Tre Domande a: Santoianni
Come e quando è nato questo progetto?
Il progetto è nato nell’estate del 2023, poco dopo aver compiuto i fatidici 30 anni, dalla collaborazione con Luca Lanza e Molla (i due produttori artistici dell’album). Mi sono reso conto poco dopo quel “traguardo” di aver diverse questioni irrisolte che necessariamente stavano finendo nelle mie canzoni. Avevo bisogno di esorcizzare la sensazione di oppressione che sentivo dentro, fatta di responsabilizzazione ingiustificata e grandi dubbi sul futuro. È stato entusiasmante vedere come in pochissime settimane di scrittura si sia formato in maniera naturale questo concept de La Soglia dei Trenta in cui partendo dal mio soggettivo stato d’animo ho provato a buttare fuori tutto il mio pensiero critico ma anche prospettico sulla società che ci circonda. È stato un viaggio breve ma molto intenso sia a livello emotivo che, soprattutto, creativo.
Cosa vorresti far arrivare a chi ti ascolta?
Vorrei che chi venisse a contatto con questo album La Soglia dei Trenta si soffermasse il più possibile sul ragionamento che c’è nelle otto canzoni che lo compongono. Sono consapevole che in alcune di queste canzoni ci sia una visione molto netta del mondo, che per certi versi possa risultare in qualche modo divisiva. Il mio obiettivo è proprio quello di far sì che l’ascoltatore possa in qualche modo soffermarsi sulle cose, anche per controbattere e posizionarsi dall’altra parte rispetto al mio pensiero. Sono convinto che oggi la musica e le canzoni possano trovare finalmente lo spazio giusto per esprimere tutto il loro potenziale, che da sempre va ben oltre al solo svago e divertimento, diventando così strumenti di dialogo e dibattito, ma per poterlo fare devono essere sincere e schiette. La mia domanda in questo caso è “Come ci siamo arrivati fin qua?”.
Qual è la cosa che ami di più del fare musica?
Senza ombra di dubbio suonare dal vivo. Quando un progetto artistico incontra la gente secondo me esprime il massimo di quello che può dare. Per fortuna dopo qualche anno di palchi e di musica dal vivo la bilancia tra “ansia da prestazione” e “divertimento” si è spostata decisamente verso quest’ultimo aspetto. Suonare le mie canzoni e cantare i miei testi potendo guardare in faccia il pubblico è il momento in cui mi ricordo perché ho scelto di provare a fare il cantautore.
Turnstile @ Circolo Magnolia
Schiena che si incolla al sedile dell’auto, cappa di umidità sopra le teste a celare il sole, zanzare qui e lì… sì, siamo ufficialmente entrati in estate. E per noi adepti di Bruno Martino e del suo pezzo più celebre, conosciamo un solo metodo per non pensarci e combattere il disagio, ovvero andare a vedere un concerto (sì ok, anche chiudersi in casa con l’aria condizionata, ma abbiamo una coscienza green che ce ne limita l’uso).
Ed eccoci quindi al Magnolia per l’unica data italiana di quella che viene da più parti definita la miglior live band in circolazione, i Turnstile.
La serata tuttavia prevede un succoso antipasto, ovvero gli inglesi Ditz, quintetto di area post punk, capitanati da Cal Francis, frontman dalla personalità e magnetismo inversamente proporzionali alla bellezza della capigliatura, qualunque cosa questo significhi. Il set dei Ditz comunque è letteralmente spettacolare, una prima parte di chitarre taglienti, la batteria di Sam Evans mai banale, Cal Francis con la sua mimica facciale alla Buster Keaton, che organizza il pogo, separa la folla come un moderno Mosè, scende dal palco per arrampicarsi sul tetto della centrale termica, evidente citazione di Eddie Vedder al Pinkpop del 1992, in certi momenti più sguaiati mi riporta alla mente sua maestà David Yow, non ho timore a scriverlo. La seconda parte purtroppo è pesantemente segnata da un problema al microfono, ma i cinque non si risparmiano e portano a casa una prestazione mostruosa, sebbene praticamente strumentale. Andateveli a vedere perché meritano.
Poco prima delle 22 ecco che un boato del folto pubblico accoglie la band di Baltimora, e pronti via classica selva di bicchieri lanciati in aria, pogo allegro e Brendan Yates a caricare a testa bassa con la travolgente T.L.C.
I volumi e la resa invero impiegano un paio di brani a trovare la quadra, anche se l’impatto visivo e scenico colmano abbondantemente qualche minima lacuna. La scaletta attinge ovviamente principalmente da Glow On, il loro disco della consacrazione diciamo così. Il pubblico canta e partecipa con un entusiasmo travolgente, tanto che Brendan in più occasioni lascia fare per dedicarsi a tempo pieno nella sua ricerca di ripercorrere ed emulare i passi e le movenze di Patrick Swayze in Dirty Dancing (prima o poi qualcuno dovrà fare questo mash up, ovvero Yates che balla su The Time Of My Life o Be My Baby, io aspetto, nessuna fretta).
Mi incupisco solo un attimo, quando quattro quinti della band lasciano il palco al solo Daniel Fang per cinque minuti di assolo di batteria… cioè ma veramente?
Ma che siamo ad un live dei Dream Theater?
Vabbè poco male, possiamo soprassedere, anche perché è tempo del gran finale, ovvero Blackout, un paio di minuti per rifiatare e cantare in coro ad una voce Alien Love Call e il suo mantra “Can’t be the only one” e poi l’uno due finale, da stendere chiunque, Mystery e Holiday.
Tutto bello, bellissimo, forse un po’ troppo breve (50 minuti mal contati), ma non misuriamo certo le emozioni e le sensazioni in minuti o ore.
Per fortuna, da sempre e speriamo per sempre, sotto al palco il tempo scorre e si misura in altra maniera. L’unità di misura? La canzone. Penso.
Alberto Adustini