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Spiritualized @ Barezzi Festival

Parte prima o “della ricorsività”

Torno a distanza di un anno al Barezzi Festival, un nome se c’è n’è uno di festival (forse più adatto il termine rassegna ma vabbè) virtuoso, vuoi per l’idea alla base, vuoi per la proposta musicale che è anche culturale (il che è tutto fuorchè scontato al giorno d’oggi). Ci torno di sabato come lo scorso anno. Allora furono i Lankum, oggi gli Spiritualized. Diluvia, come la volta scorsa, col Teatro delle Celebrazioniallagato, stavolta per fortuna il Regiosarebbe stato risparmiato. Oggi come allora sarebbe però stata una serata “one for the ages”. 

Parte seconda o “one for the ages”

Gli Spiritualizednon si possono spiegare, non si possono rinchiudere in una definizione, non si possono inquadrare. Una cosa ti concedono, ovvero lasciarti trasportare, travolgere, cullare, stordire, incantare. Che la serata fosse da circolino rosso nel calendario lo si capisce presto: Teatro Regiopraticamente sold out, pubblico delle grandi occasioni, età media effettivamente alta rispetto agli standard ai quali ultimamente sono stato abituato (praticamente a ‘sto giro non ero tra i più vecchi dei presenti insomma), location che mette i brividi solamente a guardarla, quando provi ad alzare lo sguardo verso l’enorme lampadario che pende dal soffitto, circondato da magnifici affreschi. Ah, il lampadario ha un nome, si chiama Astrolampo ed ha più di 150 anni, così giusto per.

Ancora a sipario chiuso, sono da poco passate le 21, si avvertono le prime note. Cop Shoot Cop… 

Parte terza o “dell’abbandono”

Si apre lentamente il sipario. Gli Spiritualizedin formazione “standard” a nove elementi con Jason Pierce all’estrema destra e a semicerchio le tre coriste, al centro basso e batteria a formare una delle sezioni ritmiche più clamorose che a memoria abbia mai avuto il piacere di vedere ed ascoltare, a seguire tastiera e le due chitarre. 

Si va.

Cop Shoot Cop ad aprire dicevamo, unico brano in scaletta che pescherà da Ladies And Gentleman, un quarto d’ora, forse più, nei quali il bianco/nero delle parti cantate si alternano alla sequenza blu/rosso delle parti più rumorose ed improvvisate, un effetto talmente alienante che mi pare di essere attirato verso il palco ed inglobato da quel caos così educato e controllato. Non c’è materialmente il tempo per realizzare o applaudire che sono travolto nuovamente, stavolta da una furiosa She Kissed Me. Penso che quelle chitarre così ipnotiche che non ricordavo nella versione su disco non le dimenticherò facilmente. 

Parte quarta o del “tanto con poco”

Shine a Light e poi Let It Flow, il palco che si fa rosso, Piercea duettare con le tre coriste, il gospel che si sposa alla psichedelia, i ritmi che tornano a salire con These Blues, Born, Never Asked, Electric Mainline e All Of My Tears, a chiudere un poker interamente proveniente da Pure Phase, disco che ha da poco compiuto trent’anni e che gli Spiritualizedhanno portato in tour per alcune date. In uno stato di beatitudine e quasi straniamento con gli occhi insisto con ostinazione su basso e batteria, basso e batteria, mentre fatico a realizzare e ad accettare come i due possano tenere in piedi un tale complesso e articolato scenario sonoro con una pulizia ed una semplicità sbalorditive. Deve essere così che suonano quelli bravi davvero, ah?

Parte quinta o dell’ “alzo le mani”

Non letteralmente, però insomma già sono psicologicamente incapace di reagire, le difese azzerate, in totale balia di quello che accade sul palco a pochi metri da me che il colpo di grazia arriva con The A Song (Laid In Your Arms). Devastante. Un’orgia di suoni, dieci minuti clamorosi a metà dei quali c’è spazio per una digressione rumoristica prima di riprendere da dove si era lasciato. Mi abbandono alla mia poltrona mentre a puntino arriva Damaged, che se fossi una persona capace di esprimere senza filtri i propri sentimenti credo scoppierei a piangere, “I wanna just close my eyes, feel like I’m floating”, invece mi limito a sentirmi una delle persone più fortunate al mondo, almeno in quale preciso istante. 

