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Tag: Live

Infest 2019 • Day 1

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• Infest 2019 •

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Day 1

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Live Music Club (Trezzo sull’Adda) // 12 Giugno 2019

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Foto: Luca Ortolani

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S T A T E   C H A M P S

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O U R   L A S T   N I G H T

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A S   I T   I S

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Fantastic Negrito @ Acieloaperto

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• Fantastic Negrito •

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Acieloaperto (Rocca Malatestiana – Cesena) // 14 Giugno 2019

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1552435921124{margin-top: 20px !important;margin-bottom: 20px !important;}”][vc_column][vc_column_text]Mentre aspetto che Xavier Dphrepaulezz, meglio noto come Fantastic Negrito, salga sul palco di acieloaperto, alla Rocca di Cesena, il ragazzo di fronte a me si accende un cannone. Una coppia attempata, ma irriducibilmente giovane, sta già facendo lo stesso poco più in là. Due ragazzi alle mie spalle invece si stanno baciando da dieci minuti buoni. Capisco in fretta l’aria che tira: la musica di Fantastic Negrito accende l’anima e i desideri. È sporca, sexy e un po’ folle.

Lo show inizia in perfetto orario e mentre si dimena nei suoi pantaloni rossi non faccio fatica a immaginarlo fare festa in un club di Los Angeles, tra bottiglie di champagne e ragazze poco vestite. Lo guardi e pensi che deve aver avuto una vita piuttosto avventurosa, questo afroamericano di Oakland. Durante il concerto racconterà qualche aneddoto della sua esistenza travagliata, sempre condito da sarcasmo: la strada, il difficile rapporto con i genitori, la droga, i contratti milionari bruciati, l’incidente che ha rischiato di fargli abbandonare per sempre la musica. Tutta roba che lo ha reso inevitabilmente il “motherfucker” di oggi, come si auto definisce.

E proprio con la chitarra ha un rapporto particolare. La suona senza plettro con la sua mano semi paralizzata, a volte accarezzandola dolcemente, altre con violenza. Amore e odio, come i grandi del blues. Anche per Fantastic Negrito la chitarra, o forse sarebbe meglio dire la musica, sembra essere il mezzo per esorcizzare sfortune e disastri personali. È la rivalsa su una vita che si è messa di traverso, ma che non gli ha impedito di guadagnarsi – meritatamente – due Grammy.

Il palco è spoglio, non c’è niente alle sue spalle, ma Negrito ha una tale presenza scenica che è impossibile guardare qualunque altra cosa. Su Bad Guy Necessity l’atmosfera si scalda. Il pezzo è il classico esempio di black music rivisto al modo di Fantastic Negrito. “Tutti hanno bisogno di un cattivo ragazzo, di qualcuno da incolpare, ora sono così dipendente da queste pillole, sono solo una vittima e sono così sospettoso, ho bisogno di protezione, questo il mio secondo emendamento“, un testo che la dice lunga sulla sua personalità. C’è rabbia, è vero, ma c’è anche molta ironia.

La voce è la vera sorpresa: riesce a passare da un falsetto androgino a bassi profondissimi, sostenuti dalla sezione ritmica che l’accompagna sul palco. Che sia rimasto folgorato da Prince sulla Via di Damasco è evidente.

Su Scary Woman il Fantastico inizia a far presagire la vena da mattatore che lo caratterizza e che andrà in crescendo per tutta la serata. Sferza il pubblico con uno stile da predicatore e inventa uno slang tutto suo, unendo parole e pronunciando frasi in italiano che deforma fino a far diventare una cantilena.

Negrito è riuscito a rivisitare il patrimonio musicale afroamericano senza tradirlo. Ogni pezzo, pur essendo facilmente riconducibile alle atmosfere dei grandi bluesman, e penso a B.B. King solo per citarne uno, risulta invece essere tremendamente attuale. In An Honest Man domina il groove. Negrito è un satiro: attraversa il palco saltellando, fa piroette, si agita e ci fa muovere il culo. Ad un certo punto mi guardo intorno e mi sento dentro ad una scena di Dirty Dancing.

Il pubblico balla, da solo o in coppia, non importa. La musica di Negrito ha a che fare con il sesso. E come nel sesso le persone sudano, si divertono, sorridono. Non si può chiedere di più ad un concerto. A Boy named Andrew infiamma il pubblico, che canta sulla base il nananana con un incedere orientaleggiante. Il gospel di A letter to Fear è bellissimo e arriva alla pancia.

