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Tag: intervista

Tre Domande a: Zoelle

Come e quando è nato questo progetto?

Il progetto Zoelle nasce in piena quarantena, durante il primo lockdown. La solitudine di quel momento mi ha spinto a tirare fuori i pensieri più profondi e metterli in rima, sfruttando quell’irreale silenzio per dare voce a tutte le sensazioni negative che mi divoravano dentro. Un vecchio pianoforte e una chitarra sgangherata mi hanno permesso poi di trasformare tutto questo in musica e in seguito, grazia alla collaborazione con Joestar e Akiyame, i miei attuali produttori, ho confezionato le mie prime canzoni.

 

C’è un artista in particolare con cui ti piacerebbe collaborare? 

Nel futuro immediato mi piacerebbe collaborare con Etmo, un giovane rapper di Torino che fa parte del roster RKH e registra nell’omonimo studio a cui mi appoggio per i miei brani. Mi sono innamorata del suo stile e della sua musicalità e credo che con la produzione giusta potremmo tirare fuori qualcosa di speciale.

 

Se dovessi scegliere una sola delle tue canzoni per presentarti a chi non ti conosce, quale sarebbe e perchè? 

Se dovessi scegliere una sola canzone sarebbe senza dubbio Fanfara Dark, il mio brano d’esordio. Comporla è stato come fare un salto nel buio. Mi ha portato in una dimensione nascosta, in cui mi sono svestita dei panni di Martina per indossare quelli di Zoelle. Probabilmente avevo solamente bisogno di dimostrare a me stessa di potercela fare e quel brano rappresenta in pieno l’iniezione di fiducia di cui avevo bisogno per andare avanti e inseguire i miei sogni.

La Municipàl e le canzoni per restare uniti, nonostante tutto

Per resistere al tuo fianco è uno di quegli album che ci servono durante una pandemia e La Municipàl, il duo formato dai fratelli Carmine e Isabella Tundo, ce l’ha regalato. Se dovessi dare una definizione alla loro musica, direi che è una costante rielaborazione emotiva cantata e suonata, attraverso la quale riusciamo a capire noi stessi. E oggi ne abbiamo tanto bisogno. 

Per l’occasione, abbiamo chiacchierato con Carmine, che ci ha raccontato il viaggio iniziato nel 2020 con la pubblicazione di doppi singoli rilasciati in digitale e in vinile 45 giri. L’artista, conosciuto anche come Romeus o Diego Rivera, è come mi aspettavo che fosse: con poche parole e una voce sicura, è riuscito a raccontare un’indagine interiore personale e universale.

 

Ciao Carmine! Introduciamo subito l’album: Per resistere al tuo fianco chiude il percorso iniziato con Per resistere alle mode. Com’è andata e come sta andando?

“Sono contento finalmente di aver concluso questo percorso cominciato un anno e mezzo fa. Ovviamente, causa pandemia, è stato un po’ dilatato nei tempi. Però mi sono divertito molto a produrlo, soprattutto sfruttando l’idea di dualismo (lato A e lato B) e poi ho cercato di seguire una sorta di flusso, quindi quasi tutti i brani sono collegati sia dal punto di vista sonoro che come tematiche. Sono abbastanza soddisfatto.”

 

Quindi, qual è l’aspetto che preferisci di quest’ultimo album?

“Sicuramente l’aver potuto lavorare sul dualismo, poi anche il fatto che è una sorta di piccolo concept album. Ascoltandolo dall’inizio alla fine, è come se ci fosse un flusso e fosse tutto collegato.”

 

La prima cosa che si nota è proprio il verbo resistere, quindi anche il concetto di “resistenza”, che ha sempre un bel significato, anche politico. Cosa vuol dire “resistenza” per te?

“È stato un periodo difficile per tutto e per tutti. Sono riuscito a capire quali sono le persone realmente importanti per me, quelle che mi hanno aiutato a sopravvivere, banalmente. È stato qualcosa di collettivo. La resistenza può essere politica e affettiva, il restare uniti nonostante tutto. È un concetto forte che ho cercato di raccontare in tutto l’album.”

 

Infatti, nell’album sono presenti sentimenti che abbiamo provato tutti nell’ultimo anno e mezzo. Cosa vi ha lasciato e cosa vi lascerà questo periodo che stiamo vivendo?

“Sono stato molto fortunato perché vivo in campagna, ho avuto modo di finire un sacco di lavori che avevo in arretrato e il fatto di fare musica mi ha salvato. È stato un periodo in cui ho cercato di trarne dei lati positivi.”