Parte sesta o “sipario”

Capoverso che avrebbe potuto anche tranquillamente intitolarsi “ballate pure sul mio cadavere già che ci siete”.

Sail On Through, che aveva chiuso la maggior parte delle date della band di Pierce, questa volta fa da ponte verso il finale, So Long You Pretty Thing. Che altro dire se non di andare ad ascoltarvela, su disco o dove preferite e quando superate il quarto minuto e inizia in loop So Long You Pretty Thing, God Save Your Little Soul, chiudete gli occhi, volume alto mi raccomando, e figuratevi la bellezza che vi state godendo elevata a potenza, suonata dal vivo, in uno dei teatri più belli del mondo, in un momento che vorreste potesse non finire mai.

Poi succede che invece il concerto finisce, il sipario si chiude, il pubblico si spella le mani, chiede un bis, si accendono le luci, niente bis, niente “Grazie Parma, we’re happy to be here e blah blah”, fuori ha smesso di piovere e io sto ancora fluttuando nello spazio.

Alberto Adustini

Soap&Skin @ Barezzi Festival

Un sabato pomeriggio, di novembre, a Parma, piove ed i 1200 posti del Teatro Regiosono in gran parte occupati per il concerto di Soap & Skin al Barezzi Festival. Mi accomodo col mio bel biglietto “da poveri” nel loggione, altresì noto come “piccionaia”, così chiamata per via della rumorosità del pubblico che vi si trovava, a differenza della più nobile ed educata aristocrazia dei palchi e della platea.

Ed invece dalle 18 precise orario di inizio concerto alle 19:30 passate, quando si spengono le ultime note di Boat Turns Towards the Port, il silenzio estasiato del pubblico risulta essere il più chiaro e lampante giudizio sull’esibizione dell’artista austriaca.

Dopo la data di Milanoero uscito con qualche perplessità, a dire il vero, in quanto il live, pur di altissimo livello e ovviamente incentrato per lunga parte sull’ultimo lavoro di sole cover (Torso, NdA), specie nella seconda parte aveva fatto ricorso in misura un po’ troppo invadente di basi, di “non suonato live”, il che mi strideva soprattutto per la presenza sul palco di un quartetto composto da due archi e due ottoni che per il resto del tempo avevano creato vera magia.

Il concerto di ieri invece, nonostante ricalchi quasi fedelmente la scaletta dell’ultima volta, fatta eccezione per l’ordine di alcuni brani e l’assenza di Goodbye, ha dissipato dubbi e perplessità, mi ha mostrato come Anja sia genuinamente se stessa sia quando ti dilania interiormente al piano, come in The Sun (ahimè l’unico brano in scaletta tratto da quel capolavoro che è Lovetune For Vacuum), sia quando fa vorticare nell’aria quelle lunghe braccia, ballando in maniera così sincera e libera Girl Loves Me. Di momenti alti ce ne sono davvero molti, dalla delicatezza di Mystery Of Love, alla poesia di God Yu Tekem Laef Blong Mi, che poi la sua capacità di saltare con assolutamente nessuna fatica dal Tom Waits più puro di Johnsburg, Illinois alla ribaltata Mawal Jamar di Omar Souleyman è una caratteristica che me la fa apprezzare ancora di più, se possibile.

