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Tag: intervista

Things Are Great è il disco che i Band of Horses hanno fatto come volevano

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Dopo quasi sei anni da Why Are You OK, i Band of Horses tornano con un nuovo album, Things Are Great, che – già dal titolo – promette alquanto bene. Tante le novità: la formazione in parte rinnovata, un produttore di talento ed un songwriting più trasparente e sincero che mai. Come lato complementare della medaglia, invece, ciò che non cambia è il suono iconico del gruppo di Ben Bridwell che ritorna alle origini, caratterizzate da un sound ancora più indie ed alternative rock. Abbiamo approfondito questi aspetti –  e molti altri! – nell’intevista con il batterista Creighton Barrett. Inevitabili anche i riferimenti alla sospensione, musicale e planetaria, connessa alla pandemia ed una menzione finale a The Funeral, che, poco tempo fa, abbiamo ritrovato come soundtrack d’eccezione in una serie TV italiana di grande successo. Ricordate quale?

 

Ciao Creighton e grazie di essere qui con noi! Partiamo parlando del nuovo album Things Are Great, fuori dal 4 Marzo dopo quasi sei anni dal vostro ultimo disco. Nonostante sia passato un po’ di tempo, è possibile che certe atmosfere latenti e qualche ispirazione fossero già presenti in Why Are You OK? Come se quel disco, oltre ad avere una connessione nel titolo, contenesse già una fine per un nuovo inizio?

“Si, beh, abbiamo avuto diversi membri che sono andati e venuti dall’ultimo disco: non è una novità, la nostra lineup cambia piuttosto regolarmente, nel bene e nel male. Ma si, penso che questa sia una continuazione nel senso che Why Are You OK è stato un disco che abbiamo fatto distintamente per fare il disco nel modo che volevamo fare il disco, in contrapposizione, forse, non tanto ad avere influenze dall’esterno ma forse tornare alle origini di noi (come band, NdT), solo per il gusto di fare i dischi che vogliamo fare e i dischi che vogliamo ascoltare. Pertanto, penso che questo nuovo disco Things Are Great sia ancora più tutto questo, questo essere quei ragazzini punk rock che eravamo abituati ad essere e non preoccuparci troppo di quello che la gente possa pensare: facciamo solo questo disco al meglio per noi e facciamo meglio che possiamo.
Penso che questi due ultimi dischi segnino definitivamente una sorta di separazione dal disco precedente a Why Are You OK, che è stato una specie di esercizio, con qualcun altro che ci diceva in che direzione andare e come farlo, e questo non ha proprio funzionato bene con noi. Quindi abbiamo preso le redini in mano.”

 

In termini di sound, possiamo ritrovare il suono iconico dei Band of Horses. Tuttavia, nella produzione dell’album il contributo di Ben Bridwell, che ha anche lavorato tanto con il tecnico del suono Wolfgang “Wolfie” Zimmerman, ha avuto molto più peso del solito. Cos’è successo in quella fase del processo e come sono andate le sessioni di registrazione?

“Avevamo iniziato il disco con il nostro precedente produttore da Why Are You OK, Jason Lytle, che viene da un gruppo favoloso chiamato Granddaddy. Avevamo fatto Why Are You OK con lui ed era stato grandioso, ma abbiamo iniziato le sessioni per Things Are Great di nuovo con lui e qualcosa non girava nel modo giusto, semplicemente non lo sentivamo bene.
Abbiamo registrato qualche traccia con Jason e ci siamo presi un po’ di tempo e abbiamo suonato qualche concerto e ci siamo seduti con quello che avevamo fatto fino a quel momento. Non eravamo dove pensavamo di dover essere e abbiamo deciso che, fondamentalmente, dato che eravamo all’inizio del processo non sarebbe poi stata questa gran perdita se ci fossimo detti “Sai cosa? RIcominciamo da capo!”.
Abbiamo questo buon amico che vive nella nostra città – che è Charleston, South Carolina – che si chiama “Wolfie” Wolfgang Zimmerman. È questo ragazzo più giovane di noi che fa della gran bella musica con queste band locali nella nostra città, e faceva delle gran belle cose in un ripostiglio, neanche in un vero studio. Quindi, se questo ragazzino è così talentuoso da far suonare queste band in modo così incredibile senza neanche essere in un vero studio, cosa succede se lo piazziamo in uno vero? La cosa ha funzionato in modo fantastico e penso che sia per Ben che per me – posso parlare a nome di entrambi – Wolfie sia stato una ventata d’aria fresca. È arrivato dicendo “Voglio che voi ragazzi suoniate come voi stessi”, che è una cosa che sai, la gente ti dice sempre quando ti metti a fare un nuovo album, ma le cose vengono tirate di qua e di là, in certe direzioni che poi finiscono per esserci tolte di mano. A volte, e questa volta è stato così, tutto quello che voleva fare è stato aver fiducia nel tornare indietro al modo in cui abbiamo fatto i nostri primi dischi. Ben e io non abbiamo nessuna educazione musicale, siamo autodidatti nel suonare i nostri strumenti e penso che Wolfie abbia voluto affinare questa cosa, più che fare un qualcosa che suonasse grandioso, ha solo voluto che suonassimo come quando siamo con i nostri strumenti e far musica. Che alla fine è come suona il disco, credo. Risposta lunga, sorry!” (ride)

 

Nella vostra discografia, i testi rappresentano una parte fondamentale di ogni disco: che storie raccontano le canzoni di Things Are Great? C’è una traccia a cui sei particolarmente affezionato?