 

Collegamento personale: non so se ti sia capitato di leggere Dizionario inesistente di Stefano Massini. Lui inventa una serie di vocaboli che non esistono nella lingua italiana e crea la parola “bastitudine”, che indica la virtù di saper dire basta quando è necessario. Quando è necessario?

“Io credo a un certo punto quando cresci bisogna guardare in faccia la realtà, accettarsi e accettare gli altri e accettare anche che le cose possano finire. Mollare la presa spesso è qualcosa di necessario per crescere umanamente. Un po’ più giovane tendi a cercare delle risposte, delle soluzioni e a volte ci metti un po’ a lasciare andare.”

 

È vero. Grazie mille!

“Grazie, un abbraccio!”

 

Marta Massardo

 

Tre Domande a: GENTE

Come stai vivendo questi tempi così difficili per il mondo della musica? 

“Con grande energia e voglia di non buttarsi giù. Qui a Bologna si riesce a palpare l’energia fortissima che sta tornando dai musicisti e le persone che amano la musica, quindi sto cercando di cavalcare quest’onda ed essere mega produttivo, per ritornare sempre più spesso live e respirare musica fino alla nausea.”

 

Se dovessi riassumere la tua musica in tre parole, quali sceglieresti e perché?

“Sole, Amore e Anima: Sole perchè ogni mia canzone parte da una cosa negativa che provo a trasformare in luce e calore, Amore perchè ogni mia canzone trasuda devozione verso questo mondo musicale e Anima perchè ci mettiamo sempre tutta l’energia che abbiamo in corpo per ogni cosa che facciamo, io e il mio team!”

 

Cosa vorresti far arrivare a chi ti ascolta? 

“Io faccio musica come terapia d’urto personale, il mio sogno sarebbe quello di far diventare le mie canzoni dei piccoli trattamenti per la presa bene: 2 canzoni a stomaco pieno dopo ogni pasto, tranne la sera. La sera a stomaco vuoto mischiato ad alcol per goderci la vita!”

Tre Domande a: Durmast

Come e quando è nato questo progetto?

“Ho sempre suonato la batteria in varie band punk/rock dal 2004 ad oggi, ma nel 2008 in seguito ad un incidente che mi ha impossibilitato a suonare per diversi mesi ho cominciato a scoprire il mondo della musica elettronica continuando la cosa parallelamente alla batteria anche dopo essermi rimesso, dal 2017/2018 ho voluto dare l’ufficialità a questo progetto dandogli il nome Durmast e facendo uscire il mio primo album Village.”

 

Cosa vorresti far arrivare a chi ti ascolta?

“L’obiettivo non è trasmettere, ma piuttosto, far scaturire qualcosa in chi ascolta i miei brani.
Credo che sia il bello di non avere testi, il testo condiziona l’ascoltatore, invece nel mio caso è la musica che agisce su chi ascolta suscitando qualcosa in maniera molto libera senza vincoli e senza un giusto/sbagliato. Vorrei che la mia musica potesse essere indossata come un abito su misura, io presento il modello e l’ascoltatore decide il colore, i dettagli e in che occasione indossarlo. Può essere un abito da festa, da viaggio, da tenere dentro l’armadio e indossarlo guardandosi allo specchio, in seguito riporlo per poi vedere come calza qualche anno più tardi.”

 

Progetti futuri?

“In testa tantissimi, tra i più fattibili adesso sicuramente creare altri brani, altri remix (di artisti conosciuti e non) e introdurre la batteria acustica in live e brani in studio così da poter dare un tocco umano ad una cosa programmata.
Mi piacerebbe dopo l’esperienza che ho avuto in Mappe Criminali, dove hanno utilizzato dei miei brani per la colonna sonora, creare qualcosa ad hoc per serie tv e/o film per il piccolo e grande schermo, insomma vorrei mettere i piedi in più staffe così da creare un bagaglio di esperienze più ampio, perchè credo che un’artista debba costantemente mettersi in gioco e affrontare nuove sfide per alimentare l’immaginazione e definirsi tale, fame senza mai sentirsi sazi.”

Tre Domande a: Brunacci

Cosa vorresti far arrivare a chi ti ascolta?

Vorrei che chi mi segue, una volta ascoltata la canzone, sentisse un po’ di conoscermi, come se avesse parlato con me. Vorrei che le mie canzoni facessero sentire meno soli e che dessero la forza per affrontare al meglio le difficoltà.

 

Se dovessi riassumere la tua musica in tre parole quali sceglieresti e perchè? 

