eddie Umidino, il poliziotto che si occupa del suo caso, conoscendo bene la donna decide di portarla nell’unico posto in cui i sicari non andrebbero mai a cercarla: un convento.

 

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Ed è qui che inizia il bello. Facciamo conoscenza con le suore che vivono nel monastero, la madre superiora, che non vede di buon occhio l’arrivo della cantante, Suor Maria Roberta giovane novizia che non ha ancora capito quale sarà la sua strada, Suor Maria Patrizia l’ottimista e Suor Maria Lazzara la burbera amante del rap.

Ed è qui che l’esplosiva Deloris Van Cartier diventa la bomba Suor Maria Claretta riuscendo ad entrare fin da subito nel cuore di tutte le altre sorelle.

L’abito monacale non basta a nascondere l’essenza della protagonista che aiuterà le altre suore a capire chi sono davvero e lo farà attraverso la musica.

Quando le monache iniziano a proporre le loro messe rock il pubblico impazzisce, gli applausi spesso partono prima che le canzoni finiscano. Tutti sono conquistati dalla bravura degli attori sul palco ma soprattutto dalla timbrica  delle “suore”.

 

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Gloria Enchill, che interpreta Deloris, ha una voce calda e potente in grado di catturare l’attenzione dello spettatore fin dalle prime note. E quando verso la fine dello spettacolo la timida Maria Roberta, impersonata da Elisa Del Corso, canta il suo assolo, quello in cui acquista la consapevolezza di chi vuole davvero essere nella vita, il pubblico impazzisce scatenando un fragoroso applauso mentre Elisa sta ancora cantando.

Le scenografie sono semplici, facili da cambiare per permettere in modo agile i repentini cambi di scena e di abito. Ma funzionano alla grande perché non tolgono spazio ai veri protagonisti di questo show benedetto da Dio: gli attori ma sopratutto la musica (rigorosamente dal vivo visto che dietro le quinte c’è una band).

E’ lei la vera protagonista di questo spettacolo, una musica che prende il cuore e ti scalda l’anima.

 

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Ognuno in questo spettacolo capirà qual è il suo posto nel mondo proprio grazie alle canzoni. Si tratta di una storia sull’accettazione, l’inclusione ma sopratutto l’amicizia, una storia vecchia ma tuttavia senza tempo, capace di unire generazioni. Deloris, trova le sue sorelle, capisce che avere qualcuno accanto è più importante della fama se non hai nessuno con cui condividerla, anche se alla fine coronerà il suo sogno di essere come Donna Summer.

Suon Maria Roberta troverà la sua voce e avrà il coraggio di dire finalmente no, di lottare per le sue idee e questo grazie a un paio di trasgressivi stivali di vernice rossa che simboleggiano il suo legame con Deloris.

Persino la Madre Superiora, le cui canzoni sono quelle più lente di tutto lo spettacolo, alla fine si ammorbidirà e accetterà i cambiamenti che Suor Maria Claretta ha introdotto nel convento, prendendo parte all’ultima canzone che è una celebrazione dell’amore e dell’amicizia.

 

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Quando le luci si sono alzate al termine dello spettacolo mi sono guardata un po’ intorno e mi sono accorta che il pubblico era estremamente variegato: bambini, ragazzi, anziani, gente distinta e chi era pronto per andare a ballare.

Questo è il potere della musica, del teatro e dell’arte: unire tutti. Perché quando le luci si spengono e ognuno è seduto al proprio posto siamo tutti uguali, non ci sono differenze, perché tutti siamo rapiti dalla magia di quello che accade sul palco.

E mentre tornavo alla macchina, parcheggiata lontanissimo dal teatro, mi sentivo più leggera e più felice e, stranamente, sentivo anche meno freddo del solito mentre canticchiavo a bassa voce fammi volare. 

 

Laura Losi

I musical e l’Italia: decolliamo o non decolliamo?

