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Tag: concerto

Frantic Fest 2022

Se ancora non ne siete a conoscenza sappiate che in Abruzzo, e precisamente a Francavilla al Mare, nella inusuale location di un complesso sportivo, si svolge un fantastico e unico evento musicale… ed è esattamente li che ci siamo diretti: al Frantic Fest.

Il Tiki Taka Village ha ospitato, dal 18 al 20 agosto, uno degli eventi estivi imperdibili per tutti gli appassionati di metal e punk, dopo una brusca frenata a causa della pandemia. Era chiaramente percepibile la partecipazione e l’entusiasmo di chi era presente al festival, dopo questo stop forzato, per una tre giorni di pura e semplice potenza sonora.

L’evento è ben organizzato: le indicazioni su come raggiungere il luogo sono precise e chiare, è presente un’area gratuita per campeggiare ma con posti limitati, uno grande spazio per il merch delle band e le distro, ma soprattutto l’entrata gratuita fino a 15 anni è una piacevole sorpresa per chiunque proponga alla propria famiglia un weekend decisamente alternativo. Unica nota negativa è quella di doversi portare in giro per tutta la durata dell’evento il bicchiere in plastica del Frantic Fest che vi servirà per acquistare da bere.

Non abbiamo potuto raggiungere il Frantic Fest nella giornata di mercoledì 17 agosto, quella dedicata all’opening party del festival, dove c’era la possibilità di assistere a una line up di band italiane di tutto rispetto, come Comanoise, My Kimono, Sons of Thunder e gli headliner romani Shores of Null, che fondono un genere doom con il death metal e sonorità decisamente gotiche.

La giornata del giovedì 18, che è stata aperta dagli Oreyon, ha da subito stupito con una live incredibile dei Messa, band italiana veramente straordinaria che spazia dalle atmosfere doom ed evocative fino a toccare l’ambient: a nostro avviso la miglior performance dell’intera giornata. Si susseguono poi incessantemente tra i due palchi del festival i Naga, gli Ufomammut con le loro influenze stoner e sludge metal, Nero di Marte e gli statunitensi Nebula che ci hanno fatto letteralmente volare nelle atmosfere del rock psichedelico degli anni ’70. Dopo la live degli Ovo finalmente è stato il momento degli headliner Godflesh che hanno letteralmente trasformato il Frantic Fest in un muro sonoro di industrial metal. Bravi e strepitosi, non c’è che dire, ma abbiamo trovato la loro performance un po’ debole rispetto a quelle viste precedentemente. Chiudono i Nunslaughter, storica band formata negli anni ’80 che, con un live “vecchia scuola”, hanno portato il loro death metal come uno schiaffo (in senso buono) a tutto il pubblico che si era abituato alle sonorità doom/stoner che caratterizzavano la prima giornata del Frantic.

 

frantic fest goblin simonetti

 

Il day 2 inizia nel peggiore dei modi. Una fortissima perturbazione durante la notte ha letteralmente distrutto tutti i gazebo adibiti nello spazio merch e messo a serio rischio tutto il service per le band e l’evento stesso, come mostravano le foto dalle pagine social del festival. Lo staff del Frantic Fest non si è perso d’animo e ha fatto l’impossibile, ripristinando tutta l’area durante la mattina e permettendo alla giornata di proseguire senza intoppi. Questo dovrebbe darvi la misura di quanto siano seri e professionali queste persone.
Si riparte quindi con un po’ di ritardo: Spoiled, thrashcore da Roma super veloce, super furioso e con voce femminile, un chiaro segnale di come sarebbero state le sonorità dell’intera giornata. Proseguono poi dal palco grande gli Ereb Altor. Svedesi che fondono un epic metal al doom e al black metal ma che hanno portato un concerto un po’ sottotono se si pensa a quello che avremmo visto durante le ore successive. I Tenebra hanno risollevato la situazione del live precedente. Heavy rock con tante influenze anni ’60 e ’70 cantato dalla voce di Silvia, strepitosi. Il susseguirsi del tecnico death metal dei Demilich e quello progressive dei romani Bedsore hanno poi rincarato la dose delle vocalizzazioni growl e scream del Frantic.
Si arriva a una delle band più attese della giornata: gli italianissimi Fleshgod Apocalypse. Originari di Perugia, questa band di symphonic death metal che sta calcando i grandi palchi internazionali ha portato uno spettacolo di altissimo livello, con grande teatralità e partecipazione da parte del pubblico. Un ottimo live degli Assumption apre le porte per gli headliner del secondo giorno. I Benediction, band death metal inglese in attività da 1989, sono stati grandiosi e visivamente contenti del grande entusiasmo che c’era sotto al palco, ringraziando sinceramente tutto il pubblico e l’organizzazione del Frantic Fest. Si sono giocati la miglior performance della giornata assieme ai Fleshgod Apocalypse. Chiude il goregrind dei Guineapig dopo una lunga e piacevole giornata all’insegna di sonorità più estreme rispetto a quelle del day 1.