Tra un pezzo e l’altro c’è posto per un ringraziamento a Chris Cornell, il primo che ha portato Fantastic Negrito in Italia. La parte narrativa, tutti questi aneddoti che condivide con noi, sono importanti tanto quanto il suo suono e danno la dimensione della sua complessità.

Parte In the Pines, cover del classico di Lead Belly e la sua voce tocca bassi incredibili. È dedicata al fratello, al cugino e al migliore amico, tutti morti a causa di un’arma da fuoco. Per quanto mi riguarda è uno dei pezzi più memorabili del concerto. Qui la sensualità della musica di Negrito raggiunge le vette più alte dello show.

In Plastic Hamburger gli assoli grondano sangue. Come può un pezzo unire blues e Led Zeppeling? Chiedete a Fanstastic Negrito perché pare proprio che ci sia riuscito. Durante tutto il concerto, che è durato per oltre un’ora e mezza, la sua voce non ha un cedimento: alta e limpida e baritonale quando serve.

Ad un certo punto chiede al suo chitarrista il nome della città in cui si trovano. Alla risposta “Céssena”, aggiunge un divertito “sembra qualcosa che si fuma, molto buona questa Cèssena“, mentre il pubblico ride. È anche questo che definisce la personalità di Fantastic Negrito: il senso dell’umorismo, probabile conseguenza di una vita spesso tragica.

Il concerto termina con Night Has Turned to Day/Bullshit Anthem: “prendi quelle cazzate, trasformale in una buona merda“, perché il percorso verso una vita migliore è proprio non lasciare che tutte quelle cazzate ti definiscano. Quest’ultimo pezzo è la giusta chiusura all’insegna della fratellanza e del lieto fine, che in una vita di travagli emotivi come quella di Negrito sembrava impossibile. “Buttami giù, continuerò a combattere”, grazie Negrito, continua a farlo, anche noi proveremo a fare lo stesso.

 

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Testo: Daniela Fabbri

Foto: Valentina Bellini

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Madman @ Parma_Music_Park

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• Madman •

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Parma Music Park (Parma) // 14 Giugno 2019

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Foto: Andres Mejia

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Vasco Rossi @ Stadio San Siro

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• Vasco Rossi •

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” VascoNonStop Live 2019 “

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Stadio San Siro (Milano) // 11 Giugno 2019

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Foto: Eleonora Stevani[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1551661546735{padding-top: 10px !important;padding-bottom: 0px !important;}”][vc_column][edgtf_image_gallery type=”masonry” enable_image_shadow=”no” image_behavior=”lightbox” number_of_columns=”three” space_between_items=”tiny” image_size=”full” images=”14567,14568,14569,14570,14571,14572″][edgtf_image_gallery type=”masonry” enable_image_shadow=”no” image_behavior=”lightbox” number_of_columns=”three” space_between_items=”tiny” image_size=”full” images=”14573,14574,14575,14576,14577,14578″][/vc_column][/vc_row]

Joan As Police Woman @ Monk

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• Joan As Police Woman •

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” Joanthology Tour “

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Monk (Roma) // 08 Giugno 2019

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Foto: Simone Asciutti[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1551661546735{padding-top: 10px !important;padding-bottom: 0px !important;}”][vc_column][edgtf_image_gallery type=”masonry” enable_image_shadow=”no” image_behavior=”lightbox” number_of_columns=”three” space_between_items=”tiny” image_size=”full” images=”14501,14500,14503,14505,14504,14502″][/vc_column][/vc_row]

Ex Otago @ Parma_Music_Park

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• Ex Otago •

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Parma Music Park (Parma) // 09 Giugno 2019

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Halestorm @ Estragon

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• Halestorm •

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Estragon (Bologna) // 05 Giugno 2019

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NorthSide 2019

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• Day 1 •

6 Giugno 2019

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Tame Impala

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Alice in Chains

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The Streets

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Foals

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Cautious Clay

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Phlake

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• Day 2 •

7 Giugno 2019

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New Order

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Major Lazer

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Idles

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Migos

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Mark Ronson

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Nas

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• Day 3 •

8 Giugno 2019

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Bon Iver

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Kurt Vile and the Violators

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Suspekt

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Keane

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Oh Land

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Novo Amor

[/vc_column_text][vc_empty_space][/vc_column][vc_column width=”1/3″][vc_empty_space][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Foto: Francesca Garattoni

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I Loren e la musica pensata per essere suonata dal vivo

Il Locomotiv Club è praticamente deserto, ci sono soltanto gli addetti ai lavori che stanno preparando il locale per il concerto dei Loren. Una band composta da cinque ragazzi fiorentini che, noi di Vez, abbiamo amato fin dal primo ascolto del loro album omonimo.