Vera: perchè nelle mie canzoni non c’è nulla di inventato, ogni pezzo è una piccola parte di me.

Semplice: amo cantare degli aspetti semplici della vita e racchiuderli in una canzone. Nella musica anche la cosa più semplice, e non banale, prende un grande significato.

Profonda: per quanto io parli di aspetti semplici cerco sempre di ricavarne uno spunto di riflessione più profondo. Le cose semplici mi aiutano a concentrarmi meglio su ciò che conta.

 

Se dovessi scegliere una sola delle tue canzoni per presentarti a chi non ti conosce, quale sarebbe e perchè? 

Ogni mia canzone racconta qualcosa di me. Non è facile scegliere fra una di loro, in questo momento probabilmente sarebbe Quel che è, l’ultimo pezzo uscito, perchè rappresenta quanto il mio pensare a volte sia nocivo e mi impedisca di godermi le cose belle della vita.

Gian Maria Accusani: Riparto da solo (solo per il momento)

Qualcosa si muove? Qualcosa si muove. Lentamente, a fatica, ma anche la macchina dei live in Italia sta tornando a muoversi, a far spostare le persone, a far riaccendere le luci sui palchi, a tentare di metterci alle spalle questo annus horribilis.

C’è da dire che, almeno in questo primo periodo, i concerti non somiglieranno molto a quelli che eravamo abituati a frequentare, in quanto toccherà convivere ancora per un po’ con mascherine, distanziamenti ed altre limitazioni che ormai fanno parte della nostra quotidianità. E qui per la maggior parte degli artisti sorge il dilemma: pur di suonare mi adeguo e modifico (snaturo?) le mie esibizioni oppure attendo ancora che arrivi questo benedetto “liberi tutti”?

C’è anche una terza via a dire il vero, ed è quella che ha scelto Gian Maria Accusani, che non dovrebbe aver bisogno di presentazioni ma parliamo del frontman negli anni ’90 nei mitici Prozac+ e dal 2007 nei Sick Tamburo, il quale ha deciso di proseguire da solo. Nessun allarme, niente panico, i Sick Tamburo sono vivi e vegeti e pronti a tornare, sia con un nuovo disco che dal vivo, ma Gian Maria nei prossimi mesi sarà in giro per l’Italia con un incrocio tra concerto e spettacolo, Da grande faccio il musicista, nel quale ripercorre la sua ormai ultradecennale carriera.

Lo abbiamo intervistato qualche giorno fa e ci ha raccontato di più di questa nuova avventura e di come sia nata l’idea. E molto altro.

 

Ciao Gian Maria, prima di parlare del tuo nuovo tour mi interessava chiederti come hai passato questi ultimi ormai 18 mesi “difficili” e soprattutto, quando ormai era chiaro che non si sarebbe suonato per un anno e più, come hai accolto la notizia e come hai deciso di agire, di conseguenza?

“Ciao Alberto, allora lo scorso anno non ha suonato praticamente quasi nessuno, e come Sick Tamburo abbiamo deciso di non suonare nemmeno quest’estate, perché con il pubblico distanziato, le mascherine, ecc, non ce la siamo sentita, onestamente. Io capisco i gruppi che accettano di esibirsi in questa situazione, sia chiaro, ci sta. A me personalmente il pensiero di suonare con la gente seduta, a meno che non si tratti dell’Arena di Verona, non fa impazzire, mi pare manchi almeno metà della mia idea di concerto, per cui sì, abbiamo deciso di aspettare ancora un po’.”

 

E l’idea di imbarcarsi in questa nuova avventura quindi è per così dire figlia della situazione, del periodo o si tratta di qualcosa che già ti frullava in testa da un po’. E già che ci siamo come mai questo titolo?

“L’idea sinceramente ce l’ho da tempo, ma in tutta onestà non avevo mai avuto il coraggio di metterla in piedi e anzi, probabilmente senza pandemia questo coraggio non lo avrei mai avuto. È anche vero che ancora adesso l’idea di me da solo sul palco non mi entusiasma, però poi ho iniziato a ragionarci un po’ su, ed è nato questo spettacolo nel quale racconto il mio sogno che si è realizzato – e da qui il titolo – in quanto ho iniziato a suonare a sette anni e da quel giorno quando qualcuno mi chiedeva “cosa farai da grande” la risposta era sempre “da grande faccio il musicista”. Quindi racconto il mio viaggio all’interno del mondo della musica, ripercorrendo episodi più o meno famosi, dal Great Complotto a quando a diciotto anni sono finito a Londra, da quando son tornato per fare il tour manager e lavorare con Ramones, Beastie Boys, Henry Rollins, e poi ovviamente i Prozac+ e Sick Tamburo, per arrivare al giorno in cui sarò sul palco. Il tutto farcito da canzoni che hanno attinenza a ciò che sto raccontando.”