Come se il nostro cuore non fosse già colmo di tanta bellezza sul finire del live la mia austriaca preferita piazza una Pale Blue Eyes molto distante da come era stata realizzata da Reed e compagni, ma alla quale dona un arrangiamento spettacolare, con un crescendo mozzafiato che accompagna l’ormai classica discesa in platea di Anjaa donare fiori a pochi fortunati presenti. Il secondo encore invece parte con Stars, pescato dal repertorio (oltremodo sottovalutato) di Janis Ian e si conclude con l’immancabile Boat Turns Toward The Port, brano di struggente bellezza, sulla cui coda strumentale, eseguita dal resto della band, Anjasi accomoda, schiena poggiata al piano, seduta a terra, a godere di un momento di estatica meraviglia.

Alberto Adustini

Ministri @ Estragon Club

Che bello questo autunno pieno di live interessanti così ravvicinati! Che benessere il programma di sabato sera: io e la mia amica, sushi + Ministri all’Estragon.
Chi potrebbe realizzare un sold-out all’Estragon nella stessa sera della seconda data italiana (di ben quattro) all’Unipol Arena dei Radiohead?

Appena saliti sul palco, Federico Dragogna ci strappa subito una risata dichiarando “Qua le birre intanto vengono la metà di quelle che avreste preso dai Radiohead!”
Voglio tanto bene a Davide “Divi” Autelitano, Federico Dragogna e Michele Esposito. È grazie ai Ministri se ho iniziato a scrivere report di concerti, per una serie intricata di coincidenze che non mi dilungo a descrivere. Li avevo già visti in posto più intimo e rustico come il Rock Planet di Pinarella di Cervia ed aspettavo di vederli in un club più capiente. 

L’occasione si presenta con il tour dedicato alla promozione di Aurora Popolare, loro ultima fatica. Uscito su tutte le piattaforme il 19 settembre, tre anni dopo Giuramenti, Aurora Popolare non si presenta come un album di svolta, la band non cambia registro, rimane coerente al tono e ai temi tipici della loro produzione ormai ventennale.
Si fanno, come da consuetudine, portatori di un messaggio sociopolitico che scomoda la vita quotidiana di tutti noi: il lavoro (precario), i soldi (sempre meno) e i tempi (più bui). L’accento questa volta pare ricadere sulla reazione richiesta davanti a simili condizioni, una chiamata a non arrendersi, un risveglio collettivo. 

A questo riguardo calza a pennello l’intervento di Dragogna (penna, chitarra e seconda voce), il quale, introducendo l’iconica Comunque, commenta: “Nonostante il fatto che davvero non abbiamo più una lira bucata e gli stipendi sono fermi al 2001, nonostante questo, voi siete usciti di casa questa sera, invece che stare a scrollare. Questa è una cosa incredibile e questo soltanto perché vale sempre la pena di provarci comunque”. Forse, per me, emotivamente il concerto è iniziato in quel momento. 

Musicalmente si riconfermano una certezza. L’esperienza Ministri, oltre a far riflettere sulla vita, prima di ogni cosa è sempre stata una potente iniezione di adrenalina.
Ci siamo stupite, nella prima parte del concerto, poiché sembrava che ogni brano fosse una buona scusa per pogare, per fino la title track-inno Aurora Popolare.

Sono sembrati tutti in forma come al solito, a sudare sotto le nuove giacche napoleoniche immaginate e realizzate dallo stylist Nicolò “Nick” Cerioni; tranne Michelino che si presenta in canottiera, comodo per assestare le sue pacche sul rullante. Fede partecipa alla performance con il corpo, con le espressioni del volto, con tutto sé stesso (compreso tutto il suo sudore) e quando mi regala l’assolo di Palude, sono davvero una persona felice. Divi rimane una delle migliori voci del rock italiano attuale: incisiva, vigorosa, in qualche modo ruvida e limpida allo stesso tempo. Non smette di concedersi – giustamente – le sue buone abitudini da rockstar: indìce i poghi, raggiunge il pubblico e si siede (fino a stendersi) tra di noi, cantando una versione acustica di Vestirsi Male, sventola la bandiera con il sol levante di Aurora Popolale e surfa sulla folla. In un’intervista recente ho sentito Michele Esposito definire il più grande pregio di Divi essere “una persona di grande cuore” e ce ne accorgiamo dalla generosità con cui parla degli altri, dagli interventi rivolti al pubblico, al fervente orgoglio con cui presenta i suoi compagni di band, fino alla chiusa in cui spende più di una buona parola nei confronti, non solo della squadra tecnici del tour, ma anche dei Circus Punk in apertura, commentando quanto sia importante per lui fare luce sulle nuove leve, sui tanti promettenti talenti della nuova generazione. 

