“Stone Sea was formed by Elvis SuhadolnikBonesso around 2013 in São Paulo, in Brazil.After the release of the album Origins, Elvis moved to Ireland, where Stone Sea became a band with three members and released two EPs, Vaporizer and Mankind Maze. The latter also includes the track Dream Song, whose music video has been recently released.”
If you had to sum up your music in three words, what would you choose and why?
“Strenght, submission and time. I like to imagine our songs like sea waves hitting the shores. The sea and the stones are the same, but time defines the correlation between one and another.”
What would you like to inspire in those who listen to your songs?
“Inspiring people not to be afraid to be themselves and to accept changes, which are the only-known constant in our lives.”
Come e quando è nato questo progetto?
Intorno al 2013, gli Stone Sea sono stati fondati da Elvis Suhadolnik Bonesso a San Paolo, in Brasile. Dopo l’uscita dell’album Origins, Elvis si è trasferito in Irlanda, dove gli Stone Sea sono diventati una band di tre persone e abbiamo pubblicato due EP, Vaporizer e Mankind Maze. Quest’ultimo include anche la canzone Dream Song, di cui abbiamo recentemente fatto uscire il video.
Se dovessi riassumere la vostra musica in tre parole, quali sceglieresti e perché?
Forza, sottomissione e tempo. Mi piace pensare alle nostre canzoni come le onde del mare che si infrangono sulla costa. Il mare e gli scogli restano gli stessi, ma è il tempo a definire il rapporto tra l’uno e l’altro.
Cosa vorreste trasmettere a chi vi ascolta?
Ispirare le persone a non avere paura di essere loro stessi e ad accettare i cambiamenti, che sono l’unica costante conosciuta nelle nostre vite.
Interview to Romeo, lead singer-guitarist of Reaven
How have you been doing during these hard times for music in general?
“It’s been a very weird period. The worst part was cancelling all our tours in Europe and in the US, but, on the other hand, there were some good aspects. We’ve been recording a lot for our new album in studio. We’ve been filming a new homemade music video on our last single Escape, which was composed and recorded during the quarantine. But it’s true that we’ve been asking ourselves many questions about our future in the music industry…”
How and when was this project born?
“It’s a very long story of love. I decided to create the band when I was 14 years old in high school. Vince (drummer, back vocals) and I were in the same school and I remember I just asked him something like “what do you think of creating a new band?”. He just told me that it would be a great idea and right away the next week we were having rehearsals. We’ve always been playing together since then.”
What about your future projects?
“We are about to release quite soon our new album For Tomorrow. It’s gonna be a 15 tracks album and we are very excited about it. Also, we are trying to reschedule some shows in Europe for 2021 and I think there will be some new music videos out within the next months.”
Intervista con Romeo, cantante e chitarrista dei Reaven
Come state vivendo questi tempi così difficili per il mondo della musica?
È stato un periodo molto strano. La parte peggiore è stata dover cancellare tutti i nostri concerti in Europa e negli Stati Uniti, ma nonostante questo ci sono stati anche alcuni aspetti positivi. Abbiamo registrato un sacco per il nostro prossimo album in studio e abbiamo filmato un video “casalingo” per il nostro ultimo singolo Escape, che è stato scritto e registrato in quarantena. Ma è anche vero che ci siamo fatti molte domande riguardo al nostro futuro nell’industria musicale.
Come e quando è nato questo progetto?
È una storia d’amore molto lunga. Ho deciso di creare la band alle superiori, quando avevo 14 anni. Io e Vince (batteria, cori) andavamo a scuola insieme e mi ricordo di avergli semplicemente chiesto una cosa tipo “che ne pensi di creare una nuova band?”. Mi disse che era una grande idea e la settimana dopo stavamo già facendo le prove. Da allora, abbiamo sempre suonato insieme.
Per quanto riguarda i progetti futuri?
Tra non molto uscirà il nostro nuovo album For Tomorrow, che conterrà 15 tracce. Siamo molto emozionati al riguardo. Inoltre, stiamo cercando di riprogrammare alcuni dei concerti in Europa per il 2021 e credo che nei prossimi mesi uscirà anche qualche nuovo video.
Hey everyone, it’s Youssef from Random Ties a heavy hitting, feel-good rock band. A big thanks to you for giving us a voice via your interview.
How have you been doing during these hard times for music in general?
“Our goal has always been to remain consistent, provide quality music to our audience and reach a wider fan base geographically. We’ve been very busy this year despite the pandemic. In June we released our EP Believe, which I had put on hold for many years, with a couple of music videos on our YouTube channel. We also had an East Coast summer tour that ended last month at the Goose Lake Festival 50th anniversary in Michigan and a couple of weeks ago we released our latest single, Thawra, inspired by the deadly explosion that happened in Lebanon and rocked the nation, leaving over 300,000 people displaced and thousands still missing or dead. We worked with the incredible Layal Jebran, who produced the video with the most authentic shots. We hope this song will shed light of what’s going on down there and all proceeds will go towards supporting the Lebanese Red Cross.”
What would you like to inspire in those who listen to your songs?
“Don’t be afraid to speak up against injustice or corruption. If you are oppressed, stand up to the bully and know that every day is a chance to turn things around.”
What about your future projects?
“September is suicide prevention and awareness month, so we decided to release on the 27th the video for our song Why, which talksabout the struggle of losing someone close to you. We will also release our second EP in October, but we haven’t picked a title yet.”
Abbiamo fatto due chiacchiere con Youssef dei Random Ties, una rock band emergente di Detroit.
Come state vivendo questi tempi così difficili per il mondo della musica?
Il nostro obiettivo è sempre stato quello di rimanere costanti, garantire ai nostri ascoltatori musica di qualità ed estendere il nostro pubblico a livello geografico. Nonostante la pandemia, siamo stati parecchio impegnati: a giugno abbiamo pubblicato il nostro EP Believe, che avevo lasciato da parte per anni, insieme ad un paio di video musicali sul nostro canale YouTube. Quest’estate siamo anche stati in tour sulla East Coast e abbiamo concluso il mese scorso suonando al cinquantesimo anniversario del Goose Lake Festival, nel Michigan. Inoltre, qualche settimana è uscito il nostro ultimo singolo, Thawra, riguardo la terribile esplosione che ha scosso il Libano, lasciando più di 300.000 sfollati e migliaia di persone tra vittime e dispersi. Abbiamo lavorato con l’incredibile Layal Jebran, che ha realizzato il video usando filmati autentici. Speriamo che questa canzone faccia luce su cosa sta succedendo laggiù e tutti i proventi andranno alla Croce Rossa libanese.
Cosa vorreste trasmettere a chi vi ascolta?
Di non avere paura a farsi sentire per combattere le ingiustizie o la corruzione. Se vi sentite oppressi, alzatevi in piedi e sappiate che ogni giorno è un buon giorno per poter cambiare le cose.
Per quanto riguarda progetti futuri?
Settembre è il mese della prevenzione del suicidio, quindi abbiamo deciso di rilasciare il 27 il video della nostra canzone Why, che parla proprio di quanto sia difficile perdere una persona cara. Ad ottobre uscirà anche il nostro secondo EP, ma non abbiamo ancora scelto il titolo.
I Protomartyr sono quattro, sono di Detroit, si sono formati nel 2008, suonano un viscerale post punk e con il loro Relatives In Descent del 2017 hanno riscosso unanimi consensi dalle principali riviste e siti musicali americani ed europei. In uscita in questi giorni, ritardata causa Covid, il loro ultimo attesissimo disco, Ultimate Success Today, che con ogni probabilità riscuoterà ancor più gradimento. Abbiamo fatto una lunga chiacchierata con il cantante, Joe Casey, per capirne qualcosa di più e sentire come si sopravvive chiusi in casa quando si sarebbe dovuti essere in pieno tour mondiale.