 

Quindi parliamo di un vero e proprio spettacolo per così dire “strutturato”…

“Assolutamente sì, c’è uno scheletro ben preciso, anche perché se no il rischio sarebbe di andare per così dire fuori tempo, e trovarti dopo due ore ad essere ancora ai Prozac, per dirti di quante cose ci sarebbero da raccontare…”

 

E ti sei fatto aiutare da qualcuno per una sorta di regia?

“No, ho fatto tutto da me. Lo spettacolo dura quasi due ore, suono tredici, quattordici pezzi, e poi il resto è racconto. Ovviamente ci saranno delle variazioni, qualche aneddoto cambierà da spettacolo a spettacolo. C’ho lavorato su un bel po’, sarò seduto, come il pubblico, e vorrei che diventasse come se stessi raccontato qualcosa ad un amico.”

 

Mi pare di capire che quindi è la tua prima volta da solo. Dopo centinaia, migliaia di date, come la stai vivendo questa attesa?

“È la mia prima assoluta da solo e la verità è che sono molto in tensione, davvero. È anche vero che nonostante non sia proprio più un esordiente, ad ogni concerto prima di salire sul palco, lo dico come lo diciamo noi, mi cago sempre sotto, ancora adesso. È proprio la mia natura. Poi quando inizio passa tutto.”

 

Quindi mi par di capire che questa comunque sia da considerarsi una parentesi più o meno estemporanea, e che i Sick Tamburo siano ancora la tua priorità, il tuo presente. Sai perché te lo chiedo? Mi era venuto il dubbio vedendo la copertina del singolo Il fiore per te, dove ci sei tu in primo piano e due ombre di Sick Tamburo sullo sfondo…

“La copertina di cui parli l’ho scelta perché si tratta di un disegno che ha fatto un fan e che mi aveva regalato una sera dopo uno spettacolo, e mi aveva profondamente emozionato. Questa cosa che sto facendo non ha nulla a che fare coi ST, i quali sono e rimangono la cosa più importante che ho al momento, sono il mio presente e appena si potrà tornare un po’ alla normalità sicuramente, anzi non vedo l’ora, faremo uscire un disco.”

 

Accusani intervista

 

Domanda difficile adesso: considerato che lo spettacolo segue la tua carriera e volendo trovare quattro distinti momenti, ovvero Great Complotto, Prozac+, Sick Tamburo e il presente, mi dici quattro aggettivi, quattro parole, che individuino ciascuna parte?

“Allora ti dico quattro parole, che esprimo tutto il concetto di questo racconto: sogno, in quanto è il mio sogno che si è realizzato, mondo magico che è quello in cui mi sono trovato catapultato al tempo del Great Complotto, entusiasmo e ultima cosa, che è quella che unisce un po’ tutte le precedenti è l’amore, nel senso più esteso, l’amore per tutte le persone che ho incontrato in questo viaggio e che sono state l’energia per andare avanti.”

 

Correggimi se sbaglio, visto che ne accennavamo prima, ma io ho sempre visto i tuoi progetti, specialmente i Prozac+ e i ST, fortemente caratterizzati dal punto di vista geografico, e questo sia chiaro è un enorme complimento. Mi spiego, ho sempre avvertito forte la presenza del Friuli, e di Pordenone in particolare, in quelle band. Oltre al Great Complotto e a quella situazione magica e presumo irripetibile, parliamo di una zona decentrata, lontana dalle grandi direttrici, dai grandi centri culturali come possono essere Bologna o Milano, mentre tu hai sempre fatto base a casa a Pordenone, giusto?

“Si, diciamo che pur avendone avuto anche la possibilità ho sempre sentito forte la necessità di tornare a prendere una boccata d’aria a casa, nei posti dove sono nato e dove ancora vivo…”

 

Quindi non credi sarebbe stato più semplice, meno tortuosa, la strada per arrivare ad un successo, che comunque hai avuto, se fossi stato altrove?