Dopo il finale di Palude, che mi ha aperto e ricucito il cuoricino, abbiamo potuto tutti salutare la band milanese con un’infilata di brani che mia madre definirebbe “ignorante”, solo puro rock’n’roll: Bevo, Spingere e Abituarsi Alla Fine.
Ce ne andiamo con il sorriso, come dopo aver rivisto una vecchia compagnia di amici dopo anni di distanza. Non importa se non c’è ancora stata alcuna rivoluzione, non importa se i nostri stipendi non aumenteranno, ci sarà sempre un concerto dei Ministri a cui andare per sfogarsi tutti insieme e sentirsi un po’ meglio.

Setlist

Avvicinarsi Alle Casse
Aurora Popolare
Il Sole (È Importante Che Non Ci Sia)
Poveri Noi
La Nostra Buona Stella
Buuum
Comunque
Piangere Al Lavoro
Mangio La Terra
Gli Alberi
Squali Nella Bibbia
La Mia Giornata Che Tace
Tempi Bui
Sabotaggi
Spaventi
Vestirsi male

Diritto Al Tetto
Una Palude
Bevo
Spingere
Abituarsi Alla Fine

Lucia Rosso

Tre Domande a: LupoFiumeLeggenda

Come, quando e perchè è nato il tuo progetto?

La mia è una “storia diversa per gente normale”, per citare Faber.
Come tanti ho suonato nelle band da ragazzo, poi le band si sciolgono, la vita corre e tu ti affanni starle dietro. Ecco, io mi sono trovato in mezzo alla pandemia che avevo quasi 30 anni e una gran paura di vedere i miei sogni diventare rimpianti.
Quindi ho scritto un disco ispirato al libro di Eduardo Galeano Le vene aperte dell’America latina.
Il disco poi l’ho cestinato, però da lì è ripartito tutto!
Ho conosciuto Santona e da allora siamo in pista… In pista o balli o lasci ballare.

Quale messaggio vuoi far arrivare a chi ti ascolta?

Francamente se potessi scegliere preferirei mandare qualche emozione, magari un pianto liberatorio o un sospiro di sollievo, perché è quello che chiedo alla musica da fruitore.
Io faccio musica perché mi diverte farlo, perché non credo ci sia un’età giusta per farlo e perché tiene la mia mente occupata dandomi un senso e un obiettivo. Quindi, forse, il messaggio è questo: “Prenditi tempo per ascoltarti e quando hai sentito bene tutto quello che avevi da dirti prendi la tua strada e pedala”.

Se dovessi scegliere una sola delle tue canzoni per presentarti a chi non ti conosce, quale sarebbe e perché?

Dai lasciamene almeno due ti prego! Già con due faccio la mia porca fatica a scegliere.
Fra le vecchie ti dico AXL, perché secondo me è una chicchetta: in questa canzone penso di aver trovato la giusta sintesi di parole per dare voce all’emozione che mi prendeva il collo in quel periodo. Era estate, ero solo in città, faceva caldo e stavo in casa il pomeriggio a suonare con le “tapparelle tutte giù”; mi sentivo solo e in colpa senza essere solo ne in colpa, però la mia lei era lontana e io realizzavo quanto bisogno avessi di sentirla vicina: “Per fortuna che ora ci sei tu”. All’inizio volevo chiamarla Pomeriggio Zenzero, poi mi sono ricordato che l’aveva già fatta Paolo Conte quella.
Fra i nuovi brani invece ti direi L’età dell’oro che forse è un po’ un B-Side del disco, ma ci sono molto affezionato. L’ho scritta pensando a mio padre mentre mi preparavo a diventare padre, ha tanto valore per me, è la canzone della maturità. Poi “chissenefrega se il fumo ci ucciderà, chissà, però per l’ansia funziona ed oggi l’ansia è qua” e “che fregatura che è la nostalgia, c’ha un prezzo ma, serve a combattere con l’apatia, con la realtà” secondo me son due delle mie migliori frasi.
Scusate la spocchia.

