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Tre Domande a: Leo Fulcro

Ci sono degli artisti in particolare che influenzano il tuo modo di fare musica o a cui ti ispiri?

Dico sempre loro: Mac Miller e Kid Cudi. Hanno ispirato migliaia di rapper e artisti, forse è per la sincerità della loro musica. Sicuramente per lo stile. Mac rendeva tutto quello che toccava cool, e Cudi ha veramente anticipato i tempi rispetto al panorama mondiale. Il suo disco Man on the Moon mi ha ispirato per il mio EP Boy on Earth.

Se dovessi riassumere la tua musica con tre parole, quali sceglieresti e perché?

Onesta, profonda, leggera.
Onesta perché se pubblico una canzone la faccio proprio perchè ci credo e sia il testo che la musica sono stati a lungo dibattuti e ponderati sia da me che dai chi collabora alla canzone.
Profonda e leggera può sembrare un ossimoro ma è proprio quello che cerco di fare:  discorsi complessi con immagini semplici.

Se dovessi scegliere una sola delle tue canzoni per presentarti a chi non ti conosce, quale sarebbe e perché?

Credo sceglierei Gange, perchè esprime perfettamente lo stile happysad sul quale faccio ricerca.

EXTREME: una data a Milano a dicembre

Grande ritorno in Italia per EXTREME, iconica hard rock band americana che pubblicherà il 9 giugno il nuovo album “Six”. Il gruppo guidato dalla chitarra di Nuno Bettencourt e dalla voce di Gary Cherone sarà in concerto all’Alcatraz di Milano sabato 16 dicembre 2023 nell’unica data italiana del “Thicker Than Blood Tour”.
In apertura si esibirà un’altra apprezzatissima rock band contemporanea: The Last Internationale.
 
biglietti per lo show saranno in prevendita esclusiva tramite Metalitalia.com a partire dalle ore 10:00 di domani 23 maggio fino alle ore 18:00 del 25 maggio. Prevendita generale dalle ore 10:00 del 26 maggio su Ticketone. Saranno disponibili VIP Package.

Radiofreccia e Metalitalia sono media partner del concerto.
 
Di seguito i dettagli della data:
EXTREME
+ The Last Internationale
sabato 16 dicembre 2023
Milano, Alcatraz

BIGLIETTI
https://www.ticketone.it/artist/extreme/
Prezzo del biglietto in prevendita: € 40,00 + d.p.
Prezzo del biglietto in cassa la sera dello show: € 46,00
Prezzo di Extreme Soundcheck Experience: € 207,04
Il pacchetto include:
– Biglietto di accesso allo show “Posto unico in piedi”
– Partecipazione al soundcheck
– Poster esclusivo e autografato
– Foto di gruppo davanti al palco con gli Extreme
– Laminato VIP commemorativo*
– Ingresso anticipato
*Il laminato ha solo scopo commemorativo. Non acquisisce o autorizza l’accesso alla Venue, aree VIP o backstage.
 

My Soft Machine

Arlo Parks è una ventiduenne londinese, attiva dal 2018, che vanta un album di esordio clamoroso.
Collapsed in Sunbeams (questo il titolo dell’opera prima) portò a casa un Mercury Prize e un Brit Award. Un debutto che ha posto l’asticella in alto. Forse troppo. Era il 2021, eravamo tutti allegramente in burn out da pandemia e l’opera prima della Parks sembrò una sana seduta di psicanalisi collettiva, una condivisione in bei versi di temi discretamente pesanti, come ansia e depressione, cullati da melodiose ninne nanne.
Leggendo la descrizione che la stessa cantante fa del disco e del suo titolo, si poteva immaginare un degno secondo capitolo, nuove storie da aggiungere all’immaginario dell’artista, una fuoriclasse nella creazione di piccole storie, di brevi racconti, struttura e fulcro del primo lavoro.
Del nuovo album dice in sostanza che l’idea è nata durante la visione di the Souvenir, un film di Joanna Hogg, in cui uno dei personaggi sostiene che “we don’t want to see life as it is played out, we want to see life as it is experienced in this soft machine”.
Il cinema è spesso presente, con riferimenti sparsi, alcuni espliciti, come quello di Romeo + Juliet per la scena dell’incontro attraverso l’acquario, o la Juliette Binoche citata nella canzone Impurities
Sentimenti, esperienza e medium, il tutto condito con liriche sempre di notevole impatto. Un proposito impegnativo, quello dichiarato dalla giovane cantante.
Il senso delle tracce è analisi delle emozioni, dei sentimenti, attraverso personalissimi percorsi mentali. C’è un’urgente richiesta di affetto e di amore, con riferimenti non troppo celati verso Ashnikko, il suo partner attuale. La soft machine di Arlo è in azione e non è di semplicissima comprensione. 