Terza e ultima giornata. Aprono i danesi Septage con il loro goregrind di qualità suonato sotto al sole cocente del palco piccolo, purtroppo con la partecipazione di poco pubblico rispetto agli altri live dello stesso giorno. Seguono dal palco grande i Plakkaggio, una delle migliori band Oi! Italiane (la band preciserebbe con Black Metal Oi!) influenzato da sonorità decisamente da headbanging. Suonano alla grande, coinvolgono il pubblico e sono delle macchine da guerra dell’intrattenimento. Continuano gli esperti Hyperdontia, band formata da musicisti di diversi paesi, tra cui lo stesso bassista dei precedenti Septage; un live godibile di una band che vi consigliamo di seguire. Le influenze poetiche dell’alternative rock di Patrick Walker e del suo progetto 40 Watt Sun calmano decisamente l’atmosfera partita con grind e death metal. Spaziali è il termine giusto con cui potremmo descrivere questo live che ha rapito il pubblico presente sotto al palco. La calma di questo cantautore inglese è stata veramente la proverbiale “quiete dopo la tempesta” perché suonano successivamente i parmensi Whiskey Ritual. Non li avevamo ancora visti da vivo, ma se cercate una band Black ’n’ Roll italiana di alto livello sono il gruppo che fa per voi. Grande spettacolo e attitudine alla Turbonegro e GG Allin, fino a proporne la cover di Bite It You Scam. Arriva Doyle. Già pieno di endorfine visto che aveva passato alcuni momenti della giornata ad allenarsi al Tiki Taka, ha mostrato gli altri membri della sua band sconosciuti alla maggior parte degli spettatori del Frantic. Lo show è stato un piacevole tuffo nel passato. Doyle, o i Doyle, fondono i Misfits con Danzig, riproponendo le stesse musicalità, le stesse movenze sul palco e… due versioni differenti di Glen Danzig? Si, perché il bassista è uguale a un Danzig con meno muscolatura nel periodo dell’omonima band, e il cantante è il Danzig dell’era Misfits. A nostro avviso fa parte della teatralità della performance di (dei) Doyle, ed è giusto che sia così. Successivamente, la fusione tra il punk e la darkwave degli italiani Horror Vacui è stata sublime. Probabilmente una delle migliori band goth-rock italiane apprezzata anche dai giovani che cercavano Marziona (chitarrista) per farsi firmare le copie del cd. Finalmente giungono gli ultimi headliner del Frantic: i Goblin. Probabilmente la parola giusta per descrivere il loro live è impareggiabile. Oltre al videomessaggio mandato direttamente a Dario Argento, questa band formata da Claudio Simonetti ha creato le migliori colonne sonore dei film horror, da Suspiria a Dawn of the Dead fino ad arrivare a Profondo Rosso ed è formata da musicisti italiani che dire di altissimo livello è diminutivo. Il live viene anche presentato con i filmati che ripercorrono parte delle scene dei film ai quali i Goblin hanno donato la musica. Ovviamente, la miglior performance della giornata. Chiudono il terzo e ultimo giorno del Frantic Fest gli storici Raw Power, che dall’81 hanno pubblicato ben 16 dischi di hardcore punk e suonato in tantissimi festival internazionali: un gran finale per un incredibile festival che ci rivedrà sicuramente anche l’anno prossimo.

 

Enrico Emiliani

Foto di Benedetta Gaiani (@thehurricanephotography)

Fontaines D.C. @ Parco della Musica

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• Fontaines D.C. •

Parco della Musica (Padova) // 16 Agosto 2022

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]In un caldissimo post-Ferragosto, il Parco della Musica di Padova si prepara ad accogliere un altro dei live act più attesi dell’estate. Fra coloro che furono decretati come eroi del Primavera Sound, figurano gli irlandesi Fontaines D.C. che con il loro post punk acido e chitarroso fanno parlare di sé da diverso tempo. L’esordio musicale risale al pre-pandemico 2019 con Dogrel, disco che aveva fatto scoprire la formazione dublinese al pubblico dell’underground internazionale. Si intuiva già all’epoca la portata del suono della band, un post punk frastornato, disordinato, giovane ma metodico. Con A Hero’s Death del 2020 che le cose cambiano e i Fontaines raggiungono un “loro suono”, una formula rivisitata di indie rock con virate darkwave, ricca di schitarrate e riff incalzanti. Due anni dopo, Skinty Fia, che in slang irlandese è una specie di maledizione che ha a che fare con i cervi, accompagna la band nel tour 2022 mentre ottiene ottime recensioni sulle maggiori testate. Nonostante ritenga A Hero’s Death il miglior lavoro della band, la prova del nove resta sempre il live e questo ci porta a Padova.