Ciao Joe, grazie per la tua disponibilità. Innanzitutto come stai?
“Beh, mi sono appena svegliato, quindi bene!”
Beato te! Ascolta, qui in Italia le cose stanno lentamente tornando alla normalità, lentamente… Si inizia ad organizzare qualche concerto, in luoghi piccoli, distanziamenti, mille accorgimenti e via dicendo. Coi Protomartyr avete dovuto posticipare l’uscita del disco che era prevista per maggio, sareste dovuti essere in tour proprio in questi mesi, quindi ti chiedo: come hai passato questo periodo? Hai ascoltato qualcosa di nuovo? Hai guardato film? Ti sei messo a scrivere?
“In tutta sincerità non ho fatto davvero niente di che in questo periodo… Proprio oggi (3 luglio, NdA) i nostri amici Cloud Nothing hanno pubblicato il disco nuovo, che hanno registrato durante la quarantena e che mi fa davvero incazzare perché a me non è venuta nessuna scintilla (creativa). Questo periodo mi ha ricordato di come vivessi prima di essere in una band, e non è stato il periodo migliore della mia vita diciamo… sto ingrassando di nuovo, guardo robaccia in TV, non riesco a leggere perché proprio non riesco a concentrarmi… non si tratta di un momento particolarmente creativo per la band, ecco. Sfortunatamente viviamo in America, e l’America non pare aver ancora capito come convivere e ridurre questo contagio, e francamente sono preoccupato perché non so quando potremo di nuovo suonare in giro…”
Ma sei a Detroit al momento? Perché alcuni amici in America mi dicono che la situazione cambia radicalmente da zona a zona…
“Sì, sono a Detroit ma il virus ha colpito in maniera molto più violenta proprio la parte di città nella quale vivo io. Per dire il più giovane decesso per Covid d’America viveva accanto a casa mia. Per un periodo la gente ha fatto quello che doveva, ma adesso hanno ricominciato a girare di nuovo senza mascherine e quindi non so che pensare… Poi, non so se da voi sia uguale ma qui i concerti saranno l’ultima cosa che permetteranno, quindi mi auguro sarà possibile tornare in tour nel 2021.”
Beh, lo speriamo tutti davvero, abbiamo tutti un gran bisogno di tornare sotto ad un palco. Ad ogni modo, parliamo di questo nuovo lavoro, Ultimate Success Today; l’ho ascoltato e riascoltato diverse volte in questo periodo e temo sia addirittura meglio di Relatives in Descent. Complimenti davvero. Possiamo dire che questo disco rappresenti una sorta di continuazione di Relatives ed anche dell’ultimo EP, Consolation?
“Allora, intanto grazie mille, sono contento ti sia piaciuto. Ti dirò, a livello di scrittura è stato direi grossomodo simile, ovvero Gregg (Ahee, chitarra) e gli altri realizzavano il pezzo e alla fine io ci mettevo sopra il testo. Ciò che è cambiato è stato che Gregg ha avuto il tempo per dire “ok, in questa canzone credo ci stiano bene gli archi, o su quest’altra il sassofono”, quindi rispetto al passato non potevi sapere come sarebbe stata la canzone finita fino all’ultimissimo secondo. Io personalmente non scrivo mai i testi fino a che non ascolto la canzone chiusa, finita, e non so quindi come mi fa sentire, cosa mi suscita. Per certi versi direi che mi ha ricordato un po’ quando registrammo il nostro primo disco.”
In effetti ho trovato semplicemente fantastico l’uso, l’introduzione del sax e del clarinetto, penso a Processed By The Boys o a Tranquilizer. Dicevi che l’idea è stata di Gregg ma pensi che la cosa possa avere un futuro, che possa diventare un’evoluzione nel suono dei Protomartyr o la possiamo considerare una parentesi, assai felice a mio avviso?
“L’idea è tutta di Gregg, sì, e principalmente perchè credo iniziasse ad essere un pò nauseato dal suono della band e dal dover incidere cinque o sei chitarre ogni volta e credo sia il motivo per cui ha deciso di esplorare nuove strutture, anche perchè ultimamente stava ascoltando un sacco di jazz. Personalmente sarei davvero entusiasta se il suono dei Protomartyr potesse espandersi in futuro ancora in maniera più marcata.”
Credi sia corretto sostenere che Ultimate Success Today rappresenti una sorta di continuazione di Relatives in Descent e dell’EP Consolation?
“Direi di sì. Consolation in realtà è più una collaborazione con Kelley (Deal, ex The Breeders) che ci è servita molto in quanto ci ha mostrato come accrescere, arricchire il nostro suono e che ci ha mostrato che inserire un oboe nel mezzo di una nostra canzone non era di per sè una brutta idea. Dal punto di vista dei testi c’è sicuramente una continuità. Se prendi il brano finale di Relatives, Half Sister, termina con le parole “She is trying to reach you / Trying to reach you”. Il primo brano di Ultimate recita “I could not be reached”. Quindi direi che i due lavori sono strettamente collegati.”
E tra le tracce, esiste un comune denominatore? Che so, un’immagine, una parola?
“Vedi, è strano perchè solitamente capisco, scopro di cosa parla davvero un disco quando sono in tour, ripetendo i versi ogni sera, ed è una cosa che non abbiamo ancora potuto fare con questo disco. Il titolo del disco è nato molto presto in effetti, perchè volevo spostare l’attenzione sull’ora, sul momento, “today is the day”. Passiamo troppo tempo a pensare a come sarà il futuro o a com’è stato il passato. Probabilmente è questo il trait d’union.”
Una curiosità. Conosci il detto “squadra che vince non si cambia”, che in inglese suona tipo “you never change a winning team”. Possiamo dire che nel vostro caso non funzioni proprio così? Mi spiego, ho notato che cambiate produttore ad ogni disco, e se penso che ci sono band che registrano con lo stesso team per tutta la loro carriera non posso non pormi la domanda…
“Credo che la cosa proceda di pari passo alla nostra voglia di sperimentare continuamente e non fossilizzarci. In realtà abbiamo lavorato con lo stesso produttore per il secondo e il terzo album ed in entrambi i casi probabilmente non siamo riusciti ad avere un pieno controllo ed una piena gestione del tutto, quindi ci siamo detti proviamo a lavorare con gente nuova, vediamo cosa possono portarci, in aggiunta. Anche con Sonny DiPerri (produttore di Relatives in Descent) abbiamo passato dei momenti fantastici, ma poi hai sempre voglia di vedere se c’è qualcuno in grado di portare il tuo suono ad un livello diverso e che sia disposto ad assecondarti. Di sicuro non ci piacciono troppo i produttori che tengono troppo le redini, “and no assholes””
Joe, volevo chiederti questo adesso, perchè è una cosa che ho notato l’altro giorno e mi son detto “non può essere un caso”. Tutte le copertine dei vostri dischi sono primi piani…
“Beh, per il primo disco c’era questo flyer che avevo fatto per un concerto e lo abbiamo usato perchè ci stava bene. Arriva il secondo e “oh shit” dobbiamo pensare ad una nuova copertina così ne ho preso un altro. Poi però mi son detto che volevo assolutamente che questa cosa continuasse e ti dirò che questo aspetto di curare e pensare all’artwork mi dà gratificazione e gioia tanto quanto registrare i brani. Anche se cerco sempre di non creare copertine troppo potenti, che rischino di schiacciare il disco. Credo però che se ascolti per diverse volte il nostro disco, alla lunga tu riesca davvero ad immaginarti quel mulo”.
Mi pare di capire che come band vi piaccia essere coinvolti e attivi non solo per quanto concerne la musica in sè, ma anche come si diceva con le copertine o con i video. Ne avete fatti di splendidi e sembra che ci diate davvero un grande peso.
