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TOdays 2023 • Day 1

Location

sPAZIO211 (Torino)

Data

25/08/2023

Caldo torrido, lieve brezza a centrocampo, si consiglia di idratarsi spesso e di godersi lo spettacolo all’ombra. Il termometro segna ben oltre 35°C.

È tutto pronto per il primo live del primo giorno dei TOdays 2023. Cancelli aperti, la venue si presenta identica all’anno precedente, così, dopo pochi minuti, la sensazione è quella di essere tornati a casa dopo una lunga vacanza.
Birretta di rito, in tempo per dirigersi sotto palco per il primo live della giornata, quello dei King Hannah.
Nato come duo, supportati da basso e batteria, al secolo noti come Hannah Merrick (voce e chitarra) e Craig Whittle (chitarra), si sono conosciuti lavorando nello stesso pub. Lei gallese, lui di Liverpool, hanno unito talento e chitarre, riuscendo a incidere il primo album nel 2022, dal titolo I’m Not Sorry, I Was Just Being Me.
Sul palco sono magnetici, persi in un pastiche di generi che sa di lo-fi, trip-pop, blues molto, molto (o)scuro. Attirano alla transenna anche gli over quaranta quando si esibiscono in una cover clamorosa di State Trooper di Springsteen.
Vox pop: (ovvero commenti rubati tra la gente, Ndr) lei ricorda PJ Harvey, ma l’insieme vira verso i Portishead. Di sicuro amano una struttura fatta di melodia che sale lentamente verso un climax fatto di chitarre maleducate e dai suoni tutt’altro che limpidi. Freschi, ma antichi, perfetti. 

La situazione degenera al secondo live.
O meglio. Era prevedibile accadesse, dal momento che sul palco erano attesi i Les Savy Fav, il cui frontman, Tim Harrington, è spettacolo nello spettacolo.
Piccolo passo indietro. Questi signori hanno inciso il primo album a metà anni novanta. Uno dei loro membri fondatori diventò il batterista degli LCD Soundsystem, mentre i loro dischi precorrevano i tempi della scena newyorkese di inizio millennio. Seminali e senza il dovuto riconoscimento, si direbbe, in una sola parola i Pixies, dieci anni dopo.
Torniamo a Harrington.La maglia vola via nei primi quindici secondi, rivelando un fisico importante. Le calvizie unite a una barba rosa fluo fa di lui una presenza di sicuro impatto sul palco. Palco che però non ama frequentare, dato che si lancia tra il pubblico alla prima canzone. Ruba macchine fotografiche, si impossessa di birre che poi sputa in cielo, sembra un folletto impazzito, un tarantolato dai colori accesi, e, notate bene, tutto questo accade mentre porta a casa un pezzo dopo l’altro. La band, sul palco, suona impassibile. Tre tecnici, che sembrano bagnini, stanno attenti al cavo del microfono. Perché Harrington non ama il wireless, è figlio di anni analogici. O forse trattasi di apparato per recuperarlo, a un certo punto. Musicalmente sono perfetti, nel loro genere. Lo spettacolo beh, quello è impagabile. 

Come impagabile è il numero di sospiri che si levano dalla folla quando sul palco sale Warhaus. Sui documenti risulta Maarten Devoldere, origine belghe, trentaquattrenne. “Bello bello in modo assurdo”, direbbe qualcuno, così come “belli belli in modo assurdo” sono i componenti della band. Agli occhi di un quarantacinquenne che ribolle di invidia sul palco sono saliti la versione continentale e più raffinata di una qualunque boy band inglese.  Al netto della beltà bisogna riconoscere che il progetto portato sul palco è affascinante: il nostro eroe, dopo una separazione, si è chiuso in una stanza di un hotel di Palermo per tre settimane, a elaborare dolore e tristezza. Lo ha fatto portandosi strumenti e microfoni.
Al suo ritorno in patria il produttore Jasper Maekelberg ha deciso di tenere i master originali della voce, costringendo i (bellissimi) musicisti a costruire la parte musicale attorno a quel dolore inciso in modo così verace. Risultato finale: una musica elegante, tra lo chansonnier e il crooner, con elementi quasi jazzati, con ampio uso di fiati e pianoforte.

È stata una giornata dedita all’ecclettismo.
Dai King Hannah e i loro ritmi lenti e cadenzati ai Les Savy Fav e il frontman col guinzaglio, nudo tra le genti. I belli e bravi accompagnatori di Warhaus, che ha raccontato con passione e leggerezza un amore finito. Verso le dieci di sera si vira ancora, verso lidi ben noti e verso una band decisamente a fuoco, i Wilco.
Colpa loro se esiste il genere alternative country, quando ancora si chiamavano Uncle Tupelo. Nel corso degli anni sono diventati più eclettici e sperimentali, ma la radice, alla fine, è sempre quella, qualunque sia la declinazione.
Classici nell’alt rock, semmai, anche perché hanno alle spalle anni di carriera, di LP (dodici in studio) e di premi (due Grammy sopra il caminetto). Ci hanno accompagnato nelle nostre serate sul divano, presenti in quasi ogni serie uscita negli ultimi anni, da Dr. Houseal recentissimo The Bear, oppure ovunque venga citata la loro Chicago. Per Ted Mosby di How I Meet Your Mother è Summerteeth il loro album migliore. Chissà se gli stivali rossi sono legati all’alt-country dei Wilco.
Il loro successo come accompagnamento sonoro è dovuto probabilmente al fatto che raccontano storie di vita, raccontano quotidianità, e lo fanno con abbondante uso di chitarre.
Sono come un viaggio in auto da passeggero, mentre alla guida c’è il più fidato e sicuro degli amici. Puoi perderti nei paesaggi, puoi parlare per ore, puoi tacere senza imbarazzo, intanto si va. E i Wilco hanno un pilota automatico che è una sicurezza, rendendo il loro live un piccolo gioiello. 

Il primo giorno dei TOdays termina in perfetto orario, il termometro rimane severo, tempo per un’ultima birra e per segnare le prime impressioni sul taccuino che, nel mentre, è diventato un’app.
La lunga strada verso il professionismo.

T-shirt dei Joy Division: tre.
Token in tasca: quattro (ma ho fatto scorta).

Andrea Riscossa