“La mia traccia preferita dell’album s’intitola Ice Night We’re Having ed è questa sorta di galoppata veramente strana, una canzone che suona veramente indie rock, che è un po’ il mio cuore. Questa è la mia canzone preferita.
Per quanto riguarda i testi, Ben stava attraversando un sacco di situazioni pesanti durante la creazione di questo disco. Pertanto non posso veramente rispondere riguardo al contenuto dei testi, ma Ben davvero viene fuori (in quello che scrive, NdT) e pensa davvero a cosa sta dicendo. Ma penso che questo disco sarebbe comunque venuto fuori: abbiamo dovuto posticipare a causa della pandemia e di tutto ‘sto casino in cui siamo tutti; penso che questo lo abbia aiutato a scrivere le parole in un modo forse di più facile accesso, dato che tutti stiamo in qualche modo vivendo tempi difficili. Penso sia più facile abbattere quei muri che probabilmente aveva precedentemente messo su; adesso che siamo tutti in una situazione un po’ merdosa, le sue parole su questo disco si prestano ad essere più dirette che nei dischi precedenti, dov’era più come “Guarda, un po’ capisco cosa sta passando questo ragazzo anche se io sto passando qualcosa di totalmente diverso”, mentre adesso la cosa si presenta in modo molto più ovvia per tutti noi.”

 

Cover band of horses

 

Il titolo dell’album suggerisce un’accezione positiva, potremmo quasi dire una specie di proposito. Tuttavia, all’interno della tracklist troviamo canzoni come Tragedy of the Commons, In The Hard Times o In Need of Repair che si riferiscono a situazioni complicate. Lo scombussolamento planetario causato dalla pandemia ha influenzato la scrittura dell’album in qualche modo? Come avete vissuto o state ancora vivendo questi anni di sospensione e lontano dai palchi?

“In Luglio, la scorsa estate, abbiamo finalmente avuto il via libera per suonare i nostri primi concerti ed erano due concerti in preparazione al Lollapalooza. Abbiamo suonato qualche concerto, siamo tornati alla nostra vita, ma durante quell’anno o poco più di distacco, metti in discussione un sacco di cose: per dirne una, stavamo seduti su questo disco, che era finito, e il tempo senza far niente può diventare davvero orribile. Hai troppo tempo a disposizione per pensare “È un buon disco? Fa schifo?”
È stato così tanto tempo nella fase di creazione, come una specie di quadro che non finirai mai. Ad un certo punto devi mollare. Quel periodo è stato particolarmente duro per tutti noi, non solo finanziariamente: sai, Ben e io abbiamo entrambi famiglia, abbiamo dei bambini e gestire il tutto è stato difficile.
Ma ci ha anche fatto mettere in discussione un sacco di cose su cui forse prima non ci siamo mai fatti domande. È stato come se tutto si fosse fermato, non c’erano manuali d’istruzione, nessuno sapeva cosa fare, nessuno sapeva cosa farsene. È sembrato che per la prima volta – anche quando ci sono stati tracolli finanziari e simili, la gente continuasse ad andare a spettacoli e la gente continuava ad andare al cinema, come durante la Grande Depressione, la gente aveva uno sfogo artistico – per la prima volta non fosse una possibilità contemplata (quella di fare arte, musica, NdT). E quindi quando arrivi al punto di “Cosa ne facciamo dei musicisti che suonano live?” nessuno sapeva cosa fare. Tutto durante la pandemia era così focalizzato al non far succedere che era davvero opprimente. Era difficile pure arrivare al concetto di “Merda!”.
Abbiamo fatto questo per vent’anni ed è una specie di seconda natura per noi. Per i primi mesi non sapevamo neanche cosa ci stava colpendo. Era tutto un “Wow, iniziamo qualcosa di nuovo? Lo facciamo? Non faremo più nulla di tutto questo?” Nessuno aveva nessuna risposta, era tutto pazzesco e per fortuna il cielo si è rischiarato un po’ e abbiamo ricevuto le email per questi concerti pre-Lollapalooza e finalmente è stato “Cazzo, si!”.
Insomma, tempi folli…”

 

Non so se sei al corrente che la vostra canzone The Funeral è stata recentemente usata in una produzione Netflix Italia intitolata Strappare Lungo i Bordi. È un colpo di grazia emotivo, non appena le note inconfondibili della sua intro attaccano, il protagonista raggiunge l’apice del suo viaggio interiore verso la presa di coscienza e accettazione della realtà che sta vivendo. Com’è il tuo rapporto con questa canzone in particolare, che ha fatto così tante apparizioni sia sul piccolo che grande schermo, solitamente per sottolineare momenti intensi (e spesso pieni di lacrime)?

“Ad essere onesti, il peso di quella canzone non mi aveva veramente colpito finchè non abbiamo iniziato a suonarla dal vivo e allora è diventata tutta un’altra cosa. È stato come… nel bene o nel male, ci sono persone che conoscono solo quella canzone, e sono lì, agli spettacoli, che aspettano solo quella specifica canzone, e noi che dobbiamo piegarci a fare il nostro spettacolino con la consapevolezza che “Tu non arrivi alla fine del concerto”. Questo è un aspetto della cosa. Ma ad essere perfettamente onesti, non è mai un’occasione persa per me suonare quella canzone, perchè la sala cambia, significa così tanto per così tante persone in così tanti modi diversi. Non solo per qualcuno che ha veramente subito una perdita… è un suono identificativo per le vite di così tante persone ed essere parte del gruppo che lo ha fatto, ne sono follemente grato. Amo l’uso che ne viene fatto nei film perchè è la canzone perfetta per quella roba. È evocativa di suo e non posso neanche immaginare quanto sia evocativa per la gente che l’ha sentita e un po’ se l’aspettano. Ma per quello che mi riguarda, non perderà mai la sua meraviglia. La gente continua a metterla nei film… questo è un gran bell’uso di quella canzone! Ancora e ancora! Funziona! È somatica e cinematica in modo ovvio. Penso sia fantastica. Lo show (Strappare Lungo i Bordi, NdT) è bello?”