Broadway, New York, 2019.
Siamo nel centro di Times Square, spasmodico groviglio della vita statunitense. Davanti a noi, a perdita d’occhio, l’infinito numero di teatri e dei loro cartelloni pubblicitari, spesso costituiti da schermi al plasma che giorno e notte ci bombardano di pixel luminosi, strillando il titolo del musical ospitato, il più delle volte, da anni ed anni. Che si tratti di The Phantom of the Opera, Wicked o The Lion King ogni giorno Broadway, nonostante il numero interminabile di repliche viste e riviste, nonostante il prezzo stellare di ogni biglietto, nonostante tutto, è sold out.
In Italia, attualmente, abbiamo solo un musical stabile nel “suo” teatro, ed è sì, un musical di produzione italiana, ma Disney. Si tratta di Mary Poppins, classico cinematografico senza tempo, riadattato a spettacolo teatrale a cura di Cameron Mackintosh, in scena al Teatro Nazionale Che Banca! di Milano dal 13 febbraio 2018.

Domenica 27 gennaio, il cast di Mary Poppins – Il Musical ha goduto delle luci della ribalta per l’ultima volta, per far spazio al prossimo spettacolo in cartellone al Nazionale, lasciando noi italiani nuovamente orfani di un vero e proprio musical “stabile”.  Dovremmo chiederci per quale motivo il concetto di musical in Italia sia così in differita o, se vogliamo, così difforme dalla tradizione statunitense.

Vale la pena, come nota a margine, nominare la Compagnia della Rancia, collettivo di professionisti che da anni offre la possibilità di assistere a musical di alto livello, eppure solo un colosso dell’intrattenimento come Disney riesce ad assicurarsi una produzione tale, vi assicuro, da non aver nulla da invidiare ai colleghi d’Oltreoceano.

Purtroppo, poco si investe nel “Made in Italy”. Si sceglie d’ importare il prodotto da altri paesi e le produzioni devono vedersela con i costi altissimi sui diritti dell’opera. Le problematiche del musical in Italia sono all’apparenza dovute principalmente ai fondi.

Nel Bel Paese si preferisce portare lo spettacolo in tournée, ammortando costi altrimenti insostenibili se gli spettacoli fossero stabili. Ciò compromette la grandezza degli allestimenti le potenzialità stesse del musical itinerante.

Ma che significa “stabili”? Sia a Broadway che nel suo corrispettivo londinese, il West End, i musical sono concepiti nel loro stato embrionale in teatri costruiti o riadattati a loro immagine e somiglianza (a partire dalle scenografie che arricchiranno il palco scenico, al design del teatro vero e proprio).

Al loro interno, come in un ventre materno, crescono, maturano per anni, a volte per decenni. Quest’operazione costerebbe alle produzioni cifre astronomiche, posto che in Italia abbiamo già in partenza scarsità di teatri per grandi concerti, opere liriche, spettacoli di prosa, relegati in palazzetti e stadi, strutture originariamente ideate per ospitare eventi sportivi.

Insomma, Italia patria dell’arte, ma senza posto per accoglierla.

Anni fa assistetti alla performance del cast originale di Broadway in Beauty and the Beast – The Musical, nella sua tappa milanese. Un’esperienza per me straordinaria, senza dubbio, ma evidentemente sacrificata, ridotta alla metà del suo potenziale espressivo.

Non era nel suo teatro, si percepiva. Il musical ha bisogno di casa sua e per darne alla luce uno tradizionale, ci vuole una gran dose di coraggio, non si tratta di uno spettacolo “minima spesa, massima resa”, anzi. Basti pensare alla difficoltà di ospitare uno show a 360°, una miscela di coreografie mozzafiato, scenografie imponenti, performer altamente qualificati e, estremamente importante, l’orchestra dal vivo.

Sì, perché nel musical tradizionale esiste un posto d’onore per i musicisti che, non tutti sanno, suonano interamente dal vivo, così come vengono eseguiti dal vivo i cori ed i rumori di scena.