È un disco col trucco. Le prime tracce infatti illudono l’ascolto: si inizia con Impurities, che apre con loop orientaleggianti, mentre le parole di Arlo ci offrono garanzia di comprensione, accettazione e redenzione. Il tutto è orecchiabile e salvifico, un meraviglioso benvenuto per aprire l’album. Segue Devotion che, dopo un circa un minuto introduce golosissime chitarre che ahimè non torneranno mai più. Già, perché l’album inizia a sfumare, soprattutto nella sua parte finale. Sia chiaro, nelle successive Blades, Purple Phase e Weightless tutto funziona alla perfezione, liriche con immagini che sono sempre centrate ed efficaci, come la decadente “there are sandflies in the champagne” in Weightless. Menzione d’onore però per Pegasus, in duo con Phoebe Bridgers, che ricorda molto da vicino le canzoni del suo primo album, sia a livello musicale sia testuale.
Come detto prima, però, dall’ottava traccia l’album perde la spinta iniziale e termina per inerzia fino a Ghost, canzone che chiude il secondo lavoro della Parks. 


È un lavoro ben confezionato, ben prodotto, sicuramente pieno di buone idee, ma non ha quella luce nuova del disco di esordio. E non è neanche una sua naturale prosecuzione, si vira da un indie-trip-hop-soul della prima opera a un pastiche sospeso tra sperimentazioni e synth sognanti del secondo. È una prova d’autore, che però non apporta né progressi né mirabolanti sterzate. Il suo titolo ha forse una interpretazione freudiana, in cui l’emotività è passata attraverso un processo meccanico. Manierismo et empatia, sempre ben presentate, sia chiaro.
Nel disco aleggia un sentimento di panica accettazione, di “delicatismo”. Dopo aver raccontato di sé stessa al mondo, delle proprie paure e sconfitte, il tutto in un contesto pandemico, in questo lavoro sembra sorgere il bisogno di un ritorno alla gentilezza e ai sentimenti amorosi.
Un po’ in comfort zone, un po’ troppo presto.
Rimangono quegli sprazzi di luce di cui si parlava sopra, nella speranza che siano sentieri inesplorati in cui Arlo avrà voglia di fare nuovi passi, lasciando vie note per sperimentare senza paura.

Gut

C’è quella splendida poesia di Emily Dickinson, There is a solitude of space, che oltre ad essere tra le mie preferite, sembra essere stata scritta per tratteggiare delicatamente, in disparte, il nuovo disco di Daniel Blumberg, Gut.

Il terzo lavoro solista dell’artista londinese è un lento incedere in uno spazio sospeso, che pare non avere inizio né tantomeno fine, non ha collocazione né direzione, trascende i banali concetti di spazio e di tempo, è la finite infinity che chiude la poesia di cui sopra.

There is a solitude of space / A solitude of sea / A solitude of death, ed infatti Gut è stato scritto e suonato interamente da Blumberg, con pochissimi strumenti, piano, batteria, sintetizzatori, un’armonica, e te ne accorgi nei poco più di trenta minuti di durata, nei quali spesso le strutture ridotte all’essenziale reggono la voce, forse mai così espressiva come qui, vedasi in Holdback per esempio, o nella finale Gut

Blumberg racconta che Gut, intestino (ma anche coraggio, come precisa), sia nato in un lungo periodo di malattia fortunatamente superato, e che sia questo il trait d’union, almeno a livello tematico, delle sei tracce.

L’estrema sintesi alla quale spesso si fa ricorso (sicuramente l’iniziale Bone) non è frutto di un lavorare per sottrazione, quanto piuttosto logica conseguenza di una ricerca dell’essenziale, del necessario per cui anche della tecnica del sampling e della ripetitività, basti pensare che il testo di Knock, brano che vive di silenzio nella prima parte per concludersi con un maestoso climax, è composto da soli termini presenti nelle tracce precedenti.