“Fino a qualche anno fa era semplicemente un problema di soldi, nel farli o meno. Adesso che possiamo curare anche questo aspetto le cose si son fatte davvero eccitanti e ultimamente davvero interessanti. A parte il video di Processed By The Boys (ambientato in un coloratissimo set di uno scadente show brasiliano, merita di essere visto…), gli altri due (Worm In Heaven e Michigan Hammers) sono stati fatti durante il lockdown e quindi abbiamo dovuto essere in un certo senso più creativi. Spesso ho sempre ben chiaro in mente come vorrei venisse fatto un video, l’idea di fondo, ma a volte è bello lasciare anche carta bianca al regista e vedere quale idea gli suscita un determinato brano e scoprire che è totalmente distante da come lo immaginavi o l’avevi pensata tu. In realtà adesso abbiamo in progetto di fare un video per ogni brano del disco; è piuttosto dura da realizzare, soprattutto in questi tempi, ma ci stiamo provando”.
Parliamo un attimo dei vostri concerti. Stefano Solventi, una delle maggiori penne musicali in Italia, raccontando un vostro live di un paio di anni fa, introduce un interessante concetto di quarta parete, quella che separa il palco dalla platea, e dei vostri concerti usa l’espressione “teatro rock”. Sappiamo che ad un vostro live non ti vedremo mai fare stage diving, rotolare, saltare ed altre attitudini da rocker? Credi che abbia centrato il punto? Perchè personalmente non vi ho ancora visti dal vivo, però credo sarei un pubblico perfetto in quanto non canto, raramente batto le mani, non sono molto attivo ecco (risa diffuse).
“Allora, quando salgo sul palco solitamente sono estremamente nervoso. Ad ogni modo la cosa che più di tutte voglio evitare e che vedo costantemente accadere specialmente a band molto più grosse di noi, è che le stesse esatte cose da intrattenitori accadono non dico il 100% delle volte ma quasi, ogni sera, ad ogni concerto, in maniera quasi seriale. Quindi è l’esatto opposto del concetto di vivere ed immergersi nell’istante. Cioè ogni volta, in quel preciso istante di quella canzone, io cantante sento la necessità di dovermi sdraiare in mezzo al palco… Personalmente non mi piace vedere band che esagerano con gli atteggiamenti e replicare la stessa cosa, nello stesso momento, l’indomani in un’altra città. Mi sembra una grande commedia, una finzione. Se la canzone mi fa stare in piedi completamente immobile scelgo di rimanere in piedi, completamente immobile, capisci? Non voglio costringermi a dover replicare le stesse scenette ad ogni sera. Mi sembra quasi di insultare il pubblico, di essere irrispettoso. Quando vedevo concerti con frequenza non sopportavo quando qualcuno dal palco saltava giù, quindi perchè dovrei farlo io adesso… Rispetto gli spazi personali (risate sparse)…”
Ok, ultima domanda e poi ti lascio. Rispondi solo se vuoi: cosa credi accadrà in Novembre negli Stati Uniti?
“In Novembre? Ah le elezioni! Non ne ho idea! E tutto ciò mi terrorizza perchè vedi, negli ultimi quattro anni, ogni giorno mi sveglio e accendo il telefono e le notizie sono sempre più ridicole, orribilmente divertenti. Quindi non so, davvero. Ma sono terribilmente preoccupato”.
Direi che siamo a posto Joe, non ti rubo altro tempo. Grazie mille. Di cuore.
“Grazie a te. A proposito, dimmi dove abiti, che vediamo di venire a suonare dalle tue parti la prossima volta!”
Perfetto. Una bella data nel ridente nord-est e con l’occasione vi invito anche a cena allora.
1DAN è un artista in grado di far confluire nei suoi pezzi le innumerevoli influenze sonore assorbite nel corso del tempo, e il nuovo singolo Magica, pubblicato il 28 maggio scorso ne è la conferma. Alcuni mesi fa ha fatto il suo debutto sulla scena con Super, pezzo che già metteva in risalto una singolare commistione di pop, elettronica, soul e trap, dal risultato efficace e sorprendente. Ora Antonio Giordano, questo il suo nome di battesimo, è tornato con una traccia ancora più definita e curata dal punto di vista produttivo, personale e intrisa di emozioni, frutto di una serie di riflessioni su alcuni momenti cruciali della sua vita.
Nato in Campania ma di base a Milano da qualche anno, la città è risultata decisiva per la sua crescita cantautorale, grazie agli stimoli ricevuti che lo hanno convinto a perseguire i suoi sogni con determinazione e consapevolezza. In attesa di osservare come potrà evolversi in futuro il suo percorso, abbiamo avuto l’occasione di scambiare quattro chiacchiere con lui per scoprire qualcosa in più su Magica. Ecco cosa ci ha raccontato.
Raccontaci un po’ qualche retroscena sulla nascita di questo pezzo.
“Questo pezzo è nato esattamente un anno fa, in quel momento ero un po’ perso, sentivo di non riuscire a capirmi, non mi accettavo. Il “viaggio nel tempo” di cui parlo nel testo ha un duplice scopo: riconquistare una storia importante e ritrovare me stesso. Fortunatamente sono riuscito soltanto in uno dei due scopi.”
Il testo parla di una relazione conclusa con tutto ciò che ne consegue, quanto c’è di personale e quanto di romanzato?
“Di solito cerco di romanzare poco perché non voglio che una storia venga percepita in maniera sbagliata. Questo pezzo è tanto personale, molto più di Super — il mio primo singolo — e credo che sia molto evidente in alcune frasi. Quando l’ho scritto le parole sono scivolate fuori da sole, senza che ci pensassi troppo ed è questa la parte che preferisco del brano: la spontaneità.”
Il sound è molto elettronico e curato, come hai lavorato in fase di produzione?
“Ormai ho una sorta di pattern che seguo sempre per la produzione di un brano: inizialmente compongo un giro di piano con un suono che mi piace, aggiungo un beat e lo metto in loop finché non ho un primo mood a livello melodico. Conclusa questa fase, penso a raffinare le varie sezioni della canzone con bassi, suoni e plug-in vari, finché non rimango soddisfatto della struttura finale. Questa volta è stato fondamentale anche il contributo di Davide Foti, che ha alzato l’asticella con il suo lavoro di mix e master.”
È il tuo secondo singolo dopo “Super” pubblicato qualche mese fa, come valuti il nostro panorama musicale ora che ne fai parte da “insider”?
“Il contenuto dei brani sembra sia un optional ormai e lo scopo principale di un pezzo è di azzeccare il ritornello, anziché trasmettere qualcosa di reale e sincero. Tutto ciò porta a una corsa agli streams e alle classifiche che trovo imbarazzante, i numeri alimentano la popolarità e non la qualità musicale. In ogni caso, calo la testa perché conosco poco questo mondo ma, per quello che ho visto e percepito finora, credo quasi di odiarlo. Nonostante ciò non posso fare a meno di continuare a scrivere canzoni e sperare in un cambiamento il prima possibile.”
Ripercorrendo il tuo percorso, come ti sei avvicinato alla musica? Che esigenza ti ha spinto a scrivere?
“Credo che mio fratello sia stata la mia maggior fonte d’ispirazione da ragazzino. Lui era il classico figo della scuola, amato da tutti — comprese le mie compagne di classe — e i suoi amici suonavano in gruppi pop/punk e ska. Vederli suonare dal vivo con gli occhi di un liceale, ha acceso qualcosa in me che per fortuna non si è ancora spento.”
C’è qualche ascolto che ti ha influenzato particolarmente e che ti sentiresti di consigliarci?
“Non penso mai: “questo pezzo voglio che suoni come Flume”, perché vorrei provare a creare qualcosa di nuovo o almeno riconoscibile. Nonostante ciò sono sempre pronto a consigliare nuova musica e credo che gli ultimi album di Dua Lipa e The Weeknd siano incredibili, contornati da un’estetica pazzesca: non ascoltarli sarebbe un torto al buon senso.”