“Credo di no, credo che il fatto di aver vissuto in una piccola città di provincia in qualche modo, specialmente in epoca pre internet — dopo di che le distanze, anche geografiche, si sono ridotte a dismisura — sia stato uno sprone, una spinta a fare di più, a fare meglio, a spingersi a livelli che altrove non avresti raggiunto perché magari non ne avresti avvertito o sentito la necessità. Quello che arrivava o che sentivi a Milano non era quello che arrivava a Pordenone, certe cose non giungevano proprio fino a lì, per cui ce le inventavamo noi. È esattamente il contrario, Pordenone è stata proprio la spinta, la voglia di creare.”

 

Facciamo un attimo un passo indietro, poi prometto di liberarti; mi interessa sapere che idea, che pensiero ti sei fatto, come ti sei posto, da persona assolutamente dentro, da addetto ai lavori, in merito alla protesta dei bauli in piazza Duomo, ai ritardati quando non assenti contributi al comparto musica, che parrebbe essere stato il reparto meno aiutato o considerato dal governo durante questa pandemia… ricordo mesi piuttosto burrascosi e caldi…

“Allora, molto francamente il mio pensiero in merito a questa cosa qui è molto chiaro: semplicemente mi sono reso conto guardando quello che è successo e parlando anche con quelli che lavorano ai piani alti, che siamo stati i meno considerati per un semplice cosa, triste ma vera: il comparto musica muove zero soldi, cioè ne muove tanti ma rispetto ad altri settori è irrilevante, per dire il reparto musica non veniva nemmeno accettato ai tavoli di discussione, la verità è questa. Si parla tanto di cultura ma in Italia la verità è che la cultura viene considerata molto molto meno di quanto pensiamo, proprio perché non muove le cifre di altri, è sempre lì la questione. Ed è lì il male. Uno pensa a cultura e non dovrebbe in automatico pensare al rientro economico. Purtroppo, nel 2021, ancora oggi mi fermano e se mi chiedono che lavoro fai e rispondo il musicista mi chiedono “OK, ma di mestiere vero?”. È una questione proprio culturale, siamo un paese di artisti ma la struttura e l’organizzazione che c’è dietro è davvero arretrata, e ce ne siamo accorti durante questi mesi. E lo dico con profonda tristezza…”

 

Il ragionamento non fa una piega, però mi par di capire che non se ne esca, siamo in una sorta di circolo vizioso, in un loop…

“Beh, in molti paesi ci sono i sindacati dei musicisti, in Francia, in Germania, in Inghilterra, da noi invece non c’è niente. Lì chi fa questo mestiere è tutelato, qui ti devi inventare, per non parlare della burocrazia, che è una cosa obsoleta ed orrenda, anche se qui non è un problema solo della musica ovviamente.”

 

Chiaro. La speranza è che le cose prima o poi possano iniziare a cambiare… Nel frattempo ti ringrazio della chiacchierata.

Grazie a te!

 

E ci vediamo prossimamente sotto un palco, intanto seduti…

E speriamo presto in piedi!

 

 

Alberto Adustini

Tre Domande a: Vale Nicole

Come e quando è nato il tuo progetto?

L’idea di creare un album tutto mio è nata nel 2019, precisamente in una calda sera d’Agosto, quando io e RICI ci mettemmo alla produzione di un nuovo pezzo da cui poi nacque Fiori d’Agosto, che è all’interno del disco. Nota dopo nota, capivo sempre di più che era arrivato il momento di raccogliere tutto quello che a parole non ero mai riuscita ad esprimere, e di farlo creando un progetto tutto mio.
Con l’arrivo della pandemia e il conseguente lockdown, ho avuto la possibilità di entrare in una sorta di stand-by dalla mia vita di tutti i giorni, dandomi la grande opportunità di dedicare giorno e notte alla ricerca del mio sound, di riuscire a scavare dentro di me e sciogliere finalmente quei nodi stretti mettendoci un punto definitivo.
Ovviamente, tutto ciò non sarebbe stato possibile senza Natty Dub (Funk Shui Project), che fin dagli albori del progetto ha sempre creduto in me e nelle mie potenzialità, più di quanto non facessi io.
Abbiamo lavorato a distanza, ma in perfetta sinergia con tutti i produttori e i musicisti che hanno preso parte al progetto, mettendo l’anima in ogni singolo accordo.
In un periodo critico come quello che abbiamo passato, lavorare a questo progetto mi ha dato quella forza interiore che mi ha spinta ad andare avanti.

 

Ci sono degli artisti in particolare a cui ti ispiri per i tuoi pezzi?