 

Si, è veramente una bella produzione. È un fumetto animato di Zerocalcare, un comic artist davvero talentuoso e molto conosciuto in Italia. Pensavamo fosse sarcastico e invece, alla fine, quando The Funeral attacca, siamo scoppiati tutti in lacrime. È davvero un’esperienza di formazione.

“Wow! Zerocalcare? Ci darò un’occhiata, grazie!”

 

Laura Faccenda
Editing e Traduzione: Francesca Garattoni
Foto: Stevie and Sarah Gee

Tre Domande a: ADA

Come vi immaginate il vostro primo concerto live post-pandemia?

Da brividi. Un po’ per questo lungo periodo di secca degli ultimi anni, un po’ per l’emozione di tornare finalmente a suonare davanti alle persone. Ripensando agli anni passati la nostalgia è tanta, contando che l’ultimo concerto che abbiamo fatto è stato nel 2020. Abbiamo tenuto duro e adesso con i nuovi singoli Sacco, Quando non ci sei e Vorrei e l’EP in arrivo esplodiamo dalla voglia di esibirci e mostrare il lavoro fatto. E poi c’è la voglia di girare, sperimentare e fare concerti in città in cui non abbiamo mai suonato prima.

 

Se doveste scegliere una sola delle vostre canzoni per presentarvi a chi non vi conosce, quale sarebbe e perché?

Tra tutte potrebbe essere appunto il nostro ultimo singolo Vorrei. Innanzitutto per il legame che abbiamo col testo, perché parla di noi e di un periodo della nostra vita, delle domande esistenziali che tutti ci siamo posti, della paura del futuro e del tempo che scorre troppo in fretta. Poi perché è un pezzo aggressivo, di carattere, che definisce bene il nostro sound ed è un bel collegamento tra ciò che eravamo e ciò che siamo diventati musicalmente.

 

C’è un evento, un festival in particolare a cui vi piacerebbe partecipare?

Abbiamo una lunga lista di club, festival e arene dove ci piacerebbe suonare, quello indubbiamente. Spingendo con la fantasia saremmo davvero entusiasti se la nostra musica ci portasse ad esibirci al Festival di Glastonbury e vivere la passione musicale inglese, potrebbe essere una di quelle esperienze fuori di testa che ti segna per sempre. Rimanendo in Italia sarebbe fantastico partecipare all’AMA Festival che è a casa nostra. Speriamo di arrivarci presto.

Tre Domande a: NEW OCEAN

Come e quando è nato questo progetto? 

Questo progetto è il risultato finale di altri progetti ai quali ho preso parte negli anni, come ad esempio alcune band. Il progetto nasce per dare libero sfogo a tutti gli elementi che mi hanno formato oggi come persona e artista. Amo spaziare tra un genere e l’altro mantenendo comunque un filone unico, amo farmi investire da vibrazioni nuove e da stimoli sempre diversi. Il progetto prende sempre più forma quando insieme a me hanno iniziato a crederci altre persone. Da quando conobbi Gamuel Sori, il mio producer, la mia direzione e forma musicale diventano sempre più precise. Oltre a lui c’è chi si occupa della parte manageriale, chi della parte visiva (foto o video) e altre persone ancora che credono in me. Sono molto grato, mi sento fortunato a condividere questo sogno con altri già in questa fase del progetto.

 

Cosa vorresti far arrivare a chi ti ascolta? 

Quello che voglio trasmettere è esattamente quello che altri artisti prima di me mi hanno ispirato. Voglio dare la possibilità di sognare, di immergersi e viaggiare tramite la mia musica. Mi piacerebbe donare la speranza di vivere i propri sogni tramite il progetto NEW OCEAN.
Per me, come rappresenta il mio nome d’arte, la musica è istinto puro e nasce senza limiti, proprio come le onde dell’oceano. Proprio questo istinto è il fulcro della mia attitudine e della mia scrittura e, tramite le mie canzoni, miro a parlare alle persone, con la speranza si possano riconoscere in essa. 

 

Quanto punti sui social? 

Ho sempre creduto che la musica possa avere un impatto crescente se affiancata a qualcosa di visivo, per questo, assieme al mio team, ci concentriamo molto sulla parte estetica, per far conoscere il nostro immaginario artistico, soprattutto grazie all’ausilio dei social. Non ho ancora grandi numeri, ma passo dopo passo nuovi fan e persone del settore conoscono me e la mia musica, e ne sono davvero felice. Ho e abbiamo voglia di farlo. Lavorare tramite i social ci diverte e ci svaga. È bello vedere messaggi di apprezzamento da parte delle persone che ti seguono. 

Tre Domande a: Dragoni

Ci sono degli artisti in particolare a cui vi ispirate per i vostri pezzi?

Quando ho scritto la maggior parte delle canzoni presenti nel disco ascoltavo molto Sufjan Stevens, Phoebe Bridgers e Big Thief. Sicuramente sono stato ispirato da loro, anche se poi nell’arrangiare i pezzi è venuto fuori qualcosa di differente.

 

Progetti futuri? 