Se avete amato quanto il sottoscritto Minus and On&On, non resterete di certo delusi, Daniel Blumberg, che è realmente un artista a tutto tondo, nell’occasione musicista, allarga ed espande i propri confini, già smisurati, in nessuna direzione particolare. O forse dappertutto.

There is a solitude of space
A solitude of sea
A solitude of death, but these
Society shall be
Compared with that profounder site
That polar privacy
A soul admitted to itself —
Finite infinity.

Pentatonix @ Palasport

Vigevano, 25 Maggio 2023

Ci vuole talento a fare musica suonando e cantando.
Ci vuole ancor più talento a fare musica usando solo la propria voce.

Un dono, una benedizione, un incantesimo: chiamatelo come volete, ma quello che i Pentatonix riescono a fare non si può forse declinare ad una sola definizione. Il modo in cui armonizzano tra loro, si ascoltano e si supportano con le rispettive intonazioni infatti, è pura magia: ed è ancora più mistico osservare dal vivo le loro interazioni ed emozioni prendere vita sul palco.

Dopo tre anni di rinvio, i Pentatonix salgono finalmente sul palco del Palasport di Vigevano per l’unica data italiana del loro tour: fuori piove, il parcheggio è pieno di macchine. Per non rimanere imbottigliata nel traffico, decido di parcheggiare un po’ più fuori, in una via residenziale. “Chi c’è stasera?” Mi chiede il signore che entra nella casa davanti alla quale lascio la macchina. “I Pentatonix, fanno musica a cappella”. Il signore mi guarda confuso, ma mi augura comunque buona serata. Corro verso l’ingresso con un pensiero in testa: come faccio a spiegare a qualcuno l’arte dell’esibirsi a cappella, senza usare quindi strumenti vocali a rinforzo della voce? Come faccio a ridurre l’incredibile carriera dei Pentatonix, gruppo nato nel 2011 dall’unione tra la bravura e la passione per questa particolare forma musicale di Scott Richard Hoying, Kirstin Taylor Maldonado e Mitchell Coby Michael Grassi, completata poi dall’unione al gruppo di Kevin Olusola e Matt Sallee?

Forse non si può, perché anche qui, ogni definizione sarebbe riduttiva. Penso ai loro tre Grammy Awards, alle loro molteplici cover a cappella di successo. Penso a come li ho scoperti su Youtube ormai sei anni fa proprio grazie ad un titolo in particolare. Penso a tutte queste cose, ma poi non penso più a nulla, perché le luci si abbassano, e i Pentatonix entrano in scena. Non hanno bisogno di nulla se non di loro stessi per regalare al pubblico una serata indimenticabile: in un palco praticamente spoglio, illuminati da giochi di luci che vanno a ritmo con le canzoni, indossano dei look casual sulle tinte del rosa/viola, ed è chiaro fin da subito che sono lì per divertirti, e per far divertire tutti i presenti con loro.

Cinque voci le loro che, come il canto delle sirene, ci trasportano in atmosfere diverse: qualche passo di danza ritmato, l’interludio per farci imparare i versi di una canzone e realizzare così uno dei loro famosi TikTok in cui coinvolgono il pubblico ogni sera in modo diverso, tanta interazione con i presenti e niente altro. Perchè non c’è bisogno di altro: siamo stregati fin dall’inizio, quando intonano Sing e Na Na Na. Scott salta da una parte all’altra del palco, Mitchelll con la sua compostezza raggiunge note celestiali, Kirstin ha una naturalezza incredibile nel destrassi tra generi diversi, Matt fa vibrare l’anima con i suoi bassi e Kevin è “semplicemente” Kevin, che suona il violoncello mentre fa beatboxing (in tutto questo, è pure laureato in medicina a Yale).

La scaletta che propongono è varia: dalle loro canzoni originali (come Love Me When I Don’t) si passa a The Sound of Silence (da pelle d’oca, grazie alle cinque tonalità diverse delle loro voci che confluiscono in maniera magistrale creando un flow unico), Creep e Shallow. Sono cover per la maggior parte, ma sempre interpretate in modo molto personale, creativo e sentimentale: c’è tutta la loro anima in quelle note che si alternano, incontrano e fondono. In tutto ciò, ricordiamo, non c’è mai uno strumento (se non per quei due brani che Kevin ci regala con il violoncello). Ma non se ne sente l’assenza, tutt’altro.