Ragazzi solari, che danno una carica di positività a chi li circonda.

Quella del Locomotiv è l’ultima data del loro tour e il fatto che sia proprio a Bologna assume un significato ancora più grande. Perché è come se tutto fosse nato qui, perché Garrincha, la casa discografica che ha deciso di investire su di loro, ha sede proprio nel capoluogo emiliano.

Ci sediamo sul divano del Locomotiv e iniziamo a chiacchierare…

Chi sono, e chi erano, i Loren. Parlateci un po’ di voi.

I Loren sono un gruppo che si è formato a settembre, 10 mesi fa. 

E’ un gruppo che nasce dalle ceneri di un’ altra band, che si chiamava Amarcord, e che è uscito subito con Garrincha Dischi, una delle etichette più fighe del panorama indie italiano, che ha prodotto Loren il nostro album.

Ora stiamo portando in tour lo spettacolo con i brani del disco e qualche canzone vecchia, una sorta amarcord del gruppo precedente.

Abbiamo cominciato, con il progetto vecchio, una decina di anni fa. 

Eravamo piccolissimi ed è stato un bellissimo modo per conoscersi, stare insieme e trovare un linguaggio comune. 

Quando sei così piccolino ed inizi non sai nemmeno cosa vuoi fare davvero. Noi lo abbiamo scoperto insieme ed ora siamo contenti del lavoro che abbiamo fatto e di questo contesto che si sta creando intorno a noi. 

I vostri testi parlano di vita e di cose spesso semplici e quotidiane ma lo fate in un modo completamente vostro. Dove trovate l’ispirazione?

Grazie perché questa più che una domanda è un complimento. 

Abbiamo attraversato molte fasi di scrittura; è da quando abbiamo 14 anni che scriviamo canzoni, forse anche da prima. 

Ad un certo punto abbiamo detto: ok, vogliamo dirvi delle cose e vogliamo farlo in modo diretto, vogliamo mettere in gioco noi stessi.

Questa cosa è anche un po’ frutto dei tempi, viviamo in un mondo che è iper-realistico, in cui tutto si può guardare e controllare. 

Questo forse ci ha spinto a fare un album così intimo, che parla delle nostre cose. 

L’ispirazione è stata un po’ figlia dei tempi e di un linguaggio che abbiamo cercato di costruire negli anni, sia dal punto di vista musicale che da quello dei testi. 

Perché quando si è una band, anche se nessuno ci pensa, bisogna cercare di parlare al plurale. Questo ormai non si fa più, si pensa troppo spesso all’io, mentre avere un gruppo ti fa pensare al noi.

Se c’è un merito in questo album è proprio questa connessione tra i due orizzonti: il piccolissimo, l’individuale, e l’orizzonte ampio della collettività. Credo che questi due mondi si siano ben intersecati.

La cosa che più mi ha colpito è la positività e la grinta che riuscite a trasmettere. Quali sono i messaggi di cui volete farvi portavoce?

Noi non ci siamo mai messi nell’ottica di piangerci addosso, che secondo noi è un po’ il tema del decennio. Non è una cosa che ci appartiene, non ci piace e quindi cerchiamo di evitarlo. 

Anche se tra di noi siamo molto autocritici e negativi, a volte anche autodistruttivi, il messaggio che vogliamo dare è che esiste ancora la possibilità di lavorare e costruirsi un percorso. 

Non c’è motivo di disperare mai finché si ha la forza di dire “ok, facciamo un altro passo nel nostro percorso”.

Secondo me, per la nostra esperienza, l’insegnamento è che si può fare un passo alla volta ma comunque arrivare a fare grandi cose. 

Questa cosa si può applicare a tutto, ma ultimamente va molto di più di moda l’autocommiserazione. 

Questo non ci è mai piaciuto, è quasi diseducativo. A volte ci dicono che non siamo indie perché non ci facciamo portatori di questa tematica. Ma noi siamo contenti di non far parte di questa cosa.

Noi crediamo in una costruzione collettiva che dia il senso all’individuo. Io vivo il gruppo in questo modo. Il messaggio in qualche modo si trasforma dal vivo. Assume più colori, più strati. Noi crediamo soprattutto in questa cosa della musica dal vivo, nel momento dell’essere li fisicamente.

L’album è una sorta di documento ma noi diamo molta importanza al fatto di essere li con corpo.