Avendo un ascolto abbastanza ampio, è difficile riferirmi a qualcuno in particolare. Posso dire però che la scena nu-soul britannica mi è di forte ispirazione. Tom Misch, Jordan Rakei, Oscar Jerome, Samm Henshaw: il loro sound è fresco e innovativo, ma si percepisce sempre il legame alle radici del soul e quel forte richiamo al jazz, ed essendo il mio lato artistico originato da questi generi, per me sono fonte da cui trarre spunto.
Per quanto riguarda i testi, sicuramente mi sento più vicina a Ghemon, Willie Peyote e Venerus perché utilizzano un linguaggio figurativo che rispecchia molto il mio modo di approcciare alla scrittura. Immaginare scenari che vanno oltre al semplice racconto, trovare delle analogie tra le proprie esperienze vissute e quelle delle altre persone, cercando di creare un unico ambiente dove ritrovarsi per non sentirsi soli, è quello che cerco di ricreare nei miei testi.
Anche le liriche sublimi degli artisti senza tempo della musica italiana, come Lucio Dalla e Ornella Vanoni, che mi accompagnano fin dall’adolescenza, hanno certamente influenzato la mia penna.

 

Come ti immagini il tuo primo concerto live post-pandemia?

Una bomba atomica. Sarà sicuramente un’esplosione di emozioni riuscire a ritornare su un palco e condividere le sensazioni uniche che solo un concerto dal vivo ti può dare. Penso che questo valga sia per lo spettatore, sia per i cantanti/musicisti e per tutti coloro che lavorano dietro il sipario.
La connessione tra pubblico e artista genera un feedback molto importante perché è lo spettatore a rendere unico un live creando energia e potenza.
Lavorare ad un disco, senza riuscire a suonarlo in giro, è come lasciarlo a metà.
Mi metto anche nei panni di un ascoltatore, ed essendolo anch’io, capisco ci sia la foga di vedere gli artisti esibirsi, cantare con loro e commuoversi.
Io questa volta ho una grande emozione in più: portare finalmente il mio progetto su un palco.
Che bomba atomica!

OLTRE Festival 2021: le scelte di Amedeo Sole per andare davvero oltre

OLTRE Festival, inserito nel cartellone di iniziative estive promosso e coordinato dal Comune di Bologna, torna quest’anno con una rassegna di concerti ricca di generi e sonorità. Abbiamo avuto occasione di approfondire di più sul festival scambiando due chiacchiere con il suo direttore artistico Amedeo Sole.

 

OLTRE Festival: qual è il significato di questo nome?

“OLTRE Festival perché ha uno sguardo che vuole andare aldilà dei soliti confini, sia quelli musicali, attraversando diversi generi come trap, indie e pop, sia quelli urbani e sociali, portando la musica nella periferia bolognese.”

 

Mi parli della location, il Parco delle Caserme Rosse di Bologna: perché questa scelta?

“L’idea del festival è quella di poter portare la musica in luoghi meno conosciuti, che possono tornare ad essere parte vitale del tessuto urbano, sociale e culturale della città, come appunto il Parco delle Caserme Rosse.”

 

OLTRE Festival ha avuto uno stop di più di un anno, dovuto alla pandemia globale, ora si riprende con una rassegna di artisti freschi e gruppi di rivelazione come Psicologi e Ariete… ed anche con nomi già noti all’interno della scena musicale italiana, come Rkomi e Frah Quintale. A cosa punta facendo queste scelte? Esse dipendono anche dai suoi gusti personali?

“OLTRE ha avuto un anno di stop, ma non ci siamo mai fermati. Abbiamo organizzato un contest per i gruppi locali, OLTRE contest con dei giurati addetti ai settori, che permetterà quest’anno all’artista vincitrice Beatrice Dellacasa di esibirsi sul palco assieme agli headliner del festival. Nel frattempo abbiamo portato la nostra solidarietà ai lavoratori e lavoratrici dello spettacolo che sono stati fermi purtroppo per più di un anno, dedicandogli l’edizione che non c’è stata del 2020. Nel frattempo ho passato molto tempo a casa come tutti, ascoltando nuova musica e nuovi artisti, e qualcosa è stata inserita ad esempio all’interno nel Festival come Ariete. Le scelte artistiche sono dettate dal cuore oltre che dall’ascolto, artisti come Frah Quintale e Rkomi rappresentano in pieno l’immaginario e sono la perfetta soundtrack di OLTRE festival. Taxi Driver e Banzai sono tra gli album che ho più ascoltato nell’ultimo periodo e che hanno accompagnato questo periodo di ripartenza e voglia di tornare alla musica dal vivo.” 