Svelaci un segreto dell’artwork: come mai proprio il delfino in copertina?
“Non mi considero un appassionato di fotografia, ma sono solito portarmi una macchina analogica durante le mie vacanze o weekend fuori porta. L’immagine scattata dei delfini è una foto che ho fatto all’acquario di Genova quest’anno, mentre si esibivano in una danza che saprei definire soltanto “magica”. Il lavoro di Attico36, il grafico con cui ho lavorato, ha poi portato tutto a un livello superiore, creando un vero e proprio mood.”
Stai lavorando a qualcosa anche dal punto di vista video?
“Assolutamente si, il video uscirà questo mese e sarà una vera e propria figata.”
Sicuramente non è un periodo semplice per chi fa musica, dal tuo punto di vista come valuti le nuove forme di interazione a distanza, ovvero i concerti in streaming ed eventi simili? Credi che possano avere un impatto sul futuro dei live?
“Credo che la comunità mondiale si sia mossa in maniera impeccabile in tutti i campi e sia riuscita a restare a galla nonostante il periodo non lo consentisse. Non sono un grande fan dei concerti in streaming e dubito che saranno riproposti in futuro — le vibes non sono le stesse — ma da appassionato di videogiochi, trovo che il concerto su Fortnite di Travis Scott sia stata una delle trovate più geniali di sempre.”
È uno degli artisti più eclettici del panorama musicale italiano, in grado di unire il cantautorato al rap e al soul. A tre anni dall’uscita di Mezzanotte e con una partecipazione al Festival di Sanremo nel frattempo, Ghemon ha da poco pubblicato il suo ultimo lavoro, Scritto Nelle Stelle.
Abbiamo fatto due chiacchiere al telefono per parlare dell’album, ma anche di concerti drive-in e stand-up comedy.
Ciao! Bentornato sul nostro magazine e grazie per averci concesso quest’intervista.
“Grazie a voi!”
Scritto nelle Stelle ha avuto un’uscita un po’ travagliata: prima il 20 marzo e poi il 24 aprile, sempre in periodo di lockdown. Com’è stato il lancio in questo momento così complicato?
“È stato particolare, sicuramente un lancio che non dimenticherò. Abbiamo preso la decisione di rimandare l’uscita del disco a inizio marzo, quando ancora il lockdown era parziale, ma già si sentivano umori piuttosto oscuri. Alla fine è uscito il 24 aprile, durante la fase discendente e quando si iniziava a percepire un po’ più di fiducia. Sono comunque fiero della scelta che abbiamo fatto, anche se va contro ogni logica commerciale, perché l’accoglienza è stata buona e ho ricevuto molti messaggi in cui le persone mi ringraziavano per averle aiutate con questo disco a trascorrere un po’ meglio la loro quarantena.”
Si è parlato anche dell’ipotesi dei concerti stile drive-in per venire incontro al settore in crisi. Tu cosa ne pensi: meglio aspettare tempi migliori o provare a portare la musica in giro in questo modo?
“Penso che sia meglio aspettare. Non è per una questione di snobismo, ma perché è comunque difficile da organizzare: bisogna tenere conto degli spazi, della logistica e di eventuali assembramenti anche dentro le macchine. Però non credo che questa sia l’unica soluzione. Ad esempio, si è parlato di fare concerti sempre sullo stile drive-in, ma con le biciclette al posto delle macchine. Ad ogni modo, noi continuiamo a guardarci attorno e a cercare più alternative possibili.”
Parlando del nuovo album, fin dalla citazione scritta sulla copertina si capisce che Scritto nelle Stelle è un album diverso, più sereno. Cos’è cambiato dal Ghemon di Mezzanotte?
“Sono io ad essere cambiato [ride]. Alla fine sono passati tre anni dall’uscita di Mezzanotte e per certe cose tre anni significano davvero un’era geologica. Sono cambiate le mie relazioni, il mio stato d’animo, il mio umore e ho fatto esperienze diverse, quindi avevo bisogno di raccontare questo posto nuovo in cui sono arrivato, di raccontare una sorta di nuova primavera, invece che rimanere ancorato alla nostalgia di una stagione passata.”
I tuoi testi sono sempre molto sinceri. C’è uno sforzo dietro o ti viene naturale?
“È una cosa naturale. O meglio, all’inizio c’era sicuramente uno sforzo maggiore dietro, ma con la forza dell’abitudine questa sincerità è diventata la normalità. Volevo abbandonare la divisa da supereroe per cercare di cantare canzoni che dicessero la verità e mi rendo conto che è stata una scelta che ha dato i suoi frutti.”
C’è una canzone di Scritto nelle Stelle a cui ti senti particolarmente legato?
“Non è una domanda facile. Sono molto legato a tutto il disco perché dentro c’è tutta una serie di cose che volevo fare e dire e che non ero sicuro se dire proprio in questo modo o meno. Ci sono soprattutto riflessioni che prima non avevo mai avuto modo di esprimere, come in In Un Certo Qual Modo oppure in Un’Anima, che tra l’altro è la mia prima ballad con solo voce e pianoforte. In generale in quest’album c’è un realismo positivo in cui mi rispecchio molto, quindi, nonostante le novità, non direi che si è trattato un esperimento, anzi mi ci rivedo parecchio. Però non c’è una canzone a cui sono più legato di altre, voglio bene a tutte allo stesso modo.”
Sui vari social, soprattutto su Twitter ma anche nei video promozionali su Instagram, sembra che tu abbia sempre la battuta pronta. Qual è il tuo rapporto con l’ironia?
“Credo faccia parte del mio DNA familiare, da parte di mio nonno e di mio padre. Mi piace quel tipo di ironia fatto di battute ghiacciate ma dette con la faccia da poker, come se non stessi davvero scherzando, ed è una bella sensazione quando gli altri ridono per una battuta che ho fatto. Sono un fan della stand-up comedy e qualche volta ho anche provato ad esibirmi. Nelle canzoni tendo a non essere ironico, quindi questo è un modo per esprimere un qualcosa, un altro lato che di solito non traspare quando canto.”
Erbe officinali sono Riccardo, Daniel, Tiziano, Alessandro ed Elia. Il loro progetto nasce e cresce a Terracina, nel Lazio.
Nel 2017 vincono il contest musicale per artisti emergenti di Anxur Festival con il singolo Quello che c’è fuori. Nel 2018 esce il loro primo disco Sospesi. Da quell’anno ad oggi pubblicano Schiena, Isola, Un altro mondo e l’ultimo arrivato: Calendario. In attesa del nuovo album, abbiamo fatto due chiacchiere con Riccardo e Daniel.
È uscito il 7 Aprile il vostro nuovo singolo Calendario. Cosa racconta?
Riccardo: “In poche parole Calendario racconta di una certa fase della vita nella quale ti ritrovi tra due generazioni: quella precedente, durante la quale vai ballare tutte le sere e quella successiva, in cui ci si è sistemati, si ha famiglia eccetera. C’è un punto, una sorta di limbo nell’intermezzo, dove ti ritrovi a non fare più certe cose, a stare a casa sul divano a guardare Netflix, a ordinare pizze d’asporto e a bere birra. La canzone non parla di questo in maniera negativa, infatti nel ritornello diciamo: “Sono tutte le cose che non mi va di fare più”. Questo rappresenta una sorta di autoconsapevolezza raggiunta, una presa di coscienza.”
In una vostra recente intervista ho letto che entrambi avete in comune una tendenza all’ansia e all’ipocondria e che, per fronteggiare questi malumori, solitamente usate rimedi naturali a base di erbe officinali (da qui il nome della band). In questo periodo dove l’ansia fa da padrona, le uniche cosa che ci mantengono sereni sono la speranza e l’ottimismo. Come si trasforma l’ansia in ottimismo?