In un momento in cui in Italia vanno per la maggiore generi come la trap e l’indie, voi sembrate discostarvi. Come definite il vostro genere?

Ci sono due livelli secondo me. Musicalmente, il filone indie, è molto povero. Noi siamo in cinque e, spesso, anche nelle band che si ascoltano non si sente la presenza di tutti gli elementi.

Molte volte c’è un produttore che interviene e tira le fila, c’è uno che fa il lavoro per gli altri. Inoltre a volte queste parti non sono pensate per essere suonate dal vivo.

Noi facciamo un’operazione diversa. Pensiamo le cose, in cinque, che possano rendere dal vivo bene, poi la resa su disco viene dopo. Quindi forse può penalizzarci ma è un modo completamente diverso di costruire la musica, fin dalla partenza.

Non può risultare simile all’indie; anche se qualcuno forse ci può confondere. 

Ci rifacciamo alla musica indipendente precedente e internazionale. Ci ispiriamo a band come i The National, i The Killers, i Coldplay, i Kings of Leon e i Radiohead.

Gruppi che riescono a curare l’aspetto musicale, con delle belle melodie,  ma si fanno portavoce di un messaggio positivo, con dei bei testi. Noi cerchiamo di fare questa cosa.

Forse non è un momento fortunatissimo però crediamo che le cose si costruiscano nel lungo periodo e facendo un passo alla volta. Noi abbiamo mandato un messaggio, ma ne vogliamo mandare altri centomila. Questo è stato soltanto il primo sassolino.

Ci salveremo tutti, nome del tour e di una delle canzoni, lancia un messaggio molto forte.

Questa cosa forse è stata un po’ fraintesa ma ci piace che sia andata così. In questa canzone Ci Salveremo Tutti sarebbe quasi un “ci salveremo da noi stessi”.

Viviamo in tempi molto veloci, sembra che non si possa sbagliare niente, anche musicalmente. Tutto deve funzionare, subito.

Questa canzone voleva dire: prendiamoci la possibilità di fare una cosa che ci piace, vediamo se funziona e se possiamo raccogliere i frutti del nostro lavoro. E se non va, così come l’avevamo pensata, ripensiamola. Questo mondo in cui devi fare la cosa che deve funzionare su tutti i livelli non ci appartiene e l’abbiamo messa in una canzone.

Prendiamoci la possibilità di fare degli errori, di fare le cose che ci piacciono, e vediamo il riscontro delle cose.

Lo ha detto anche Saviano “Insegnate ai vostri figli a sbagliare”. Anche cantautori come De Gregori, da un punto di vista discografico, sbagliavano i primi dischi, ma era un percorso. Ci vuole del tempo.

Ormai siete in tour da parecchio. Com’è stato girare l’Italia, portando in giro le vostre canzoni, e incontrare le persone che amano la vostra musica?

Noi vorremmo suonare molto di più. Crediamo fortemente in quello che succede nel concerto, gli spunti e le letture più interessanti che abbiamo ricevuto sui testi li abbiamo avuti proprio nei live.

Nelle recensioni le persone cercano di interpretarti in un modo un po’ freddo, ai concerti invece trovi gente che si lascia trasportare dell’emotività, che sceglie di essere li. Ci sono delle interpretazioni a cui nemmeno noi avevamo pensato, le cose cose più intelligenti, che ci hanno più colpito le abbiamo ricevute li.

Fosse per noi staremo sempre a fare dei concerti, anche se è devastante fisicamente. E’ li che succede tutto. Bisognerebbe tornare ad uscire di casa, ad andare ai live. Rivendicare anche il diritto di andare a un concerto che non ha funzionato e magari di poterlo dire all’artista.

Noi crediamo molto in questa relazione che si accende. Girare è bello, ed è bello anche quando non c’è nessuno, perché impari sempre.

Viviamo in un momento in cui non c’è umiltà, tutti devono diventare, tutti ti devono ascoltare. Invece stare per strada, stare su un furgone per tante ore, insieme, è molto formativo; si parla di tante cose, si discute. Il contatto con le persone è importantissimo.

A Baronissi, in provincia di Salerno, c’erano persone che hanno fatto 80 chilometri per dirci “Abbiamo ascoltato il vostro disco, non recapitavate più e siamo venuti a sentirvi qui” sono cose che mettono i brividi.

L’ultima domanda è per Francesco. Visto che sei laureato in matematica e le vostre canzoni sono cariche di suoni molto diversi tra loro, quando componi attingi dalla logica della matematica? Visto che si dice che musica e matematica parlino la stessa lingua…

Io questa cosa non la vedo molto. I suoni molto diversi sono dovuti alla costruzione collettiva delle canzoni.