Dall’apertura dei cancelli è tutto un via vai di gente che non vede l’ora di sentire Grian Chatten e i suoi dal vivo: c’è chi li vede per la prima volta, chi li torna a vedere perché “al Primavera sono stati una bomba”, chi li vuole vedere perché ci vede i nuovi Gang Of Four o giù di lì, chi è travolto dall’hype di questi nuovi eventi post-covid e chi i live li segue e basta. L’atmosfera dunque si crea ben prima del concerto e nonostante le lunghe attese per cibi e bevande (vi ricordate quando ci si ammassava tutti insieme appassionatamente per una birra?) il fermento è palpabile.

Non avevo mai visto i Fontaines dal vivo né avevo guardato i video live prima del concerto proprio perché volevo fosse tutto una sorpresa. La cosa che mi lascia un po’ basito è l’allestimento del palco, sopra cui vedo diverse installazioni con decori floreali e la targa con il nome della band che svetta sopra le americane. Per un pregiudizio del tutto positivo aspettavo di trovare un palco più sobrio, più scarno, ma sono fiducioso e non bado ai contorni. Alle nove e mezza, con estrema puntualità, i Fontaines D.C. salgono tutti insieme sul palco accolti dalle grida e dagli applausi dei presenti che nel frattempo si erano ammassati per accaparrarsi il posto più vicino. I cinque ragazzotti irlandesi piacciono subito per la loro aria simil-trasandata e i loro outfit decisamente discutibili ma funzionali allo scopo. L’evoluzione estetica dell’hipster si riassume nel riscoprire i capi in disuso dei propri padri per metterseli addosso senza far caso alle conseguenze degli accostamenti e i Fontaines in questo sono maestri.

Lo show si apre prevedibilmente con la prima traccia dell’ultimo album, In ár gCroíthe go deo, che viene cantata e seguita da tutti. I cinque si destreggiano un po’ goffamente sul palco dove cercano di dimenarsi senza dare troppo nell’occhio. La pecca che fin da subito notiamo è l’equalizzazione del suono dove vengono premiati i bassi mentre l’impatto dei Fontaines spinge tutto negli alti. La folla è comunque molto partecipe e c’è chi si agita, chi urla e chi balla. Neanche a dirlo, da sotto, è il trionfo degli smartphone complice anche la nutrita schiera di fan new-generation presente ma che non è comunque la parte più ampia del pubblico. La scaletta prosegue con una buona scelta fra i pezzi che ottengono tutti un’ottima accoglienza ma mentre seguiamo le chitarre le mille luci ed effetti che provengono dalle installazioni montate sul palco disturbano l’armonia. Che una band divenuta ormai mainstream abbia bisogno di portare sul palco uno show che vada oltre l’abilità musicale è scontato e comprensibile, tuttavia l’accostamento fra il tono musicale dei nostri eroi e le luci da sala giochi (compresa l’insegna Fontaines D.C. che lampeggia) spesso cozzano.

Il concerto risulta gradevole nonostante i ragazzi sul palco non siano delle eccellenze musicali e tantomeno performative, però diamo loro il bonus della gioventù e del primo riconoscimento e successo a livello di performance, per cui li seguiamo e anzi li incoraggiamo come possiamo. I brani vanno e vengono con allegria, Sha Sha Sha dal primo disco, ottiene molti cori e viene subito intonata dalle prime file così come avviene con la successiva Roman Holiday dell’ultimo. Protagonista dello show è il nuovo disco che nonostante i tentennamenti e alcuni attacchi non troppo felici, convince per la portata che ha. Non sempre i Fontaines sono all’altezza di loro stessi su disco ma c’è tempo e le occasioni per migliorarsi non mancano mai.

Con A Hero’s Death, per cui partono le ovazioni, la band ci saluta e lascia il palco per la consueta tradizione che precede l’encore. Fin qui tutto bene se non fosse che l’insegna Fontaines D.C. si illumina con i colori della bandiera italiana, un’idea pacchiana e decisamente fuori luogo. I ragazzi non demordono e nonostante la figuraccia estetica ritornano per suonarci gli ultimi tre pezzi prima di mandarci a letto, nell’ordine Skinty Fia, Boys in the Better Land e la conclusiva I Love You.

Se escludiamo gli outfit (il cui cattivo gusto si ritrova anche nel merchandising), le tamarrate decorative e una non sempre stabilità musicale, i Fontaines D.C. vengono approvati dal pubblico del Parco della Musica che li saluta come nuovi interpreti del post punk. Si spera abbiano ancora molto da dire ma soprattutto molto da suonare.

 

Fernando G. Maistrello

foto di Siddharta Mancini

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Karate @ Link

Il secondo postulato di Adu il Vecchio, formulato verso il finire del ventesimo secolo, recita: “Tanto maggiore è il numero di magliette dell’artista o band che si sta per esibire (presenti tra il pubblico, NdA), tanto minore sarà la qualità dell’esibizione proposta”. Vi è poi un corollario che fa riferimento anche alle bandane e alle sciarpe ma ne parliamo un’altra volta. Trattandosi di un postulato è vero di per sé, senza bisogno di dimostrazioni o altro.

