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Keep Me on Your Mind/See You Free

Il sole caldo del tramonto penetra insolente dalle grandi finestre situate all’entrata.

L’aria è carica di chiacchiere, l’odore di cibo si appiccica ai vestiti e le pinte di birra si svuotano velocemente per dissetare le gole arse dei clienti. 

Il pub è colmo di chincaglierie che ripercorrono varie epoche, l’atmosfera rilassata e intima del locale regala l’opportunità di sentirsi a casa anche ai turisti provenienti da lontano.

Qui, al pub Levis Corner House, di Cork, c’è un vecchio pianoforte verticale, e quadri disseminati sulle pareti che sembrano vegliare sulle confidenze e le risate degli astanti.

Il posto perfetto per incidere un album indie/folk. 

Ed è qui infatti che i Bonny Light Horseman decidono di registrare il loro terzo lavoro Keep Me On Your Mind/See You Free, un doppio album complessivo di venti brani, registrato appunto in questo clima distensivo e casalingo, usando quel meraviglioso piano verticale e strumenti trovati qua e là nel locale.

Il trio è l’incarnazione dell’ideale indie/folk, e ne consegue che questo disco sia l’emblema di questo genere musicale, che va oltre la musica in sé, ma si fonde con le personalità e l’emotività dei componenti del gruppo. 

La voce delicata, quasi fanciullesca di Anaïs Mitchell che si fonde con la semplicità della voce di Eric D. Johnson (cantante, compositore, polistrumentista e leader dei Fruit Bats, e in passato membro de The Shins) e il talento dell’eccentrico Josh Kaufman (polistrumentista, cantautore, produttore, compositore e arrangiatore) che da bravo burattinaio muove i fili, rendendo unica la composizione e l’esecuzione dei brani.

L’album si apre con Keep Me On Your Mind, preghiera disperata contro la paura di venire dimenticati da qualcuno che ha significato molto.

Il loro primo singolo è When I Was Younger, una ballad in pieno stile indie, coinvolgente e a tratti euforica, che rappresenta musicalmente l’evoluzione dell’amore, dall’età adolescenziale a quella adulta, la malinconia del lasciar andare la vita smodata e leggera per qualcosa di più concreto e reale. E di come i sentimenti si modificano durante il processo, senza perdere vigore, ma anzi rafforzandosi con l’avvento della consapevolezza. Il videoclip è girato nel pub in cui è stato scritto l’album, e ne racchiude in pieno l’anima.

I Know You Know, il secondo singolo, è una dedica all’amore vissuto e perduto, un sentimento così forte e coinvolgente che offusca la mente, perché, come canta Eric nella sua fragilità “Love is rare, love is wild and hard to find, ci insegna a saper lasciare andare quando è il momento.

Il brano più folk contenuto nell’album è Hare and Hound, un rincorrersi di mandolini ed emozioni come una lepre da un segugio.
Un’aura di malinconia aleggia in Speak To The Muse, dove la voce di ingenua e pura di Anaïs comunica tutta la sua afflizione per la perdita di un’amore.

Your Arms (All the Time) è l’abbraccio rincuorante e la sensazione di essere nel posto giusto al momento giusto. Scrutare occhi sinceri e avvolgenti, sentirsi a casa nelle braccia di qualcuno. 

L’ultimo brano See You Free, è una accorata liberazione dalle catene di un’amore che non crea più magia ma solo disperazione.

Un doppio album saturo di emotività, dove il trio esprime il tortuoso viaggio della vita: il trauma della crescita, il dolore della perdita, intricato gioco dell’amore, la speranza per il futuro e l’importanza di sentirsi una comunità.

L’intimità di questo disco è smisurata, riescono a farci sentire parte integrante della “famiglia”, e soprattutto, chiudendo gli occhi, si sente il calore del pub, l’odore dell’olio usato per lubrificare il pianoforte verticale e la serenità nell’accettare che la vita è cambiamento, crescita, e sofferenza.

Sanno come rendere perfetto qualcosa facendo leva proprio sulle imperfezioni.

Eels Time!