Molto spesso, in Italia l’orchestra o la band live vengono sacrificate per problemi tecnici, spaziali o, addirittura, economici, lasciando il posto alle tanto odiate e criticate basi musicali. Infatti, retribuire degnamente i musicisti comporterebbe l’aumento del prezzo di un biglietto già percepito, erroneamente, come troppo alto.

Vi assicuro, non c’è nulla di più affascinante del ritrovarsi immersi nella mischia di giovani musicisti, appena usciti dai teatri del West End che, rincasando dal lavoro, affollano le metropolitane dopo l’ultima replica della giornata.

Sorge un ulteriore quesito: un’intera orchestra, nei nostri teatri, dove la mettiamo?

Ammettiamo poi che, in Italia, abbiamo un modo tutto nostro di plasmare il fattore spettacolo. Da sempre, sin dal Settecento e dai tempi del melodramma, ci piace avere la nostra versione delle cose.  E’ il caso di Notre Dame de Paris.

Ecco, quest’opera ha scosso incredibilmente l’interesse del pubblico italiano che, con ingenua convinzione, è certo di aver a che fare con un vero e proprio musical. Ahimè, si sbaglia perché “Notre Dame de Paris” non è un musical, bensì un’Opera Popolare, ben diversa dal cugino di Broadway. Infatti, trae le sue origini dalla tradizione musicale ed operistica italo/europea, senza alcun legame originale con il musical. Come se non bastasse abbiamo a che fare, nuovamente, con uno spettacolo itinerante.

Ancora oggi, replica dopo replica, tour dopo tour, il pubblico italiano acquista con piacere il biglietto per “Notre Dame de Paris”, spinto un po’ dalla collaborazione di un connazionale, Riccardo Cocciante, un po’ per la mescolanza che questo spettacolo ha con un’altra branca del panorama, l’Opera Rock, molto amata dal pubblico nostrano.

Evoluzione diretta del concept album (come Hair, Evita, Jesus Christ Superstar, Rent, American Idiot) molti artisti rock e metal, nel tempo, hanno sentito la necessità di produrre un Opera Rock, spinti dalla volontà di evolvere, nella sua completezza, una creatura fino a quel momento presentata al mondo attraverso il solo linguaggio musicale.

Scelta identicamente potente, sicuramente elevabile, grazie all’unione con le altre arti performative, proprio come il musical. Ma non è musical, per lo meno, non quello tradizionale che vediamo al Nazionale, con Mary Poppins.

In conclusione, possiamo affermare che il difficile rapporto tra il musical tradizionale e l’Italia non derivi solamente da necessità economiche e tecniche. Probabilmente, è proprio il pubblico italiano ad avere esigenze diverse, più inclini ad assecondare la tradizione nazionale o la moda del momento.

Troppo spesso il pubblico risponde positivamente al musical solo se nel cast è presente l’ennesimo personaggio famoso, lo “specchietto per le allodole” perfetto che, nella maggior parte dei casi, non sarà all’altezza dei suoi colleghi performer, professionisti del settore qualificati da accademie rinomate.

Il dubbio, tuttavia, ci assale nel momento in cui il successo di un’opera come “Mary Poppins – Il Musical” raggiunge un livello tale da incrinare le nostre ipotesi.

 

Valentina Gessaroli

A cavallo con Tex… Alla Permanente di Milano

 Tex Willer, il cowboy italiano, compie 70 anni e Milano ha pensato di festeggiare il suo compleanno dedicandogli una mostra, curata da Gianni Bono.

L’Aquila della Notte, personaggio creato dalla penna Gianluigi Bonelli e dalla matita di Galep (Aurelio Galleppini) nel lontano 1948, è uno degli eroi di maggior successo del fumetto italiano e ha riscosso un’accoglienza più che positiva persino all’estero.

 

Gianluigi Bonelli

 

 

 

 

 

 

Gianluigi Bonelli

 

Aurelio Galleppini

Aurelio Galeppini

 

Ma chi è Tex Willer?