Ad ogni modo la prima data italiana, dopo qualcosa come diciassette anni dall’ultima volta, di domenica 31 luglio al Link di Bologna dei bostoniani Karate è lì a rimarcare ancora una volta l’assoluta veridicità di quanto sopra esposto.

Nessuna, dico nessuna maglietta dei Karate presente in loco (o almeno vista dal sottoscritto), in compenso, e anche dall’elenco (parziale) che segue s’intuisce la qualità enorme della serata: Girls Against Boys, Sebadoh, Fka Twigs, Nirvana (con la copertina dei Joy Division però…), Shelter, due Daniel Johnston, Jon Spencer Blues Explosion, Dinosaur jr, Pontiac, Eversor, Lush, Gazebo Penguins, Yob, The Soft Moon, Mad Season, Descendents, Idles, The Van Pelt, Wolfbrigade, Deus Ex Machina, Bauhaus e Einstürzende Neubauten.

Qui l’unico tasto un po’ dolente della serata, perchè ero partito da casa con la maglietta dei Marnero, ma me l’ero cambiata che dopo 150 km di macchina insomma non ero molto presentabile, e poi entro e chi vedo subito? Raudo e soci… Avrei potuto bullarmi un po’ ma vabbè…

Ma andiamo con ordine.

Già poco dopo le 20 l’area estiva antistante (o retrostante a seconda) del Link è già moderatamente affollata, segno tangibile di una serata per nulla ordinaria. In scaletta, prima del momento clou, due “vecchie” glorie del punk e hardcore italiano, i pesaresi Eversor (con il fondatore Marco Morosini tra il pubblico) e i torinesi Frammenti. Scelta quantomai azzeccata, visto anche la grande risposta e calore sprigionato dal pubblico sotto il palco. Si canta, si salta, un paio di tentativi piuttosto ben riusciti di stage diving, insomma tutto lascia intendere che se queste sono le premesse…

E poi… e poi, cosa vuoi dire.

Che i tre Karate salgono sul palco, e quei diciassette anni dall’ultima volta vengono dissipati dai primi attimi di Bass Sound, la linea di basso accolta da un boato del pubblico, Farina che ce lo ricorda, che saranno passati lustri su lustri, ma “one stays the same”, ed è subito 1998, sei un adolescente affamato ed insaziabile di scoprire e ascoltare e scoprire e ascoltare di nuovo e il tuo mondo è anche (soprattutto) lì, tra quelle note, quegli accordi. 

Il colpo di grazia per me arriva molto presto, ai primi accordi di Gasoline, ad urlare assieme “Stay” e “Sugar, Gasoline, When you’re nineteen, Sugar, if I keep it near, will it keep you here, will it keep you here”, e da lì in avanti è un lento, dolcissimo abbandonarsi ai racconti, ai ricordi, ai momenti. 

Troppo zucchero? Può essere, però è difficile spiegare (è difficile capire se non hai capito già). 

La sensazione che provavo, man mano si snocciolava la scaletta, era che in mezzo a quel pubblico così vario, ognuno, io compreso, venisse preso per mano da Geoff e soci, tanto il ventenne che li ha appena scoperti cazzeggiando su qualche sito (sì lo so che Scaruffi dà al massimo un 6.5) quanto il quarantenne per il quale sono il gruppo giusto al momento giusto che diventa di fatto culto, tanto i cinquantenni e oltre, capaci di cogliere il bello anche al di fuori degli anni ottanta.

La coda strumentale di This Day Next Year è suggello e apice di una serata di emozioni intense e reali, tangibili, genuine.

Mentre mi lascio il Link alle spalle, sulle note di —, penso a quanto ho letto una volta: “il mondo non aumenta di peso quando nasci né diminuisce quando muori, ma ciascuno di noi può lasciare un segno”. 

Di sicuro stasera qualche migliaio di persone tornerà a casa col cuore segnato in maniera indelebile.

 

Alberto Adustini

Arab Strap @ Pesaro + Sexto ‘Nplugged

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• Arab Strap •

Parco Miralfiore (Pesaro) // 29 Luglio 2022

Sexto ‘Nplugged (Sesto al Reghena) // 30 Luglio 2022

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]“Non me ne frega niente del passato, dei nostri gloriosi giorni passati”… è affidata a The Turning Of Our Bones, come prevedibile, l’inizio del live degli Arab Strap a Sexto ‘Nplugged, ancora ferito dalla improvvisa e imparabile defezione del giorno prima dell’accoppiata Agnes Obel + Timber Timbre.