Prima dell’estate vorremmo pubblicare una delle canzoni presenti nel disco, Propaganda, insieme a una serie di remix a cura di Lorenzo BITW e di alcuni producer che ruotano attorno all’etichetta Big Lakes Records. Dragoni è un progetto solista, ma credo che la musica migliore nasca da esperienze comunitarie e con una release più corale vorrei restituire questa esperienza di comunità.

 

Se doveste scegliere una sola delle vostre canzoni per presentarvi a chi non vi conosce, quale sarebbe e perché?

Incagli: c’è un synth anni Ottanta a un certo punto che mi dà soddisfazione.

Tre Domande a: mt/solo

Come e quando è nato questo progetto?

mt/solo è nato da una casa in disordine. La casa è la nostra sala prove, uno studio improvvisato nella campagna fuori Firenze, il luogo dove abbiamo iniziato a suonare, a scrivere canzoni e registrarle.
Il disordine è ciò che restava della nostra band precedente giunta al capolinea: strumenti, microfoni, amplificatori, ma anche fotografie, pagine scritte e hard disk con registrazioni e idee mai portate a termine.
Fare ordine ci ha fatto scoprire mt/solo, abbiamo raccolto quelle idee che non eravamo stati capaci di capire, le abbiamo trasformate e provate fino a che non ce le sentivamo bene addosso e ne abbiamo fatto delle canzoni.
mt/solo è stato una scoperta che abbiamo fatto sul finire del 2018, ma in realtà stava crescendo nel disordine da molto prima e aspettava che anche noi crescessimo per venir fuori.

 

Cosa vorreste far arrivare a chi vi ascolta?

Tutti i brani del disco in uscita sono pagine di una sorta di diario emotivo, dove le storie sono patchwork di esperienze vissute che si mischiano all’ambiente che le circonda.
Abbiamo raccontato queste storie di desideri, fallimenti, amori pericolosi e fugaci soddisfazioni come fossero delle favole.
Nascondendole in delle istantanee di personaggi e situazioni surreali, le abbiamo staccate dall’esperienza strettamente personale per farle diventare simbolo di quel particolare stato emotivo.
Non ci interessa la morale, ci interessa trasmettere la forza del sentimento per avere indietro una reazione ad di là del giusto, dello sbagliato e del socialmente accettabile.
Per vedere come va il mondo anziché dire come dovrebbe andare.

 

Come vi immaginate il vostro primo concerto live post-pandemia?

Abbiamo sempre pensato che mt/solo appartenesse più al palco che non allo studio, quindi questa domanda ci sta molto a cuore.
Ce lo immaginiamo emozionante come un nuovo inizio, adrenalinico e liberatorio al contempo. Onestamente non vediamo l’ora di recuperare questo aspetto della musica, di scambio vivo, organico, da bocca ad orecchio senza intermediari, anche di sbagliare se vuoi, ma mettersi in gioco in una situazione dove quello che succede esiste solamente in quel momento ed in quel tempo.
In ultimo di scoprire un pubblico nuovo da molto a digiuno di musica dal vivo, sicuramente più desideroso che mai di rendersi partecipe.    

rovere: le esperienze che fai modificano la persona che sei

I rovere, Nelson “Nels” Venceslai, Lorenzo “Stiva” Stivani, Luca Lambertini, Davide “Frank” Franceschelli e Marco “Paga” Paganelli, hanno pubblicato il loro secondo album, intitolato dalla terra a marte. Per l’occasione, abbiamo chiacchierato con uno Stiva molto emozionato per il nuovo disco nel suo giorno di uscita.

 

Ciao, Stiva! Piacere. Come va?

“Ciao, piacere mio! Tutto bene, tutto bene. Giornata lunga, con l’emozione per l’uscita del disco…dai, siamo molto contenti.”

 

Voi avete fatto questo viaggio dalla Terra a Marte: raccontaci qualcosa.

”Questo disco abbiamo iniziato a lavorarlo più di due anni fa. Ci eravamo rinchiusi in una casa di montagna nei pressi di Vipiteno e avevamo iniziato a scrivere la prime canzoni, tra cui freddo cane. Una sera, mangiando insieme con la televisione accesa sul telegiornale, abbiamo sentito questa notizia che ci diceva di tornare a casa perché si stava chiudendo.”

 

Ah, subito prima del lockdown!

“Sì, è stato assurdo perché è stata l’ultima volta che ci siamo visti per almeno due o tre mesi e ci siamo trovati a lavorare in un modo totalmente nuovo: a distanza, ognuno nella sua cameretta. E dopo un iniziale momento ovvio di fatica per la nuova situazione, sono nate un sacco di canzoni che poi in questi due anni abbiamo rielaborato, modificato e fatto nostre. Da lì è nato il disco. Il tema del viaggio dalla Terra a Marte è nato perché non potevamo viaggiare in quel periodo, se non con la mente e la musica e per me è stata quell’ancora di salvezza che ci ha tenuti attaccati alla realtà e attaccati al desiderio di vivere in un momento in cui di vita non c’era nulla. C’era solo un esistere, uno stare nelle nostre case aspettando e la musica ci ha dato modo di fare tesoro di quel tempo che ci era stato dato.” 

 

rovere dalla terra a marte

 

Qualche settimana fa è uscita crescere. Volevo chiederti: com’è stata la crescita dei rovere? 