È tempo di recensire Eels Time!, l’ultima fatica discografica degli Eels su E Works/Play It Again Sam. La one man band guidata dal camaleontico Mr. E torna nei negozi di dischi (o forse è meglio dire, perché è vero che il tempo cambia le cose, sulle piattaforme di streaming) con dodici tracce registrate tra la California e l’Irlanda che costituiscono una profonda riflessione su ciò che significa crescere, invecchiare, provare a riconciliarsi con il proprio passato e fare il bilancio di un vita intera: un gioco da ragazzi. 

Appare dunque evidente che si tratta di un disco autobiografico; in effetti il bambino iperattivo che al sabato mattina si svegliava due ore prima dei suoi genitori ha da poco superato i sessanta. Oltre a questo, Eels Time! è un LP (come si diceva una volta) molto maturo, che allontana le anguille dalla dimensione di band da colonna sonora e consacra il gruppo come uno dei principali esponenti di quel movimento alternative con sfumature indie-folk di cui ha sempre fatto parte. 

Un album autobiografico e maturo non può che essere un album cantautorale, come dimostra la titletrack nonché canzone d’apertura Time, che racchiude la natura riflessiva e malinconica di un lavoro di cui risulta essere il simbolo. Mr. E canta con la consueta voce al contempo graffiante e morbida alla Jeff Tweedy e suona una chitarra acustica che riporta alla memoria le atmosfere dei Velvet Underground più rilassati, come se avesse voluto scrivere, questa volta, la sua Sunday Morning. Il brano viene poi impreziosito da un violino delicato e da un vistoso basso, che è protagonista in tutta la tracklist e, in modo particolare, nella trascinante e splendidamente anni ’90 Goldy, caratterizzata da sonorità elettroniche, un irresistibile ritornello pop e un coro finale. L’album scorre compatto e piacevole con Sweet Smile, che sembra una canzone acustica degli Strokes, e con lo spoken word della cupa Haunted Hero

Gli arrangiamenti non sono garage rock come quelli di Shootenanny! (gli Eels battono il record di titoli con il punto esclamativo!) ma sono essenziali e lasciano spazio ai testi, che tornano ad essere intensi ed ispirati nel lato B che si apre con And You Run. Da questa ballata, che potrebbe essere uscita da Pet Sounds e che viene sorretta da una linea di basso bellissima, affiora la serenità interiore di Mr. E, che dialoga con se stesso e canta “Some days I have to ask myself why / I wanna put myself through this / and other days I answer myself / ‘cause I don’t have any choice” come se volesse dirci di non aver più bisogno di novocaina per l’anima perché si è reso conto che, in fondo, la vita non gli è poi così andata male (o perlomeno, poteva andargli peggio). 

Il tema della felicità è il fil rouge degli ultimi brani e viene affrontato in I Can’t Believe It’s True e nell’eloquente Let’s Be Lucky. Nella prima il leader degli Eels canta persino “So grateful for my luck” mentre nella seconda, che è anche l’ultima traccia del disco e si conclude con una lunga, epica coda, riflette sul fatto che la felicità è una scelta come dimostra affermando “It would be a shame to waste a day like this”. In un certo senso, sembra che il passare del tempo lo abbia aiutato ad elaborare, superare i rimpianti e dimenticare le occasioni perse, portandolo alla conquista completa della pace. 

Da un punto di vista strettamente musicale l’album può essere considerato abbastanza pop (questa è la parola che compare più di frequente nei miei appunti), ma non è un difetto: è un disco raffinato senza essere stucchevole, un disco sereno da ascoltare forse più “In the warm California sun” che non  in Irlanda, un disco che non deluderà tutti quelli che nel 1996 hanno comprato il primo disco della band. Infatti, in un’enciclopedia del rock che il mio papà collezionava quando ero piccolo ho trovato una definizione che andava bene allora come oggi: “La musica che scaturisce da Beautiful Freak è una specie di folk-pop elettronico tinto di hip-hop”.. a dimostrazione del fatto che alcune cose, malgrado il tempo che passa, rimangono, come gli Eels!

Traccia da non perdere: Goldy