Daniel: “Con la follia” (ride)
Riccardo:“Sinceramente non lo so. Non ho una ricetta per questo. Si potrebbe provare a cambiare qualche abitudine e far uscire qualcosa di positivo da questa cosa che sta accadendo. Noi lo facciamo attraverso le canzoni. Io ad esempio sto scrivendo moltissimo in questo periodo ma lo faccio per puro esercizio terapeutico. Ognuno ha il proprio modo per esorcizzare l’ansia.
Il periodo in cui abbiamo deciso di mettere su questa band, era un periodo di smarrimento generale nelle nostre vite personali, vuoi per la fine di un amore, vuoi per qualcosa di apparentemente banale come il non sapere quale università scegliere. La musica e il progetto Erbe Officinali ci dà una mano, è una via di fuga da quello che accade intorno. Per quanto mi riguarda la musica è terapeutica ma ognuno può trovare il suo modo per esorcizzare qualcosa. Alla fine, l’ansia è una manifestazione di un sentimento sottostante, quindi alle volte basta cambiare qualcosa, un pensiero o magari basta soltanto prendersi più cura di sé stesso.”
Solitamente come create un pezzo? E com’è comporre in questo periodo di isolamento e distanza?
Daniel:“In realtà per noi non cambia niente in questo periodo perché scriviamo sempre a distanza. Credo che la differenza la faccia l’ispirazione che per alcuni può essere amplificata ma al momento per me è un po’ diminuita perché ci sono pochi stimoli dall’esterno: esci poco, vivi poche situazioni, conosci poca gente nuova, non vedi le persone a cui vuoi bene che sono quelle che ti scaturiscono l’ispirazione. Il nostro processo creativo però non cambia perché la nostra è sempre una staffetta Whatsapp tra me e Riccardo. Ci mandiamo quello che scriviamo e aggiustiamo il tiro nota audio dopo nota audio.”
Rispetto al vostro primo album del 2018 Sospesi, il vostro sound è cambiato? Cosa ci dobbiamo aspettare dal nuovo album?
Daniel:“Sicuramente rispetto al primo album è cambiato molto l’approccio alla musicalità che abbiamo e anche la produzione. Il primo disco infatti è stato più un esperimento perché è nato dal nostro incontro, un po’ per caso e non avevamo idee chiare. Ci siamo fatti trascinare dal flusso di emozioni del momento e abbiamo messo su il primo album. Dagli ultimi singoli abbiamo iniziato a studiare e a percorrere sonorità più moderne e molto più elettroniche e quindi dal prossimo album c’è da aspettarsi una cosa completamente diversa.”
Riccardo:“Essendo autodidatti non avevamo nessun tipo di bagaglio esperienziale, per questo il primo disco è stato totalmente genuino. C’è stato un lavoro dietro ma non abbiamo pensato di fare una ricerca dei suoni e infatti è un disco molto acustico e molto crudo anche dal punto di vista delle produzioni: chitarra acustica, batteria… molto classico se possiamo dirla così. Mentre, come ha detto Daniel, dai singoli successivi fino all’ultimo, in particolar modo negli ultimi due o tre abbiamo cominciato a sperimentare molto di più e abbiamo cercato un suono che fosse più riconoscibile possibile. Quindi il prossimo disco sarà totalmente diverso dal primo e sicuramente molto più fresco nelle sonorità.”
Potete però dirci come passa la quarantena un musicista?
Daniel:“Per quanto mi riguarda, del lato del musicista resta la chitarra: ogni giorno mi passa tra le mani perché ce l’ho qua in faccia ed è impossibile evitarla. Personalmente però sono molto meno ispirato quindi suono pezzi che mi piacciono ma non riesco a creare cose nuove. Poi vabbè, Netflix, videogiochi nel mio caso (che sono un po’ nerd) e qualche lettura.”
Riccardo: “Io dal punto di vista artistico sto scrivendo tanto, però lo faccio perché è una cosa che mi piace fare quando non ho niente da fare. Ovviamente non è detto che quello che scrivo sia qualitativamente utilizzabile per un lavoro, perché ci si ritrova spesso a scrivere delle stesse cose poiché gli stimoli non sono tanti. Si prova ad andare un po’ più lontano con l’immaginazione ma stando dentro quattro mura non è molto facile. Comunque sto scrivendo e chissà che qualcosa non esca dal cilindro. Per il resto, durante la mia giornata faccio le stesse cose che ha detto Daniel tranne per i videogiochi (non ho la playstation), porto fuori il cane, vado a fare la spesa, vado in farmacia e cose di questo tipo.”
Barbara Cavaleri è una cantautrice pop italiana. A sei anni dall’uscita del suo primo album in inglese So Rare, il 28 Gennaio 2020 pubblica Come una Stella/Novastar. L’album è la rappresentazione di una città futuristica chiamata Novastar, dove la protagonista è schiava delle convenzioni e dei paradigmi morali ed estetici della società e vive, citando una delle canzoni dell’album, come in una lattina. Gli abitanti di Novastar sono alienati in bilico tra il voler godere dei privilegi di “questo gioiello contemporaneo” e il sacrificio quotidiano per attenersi alle sue regole di omologazione. Un universo estraneo alla nostra realtà in cui l’ascoltatore non può che rivedere alcune delle sfumature più tetre del nostro tempo.
Quando nasce il progetto dell’album e come si è sviluppato il processo creativo?
“Il progetto nasce intorno al 2018. La prima canzone che si è concretizzata è stata Le parole, l’ultima della tracklist ma la prima in ordine di scrittura. L’idea dell’album nasce dopo anni di lavoro incessante. Alcuni progetti sono andati in porto, mentre altri per varie ragioni non mi sono sentita di pubblicarli. Questo album è stato molto nitido fin da subito nella mia mente. Una volta scritta Le parole si è materializzata Novastar, la città futuristica e la protagonista, proprio come se fosse la trama di un romanzo di un film. Ho poi sviluppato tutte le canzoni dell’album, intorno agli argomenti che mi premeva di più sviluppare. La genesi è durata circa due anni fino alla pubblicazione il 28 Gennaio 2020. Sono un’artista che vuole prendersi tempo per trovare i collaboratori giusti.”
Tre parole che useresti per descrivere il tuo album?
“Si tratta di un lavoro libero, fuori dalle convenzioni attuali di scrittura, ma è scritto e prodotto in modo molto coerente. Il secondo aggettivo è contemporaneo: le sonorità sono ricercate, calibrate, si va da una ballad pop romantica come Come una stella, fino ad una sperimentazione più forte come Bomba. Il terzo aggettivo è ponderato, in quanto ci sono stati anni di impegno e lavoro dietro.”
In Lattina, il singolo d’uscita dell’album, la protagonista osserva “la sua vita futuristica” una frase che mi ha colpito molto è “come se tutto corrompesse la mia integrità” da che cosa è corrotta l’ integrità della protagonista?
“Tutto. In una vita in lattina qualsiasi cosa corrompe l’integrità della protagonista. Se io, donna di Novastar, esco dai parametri in cui gli abitanti della città devono stare, ovvero rispettare ritmi di lavoro incessanti per il progresso della città o riconoscersi forzatamente in un’affiliazione politica o morale, la mia integrità è bruciata. La protagonista ha sposato così come tutti i cittadini di Novastar, uno stile di vita fuori dal quale non potrebbero essere ammessiprivilegi materiali e di benessere economico. Deve restare in una lattina, all’interno di certi parametri sociali, conformandosi all’individualismo che non per forza assume un’accezione negativa. Viviamo e siamo soli in case dove si fatica a costruire un nucleo familiare perché tutto è sacrificato.”
Il brano Body Not Soul, sembrerebbe una critica spietata alla ricerca di canoni estetici impossibili da raggiungere. A cosa in particolare ti riferisci?