“In realtà noi venivamo da un periodo abbastanza strano. Il 2019 per noi è stato un anno importantissimo: è uscito il nostro primo disco disponibile anche in mogano, ma abbiamo fatto anche più di cinquanta concerti. Abbiamo passato più di due mesi in giro per l’Italia dormendo in alberghi diversi ogni notte. È stato un periodo molto intenso, molto euforico, ma non ci dava il tempo materiale di riflettere su quello che stavamo vivendo e anche su quello che stavamo diventando, perché le esperienze che fai modificano inevitabilmente la persona che sei. Quindi, non avevamo mai avuto l’occasione di confrontarci con noi stessi sulla nostra vita ed è stata un’occasione di crescita poter ripensare a tutto questo. In realtà è come quando si parte per un viaggio e si cercano delle risposte…[si sente Stiva che parla con delle ragazze e cade la linea, poi mi richiama e mi dice che l’hanno fermato chiedendogli se fosse un cantante.]
Allora, parlavamo di crescere. Dicevo che questo periodo qua ci è servito sicuramente anche per fare un po’ di conti con noi stessi, come quando si parte per un viaggio, che può essere sia reale, verso un posto “vero”, sia con la mente, come con accade con la musica e con l’arte. Si cerca di ritrovare se stessi e molto spesso sono di più i dubbi che emergono rispetto alle certezze e così è stato per noi. Siamo partiti che volevamo capire chi fossimo e abbiamo commesso tanti errori, abbiamo trovato tante difficoltà. Ciò che ci portiamo a casa da questo disco è la bellezza di condividere, di fare la musica insieme tra di noi, ritrovarci. Condividere la musica è ciò che ci rende felici, perché quando lavori per due anni chiuso nella tua stanza per la maggior parte del tempo, o in uno studio con le solite cinque o sei persone, ti sembra che la musica finisca lì. Quando non ci sono i concerti, la condivisione e la risposta del pubblico non esistono. Quindi, abbiamo proprio bisogno di feedback.”

 

Poi ci sarà anche il tour. Immagino siate carichi!

“Noi non vediamo l’ora perché, purtroppo, dovevamo iniziare tra un mese. Era tutto organizzato, ma la situazione non permette di dare certezze. Ti faccio un esempio: quando suoniamo a Bologna, ci sono persone che, magari, vengono da Napoli o dalla Sicilia e che prendono un aereo e spendono ulteriori soldi. Noi ci tenevamo che l’organizzazione fosse perfetta, soprattutto per queste persone che si organizzano per non perdere tanti soldi. La situazione di emergenza non può dare certezze per i concerti, noi ci esibiamo con il pubblico in piedi e senza mascherine e abbiamo deciso che la cosa migliore fosse rinviare a luglio e godersela pienamente.”

 

Speriamo ci sia più sicurezza.

“Esatto. Come recita la nostra canzone la libertà, che è all’interno del disco, noi vogliamo che il pubblico viva in libertà il concerto. Dal punto di vista di socializzazione, di arte e condivisione e sarebbe brutto viverlo con la paura di contagiarsi, entrare in contatto ed essere troppo vicini. Cioè…no! Non vogliamo che lo vivano così, partiamo il 2 luglio con Padova, poi toccheremo la nostra città di Bologna, toccheremo Torino. Insomma, gireremo l’Italia e non vediamo l’ora.”

 

Mi viene in mente però che, anche se siete stati distanti dal pubblico, i rovere si incrociano con YouTube. Io stessa ho guardato i vlog di Nelson [youtuber famoso per i canali Space Valley e Nels, N.d.A.] in cui registravate l’album e secondo me questo vi ha avvicinato al pubblico, è un valore aggiunto.

“È indubbiamente un valore aggiunto. Io ti parlo proprio di contatto umano. È vero: i feedback li hai perché vedi le persone che condividono la loro frase preferita di una canzone, ma è comunque a distanza e non è come le persone che ti cantano davanti a un concerto. Forse ci eravamo abituati troppo bene nel 2019, però a me piace pensare che quella fosse la normalità. E ben vengano, ovviamente, tutte le occasioni di incontrarsi a distanza, perché in questi anni sono state oro. Però, a noi manca quel contatto umano, come quelle ragazze di prima che ti fermano per strada e ti chiedono se sei un cantante e non sanno neanche bene chi sei, magari ti hanno visto su una copertina, ma sono curiose e ti fermano. A noi mancano queste cose qua.”

 

Diciamo che abbiamo dovuto trovare qualche alternativa in questi due anni. Mi lego al discorso sulla crescita che facevamo prima: in questo album ho ritrovato i rovere di disponibile anche in mogano, per esempio. Però ci sono delle differenze dai lavori precedenti e, quindi, qual è il tratto distintivo di questo album oltre a quanto abbiamo detto sulla pandemia?

“Al di là delle tematiche del disco, ci sono differenze abbastanza importanti. Dal punto di vista musicale, abbiamo avuto una collaborazione che per noi è stata totalmente nuova ed è stata con Matteo Cantaluppi, il produttore del disco, noi lo stimavamo tantissimo. Desideravamo da tempo che lavorasse con noi, perché volevamo quel suono di band che lui sapeva dare. È bravissimo in questo e ha lavorato con gruppi come Fast Animals and Slow Kids, Thegiornalisti e nei suoi lavori è riuscito sempre a dare quel suono che a noi piaceva tantissimo, che sapeva proprio di suonato, con chitarra elettrica, batteria acustica. Sa fare un lavoro di mixaggio che a noi piaceva molto e quando siamo riusciti a fare il primo singolo con lui, freddo cane, l’abbiamo portato dentro tutte le altre cose e gli abbiamo proposto di fare il disco. Lui si è trovato da subito molto bene con noi ed è venuto naturale. Quindi, prima di tutto ti dico che la differenza sta in questo: nello spazio musicale si sente un bel level up, c’è una cura a livello di suoni e arrangiamenti che è diversa e anche più matura rispetto a disponibile anche in mogano. Rispetto invece ai testi, in questo disco ci siamo confrontati anche con altri autori e abbiamo scritto più canzoni e abbiamo avuto più possibilità di scelta. Rispetto a disponibile anche in mogano, è un album più lungo perché abbiamo trovato più canzoni e ci siamo detti: “Ma perché dobbiamo fare un album di dieci canzoni come l’altro?” E alla fine, c’erano quattordici canzoni che ci piacevano e le abbiamo inserite tutte ed è venuto fuori un album che, secondo me, è più sincero, parla più di noi e ci rappresenta di più. Per me, con questo disco siamo riusciti a essere più noi stessi e più riflessivi su quello che volevamo condividere. Magari, col primo disco abbiamo avuto uno strumento di comunicazione col nostro pubblico che non pensavamo di avere, non credevamo che avremmo avuto quel riscontro. Con questo disco un po’ di consapevolezza ce l’avevamo e volevamo sfruttare l’occasione per raccontare chi fossimo, perché ne sentivamo il desiderio.”