Giunti alla soglia dei cinquant’anni e freschi di pubblicazione del recente e convincente As Days Get Dark, Aidan Moffat (bermuda in jeans con risvoltino, camicia blu e abbondante sudorazione sulla folta barba bianca) e Malcolm Middleton (cappellino d’ordinanza, t-shirt nera di qualche band che non sono riuscito a decifrare e pinocchietto… insomma ecco mi pareva doveroso sottolineare un outfit non indimenticabile, per quanto trascurabile, concordo) hanno riempito una già di suo affollata piazza Castello con un live di grande (sorprendente?) potenza e vigore.

Gli Arab Strap si presentano in formazione allargata a cinque, batteria, basso e tastiere oltre alla chitarra di Middleton e ai synth di Moffat, ed è quest’ultimo, ovviamente, a tenere il palco e le redini del discorso. Nonostante non sprechi preziose energie e tempo ad interagire col pubblico, giusto un paio di “grazie” e “thanks”, un “this is a song about a very bad hangover”, la sua presenza riempie il palco, la sua voce fa il resto e completa la magia. Metà scaletta proviene dall’ultimo lavoro, nel quale svetta sulle altre una versione magnifica di Fable Of The Urban Fox ed una Tears On Tour sensibilmente riarrangiata (e forse addirittura migliorata). I volumi si mantengono decisamente alti, i momenti più distorti sono decisamente apprezzati dal sottoscritto, anche quando vanno a sovrastare brutalmente la voce di Moffat; un live nel quale le contaminazioni post dei Nostri si apprezzano ancora più che da disco, un live nel quale, se ce ne fosse ancora bisogno, si  riesce a carpire e capire l’unicità di una band che ha saputo fondere in sé riferimenti musicali così diversi e rielaborali in un suono che alla fine è solo loro.

La chiusa è di quelle da strapparti il cuore dal petto e farne pezzetti, una The Shy Retirer in versione acustica, chitarra e voce, di abbacinante bellezza, nonostante le fioche luci che in quel momento illuminano Aidan a Malcolm.

Sleep is not an option tonight.

 

Alberto Adustini

foto di Francesca Garattoni e Massimiliano Mattiello

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1551661546735{padding-top: 10px !important;padding-bottom: 0px !important;}”][vc_column][vc_single_image image=”25390″ img_size=”full” alignment=”center”][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1551661546735{padding-top: 10px !important;padding-bottom: 0px !important;}”][vc_column width=”1/2″][vc_single_image image=”25385″ img_size=”full” alignment=”center”][/vc_column][vc_column width=”1/2″][vc_single_image image=”25393″ img_size=”full” alignment=”center”][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1551661546735{padding-top: 10px !important;padding-bottom: 0px !important;}”][vc_column][vc_single_image image=”25383″ img_size=”full” alignment=”center”][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1551661546735{padding-top: 10px !important;padding-bottom: 0px !important;}”][vc_column width=”1/2″][vc_single_image image=”25392″ img_size=”full” alignment=”center”][/vc_column][vc_column width=”1/2″][vc_single_image image=”25387″ img_size=”full” alignment=”center”][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1551661546735{padding-top: 10px !important;padding-bottom: 0px !important;}”][vc_column][vc_single_image image=”25384″ img_size=”full” alignment=”center”][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1551661546735{padding-top: 10px !important;padding-bottom: 0px !important;}”][vc_column width=”1/3″][vc_single_image image=”25388″ img_size=”full” alignment=”center”][/vc_column][vc_column width=”1/3″][vc_single_image image=”25391″ img_size=”full” alignment=”center”][/vc_column][vc_column width=”1/3″][vc_single_image image=”25386″ img_size=”full” alignment=”center”][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1551661546735{padding-top: 10px !important;padding-bottom: 0px !important;}”][vc_column][vc_single_image image=”25395″ img_size=”full” alignment=”center”][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1551661546735{padding-top: 10px !important;padding-bottom: 0px !important;}”][vc_column width=”1/2″][vc_single_image image=”25389″ img_size=”full” alignment=”center”][/vc_column][vc_column width=”1/2″][vc_single_image image=”25394″ img_size=”full” alignment=”center”][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Grazie a DNA Concerti e Astarte Agency[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]

Benjamin Clementine @ Verucchio Music Festival

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• Benjamin Clementine •

 Sagrato della Collegiata (Verucchio) // 27 Luglio 2022

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]foto di Francesca Garattoni

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King Of Convenience @ Villa Ada

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• Kings Of Convenience •

 Villa Ada (Roma) // 27 Luglio 2022

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]foto di Simone Asciutti

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Tananai @ Oltreamare

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• Tananai •

+
TUTTIFENOMENI
CARA

 OLTREAMARE

 Beky Bay (Bellaria Igea Marina) // 27 Luglio 2022

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]foto di Federico Pollini

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Pinguini Tattici Nucleari @ Balena Festival

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• Pinguini Tattici Nucleari •

 BALENA FESTIVAL

Arena del Mare (Genova) // 26 Luglio 2022

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Ma chi l’avrebbe mai detto! 