 

Come si sente ora che si riprendono i festival, è fiducioso? Che aspettative ha risposto nel pubblico?

“Siamo molto contenti che si riparta col festival e che stiano ricominciando tutti gli spettacoli dal vivo dai concerti agli spettacoli teatrali. Tutto quel mondo che purtroppo si è bloccato per più di un anno sta riprendendo vita. Il riscontro che stiamo ottenendo dal pubblico è ottimo e le aspettative sono alte, le diverse date stanno esaurendo i biglietti e con le capienze attuali dovrebbero essere quasi tutte le giornate sold out. Speriamo che aumentino presto le capienze cosi da permettere a tantissima gente di venire ai concerti.”

 

Quali, secondo lei, potrebbero essere i riflessi positivi di questa edizione del Festival?

“Per riflessi positivi del festival ci aspettiamo che comunque siano tutti contenti di come andranno le varie giornate e i live. Stiamo già ragionando sull’edizione del prossimo anno che speriamo sarà senza misure restrittive covid e che invece quest’anno rispetteremo. Ci aspettiamo inoltre che OLTRE diventi sempre più un punto di riferimento per la scena musicale bolognese, per le sue diverse sonorità e per tutti quegli artisti emergenti che hanno voglia di suonare e di farsi conoscere al pubblico.”

 

Quali sono le modalità adottate in questo Festival per rispondere ai criteri imposti dai regolamenti anti-covid?

“Le modalità di ingresso al Festival sono in pieno rispetto di tutto il protocollo necessario per l’organizzazione dei concerti. Il regolamento prevede la misurazione della temperatura all’ingresso, l’utilizzo di mascherine per l’accesso al parco, le sedute distanziate e ci saranno poi dislocati in varie aree diversi distributori di igienizzante per le mani.”

 

Il festival propone altre attività culturali al di fuori della rassegna di concerti?

“Noi di OLTRE stiamo pensando anche ad una rassegna di artisti emergenti che si chiamerà Inoltre e la faremo in una nuova location della città in collaborazione con il club Millenium che si trova a Villa Spada dentro un parco storico, e che speriamo sarà attraversata da tutto il pubblico di OLTRE.”

 

Margherita Lambertini

Tre Domande a: Guidobaldi

Se dovessi scegliere una sola delle tue canzoni per presentarti a chi non ti conosce, quale sarebbe e perché?

Sono molto legato a tutte le canzoni di Scusate il ritardo, il mio primo album, ma sceglierei Cartolina Portuense, non solo perché è stato il primo singolo, ma anche perché è il brano con cui si apre il disco: è il primo di sei capitoli di una storia d’amore in cui l’ascoltatore si può immedesimare.

 

Come ti immagini il tuo primo concerto live post-pandemia?

Nell’immediato? Mi immagino un concerto in acustico, molto intimo, col pubblico distanziato, ma entusiasta di ritrovarsi ad ascoltare della musica dal vivo. Sarà potente e sicuramente molto emozionante per tutti noi. Quando invece avremo davvero sconfitto il virus, allora il concerto sarà una festa dalle chitarre distorte e dai piedi pestati. In ogni caso, non vedo l’ora di girare l’Italia con la mia chitarra.

 

Quanto punti sui social per far conoscere il vostro lavoro?

Non sono mai stato molto attivo sui social, anzi sono fermamente convinto del fatto che la miglior promozione possibile per noi artisti siano i concerti. Ma la pandemia ci ha insegnato che il flusso digitale è l’unica cosa inarrestabile, perciò ho iniziato a dedicar loro più tempo, per cercare di rimanere in contatto con il mio pubblico e anche per cercare di ampliarlo, ma non sono e non sarò mai un influencer, il mio posto è sul palco e non dietro a un telefono.

Tre Domande a: 43.NOVE

Come vi immaginate il vostro primo concerto live post-pandemia?

Ricco di emozioni, come giusto che sia, un po’ di tremolio alla gambe miscelata ad una sana dose di batticuore, e il tic (il batterista) che conta one, two, three… E poi giù a lasciarsi abbandonare nella corrente, nella musica, fare quello che sappiamo fare, cercare con lo sguardo gli occhi delle persone, guardare le mani in aria che si muovono, guardarsi negli occhi con gli amici sul palco per caricarsi. Ma soprattutto Ascoltare.

 

Se doveste scegliere una sola delle vostre canzoni per presentarvi a chi non vi conosce, quale sarebbe e perché?