 

Dopo questi due anni, direi che fa bene qualcosa in più. Io ho finito e ti ringrazio!

“Ma il disco ti è piaciuto? Posso chiedertelo?”

 

Sì, mi è piaciuto! Però io sono molto fan di disponibile anche in mogano, ce l’ho nella testa da tanto tempo, ma anche i singoli lupo e crescere mi sono entrati subito in testa.

“Dai, sono contento, mi fa piacere. Speriamo di vedere anche te a un concerto!”

 

Certo, io ci sarò! Grazie mille, ciao!

“Grazie a te, ciao!”

 

Marta Massardo

Tre Domande a: Caron Dimonio

Come e quando è nato questo progetto?

Giuseppe: Alla fine del 2012 mi ero ritrovato con una decina di canzoni, preparate in “dimensione casalinga”: voce/testi, chitarra ed electribe Korg, niente software, avevo chiuso da più di un anno con il mio primo progetto musicale, mi serviva quindi un bassista per svilupparle, così ho chiesto a Filippo di aiutarmi. Ci eravamo conosciuti suonando in un gruppo nato in quel periodo, che però ebbe breve vita. Lorenzo è entrato come turnista alla batteria a inizi 2018, in tour si è intensificato il nostro rapporto, non solo personale, ma anche a livello artistico, così gli abbiamo proposto di entrare in pianta stabile nel progetto, che adesso quindi è un trio. Ci segue come produttore fin dagli inizi Gianluca Lo Presti.

Filippo: Sono stato coinvolto da Giuseppe nel 2013, suonavamo insieme in un’altra band. Lui aveva già pronti dei brani e gli serviva un bassista. Sono rimasto piacevolmente intrigato dall’idea di suonare in una band che unisce sonorità post punk ed elettronica con cantato in italiano. Da quel momento abbiamo stipulato questo matrimonio (o questa condanna direbbero alcuni ahaha) che è diventato a tre con il piacevole inserimento di Lorenzo, e macinato date e chilometri.

Lorenzo: Il mio viaggio con Caron Dimonio è iniziato in autostrada durante un tour nel 2018. In quella occasione ero semplicemente un accompagnatore. I miei amici mi proposero di fare qualche live assieme in futuro,allestendo una sezione ritmica non convenzionale che si aggiungesse a basso e chitarra nella parte di scaletta più rumorosa. Poco dopo siamo partiti per l’Inverno slovacco e al ritorno dal grande freddo facevo parte anche io del gruppo.

 

Se doveste riassumere la vostra musica in tre parole, quali scegliereste e perché?

Giuseppe: Drammatica, potente, eterea. Perchè lo è 🙂

Filippo: E come si fa a in tre parole? È complicatissimo, me ne vengono in mente almeno un decina. Direi che la nostra musica è ossessiva, come ogni rituale che si rispetti la preghiera deve entrare in testa. Cinematografica, se chiudo gli occhi la trovo estremamente evocativa. Crying on the dancefloor, ok non è una parola sola ma passatemi il temrine. È quella canzone che ti fa ballare perché danzereccia, però nello stesso tempo ha un che di stretta al cuore.

Lorenzo: FANTASMI – Durante i numerosi lockdown, anche se lo sospettavo da tempo, ho infine avuto la certezza che nel mio vecchio appartamento convivessero con me alcuni fantasmi. Presone atto, nel momento in cui stavo partendo con gli strumenti per la prima sessione di registrazione, appena prima di chiudere la porta di casa, li ho invitati a venire con me in studio. Mi hanno sussurrato ottimi consigli e spero potrai apprezzare il loro contributo, specialmente in alcune parti di synth.
MONTAGNE – Sempre durante un lockdown ho lasciato il mio appartamento a Bologna per trasferirmi in un piccolo paese dell’Appennino, popolato da poche anime. L’attenuarsi del perpetuo drone cittadino mi ha permesso di creare alcuni buoni paesaggi col sintetizzatore.
DISCOTECA – Pubblicando questo album il nostro sogno sarebbe farti piangere con qualche accordo melanconico di dolce euforia cupa, ma se riusciremo subito dopo a farti anche ballare con la lacrima non ancora asciugata sulla tua guancia, sarebbe proprio il top.

 

Quanto puntate sui social per far conoscere il vostro lavoro?

Giuseppe: Mi occupo io dei social, gli altri li guardano a malapena (e fanno bene 🙂 ). Li uso (credo) nella giusta misura, principalmente per promuovere nuove uscite, recensioni, interviste o date tour.