Espressione di stupore che spesso si accompagna a frasi di piacevole sgomento, ad esempio: “ma chi avrebbe mai detto di riuscire a riempire i palazzetti”. Altre volte invece si accompagna a frasi non altrettanto piacevoli, come “chi avrebbe mai detto che prima di poter ripartire in tour sarebbero passati più di due anni”.

Il concerto del 26 luglio al Balena Festival dei Pinguini Tattici Nucleari non era dentro un palazzetto, ma era comunque sold out, quindi rientra a pieno titolo negli eventi piacevoli descritti da quella semplice frase che introduce il loro singolo Verdura e che avrebbe dovuto dare il nome al loro primo tour nei palazzetti nella Primavera del 2020. 

Oggi il tour ha un nome diverso, tocca più città di quante avrebbe dovuto toccare due anni fa e anche i Pinguini nel frattempo sono un po’ cambiati, con un successo inaspettato in primis per loro, come hanno detto sul palco.

Lo show è stato anche un modo per fare una passeggiata sul viale dei ricordi, per ricordare com’erano, da dove sono partiti – a bordo di un furgone usato per andare a fare interventi odontoiatrici in Croazia (probabilmente il racconto più divertente della serata) – e dove sono arrivati adesso, con tutta la loro gratitudine per poter essere di nuovo su un palco a suonare accompagnata forse ancora da da un po’ di stupore nel vedere tutta l’Arena del Mare cantare le loro canzoni. 

Canzoni e racconti per ricordare, per riflettere e per divertire. Uno spettacolo di due ore piene, a tratti teatrale: lo abbiamo capito fin dall’inizio, quando la voce di Riccardo Zanotti in apertura ci ha raccontato a modo suo l’epopea di rinvii che questo tour ha dovuto subire mentre tutto – anche noi stessi – attorno a noi stava cambiando, per poi iniziare a intonare Ridere e far sciogliere i presenti in una canzone. 

Le abbiamo cantate tutte, dalla prima all’ultima, dalle più vecchie alle più recenti, e ci siamo divertiti a capire quali avessero inserito nel medley della “storia pinguina”, che per cinque minuti ha creato un’atmosfera quasi da villaggio vacanze, ma senza la parte fastidiosa. 

Ma soprattutto le abbiamo cantate tutti, dai ragazzi ai “giovani wannabe” passando per i genitori che hanno accompagnato bambini più piccoli. Ed è stato divertente, fin liberatorio in alcuni momenti, poter ballare e gridare in quel modo. Com’era ovvio ci sono stati anche momenti più emotivi, momenti altrettanto sentiti e partecipati per natura diversa. D’altronde, sfido a non restare coinvolti dalle parole di Freddie o di Pastello Bianco oppure a non ripensare a posteriori al significato di Cancelleria.

Anche il finale è stato teatrale. Non so se sia usanza anche negli altri paesi urlare una loro versione nazionale di “se non metti l’ultima noi non ce ne andiamo”, ma ieri sera c’è stato un momento – dopo che un The End aveva già campeggiato sullo schermo dietro di loro ma noi ci aspettavamo ancora le battute finali – in cui ho seriamente pensato che avrebbero potuto davvero fare un coup de théâtre e chiuderla così, anche se non ci sembrava di certo il loro stile. E infatti, per fortuna, così non è stato e sono riusciti per intonare Tetris prima e Pastello Bianco poi.

E ancora, dopo tutti i ringraziamenti, ancora qualche frase al pianoforte, quasi come se non volessero lasciarci andare.

“Perché noi siamo
Fuori dall’hype
Fuori dall’hype
Fuori dall’hype
Comunque vada io non piango mai
Fuori dall’hype
Fuori dall’hype
Fuori dall’hype
E vaffanculo a te che te ne vai”

Una sorta di manifesto.

Chi l’avrebbe mai detto che sarebbe finita così.

 

Francesca Di Salvatore

foto di Ingrid Zambrano

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Cosmo @ Balena Festival

Arena del Mare (Genova) // 23 Luglio 2022

COSMO

MAURIZIO CARUCCI

DITONELLAPIAGA

Balto

Lowtopic

Venice

 

L’estate del 2022 la ricorderò come la stagione che mi ha connessa al significato intimo e primordiale della musica. È l’anno in cui ho imparato a fare pace con la stanchezza e le delusioni, perché i miei anni non me li ridarà indietro nessuno ed è meglio divertirsi e sudare di fronte a un palco, perché anche se le ore di sonno che ti separano dalla sveglia per andare in ufficio sono poche, si riesce a trovare l’energia per lavorare. Ogni sforzo si riduce se ti rende felice.

La mia filosofia da quattro spiccioli è frutto di un’altra serata al Balena Festival di Genova, che ha acceso l’Arena del Mare in uno dei sabati sera più attesi dell’estate. Gli headliner erano Ditonellapiaga, Maurizio Carucci e Cosmo, ma la serata è stata scandita anche da Venice, dai Balto e da Lowtopic, che si sono esibiti sul palco secondario.