I Cani @ Estragon Club

Le varie volte in cui mi sono imbattuta a parlare con i miei soci, che conducono una vita casa-concerti, dello strano caso di Niccolò Contessa e de I Cani, in qualche modo seguiva tassativamente l’appellativo di “Storia dell’Indie italiano”. Per chi scrive è molto impegnativo elaborare il report di ciò che ha avuto luogo lunedì sera 10 novembre all’Estragon. Essere toccata fino alle viscere da emozioni travolgenti nate dalla delicatezza affilata tipica della band di Contessa, senza averla davvero vissuta e consumata ai tempi d’oro, fa uno strano effetto. La sensazione che ho provato fin dalle prime note era un misto fra il dispiacere per non poter condividere gli stessi ricordi delle ragazze e ragazzi protesi a recitare a memoria ognuno dei pezzi della setlist e l’inestimabile privilegio di poter assistere, dopo nove anni di ritiro dalle scene, ad un concerto de I Cani.
I sei componenti della band prendono posto sul palco e veniamo ipnotizzati da questa scenografia incorniciata da un cerchio di luci che ricorda un po’ il varco di luce o la navicella spaziale che ci porta avanti e indietro fra gli album della loro discografia. Sono in compagnia di alcuni fedelissimi, paladini dei primi lavori: Il sorprendente album d’esordio de I Cani, Glamour fino al penultimo (ormai datato) Aurora. Io, voce fuori dal coro, sono lì, sì anche per qualche storico vecchio brano, ma principalmente per sentire dal vivo Post Mortem, ultimo album uscito a sorpresa lo scorso aprile, che con 2-3 tracce ben assestate in pancia, mi ha stregato.
Il pubblico non comprendeva solo i più prevedibili alternativi, hipster giovani trentenni, punkettoni, ma anche un sacco di ventenni che magari dal loro indie pop hanno approfondito arrivando fino a loro. Chi si stringeva la mano, suggellando l’appartenenza a tutto ciò che arrivava dal palco. Tutti ballavano un proprio ballo. Si respirava qualcosa di più di un semplice concerto: era un rito collettivo, un raduno.
Non posso non osservare fin da subito una netta distinzione fra i brani della setlist selezionati dal passato, energici, ballerini e frizzanti – penso a Le coppie o Post-punk – e il tono, invece, più profondo, cupo e quasi rassegnato del nuovo disco – cito Io, Carbone, Felice e Un’altra onda (unico spiraglio finale di speranza).
Il risultato: una dicotomia sensoriale, volta a raccontare una storia che dura 25 anni e che mantiene però fedelmente la forma, l’elettronica, e l’oggetto, lo sguardo ironico sul tema sociale.

Contessa, anche se evidentemente emozionato, me lo aspettavo forse più loquace nell’ultima data bolognese (ultima di cinque iniziate il primo novembre). Non dedica, infatti, tanto tempo all’interazione col pubblico: saluta timidamente dopo i primi due brani, si concede un crowdsurfing proprio solo all’ultimo momento su Lexotan, sembra tutto concentrato a rispettare la lunghissima setlist, senza chiacchiere di intermezzo. 

Nell’attesa dell’encore, mi unisco al coro “Vorrei stare sempre così / avere cose pratiche in testa / i soldi per mangiare, i dischi, videogiochi e basta” che invoca l’iconica FBYC (Sfortuna), meglio conosciuta come Maledetta Sfortuna. Ma irremovibile, Contessa si dirige al pianoforte per regalarci una toccante versione acustica di Una cosa stupida. 