Filippo: Ultimamente più di prima. Per anni ho ignorato cose come le storie su Instagram, o altre dinamiche social, per manifesta incapacità informatica più che per spocchia. Col tempo mi sono reso conto che sono fondamentali per arrivare ad una quantità di pubblico maggiore, li trovo persino divertenti. Chissà che per me non sia l’inizio di una lunga carriera da boomer.

Lorenzo: Probabilmente i social puntano su di noi per tamponare l’emorragia di iscritti che si cancellano sempre più numerosi perché sempre più soli.

Tre Domande a: YTAM

Come e quando è nato questo progetto?

Dopo una serie di esperienze con alcune band, ho iniziato a pensare che forse avevo bisogno di poter esprimere le mie emozioni in modo indipendente e senza dover chiedere conferma ad altri membri come funziona nei gruppi appunto. Cercavo un nome semplice, immediato e che suonasse anche un po’ internazionale, siccome prendo molto ispirazione da artisti al di fuori dell’Italia. Quattro anni fa è nato il mio progetto YTAM anche se è negli ultimi due anni che le cose si sono fatte serie!

 

Cosa vorresti far arrivare a chi ti ascolta?

Il mio obiettivo è quello di trasmettere un’emozione a chi ascolta le mie canzoni, metto quasi sempre al primo posto il sound di un pezzo più che il testo. Attraverso le canzoni racconto delle esperienze, o degli stati d’animo che mi hanno colpito e che non riuscirei ad esprimere normalmente.

 

Progetti futuri?

Al momento non ho ancora spoilerato cosa ci sarà dopo GBYE (il mio primo singolo), però posso anticipare che in primavera succederà qualcosa di super! Abbiamo lavorato al mio progetto per tanto tempo e adesso non vedo l’ora di condividere con tutti il materiale che abbiamo preparato. Tenete d’occhio la mia pagina Instagram!

Tre Domande a: Alice Robber

Come e quando è nato questo progetto?

È nato nel 2019, ma in realtà mi viene da dire che questo progetto c’è sempre stato, dentro la mia testa, da quando ho iniziato a scrivere le mie canzoni. Ora sta crescendo e sta trovando la sua forma giorno dopo giorno. Quando ho iniziato a scrivere ero solo io e il mio pianoforte, oggi invece ci sono anche i miei produttori, Studio Corrente, che lavorano con me e con cui stiamo creando un immaginario ben preciso. A Marzo uscirà il mio primo EP e sono molto emozionata di poter presentare finalmente l’intero progetto. 

 

Cosa vorresti far arrivare a chi ti ascolta?

Vorrei che chi ascoltasse le mie canzoni si sentisse parte di qualcosa. Vorrei che si sentissero meno soli, nel bene o nel male.
Alla fine proviamo tutti, chi più o chi meno, emozioni simili. La paura, la gioia, la sofferenza, il dolore per un amore perso. Io alla fine parlo di questo nelle mie canzoni, parlo delle mie esperienze, e sapere che qualcuno ci si possa ritrovare e sentire compreso mi rende felice.
In questi nuovi brani c’è la me più fragile, ho scritto queste canzoni nel modo più sincero possibile e spero che questo arrivi, in un modo o nell’altro. 

 

Se dovessi scegliere una sola delle tue canzoni per presentarti a chi non ti conosce, quale sarebbe e perché?

Ad oggi, sarebbe senz’altro Keep On Dancing. Ho iniziato a scrivere questa canzone quando avevo 19 anni e non l’ho mai finita, fin quando non me ne sono dimenticata. L’ho ritrovata 2 anni fa dentro vecchi progetti. Mi sono resa conto di quanto mi sentissi triste e sola, mi sono tornate in mente tutte le sofferenze, i brutti pensieri, la paura di vivere e di crescere, i miei attacchi di panico in posti troppo affollati. Ho deciso di finire la canzone, le strofe sono rimaste le stesse, ho aggiunto il ritornello e lo special.
Non avrei mai immaginato quando ho iniziato a scrivere questa canzone che sarei stata capace di ballare di fronte a tutto quel dolore, ma soprattutto non avrei mai immaginato che ora chiunque può ascoltarla.
In questa canzone c’è tutto quello che sono stata e che sono, le mie paure e le mie sofferenze, ma anche la voglia di non smettere mai di combattere e di crescere nella versione migliore di me. E come dico nel ritornello, “Keep on dancing till the sun comes out”, sempre.

Tre Domande a: Bouganville

Come e quando è nato questo progetto?

I Bouganville sono nati nell’estate del 2017: io (Luciano Zirilli) e Luca Grillo ci conosciamo già da anni, entrambi villeggiamo a Salina da quando siamo nati. Ci siamo accorti presto di avere gusti musicali affini: quando ai falò finiva il momento Albachiara / Wonderwall ci mettevamo a suonare gli Strokes o i Pixies. Roba da hipster.
Da lì a formare una band il passo è stato breve: Luca G. si è trasferito a Roma e abbiamo iniziato a buttare in pasto alle piattaforme digitali i nostri primi singoli. Dopo vari avvicendamenti, abbiamo raggiunto la formazione definitiva con Gianluca Fraddosio al basso nel 2018 e Luca Taurmino alla batteria, nel 2019. Da quel momento sentivamo che eravamo completi e pronti per andare in studio.

 

Progetti futuri? 

Possiamo dirvi che uscirà il nostro album nel 2022. È un disco che ha subito molti slittamenti a causa della pandemia: per questo siamo molto contenti di pubblicarlo, l’attesa è stata a tratti snervante ma alla fine siamo molto soddisfatti del risultato. Non vediamo l’ora di suonarlo dal vivo, speriamo al più presto. Per ora ci stiamo concentrando sulla scrittura di nuovo materiale.