A scaldare l’Arena è stata la voce di Venice, una giovane cantautrice di cui spero che sentiremo parlare ancora e bene e che ha preparato il pubblico alla grande diva della serata. Ditonellapiaga è un tornado indescrivibile: canta, rappa, balla, è divertente ed è libera e sensuale. È innegabile che io abbia un debole per le donne che salgono sul palco dell’Ariston per gridare la libertà sessuale su Rai Uno in faccia ai conservatori che sperano ancora in un’esibizione del trio Il Volo. L’artista ha fatto ballare il pubblico con alcuni suoi brani, come l’ultimo singolo Disco (I love it) e Repito, Chimica e Vogue, presenti nell’album Camouflage. Ma il grande successo atteso e protagonista anche del merchandising della cantautrice era Spreco di Potenziale, una canzone che parla di quando resti aggrappata a una relazione che non funziona e che è dolorosa, quando rincorri qualcuno che non ti fa sentire le emozioni che vorresti. Come descrivere Ditonellapiaga con una parola? Magnetica. 

 

ditonellapiaga balena

 

Dopo l’energia e i balli della prima parte della serata, è arrivata la quota strappalacrime e malinconica dell’evento: Maurizio Carucci, cantautore genovese ed ex frontman degli Ex-Otago. Senza giri di parole, bisogna ammettere che la sua musica è molto diversa dalle proposte degli altri artisti che si sono esibiti prima e dopo di lui e che è stato un rischio inserirlo nella line-up tra Ditonellapiaga e Cosmo. Alla fine, però, Carucci era di casa, era circondato da persone amiche ed è un artista che fa parte della storia cantautorale genovese. Infine, sentire il pubblico cantare da ogni angolo dell’Arena La nostra pelle e Mare, ha ricordato il legame tra la città e gli Ex-Otago e non c’era modo migliore per urlare che fossimo a casa nostra.

 

carucci balena

 

Dopo la quiete, ecco la tempesta: i Balto. È stata la prima volta che ho sentito il pubblico intonare il coro “se non metti l’ultima, noi non ce ne andiamo” a degli artisti che suonavano in un intermezzo e sul palco secondario. Alla band bolognese è bastata solo mezz’ora per farsi amare dalla gente e per dimostrare il suo potenziale di fronte a una fanbase scatenata e coinvolgente. Inoltre, io amo avere ragione (posso dare la colpa al segno zodiacale dei gemelli?) e per me è stato un orgoglio sentirmi dire dalle mie amiche: “È vero, sono proprio bravi!” Io vi avevo avvisato su queste pagine a gennaio, all’uscita dell’album Forse è giusto così. 

Arriviamo al momento più bello e atteso della serata. Cosmo è di una bravura immensa, un fuoriclasse indiscusso, una persona che lotta e manifesta le sue posizioni politiche e sociali anche quando sono scomode e, soprattutto, è un artista capace di caricare il pubblico in un modo pazzesco. Puoi non conoscere le sue canzoni e può non piacerti il suo genere, ma sentirlo dal vivo è un’esperienza divertente e coinvolgente. L’Arena del mare ballava e cantava sulle note di Tristan Zarra, Animali, Antipop e tanti altri successi di Cosmo che ha cantato insieme a Pan Dan, un’artista che voglio menzionare perché realizza e vende vestiti e accessori originali dentro ai sacchetti del pane e il suo business merita attenzione (e ricordiamo che ha creato degli iconici copri-capezzoli commestibili con la liquirizia). 

Cosmo fa emozionare, fa baciare le coppie in uno slancio di romanticismo, fa divertire e ti fa ballare e liberare il tuo corpo in mezzo alla gente. Ogni giorno siamo circondati da tante persone, dobbiamo muoverci tra potenziali critiche e amarci per quel che siamo senza paranoie sembra un atto rivoluzionario. Il concerto del cantautore e DJ è stato, per me, il significato della libertà: un momento esente da ogni giudizio, in cui anime e corpi difettosi si sono uniti per divertirsi e cantare. E verso il finale, l’artista ha ricordato che nell’antichità non c’era il concetto di tempo che abbiamo oggi, in cui ogni aspetto della nostra vita deve stare dentro a dei ritmi. La musica durava quanto voleva durare, il suo unico limite erano le energie fisiche e mentali. Dopo averci regalato altri grandi successi come L’ultima festa e Sei la mia città, Cosmo ha salutato e ringraziato il pubblico emozionato buttandola in caciara con O calipp te piace, una canzone neomelodica napoletana che alcuni mesi fa era diventata virale sui social network.

Lowtopic ha chiuso la serata facendo ballare chi aveva ancora le forze e il coraggio di sfidare il mal di piedi e le gambe doloranti, ricordando, ancora una volta, il valore intimo e primordiale della musica: unire le persone e farci godere i piccoli e preziosi momenti della vita.