Per chi non lo conoscesse bene a prima vista potrebbe sembrare uno dei tanti cowboy, quelli che abbiamo visto tante volte nei film western, ma dietro questa facciata troviamo un personaggio molto più complesso.

Tex è un ranger, ma dalla parte degli indiani: Aquila della notte è infatti il saggio capo bianco delle tribù Navajos.

Questo mix fa di Tex un eroe senza pregiudizi: la sua missione è quella di prestare soccorso a chiunque ne abbia bisogno, indipendentemente dalla sua razza o dal suo credo.

 

annuncio 15 lire   chiedilo a Tex

 

La mostra celebra il compleanno del ranger nostrano attraverso foto, immagini e tavole inedite.

Ma perché una rivista di musica, nella sezione di arte, parla di una kermesse dedicata ad un fumetto?

La risposta è molto semplice.

Tex è stato l’eroe di diverse generazioni ed è ovvio che con le sue avventure abbia influenzato anche tutta una serie di musicisti, più o meno noti.

Partiamo con uno dei gruppi più conosciuti che hanno dedicato al nostro eroe un brano: i Litfiba. La band di Piero Pelù nel 1988 nell’album Litfiba 3 ha incluso un brano dal titolo Tex.

Quello dei Litfiba è solo un rimando all’eroe buono della Bonelli perché il testo è una critica al genocidio dei nativi americani.

Anche Loredana Bertè, che quest’estate ci ha fatto ballare con il singolo Non ti dico no, nel 1994 si è fatta ritrarre sulla copertina del suo album Bertex ingresso libero, nei panni dell’Aquila della notte.

L’ultimo esempio che vi farò è la ballata di Tex Willer scritta da Giorgio Bonelli, il figlio di Gianluigi, ed interpretata da Marco Ferrandini e Francesco Pozzoli.

La mostra che rimarrà aperta fino al 27 gennaio è ospitata al Museo della Permanente di Milano ed è dedicata non solo a chi conosce ed ama Tex ma anche a tutti i curiosi che vogliono avvicinarsi e vedere da vicino un pezzo della storia popolare italiana.

Se volete provare a calarvi nelle atmosfere del selvaggio west, e capire cosa si provava a cavalcare con il vento tra i capelli in compagnia degli indiani, Milano è il posto che fa per voi…almeno fino al 27 gennaio.

 

Laura Losi

Rimini, il Teatro Galli e la Carmen

Venerdì 4 gennaio, noi di VEZ Magazine siamo stati invitati per assistere alla data della Carmen, l’Opera lirica in quattro atti di Georges Bizet nel nuovo allestimento dell’Associazione Coro Lirico città di Rimini Amintore Galli al debutto sul palco del Teatro Galli il primo giorno di gennaio.

Una data aggiunta dopo il sold out della prima settimana di prevendite per le tre recite previste per martedì 1, giovedì 3 e sabato 5 gennaio.

Oltre 2000 biglietti venduti (circa 700 per ognuna delle tre recite previste), non solo ai tantissimi riminesi che in questi giorni hanno sfidato code e liste d’attesa, ma a tanti appassionati provenienti da diverse parti d’Italia e per lo più dalle città di Bologna, Ravenna, Milano e Firenze.

Occasione unica quindi per tutti, ma anche per noi per assistere al debutto del coro sul Palco fresco di restauro.

Una storia lunghissima quella del Teatro, che inizia nel 1841 con l’incarico al modenese Luigi Poletti (1792-1869) di progettare il teatro secondo il proprio stile neoclassico.

Nel 1843 iniziano i lavori con l’appaltatore Pietro Bellini di Rimini e si concludono nel 1846 le opere murarie. A causa di scarsità di fondi i lavori vengono abbandonati e poi ripresi nel 1854 terminando i lavori nel 1857 con l’inaugurazione della stagione lirica da parte di Giuseppe Verdi (unico caso in Italia) che presenta una nuova opera, l’Aroldo, composta appositamente.