“La protagonista parte da un’introspezione e dice a sé stessa:“ho comprato mille creme e smalti fluo per coprire tutto il nero che ho dentro”. Cerca quindi di gestire un mondo interiore molto scuro e fa fatica a stare al passo. A Novastar devi scegliere chi essere a livello estetico, ed essere all’altezza di questo estetismo, altrimenti non puoi farne parte. La città, come dico anche nella canzone Contemporaneo, è un gioiello e noi siamo eletti nel poterci stare ma allo stesso tempo dobbiamo rispettare dei canoni estetici precisi e vestire una pelle 2.0. Si presta ad essere interpretata come una critica ai canoni estetici della nostra società ma onestamente si tratta più di una finzione che acquisisce significato all’interno della narrazione di questa storia, è tutto esacerbato.”
Nonostante le strutture che coabitano il mondo artificiale ed ovattato di Novastar, vi è spazio anche per l’amore?
“La risposta è si, assolutamente si. Per la protagonista si tratta di una ricerca incessante.Quando mi è stata proposta Come una Stella ho pensato che fosse perfetta per rappresentare l’amore di coppia, di qualsiasi coppia si tratti. E’ una canzone introspettiva, in cui la protagonista fa spazio dentro di sé per accogliere l’amore senza abbandonarsi alla vanità o a ricerche effimere. I momenti di massima dichiarazione d’amore sono Come una Stella, per l’appunto, e Ballare Fino al Mattino. In quest’ultimo brano, l’amore viene inteso come amore per l’umanità. Vi è la liberazione spirituale della protagonista che capisce che anche dentro a questo mondo artificiale può esistere una comunità. La cosa più semplice che le persone possono fare all’interno di una comunità è quella di accomunarsi con un corpo, ballare. Più siamo costretti a stare vicini, più siamo capaci di abbandonare i nostri schemi e le nostre sovrastrutture. La natura umana prevale.”
Secondo te, dopo la quarantena la nostra società tenderà ad assomigliare al mondo futuristico, virtuale e individualista di Novastar o pensi che al contrario ci sarà un’inversione di marcia verso una realtà primordiale e più autentica?
“La mia opinione è che alcune persone trarranno un insegnamento da questa situazione e ne usciranno cambiate. Ora siamo soli a contatto con le nostre nevrosi e dobbiamo affrontarle per forza. C’è chi ne uscirà impoverito, soprattutto dal punto di vista economico e questo potrebbe portare all’adozione di meccanismi di protezione, come l’ignorare gli altri. Ho creatoNovastar con il privilegio della fantasia, della libertà di rappresentare qualcosa che deriva dal nostro mondo ma che è liberamente ispirato. La mia è la proiezione di un possibile scenario ma tutte le proiezioni possono cambiare. C’è chi si chiuderà in casa davanti al proprio computer, c’è chi invece al contrario vorrà trasferirsi e andare a vivere in campagna. Ognuno avrà l’occasione di decidere dove andare dopo.”
Immagino che tour e live siano stati rinviati. Mi domando se inizialmente ci fosse l’intenzione di fare dei concerti e come pensi di gestire ora il tuo lavoro?
“Ho messo da parte l’idea della promozione live perché ho capito che si tratterà di un periodo lungo e non vorrei mettere a rischio le persone.
Abbiamo a che fare con la morte: persone che soffrono, persone che stanno lavorando duramente e quindi io ho avuto bisogno di rispettare questa cosa. Ora però, sono in una fase in cui credo che ci sia bisogno di ascoltare cose belle e stare bene.
Ieri per la prima volta ho pensato che si aprirà un filone di concerti online perché è difficile stare in silenzio per tanto tempo. Mi auguro che nascano delle alternative che facciano onore ai musicisti e alla loro funzione sociale in questo momento.”
Mavi Phoenix, 22 years old from Linz, Austria, starts writing and producing songs in his bedroom since he was 11. At the moment, he is one of the most promising pop artists in Europe.
His debut album Boys Toys came out on April 3rd on LTT Records and it is a concept album that takes in and twists his inspirations in order to give back an original picture of himself through each song.
We interviewed Mavi to talk about the album and to learn more about the research his artistic course is based on.
Hi Mavi! Your new single 12 Inches has recently come out and it anticipates the release of your debut album Boys Toys: how does it feel to be an artist with his first full length album done? Are you excited about the release?
“It took me very long to release an album, so yeah I’m super excited for it. Also because it’s so personal, I mean you just mentioned 12 Inches which is the most personal track I’ve ever written, I feel like this is a very special record that will touch a lot of people’s lives.”
How would you describe the sound of your album? What are you aiming for, musically speaking? Are you satisfied with the final result?
“I’m never 100% satisfied with anything I do and I think that’s important for growth. But of course I love the album and I think it really fits my current situation. Also sound wise, there is a punk attitude on this record but it’s also very soft and emotional, then again it’s big and it’s pop. I think it’s a good mixture of everything I like.”
When did you start playing music and which channels did you prefer to share it with the world?
“I started writing songs when I was around 11 and also produced at that time, I actually started out as a producer. When I was 13 I uploaded a bunch of songs to MySpace. Then Soundcloud, Youtube…”
Your music mixes rap with pop and electronic music: is there any artist in particular that influenced you? If so, who specifically and how?
“I’ve mentioned him 100 times now and I’ll do it again: Tyler The Creator was a very big influence for years now for me, and also for my album Boys Toys. But I like so many artists and am influenced by so many. I’d say in particular for this record: Rage Against The Machine, N*E*R*D, The Black Eyed Peas… All bands that I’ve listened to since I’m very young.”
Now a more personal question, if you don’t mind, in regards to your coming out last Autumn: how do you feel this event changed your relationship with yourself and the perception of the world that surrounds you? Has it affected the relationship with your fans and the crowd at your concerts? How?
“Yes I think everything changed with this outing. Not for me personally, because I believe I’ve always been the same. But just to release this tension that’s been building up since years really affected my music and then again the relationship with my fans. They are incredibly supportive and like when I get personal and talk about real stuff. After my first concert after coming out people came up to me and told me how free and released I seem.”
Lastly, which are your plans for the future? Shall we expect your music to be influenced by these strange days of social distancing if not proper quarantine we are living?
“I’m taking this time off now to really concentrate on my transition but also on how I wanna continue musically in the next years. I’m producing more on my own since I can’t go to the studios with producers. Trying to make something good out of this really bad situation.”
Thank you for your time, we hope to see you live again soon!
Mavi Phoenix, ventiduenne di Linz ma di ascendenze siriane, inizia a scrivere e produrre da quando aveva undici anni le prime canzoni nella sua cameretta. Attualmente è uno degli artisti pop più promettenti in Europa.
Il 3 aprile 2020 è uscito, tramite etichetta LTT Records, l’album di debutto Boys Toys: un concept album che prende e stravolge le sue ispirazioni restituendoci ad ogni brano un’immagine originale di sé stesso.
Abbiamo intervistato Mavi per parlare dell’album e per conoscere la ricerca di sé che sta alla base del suo percorso artistico.
Ciao Mavi! Il tuo nuovo singolo 12 Inches è uscito da poco e ha anticipato la pubblicazione del tuo album di debutto Boys Toys: come ci si sente ad essere un artista con il primo album appena completato? Sei eccitato per l’uscita?
“Mi ci è voluto davvero tanto per pubblicare un album, quindi si, sono super eccitato. Anche perchè è così personale, mi spiego, hai appena citato 12 Inches che è la traccia più personale che abbia mai scritto; sento che è un album molto speciale che toccherà le vite di un sacco di persone.”
Come descriveresti il suono del tuo album? A cosa aspiri, musicalmente parlando? Sei soddisfatto del risultato finale?
“Non sono mai soddisfatto al 100% di nulla di quello che faccio e penso che sia importante per crescere. Ma ovviamente mi piace l’album e penso che calzi a pennello con la mia situazione attuale. Inoltre, musicalmente parlando, c’è un’attitudine punk in questo disco ma è anche spesso dolce ed emotivo, e di nuovo è grandioso ed è pop. Credo ci sia un giusto mix di tutto quello che mi piace.”