 

Se doveste scegliere una sola delle vostre canzoni per presentarvi a chi non vi conosce, quale sarebbe e perché?

Crediamo che Investigazioni Private sia la canzone manifesto della nostra musica. Abbiamo condensato in questo pezzo tutto quello che ci ha ispirato nella scrittura dell’album: la musica soul, l’indie rock, il pop degli anni ’60. Ha un linguaggio che sentiamo nostro.

Tre Domande a: Marta Arpini

C’è un artista in particolare con cui ti piacerebbe collaborare?

Sarebbe un sogno collaborare con Andy Shauf, un po’ in qualsiasi forma — co-scrivendo una canzone, o vedendo da vicino come registra e produce i propri album, cantando insieme… c’è qualcosa nella sua voce, e nel suo suono come artista in generale, che mi affascina enormemente, mi emoziona e a cui mi sento affine, e ovviamente amo anche moltissimo come scrive e come arrangia. Ogni volta che ascolto qualcosa scritto o registrato da lui, lo riconosco immediatamente, e mi punge il cuore. Sarebbe un’enorme fonte di ispirazione poter lavorare con lui.

 

Progetti futuri? 

Vorrei continuare a percorrere la strada che ho intrapreso con questo mio disco I Am a Gem: immaginare, scrivere e arrangiare musica per un organico ampio quanto flessibile, anche differente per ogni canzone. Più di tutto vorrei iniziare a produrre la mia musica da me; finora ho sempre collaborato con produttori, che è una cosa molto bella e intelligente, perché può dare un apporto fresco e originale al materiale. Lavorando sulle mie demo in maniera anche ossessiva, ho capito però che ho le idee molto chiare riguardo certi aspetti della produzione, e mi piacerebbe sviluppare il più possibile questo aspetto del processo creativo. Al momento sto scrivendo molte canzoni che prevedono la presenza di voce, chitarre, molti flauti e clarinetti. Vorrei raccoglierne un po’ e pubblicare presto un EP, o comunque una prima parte di un lavoro che può diventare molto più esteso. Mi è piaciuta un sacco l’idea dei Dirty Projectors, che nel 2020 hanno pubblicato 5 EP poi racchiusi in un unico, lungo album. Vorrei prendere ispirazione da questo.
Ad aprile 2022 poi uscirà il primo EP di tiigre, la mia band dream pop indie rock, e di sicuro andremo avanti a lavorare su nuove canzoni, per registrare e pubblicare il nostro primo album alla fine del 2022 / inizio 2023.

 

C’è un evento, un festival in particolare a cui ti piacerebbe partecipare?

Più che un evento o un festival in particolare, c’è una venue ad Amsterdam dove sogno di potermi esibire un giorno. Si chiama Paradiso, ed è una ex chiesa che oggi ospita concerti importanti. Lì ho visto alcuni dei miei artisti preferiti, tra cui i Big Thief nel 2020, poco prima che tutto chiudesse per la pandemia. La serata era sold out, la sala era pienissima e l’atmosfera incredibile. Il Paradiso è un’istituzione qui in Olanda, e poterci fare uno show da headliner un giorno… sarebbe bellissimo.

 

Foto di copertina: Teresa Costa

Tre Domande a: Milano Shanghai

Come state vivendo questi tempi così difficili per il mondo della musica?

È stato strano aver pubblicato i nostri primi due EP in questi ultimi due anni, con tutte le difficoltà che riguardano la musica live.
Inevitabilmente in questo periodo ci stiamo concentrando sulla fase più creativa del progetto, sulla scrittura e sulla produzione. Avendo la possibilità di trovarci in studio, non ci facciamo frenare dal periodo incerto. Alla fine, scrivere musica è un ottimo modo per non pensare a quello che sta andando male….

 

Ci sono degli artisti in particolare a cui vi ispirate per i vostri pezzi?
Il sound del nostro ultimo EP Vetro e Plastica è stato accostato, in alcune recensioni, ai Bluvertigo nel periodo di Zero, ai Subsonica e ai Coma Cose. Queste affinità ci fanno molto piacere: in effetti veniamo da mondi musicali differenti e ognuno mette le vibes del proprio passato, presente e futuro.
Artisti nuovi che sicuramente ci hanno influenzato sono alcuni esponenti della nuova scena jazz UK, come Yussef Dayes o Joe-Armon Jones. La musica italiana di Cosmo e dei Coma Cose.
Per il resto siamo amanti di un certo tipo di musica underground che ispira le nostre produzioni. Dal trip hop inglese (Massive Attack) a quello italiano (Casino Royale), dalla dub music all’hip hop coi campioni. Siamo sempre alla ricerca della ricetta perfetta che unisca questi ingredienti.

 

Progetti futuri? 
Sicuramente vogliamo portare live il nostro nuovo EP Vetro e Plastica appena sarà possibile farlo. È un lavoro molto variegato: alcuni pezzi, tipo Taoismo, sono stati registrati praticamente in presa diretta grazie alla loro forte attitudine live, mentre altri (ad esempio Gessate) hanno sperimentato un lavoro di produzione più stratificato. Mettere tutto insieme in un live set sarà divertente e stimolante, richiederà soluzioni creative. Stiamo anche lavorando a nuova musica: ci troviamo in studio ogni settimana. Il 2022 per noi è un anno speciale: siamo molto felici di lavorare con una squadra compatta e forte quale è Bradipo Dischi. Verso primavera, se non prima, ci saranno altre sorprese.

 

Foto di copertina: Ferruccio Perrone