Il teatro Galli infatti 15 maggio 1841, dopo una serie di progetti elaborati da professionisti locali, viene incaricato del progetto per la realizzazione del Nuovo Teatro di Rimini l’architetto Luigi Poletti di Modena (1792-1869), illustre esponente della professione legato alla scuola neoclassica purista romana, avendo studiato nella città eterna, ed elaborando un proprio linguaggio di superamento dello stile purista.

Nel 1859 il Teatro è dedicato a Vittorio Emanuele II.

 

A causa delle lesioni post terremoto del 1923, il teatro viene chiuso e durante i restauri viene installato un impianto elettrico ma nel 1943 a seguito di un bombardamento aereo crolla il tetto della sala.

Nel 1947 il Teatro, semidistrutto, è dedicato al musicista Amintore Galli (1845-1919), critico musicale e compositore famoso a livello nazionale e mondiale, per il successo del suo inno del lavoratore con il testo scritto da Filippo Turati.

Negli anni si susseguono varie iniziative e finanziamenti per la ristrutturazione del teatro grazie al Ministero dei Beni Culturali la Soprintendenza per i Beni Architettonici di Ravenna e al contributo economico della Regione Emilia-Romagna  – finanziamento Europeo POR FESR.

Nel 28 marzo 2015, conclusi i lavori di restauro iniziati nel 2010,  il Foyer viene consegnato alla città per essere utilizzato come contenitore culturale nell’attesa che si concluda la ricostruzione del Teatro Galli.

Il Teatro ‘Amintore Galli’ di Rimini torna ad alzare il suo sipario: a distanza di 27.333 giorni, 898 mesi, 75 anni il luogo della grande musica è stato restituito a Rimini e alla comunità riminese.

Prosegue quindi ora la prevendita dei biglietti con ulteriori 700 posti disponibili.

I costi dei biglietti vanno dai 10 ai 75 euro.

L’Opera, prodotta dall’associazione Coro Lirico città di Rimini Amintore Galli con il patrocinio e il contributo del Comune di Rimini, avrà la regia di Paolo Panizza e sarà diretta dal Maestro concertatore Massimo Taddia, con la Astral Music Symphony Orchestra delle Marche e il Coro Lirico città di Rimini Amintore Galli preparato dal M° Matteo Salvemini.

L’opera, nella versione originale francese, sarà sottotitolata in italiano.

I solisti

Carmen, Anastasia Boldyreva mezzosoprano; Don Josè, Giuseppe Varano tenore; Escamillo, Daniele Caputo baritono; Micaela, Paola Cigna soprano (1 -5 gennaio) Zeina Barhoum (3 gen) soprano; Frasquita, Elisa Luzi soprano; Mercedes, Laura Brioli mezzosoprano; El Dancairo, Giovanni Mazzei baritono; El Remendado, Roberto Carli tenore; Zuniga, Luca Gallo basso; Morales, Nico Mamone baritono; una venditrice di arance, Chiara Mazzei soprano; un soldato Leonardo Campo baritono; Lillas Pastià, Alessandro Semprini (voce recitante) uno zingaro Riccardo Lasi, una guida Luca Frambosi, Alcalde Giuseppe Lotti.

Con il corpo di ballo Future Company. Direttrice e coreografa Gabriella Graziano

Ballerini: Pietro Mazzotta, Marco Dalia, Alessandro Zavatta, Michela Amati, Elisa Amenta, Alessia Bernardi, Sara Fabbri, Martina Moro, Merilinda Pellegrini.  E il coro a voci bianche “Le Allegre Note” di Riccione. Maestro del coro Fabio Pecci.

 

Carmen Pubblicita

Andy Warhol e la musica al Complesso del Vittoriano

Vez Magazine è diventato grande.

Siamo partiti come un magazine musicale ma adesso, dopo aver festeggiato il nostro primo compleanno, abbiamo deciso che era arrivata l’ora di ampliare i nostri orizzonti. Non più solo musica quindi ma anche altre tematiche sono arrivate ad arricchire la nostra schermata.