Come possono mancare poi i loro iconici medley? Da quelli rock (con Kevin e Matt a incitare il pubblico a seguirli mentre propongono un mashup tra, ad esempio, Sweet Caroline, I Want It That Way, The Fresh Prince of Bel-Air e We Will Rock You) ai dance anni ’90 (e sì, Boom, Boom, Boom, Boom!!, Every Time We Touch, Blue (Da Ba Dee) stanno benissimo insieme), sembra che una playlist casuale abbia preso vita, dove c’è spazio per tutto e dove tutto ti travolge.

Nel momento in cui intonano Hallelujah, la cover del celebre brando di Leonard Choen con oltre 710 milioni di visualizzazioni su Youtube, quella con cui li ho conosciuti e che mi fa realizzare che sono davvero lì, ad ascoltarla da vivo, condividendo quei rari brividi di emozione con la folla, comprendo che la serata non è un concerto, ma un’esperienza collettiva: tra loro sul palco e noi del pubblico per terra o sugli spalti, è un unico, indimenticabile momento di pura energia, di pura vita. 

“Waited a hundred years to see your face and I would wait a hundred more, If only to be near you, to have you and to hear you, isn’t that what time is for?” Cantano utilizzando solo tre microfoni centrali e circondati da un silenzio rispettoso. “Sì”, vorrei rispondere, “This is what time is for”. Ci lasciano con questa riflessione, prima di travolgerci un’ultima volta con Bohemian Rhapsody.

“Is this the real life? Is this just fantasy?” Non si può esserne veramente sicuri quando si parla del talento dei Pentatonix. Una volta uscita dal Palasport, e mentre sono in macchina per rientrare a Milano, realizzo che forse, in realtà, non voglio nemmeno sapere la risposta. Che siano veri o fantasia, i Pentatonix sono una forza della natura, una forza della musica, da custodire nel cuore e farne tesoro.

Tre Domande a: Wicked Expectation

Cosa vorreste far arrivare a chi vi ascolta?

Siamo sempre stati amanti del sound design, quindi in prima battuta ti diremmo la scelta dei suoni, il mix tra strumenti analogici e digitali e la voglia di unire alcuni aspetti della musica elettronica ad altri della musica pop.
Scavando più in profondità, però, ci piacerebbe far immaginare l’ascoltatore. Ci piace scrivere testi interpretabili, in base al momento in cui vengono ascoltati ed allo stato d’animo dell’ascoltatore. Da sempre nutriamo interesse verso il rapporto uomo-natura e le relazioni sociali, prova ne sono gli ultimi due video pubblicati: Moving Clockwise pone l’attenzione verso l’acqua, risorsa preziosa ma che, a causa dell’uomo stesso, si rivela addirittura mortale, prova ne sono gli eventi di questi giorni in Emilia-Romagna. Con l’ultimo video, Ghostly Noise, abbiamo voluto raccontare la solitudine personale, nonostante spesso si viva in ambienti affollati nei quali è facile credersi al centro della scena.

Qual è la cosa che amate di più del fare musica?

Amiamo la commistione di generi che possiamo creare, amalgamando i nostri ascolti e le nostre fantasie. All’interno della band convivono passioni musicali completamente differenti, che influenzano il nostro modo di fare musica.
Inoltre abitiamo in città diverse (Torino e Milano), viviamo contesti differenti che ci aiutano ad avere sempre nuovi stimoli. Grazie alle nuove tecnologie riusciamo spesso a comporre i pezzi a distanza, scambiandoci i progetti e le registrazioni, prima di trovarci in studio ed amalgamare il tutto. 
Probabilmente siamo una band atipica, che non compone grazie alle jam session in sala prove, ma ci è sempre venuto naturale così ed i pezzi del nuovo EP Inner Jungle non fanno eccezione. La novità di questi ultimi brani risiede nella produzione: abbiamo lavorato con il produttore di Sideshape Recordings Alessandro Di Paola, che si è occupato anche del mix finale.

Progetti futuri?

Dopo la pubblicazione del nuovo EP Inner Jungle in digitale e vinile, prevista per il 30 maggio, suoneremo live in alcuni festival e rassegne italiane. Stiamo lavorando per far rendere bene i nuovi pezzi anche dal vivo. Abbiamo costruito un set up che ci consente di suonare live molte parti dei brani, nonostante l’utilizzo di sample lanciati dai nostri controller sul palco durante le canzoni e suonati da noi durante le sessioni di registrazione.
Il calendario è in aggiornamento e sarà presto sul nostro sito e sui nostri social.