Si termina sulle note appunto di Lexotan, la folla in altissimo giubilo crea addirittura un circle pit nella zona centrale, dando fiato alla – così probabile, fotogenica e niente affatto patetica o mediocre, ma davvero adeguata – felicità.

Lucia Rosso

Setlist

Io
Buco nero
Colpo di tosse
Come Vera Nabokov
Hipsteria
Questo nostro grande amore
Carbone
Nella parte del mondo in cui sono nato
Nascosta in piena vista
Le coppie
Post Punk
Aurora
Sparire
Corso Trieste
Post mortem
Felice
f.c.f.t.
Davos
Un’altra onda
I pariolini di diciott’anni
Velleità
Calabi-Yau
Il posto più freddo 

Una cosa stupida
Lexotan

Lacuna Coil @ Pumpehuset

For more than two decades, Lacuna Coil has stood as one of Europe’s most enduring and influential gothic metal bands. Founded in Milan in 1994, the group has released ten studio albums, toured the world, and continues to attract fans across generations. Their ability to bridge eras of metal — from the early 2000s gothic wave to modern alternative sounds — proves they remain a meaningful force in the genre.

Last night’s concert at Pumpehusetin Copenhagen was part of the band’s Sleepless Empire Tour, promoting their 2025 album Sleepless Empire. The tour has taken them across Europe and North America, celebrated for its theatrical visuals, darker atmosphere, and a renewed heavy edge that recalls their early work while showcasing their evolution.

The evening began with Nonpoint, the veteran American alternative metal band, who set the tone with fiery energy and an explosive stage presence. Their tight performance and rhythmic intensity immediately drew the crowd in, warming up the venue with headbanging riffs and audience participation. By the time their set ended, Pumpehuset was fully alive — perfectly primed for Lacuna Coil’s arrival.

When Cristina Scabbia and Andrea Ferro took the stage, the atmosphere shifted from excitement to pure electricity. Scabbia’s vocals were a force of nature — powerful, precise, and emotionally charged — while Ferro’s growling counterpoint added depth and grit. Together, their harmonization created a dynamic contrast that remains one of the band’s most distinctive trademarks.

From the first song, the connection between the band and the audience was undeniable. Scabbia’s charisma filled the room, her interaction with the crowd genuine and playful, while Ferro’s energy kept the tempo fierce. Fans — both longtime devotees and younger newcomers — sang along, fists raised, fully immersed in the moment. More than 25 years into their career, Lacuna Coil continues to prove why they’re one of metal’s most enduring acts: powerful, authentic, and in complete sync with their audience.

JAMESON DISTILLED SOUNDS: arriva a Bologna il 4 Novembre al Locomotiv Club con Coca Puma, Eternal Love e Goedi e Filo.

Dopo la prima data ai Candelai di Palermo che ha dato inizio ad una seconda stagione unica e indimenticabile, Jameson Distilled Sounds – il progetto musicale internazionale ideato da Jameson Irish Whiskey –  arriva a Bologna per la seconda tappa, in programma il 4 novembre 2025 presso il Locomotiv Club dalle ore 20:30.

Con l’atteso appuntamento di Bologna, Jameson Distilled Sounds si prepara a regalare un’esperienza unica, destinata a restare impressa nella memoria di chi ama la musica e la cultura contemporanea. Un evento irripetibile, che intreccia suoni, atmosfere e visioni in un mix capace di accendere la città. Jameson Distilled Sounds a Bologna non è solo una serata, ma un incontro di mondi e linguaggi, un’occasione speciale per vivere la musica in modo autentico e condiviso.