Oggi inauguriamo la sezione dedicata all’arte e ho pensato di farlo con un’artista che ha influenzato pesantemente, il cinema, la cultura e, ovviamente, la musica.

Sto parlando di Andy Wharol, il papà della pop-art, che fino al 3 febbraio 2019 sarà il protagonista di una mostra al complesso del Vittoriano. L’esposizione, che conta 170 opere, ripercorre la sua carriera dagli esordi fino alle opere più mature.

Con oltre 170 opere, l’esposizione vuole riassumere l’incredibile vita di un personaggio che ha cambiato per sempre i connotati non solo del mondo dell’arte ma anche della musica, del cinema e della moda, tracciando un percorso nuovo e originale che ha stravolto in maniera radicale qualunque definizione estetica precedente.

Il percorso espositivo inizia con le principali icone che hanno condizionato il divenire dell’artista: la celebre Campbell’s Soup del 1969 e Ladies and Gentlemen (1975); i ritratti di grandi personaggi – alcuni dei quali mai incontrati – che da figure storiche ha trasformato in icone pop, come Marilyn (1967), Mao (1972) e gli stessi Self portrait.

Si prosegue evidenziando e affrontando il tema dei legami con la moda, anche in ambito italiano grazie ai ritratti di i Giorgio Armani (1981) e Regina Schrecker (1983).

Ma quali sono stai i rapporti di Wharol con la musica?

Forse non tutti sanno che la vita dell’artista di Pittsburgh si è intrecciata più volte con quella di grandi musicisti che amiamo e conosciamo bene.

A lui dobbiamo opere iconiche come la copertina di Sticky Fingers dei Rolling Stones, ma ha anche messo la sua firma su alcuni album di Aretha Franklin e John Lennon, per citare un paio di nomi.

 

 

wharol 1 bassaAndy Warhol

Mick Jagger, 1975

Serigrafia su carta, 110,5×73,7 cm

Collezione Jonathan Fabio, Agliana (PT)

© The Andy Warhol Foundation for the Visual

Arts Inc. by SIAE 2018 per A. Warhol

 

 

Ma nonostante queste collaborazioni il mondo della musica gli è grato, sopratutto, per il ruolo che ha rivestito nel portare al successo una delle band più famose ed iconiche che ha cambiato la faccia del rock negli anni ’60: I Velvet Underground.

L’incontro avvenuto nel 1966 segnò l’inizio della fortuna della band newyorkese e permise loro di fare il salto di qualità: da illustri
sconosciuti a rock-star.

Fu grazie a Warhol, che nel frattempo era diventato manager della band, che il gruppo si arricchì della presenza di Nico, modella e ragazza di Bryan Jones dei Rolling Stones.

 

wharol 2 bassaAndy Warhol

The Velvet Underground & Nico, 1967

Original LP

Collezione privata, Monaco (MC)

© The Andy Warhol Foundation for the Visual

Arts Inc. by SIAE 2018 per A. Warhol

 

 

Ma la sua influenza sul mondo della musica non si è fermata qui. Numerosi artisti hanno tratto ispirazione dal sua figura o dalla sua arte omaggiandolo nei loro testi; possiamo ricordare Andy Warhol di David Bowie, o Like a Rolling Stone di Bob Dylan che pare trarre spunto (ma potrebbe essere solo una legenda metropolita) da un triangolo amoroso tra Dylan, Warhol e Edie Sedgwick.

Se questo intricato rapporto tra arte e musica vi incuriosisce la mostra è pane per i vostri denti.

Attraverso le opere esposte, potrete tra le altre cose ammirare i ritratti di alcuni musicisti, avrete la possibilità di immergervi nel mondo colorato e fuori dagli schemi di questo artista a 360 gradi.

Warhol è stato un artista a tutto tondo che si è cimentato in tutti i campi dell’arte e questo è un po’ quello che vogliamo fare noi di Vez: perché arte, musica e vita sono tutte facce diverse della stessa medaglia.

E noi, nel nostro piccolo, ci siamo ripromessi di mostrarvene il più possibile.

 

Laura Losi