Quando hai iniziato a scrivere musica e quali canali hai prediletto per condividerla col mondo?
“Ho iniziato a scrivere canzoni quando avevo circa 11 anni e ho anche prodotto a quei tempi, anzi, in verità ho iniziato come produttore. A 13 anni ho caricato un po’ di canzoni su MySpace. E poi Soundcloud, Youtube…”
La tua musica mischia il rap col pop e con la musica elettronica: c’è un qualche artista in particolare che ti ha influenzato? Se si, chi nello specifico e come?
“L’ho nominato centinaia di volte e lo farò ancora: Tyler, The Creator è stata una grossa influenza per me per anni, e anche per il mio album Boys Toys. Ma mi piacciono tanti artisti e sono stato influenzato dal altrettanti. Direi in particolare per quest’album: Rage Against The Machine, N*E*R*D, The Black Eyed Peas… Tutti gruppi che ascolto da quand’ero molto giovane.”
Adesso una domanda più personale, se non ti dispiace, riguardo il tuo coming out lo scorso autunno: senti che questo evento abbia cambiato il rapporto con te stesso e la percezione del mondo che ti circonda? Ha influenzato il rapporto con i fan e con il pubblico ai tuoi concerti? Come?
“Si, penso che tutto sia cambiato con questo fare outing. Non per me personalmente, perchè credo di essere sempre stato lo stesso. Ma solo il fatto di lasciar andare la tensione che si era formata negli anni ha davvero influenzato la mia musica e di conseguenza il rapporto con i fan. I fan sono incredibilmente comprensivi e piace loro quando vado sul personale e racconto cose vere. Dopo il mio primo concerto dopo il mio coming out la gente è venuta da me per dirmi quanto sembravo libero e disteso.”
Infine, quali sono i tuoi piani per il futuro? Dovremo aspettarci che la tua musica venga influenzata da questi strani giorni che viviamo, tra distanze sociali se non addirittura di quarantena?
“Mi sto prendendo del tempo libero per ora per concentrarmi sulla mia transizione ma anche per pensare a come continuare musicalmente nei prossimi anni. Sto producendo di più da solo dato che non posso andare in studio con dei produttori. Sto cercando di tirar fuori qualcosa di buono da questa situazione.”
Grazie per il tuo tempo, speriamo di rivederti presto dal vivo!
La settimana scorsa abbiamo avuto il piacere e la fortuna di occupare il tempo ascoltando in anteprima il primo album di Bartolini, Penisola, in uscita il 3 Aprile. In parte delicato, in parte sfrontato, sempre sincero: ogni pezzo sembra una lettera, prima scritta e poi cantata, e tutte insieme creano una corrispondenza carica di intuizioni, prese di coscienza e confessioni per undici persone collegate dal bisogno di sentirle vicine, mai distanti, mai isole.
Abbiamo chiesto un po’ di cose a Giuseppe riguardo l’album e più in generale riguardo la sua carriera e le sue scelte, ecco cosa ci ha raccontato.
Ciao Giuseppe! Nessuna presentazione nelle info di Spotify, né su Facebook, allora perché non farla qui: chi è Bartolini e qual è la sua storia?
“Sono un ragazzo di 25 anni, nato in Calabria e vivo a Roma da svariati anni. Ho iniziato a suonare all’età di dieci anni la chitarra, sia per passione sia per evadere dalle situazioni che ho vissuto durante la mia adolescenza. Nell’ambiente dove sono cresciuto mi sono trovato spesso da solo e non del tutto accettato a causa degli interessi che avevo e per questo motivo ho avuto sempre difficoltà a trovare persone come me, motivo per cui non ho mai avuto una band e non sono mai riuscito a tirare fuori del tutto quello che avevo dentro, neanche con la musica. L’esperienza musicale era un pianeta molto lontano per me a quei tempi. Ho avuto la fortuna di avere due figure fondamentali che mi hanno cresciuto musicalmente facendomi scoprire i dischi che hanno accompagnato la mia “evasione”, cioè mio padre e mio zio materno. Grazie a loro mi sono appassionato alla musica new wave, punk, post-punk e indie rock. Dopodiché ho smesso di suonare per tre anni e di ascoltare musica, perché ero nauseato da me stesso e volevo essere un’altra persona. Volevo cercare di diventare quello che gli altri intendevano per “persona normale”.
Ho ricominciato a suonare a Roma dove mi sono liberato della mia nuvola di timidezza ed ho iniziato a sperimentare il canto, iniziando a scrivere prima in inglese e poi in italiano. Nel 2016 ho vissuto a Manchester per un anno, città a cui mi sono sentito sempre legato da un punto di vista spirituale e musicale e in cui ho capito che volevo essere un artista. Qui ho iniziato a suonare le mie primissime canzoni in italiano e a scrivere. Tornato in Italia ho preso parte al collettivo Talenti Digital con cui ho fatto uscire le prime canzoni e sono cresciuto artisticamente. L’anno scorso è uscito il mio primo EP BRT Vol.1 e sono stato in tour per tutta l’estate. Nel frattempo, ho scritto tutto il nuovo album che uscirà con distribuzione Carosello Records.”
Da Penisola non traspare solo una tua crescita musicale ma anche un cambiamento personale. “Cercare di non chiudermi nel mio guscio, di non essere un’isola” è uno dei tuoi propositi per questo nuovo inizio, se possiamo chiamarlo così. Ci sono stati però finora dei momenti in cui hai avuto bisogno di rimanere solo e lontano dal resto? Per esempio, per concentrarti su di te e tirar fuori quello che avevi dentro?
“Si, ci sono stati molti momenti in cui ho avuto bisogno di isolarmi da tutto, anzi è una condizione necessaria quando scrivo o registro. Non riesco, purtroppo, a lavorare o a scrivere se qualcun altro è nella mia stanza, mi inibisco. Sono sempre in quarantena quando scrivo. Il mio proposito fa riferimento al fatto che negli anni passati contenevo dentro di me strascichi di una rabbia post-adolescenziale e questo mi portava ad allontanarmi anche dalle persone care mentre adesso vorrei essere una penisola, vorrei stare più vicino quotidianamente a chi è presente per me.”
L’album infatti è caratterizzato da testi che ricordano quanto siano importanti le relazioni e i contatti e in questo momento più che mai capiamo quanto siano necessari i rapporti umani. Che influenza hanno gli altri (le relazioni, le sensazioni, le esperienze condivise) sulla musica che scrivi?
“L’influenza degli altri è fondamentale nella scrittura delle mie canzoni.”
Appena uscita, Lunapark ha ricevuto un bel po’ di commenti positivi e tanti ascolti su Spotify. La traccia è davvero bella, ma non ha nulla da invidiare alle altre dell’album, ognuna speciale a modo suo. Ero curiosa di sapere, perciò, qual è il processo che ti ha portato a scegliere di pubblicare dei pezzi tipo Lunapark e Non dirmi mai, piuttosto che altri.
“Ti ringrazio molto per aver apprezzato le altre canzoni del disco. Abbiamo deciso di fare uscire la canzone che fosse più vicina allo stile dell’EP (quindi Non dirmi mai) e che rappresentasse, però, una sorta di evoluzione di quel suono. Lunapark è il suo opposto per certi versi e rappresenta, forse, il pezzo più maturo dell’album.”
Quali sono gli artisti italiani o stranieri che hai ascoltato di più nel periodo in cui hai scritto questo album?
“Considerando che quest’album è stato scritto durante tutto il 2019 ho ascoltato diversi artisti italiani tra cui Battisti e Dalla e molti internazionali della nuova scena inglese come per esempio i Fontaines D.C., Idles e Shame. Poi Toro y moi, Foxwarren, Wild Nothing, Foxygen, Ross From Friends per citarne alcuni.”