Sceglieremo Storia di Uomo probabilmente, quel pezzo è la miscela perfetta tra me ed Eli, siamo molto affezionati a quel pezzo, quindi romanticamente parlando scegliamo quello.

 

C’è un evento, un festival in particolare a cui vi piacerebbe partecipare?

Bella domanda, conoscevamo pochi eventi fino a poco tempo fa, per cui ti direi un MIAMI a Milano, per la risonanza che ha, e poi molti altri ancora… dai noti festival di Prato, Pistoia, Roma e al nostro vicino di casa Lucca Summer Festival, sarebbe un sogno. Magari un giorno…

Tre Domande a: The Lost ABC

Come e quando è nato questo progetto?

Questo progetto nasce alcuni anni fa, nel 2014. The Lost ABC siamo io (Gianluca Mancini, NdR) e Massimiliano (Fraticelli, NdR), due musicisti e non solo, che un bel giorno decidono di fare la musica come avrebbero sempre voluto fare, fondamentalmente senza alcuna fretta, per il piacere di farlo. Volevamo costruire un racconto di melodie di piano incrociate a chitarre e registrazioni ambientali e poi stratificare il tutto con archi e noise, chiaramente ispirati alla musica per film.  Come musicisti abbiamo iniziato negli anni ’90, poi le vite si sono specializzate e diversificate in ambienti lavorativi corollari alla musica e per un motivo o per l’altro avevamo smesso di comporre per noi ed abbiamo ciascuno a suo modo iniziato a farlo per gli altri. Quindi nel tempo libero, trovando gli strumenti musicali nelle case di amici, di famiglia, nei tour per altri progetti, è venuto fuori questo album, lasciato maturare lentamene. Poi la pandemia e le sue conseguenze ci hanno costretti  a lasciare tutto in un cassetto. Ed ora grazie alla Memory Recordings di Fabrizio Paterlini, che ha creduto nel progetto, finalmente pubblichiamo.

 

Progetti futuri? 

Abbiamo il grande desiderio di tornare a suonare live, ma anche di continuare a comporre musica. Attraverso il Field Recording, che è una tecnica di registrazione di ambienti sonori per film, e svela sempre nuovi spunti su cui costruire melodie. E continueremo a cercare vecchi pianoforti che suonino bene, che restituiscano immaginazione e contemplazione. Incrociare le nostre esperienze e creare musica con continuità. Anche attraverso il percorso dei live show, non bloccare mai il flusso creativo. Questo è il progetto più ambizioso.

 

Come vi immaginate il vostro primo concerto live post-pandemia?

Ci immaginiamo un live molto minimale, ma tecnologico, come può esserlo un concerto oggi, grazie anche al progredire delle tecnologie digitali nell’arte. Computer che pilotano immagini girate in pellicola, strumenti acustici ed elettronici ben bilanciati, un concetto di live moderno, basato sulla magia del suono acustico e le possibilità di interagire con il digitale. Siamo molto ottimisti sul futuro dei live shows se si imbocca la strada giusta.

Tre Domande a: Cristiana Verardo

Come stai vivendo questi tempi così difficili per il mondo della musica?

Con serenità. Da Marzo 2020 ho iniziato a pensare a come sfruttare al meglio la quantità di tempo a disposizione. Ho letto, ho scritto, mi sono annoiata e ho progettato. Credo che questo momento di fermo abbia messo al centro molte problematiche legate al lavoro dell’artista, bisogna anche fare un “mea culpa”, in tanti non hanno potuto richiedere il bonus messo a disposizione dallo stato perché non in possesso di nemmeno una giornata di contributi e questo non va bene. Ci lamentiamo di non essere considerati lavoratori come gli altri e siamo primi a non pretendere che le cose siano fatte in regola. Come si dice, “per cambiare il mondo bisogna cambiare se stessi”.

 

C’è un artista in particolare con cui ti piacerebbe collaborare?

Sarò banale, Carmen Consoli. Diciamo che se riuscissi a collaborare con Carmen Consoli avrei raggiunto un obbiettivo che mi sono prefissata da tempo, perché è in linea con la mia idea di fare musica, è un’artista seria, del Sud come me, le sue canzoni ti rimangono sotto pelle, sarebbe bello, chissà.

 

Come ti immagini il tuo primo concerto live post-pandemia?

Mi fa un po’ paura. Non so come reagirò, se riuscirò a tenere il palco, se l’emozione sarà troppa, se sbaglierò gli accordi o le parole, mi sento come una macchina tenuta per tanto tempo in garage, che prima di girare la chiave non hai la certezza che possa partire, mi sento così.