“Via, è ora di andare via/Iniziano a guardarci male/Eppure mi sento da Dio.”


Marta Massardo

foto di Plurale Video

Kings Of Convenience @ Teatro Romano

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• Kings Of Convenience •

Teatro Romani (Verona) // 23 Luglio 2022

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]foto di Francesca Garattoni

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LP @ Auditorium Parco Della Musica

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• LP •

Auditorium Parco Della Musica (Roma) // 22 Luglio 2022

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]foto di Claudia Bianco

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Thurston Moore + Manuel Agnelli @ Balena Festival

Arena del Mare (Genova) // 21 Luglio 2022

 

Che la serata del 21 luglio del Balena Festival di Genova sarebbe stata diversa da quello a cui sono abituata l’ho capito appena varcati i cancelli e vedendo le sedie schierate sotto il palco principale del festival: per una frazione di secondo mi sono sentita portata indietro all’anno scorso, quando le sedie dovevano essere la normalità per qualsiasi concerto. Poi sono tornata alla realtà, allo spettacolo che avrei visto, e ho pensato che tutto sommato, quelle sedie poteva avere la loro ragione di esistere.

Il Balena infatti ha schierato due pezzi da novanta: Thurston Moore – chitarrista dei Sonic Youth – con la sua band prima, e Manuel Agnelli dopo.

A intervallare, Dellacasa Maldive e Cara Calma, alternando cosí in un denso cartellone vecchie glorie e nuove leve. Davanti al palco dove si sono esibiti loro però le sedie non c’erano e infatti sarebbe stato strano il contrario. Giovani ed energiche, le due band hanno accompagnato e fatto ballare la serata più “adulta” (passatemi l’aggettivo) dell’intero festival. 

Ad ogni modo, le sedie avevano ragione di esistere perché i due spettacoli sul palco principale sono stati una forma di rapimento. Osservare le dita di Thurston Moore muoversi come se avessero vita propria lungo la chitarra richiedeva una certa attenzione, oltre a suscitare stupore tra tutti i presenti. Per un’ora abbondante il chitarrista dei Sonic Youth avrà staccato le mani dal suo strumento – maneggiato con la cura con cui si maneggia un oggetto prezioso e allo stesso tempo usato con la gioia di chi sta giocando al proprio gioco preferito – per quelli che saranno stati dieci minuti in tutto, a voler stare larghi. Nessun effetto speciale, nessun abito stravagante: solo lui, la sua band e la musica. 

È stato diverso, ma è stato anche uno Spettacolo (lettera maiuscola voluta), uno di quelli dopo il quale non puoi fare altro che chiederti come sia possibile che esista un talento del genere.

 

20220712 manuelagnelli pistoia letiziamugri 23

 

Anche Manuel Agnelli era accompagnato dalla sua band, una band ringraziata a più riprese. Non a caso, la cosa che mi ha colpito di più probabilmente alla fine di questa serata è stata l’umiltà di cui hanno fatto prova tutti gli artisti presenti: grati della presenza del pubblico, grati per chi ha scelto di accompagnarli sul palco, grati per poter essere semplicemente lí. 

Il concerto è stato un andirivieni tra pezzi recenti e successi degli Afterhours, durante i quali il pubblico ha dimenticato dell’esistenza di quelle sedie sistemate con precisione. Non sono neanche mancati i momenti di contatto con il pubblico: alcuni più didascalici – in primis quello sulla dignità dei “pezzi su commissione” prima di intonare La Profondità degli Abissi, pluripremiata canzone scritta per il film Diabolik – altri più emotivi, come quello che ha preceduto Padania, altri invece genuinamente divertenti, dato che Manuel Agnelli, oltre a dar prova di grande umiltà, si è dimostrato anche incredibilmente autoironico. 

Se Thurston Moore aveva la chitarra, Manuel Agnelli aveva la voce. Ovviamente non è il suo unico strumento (l’affiancamento alla tastierista Beatrice Antolini durante Proci o l’assolo di chitarra verso la fine lo hanno ampiamente dimostrato), ma ieri sera è stata sicuramente il suo asso nella manica. Una voce potente che risuonava in tutto il Porto Antico e al tempo stesso malleabile, tanto da riuscire ad adattarla e a modificarla, fino quasi a sembrare persone diverse, a seconda del pezzo. 

E ieri sera, mentre guardavo il pubblico urlare insieme a lui pezzi come Non si esce vivi dagli anni ’80 o Ballata per la mia piccola iena, ho pensato che se avessi avuto l’età che ho oggi tra gli anni ’90 e l’inizio del 2000, sarei stata una fan sfegatata di quei pezzi lì.


Francesca Di Salvatore

foto di copertina Roberto Mazza Antonov
foto nel testo Letizia Mugri