Volendola allontanare dalla situazione particolare che descrive, Iceberg potrebbe essere la canzone che fotografa perfettamente questo periodo: “a quanto pare non posso più restare da te/ sono solo stanotte/ mi butto in un canale della televisione/ […] quando finisce il vento andiamo a festeggiare o no”. Tu come lo stai vivendo e cosa farai appena sarà finito questo periodo?
“Hai ragione, ed è assurdo perché questa canzone è stata scritta un anno fa per parlare di una situazione di solitudine estrema. A me piace molto stare a casa e come ti ho detto prima sto spesso in quarantena per scrivere e suonare. Adesso, però, sto iniziando ad accusare questa situazione. Avere la mia famiglia lontana e non poter vedere i miei amici è frustrante e, purtroppo, è un periodo in cui non riesco a scrivere né ad essere produttivo come vorrei.”
Qual è, se c’è, la canzone di Penisola alla quale sei più legato?
“Dipende dal periodo, ultimamente mi sento molto legato a Sanguisuga forse perché è stata l’ultima canzone che ho scritto per l’album. Non so darti una risposta precisa perché le canzoni sono come i figli.”
C’è una persona alla quale fai ascoltare tutto in anteprima per avere dei consigli, dei giudizi o semplicemente per la curiosità di sapere cosa ne pensa riguardo i pezzi che scrivi?
“Si, alle persone che lavorano con me, alcuni amici e mio cugino.”
Chiedere cosa ti aspetti da quest’anno è un po’ azzardato, quindi formuliamola così: qual è l’augurio che oggi Bartolini fa a sé stesso e alla sua musica?
“Mi auguro che questo disco possa arrivare in qualche modo alle persone e che queste si rivedano a modo loro nelle mie storie. Spero di essere un esempio per chi viene da una situazione simile alla mia, per trovare la forza di far uscire fuori le proprie passioni e di cercare quelle persone con cui condividerle.”
Gulliver è il nome che rappresenta il nuovo percorso artistico di un nome già noto ai più: Giò Sada. L’artista ha deciso di presentarsi con una inedita veste sonora, dall’immaginario preciso e ampio, convogliando il tutto nel suo nuovo album Terranova, pubblicato il 28 febbraio scorso.
Gulliver ha deciso di ripartire da zero, con coraggio e determinazione, facendo scelte estremamente personali e libere da condizionamenti del mercato discografico attuale. Questo lavoro rappresenta un nuovo inizio per il cantautore pugliese che vuole riportare la musica all’esperienza dell’ascolto svincolandola dal legame con l’immagine, l’esteriorità, dal rapporto col pubblico attraverso il “personaggio” e non il contenuto. L’obiettivo è ritornare a una dimensione più autentica, come esperienza di condivisione.
È effettivamente un cambio di rotta, quello fatto da Giò Sada, l’anima rock a cui eravamo stati abituati, infatti, ha lasciato spazio a toni più pacati, dolci, il cui filo comune è la volontà di trovare e dare pace.
Per l’uscita del suo nuovo lavoro non abbiamo potuto esimerci dal fargli qualche domanda, dal chiedere di raccontarci che percorso lo abbia portato a questi nuovi porti.
Ecco cosa ci ha raccontato.
Raccontaci il tuo nuovo album Terranova, focalizzandoti su quelle che secondo te sono le sue “pietre angolari”.
Avevo in mente come sottotitolo per l’album Elogio al naufragio, perché attraverso un naufragio, spesso conseguenza di una scelta azzardata hai la possibilità (se non prevale il solito piangersi addosso) di spingerti oltre quello che la tua immaginazione può concepire e di avventurarti inevitabilmente verso ciò che non conosci e poi il rifiuto di naufragare va a braccetto con il rifiuto di mettersi in gioco che è tutto il contrario di quello che si dovrebbe fare per poter poi raccontare una storia. La seconda pietra è il ritrovarsi, ossia ritrovare la motivazione alla base del viaggio intrapreso, il naufragio passeggero si sgretola e diventa materiale per costruire la propria strada. La terza è continuare a credere ciecamente alla possibilità di poterci immaginare un avvenire migliore della prospettiva decadente che non riusciamo ad abbandonare.
Come è cambiato il tuo percorso artistico in questi ultimi anni?
Sono cambiate principalmente le domande che mi faccio, sono cambiati i miei interessi sonori, la ricerca si è spostata da un approccio musicale più istintivo ad uno più attento ai particolari, ho cominciato a dare fiducia alla fragilità e alla delicatezza che fanno parte di me come la capacità di gridare. Avevo ed ho ancora bisogno di sentire e dare pace.
Parlando di nomi, come mai la scelta di Gulliver come pseudonimo?
Gulliver è stato scelto perché in me genera dei ricordi esotici, legati alle immagini che accompagnavano i racconti che ho letto da bambino, allegoricamente avendo attraversato mondi sonori molto distanti tra di loro sia musicalmente che a livello organizzativo mi sono sentito come lui quando passo dopo passo si addentra in terre sconosciute e ci resta fino a quando non sente il bisogno di ripartire.
Se dovessi trovare 3 canzoni, italiane e non, per descriverti, quali sarebbero?
Dunque, direi: Bandiera Bianca di Franco Battiato; Conquest of Paradise di Vangelis; E se ci diranno di Luigi Tenco.
Ci sono stati degli ascolti che ti hanno particolarmente influenzato nella scrittura del disco?
Dato che non sono solo in questo progetto ma c’è anche Marco, che è colui che ha curato tutta la produzione del disco, diciamo che c’è stato un incrocio di gusti abbiamo cercato una chiave tra i nostri ascolti e continueremo a farlo. Ci ha influenzato il mondo delle colonne sonore, del nuovo e del vecchio utilizzo dell’elettronica e il buon cantautorato moderno e passato.
Quale è stato il processo creativo e di produzione che ti ha portato a questo album? Svelaci qualche aneddoto dallo studio!
Il processo creativo è partito nel 2017 in seguito all’arrivo di canzoni che, come ho detto all’inizio, sono volute venire allo scoperto attraverso di me a distanza anche di mesi l’una dall’altra, ognuna di queste in seguito a un evento specifico ed ho usato l’attesa e la fiducia per raccoglierle. Il lavoro in studio è stato invece costante e attento, a tratti estenuante. Abbiamo provato vari vestiti per ognuno dei brani ed è stato centrale in questo anche Pasquale Pezzillo, fondatore dei JoyCut, produttore nel disco dell’ultima traccia.
Mi ha colpito molto la copertina, l’artwork ha un significato particolare?
Volevo che la copertina fosse molto suggestiva, che spingesse ognuno a credere che quella sagoma in controluce potesse in qualche modo rappresentarli. Una figura umana che si eleva dalle macerie di un mondo in lontananza (inteso principalmente come mondo interiore) per andare verso “Terranova” ossia una nuova idea di se stesso. Più consapevole.
Dici che i tuoi testi parlano di “resilienza”, termine molto usato in questi anni, ci spiegheresti il suo significato nelle tue canzoni?
Forse il tema centrale è proprio questo, ogni canzone di questo disco affronta a modo suo la tematica del ritrovare lo slancio nel superare i propri limiti, spesso emotivi, perché se nella realtà abbiamo l’impressione di essere liberi, siamo poi internamente ancora troppo schiavi delle emozioni, che non sono sempre da preservare.
Sappiamo del tuo passato rock, come ti identifichi all’interno della scena musicale attuale e cosa ne pensi dei nuovi fenomeni itpop?
Non saprei come definirci come progetto, cantautorato influenzato da vari mondi sonori che ci piacciono, dall’acustico alle colonne sonore più orchestrali, all’elettronica da sintetizzatore modulare diciamo, cantautorato curioso.
Cosa dobbiamo aspettarci dal punto di vista live? Puoi anticiparci qualcosa?