A dare il via alla serata saranno, Goedi e Filo, due presenze che con la loro selezione musicale sapranno creare fin da subito il giusto clima, tra vibrazioni calde e connessioni autentiche con il pubblico. Il ritmo continuerà a crescere con Coca Puma, DJ e producer capace di mescolare sapientemente elettronica e influenze urban, dando vita a un set avvolgente, ritmato e carico di atmosfera. A chiudere la serata sarà Eternal Love, il duo milanese composto da Federico Facchinetti ed Edoardo Aldini, conosciuto per la sua capacità di fondere l’energia del dancefloor con una sensibilità musicale raffinata e profondamente emotiva. I loro set sono un vero e proprio viaggio sonoro, dove ogni traccia è scelta con cura per costruire un’esperienza intensa e coinvolgente. 

Non solo musica live, ma un vero hub esperienziale: i partecipanti potranno lasciare la firma sul muro targato Jameson – contribuendo tappa dopo tappa alla memoria collettiva del progetto – e cimentarsi, guidati dal Brand Ambassador Riccardo Cerboneschi, in una sfida a tempo per preparare il cocktail simbolo del brandJameson, Ginger Ale e Lime.

Di seguito le prossime tappe di Jameson Distilled Sounds:

JAMESON DISTILLED SOUNDS – CALENDARIO DATE:

2 OTTOBRE 2025: PALERMO (I CANDELAI) 

Filo & Goedi (opening dj set)

Big Joe (dj set)

Eternal Love (dj set)

4 NOVEMBRE 2025: BOLOGNA (LOCOMOTIV CLUB)

Filo & Goedi (opening dj set)

Coca Puma LIVE

Eternal Love (dj set)

3 DICEMBRE 2025: MILANO (VENUE TBD)

Filo & Goedi (opening dj set)

Willie Peyote LIVE

Eternal Love (dj set)

17 MARZO 2026: ROMA, (VENUE TBD)

Filo & Goedi (opening dj set)

Mara Sattei LIVE

Rossella Essence (dj set) 

Eternal Love (dj set)

MAGGIO 2026: NAPOLI, (GAAARDEN BY AUDIOTECA)

Filo & Goedi (opening dj set)

Mecna LIVE

Rossella Essence (dj set)

Eternal Love (dj set)

Jameson Distilled Sounds svolge un ruolo fondamentale nella sperimentazione di genere, “distillando” la musica di artisti locali e dando loro l’opportunità di creare suoni innovativi come community collegata. I valori di Jameson – indipendenza, autenticità, inclusività e spensieratezza – si basano sul creare connessioni tra le persone e, in questo spirito di unione, Jameson Distilled Sounds permette alla sua famiglia di artisti di trascendere i confini fisici che li separano. La combinazione dei valori del brand unita ad artisti affermati, nuovi talenti e produzioni di alta qualità è il cuore del progetto.

QUI per maggiori info su Jameson e il progetto Jameson Distilled Sounds.

df80b74d 4a70 4b33 87be 0ed68b7b3232 Rolling Stone Italia è media partner di Jameson Distilled Sounds.

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ABOUT JAMESON IRISH WHISKEY 

Jameson è il whiskey irlandese più premiato e più venduto al mondo, classificato tra i primi 4 marchi di whiskey a livello globale e al numero 9 tra gli alcolici in tutto il mondo.  Al primo posto nella categoria dei whiskey irlandesi con una quota di mercato del 67% e dopo aver registrato 30 anni di crescita consecutiva fino al 2019, Jameson ha raggiunto vendite senza precedenti di 10,4 milioni di casse nel 2022. Ogni bottiglia di Jameson è distillata e stagionata presso la rinomata distilleria Midleton nella contea di Cork, in Irlanda. 

ABOUT ROLLING STONE ITALIA

Rolling Stone è la testata dedicata alla musica, al cinema e alla rock culture più influente del mondo. Con headquarter a New York e oltre 50 anni di storia, Rolling Stone vanta un pubblico globale di oltre 60 milioni di persone ogni mese e oltre 100 contenuti pubblicati al giorno. Recensioni musicali, cinematografiche, interviste, commenti di politica e attualità, Rolling Stone ha condotto inchieste e pluripremiate in molti paesi del mondo. In Italia Rolling Stone è un sito web rollingstone.it, una rivista, canali social ed eventi.