A volte nella scrittura dei brani ho usato delle citazioni che vengono dal mondo della matematica, mi piace questa metafora.

E’ una cosa che si usa nel mondo della musica, per esempio mi viene in mente il brano di Fabi, Silvestri e Gazzè che dice “ma esistiamo io e te, la nostra ribellione alla statistica”. Da matematico questa frase mi piaceva tantissimo.

E’ vero che molti matematici sono anche scrittori, e la logica mi aiuta nella scrittura della canzoni, ma finisce li.

Tutto l’arrangiamento e la diversità sono dovuti al fatto che in ogni canzone cerchiamo di trovare un punto di incontro e di equilibrio tra le nostre cinque teste pensanti. Il fatto che ci annoiamo molto rapidamente poi aiuta anche a dare sonorità sempre diverse.

Laura Losi

Fast Animals And Slow Kids @ Strike_Up_Festival

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• Fast Animals And Slow Kids •

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Strike Up Festival #5

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Castello Della Rancia (Tolentino) // 01 Giugno 2019

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Esistono due categorie di persone.

Quelle che credono nel colpo di fulmine e quelle che non ci credono. Posso affermare di far parte della prima, senza ombra di dubbio. Perché esistono, anche, varie tipologie di colpi di fulmine, tra cui quello “musicale”. Circa due anni fa, in occasione del Rimini Park Rock, vidi quattro ragazzi suonare in apertura ai Biffy Clyro.

Suonavano forte, di cuore, di pancia. Suonavano con gli occhi dello stupore di chi calca finalmente quei palchi. Suonavano con la pazzia di chi tenta sempre il tutto per tutto… anche arrampicarsi su un’americana per scorgere meglio il pubblico, da lassù.

E poi sono arrivate le presentazioni: Aimone Romizi, Alessandro Guercini, Jacopo Gigliotti, Alessio Mingoli. “Salve, noi siamo i Fast Animals and Slow Kids e veniamo da Perugia”. Una formula magica, uno stringersi la mano per non lasciarsela più.

È stato amore a prima vista.

La scoperta e la riscoperta di una parte di me in ogni canzone, in ogni verso, ad ogni concerto. Empatia pura. Sono volata a Berlino lo scorso dicembre, solo per ascoltarli dopo il periodo di pausa dedicato alla scrittura del quarto album, Animali Notturni, pubblicato il 10 maggio.

Un nuovo disco. Consapevolezza, personalità, professione di libertà e coesione rafforzate nel tempo e confermate traccia dopo traccia. Un nuovo tour inaugurato ufficialmente dalla data allo Strike Up Festival di Tolentino.

Quel primo giugno cerchiato in rosso sul calendario ormai da mesi e una location da togliere il fiato: il Castello della Rancia, illuminato e imponente sullo sfondo.

Un anfiteatro gremito di persone che, dopo aver applaudito i Bruxa e i Caracalma, si è acceso in un’ovazione sull’intro di Radio Radio intonato da quelle che sono ancora ombre avvolte nel fumo.

I musicisti sono al loro posto, la formazione è schierata. Manca solo Aimone.

Arriva anche lui, nella sua autentica semplicità.

Capelli al vento, microfono in aria. Si inizia.

È Radio Radio ad aprire la setlist. L’inno coraggioso e cantato all’unisono,che celebra la volontà di continuare a dire ciò che si pensa e metterlo in musica. Una fusione perfetta e complementare tra vecchi e nuovi brani: se Coperta, con i suoi ricordi illusori confusi nella nebbia è l’antenata ideale di Non potrei mai, Dritto al cuore è il pezzo che segna il primo apice emozionale della serata.

Questo è un brano a cui teniamo davvero tanto” – confessa il frontman – “Non vedevamo l’ora di suonarla live. La dedichiamo a tutti quelli che sanno di aver sbagliato, una volta. Perché una volta si può sbagliare”.

“Non vedo l’ora di ascoltarla live” ho pensato la primissima volta che ho fatto girare il cd in macchina, appena comprato, appena scartato. Il “locale” è esploso sul serio. 

Un groviglio di corpi, nomi, voci sempre più attaccati e tesi verso Aimone, già a strettissimo contatto con le transenne. Tra ombre di Demoni e la fotografia nitidissima di Annabelle, il palco si popola di quelle figure misteriose che sono gli Animali Notturni: Questa è per tutti quegli amici che abbiamo perso lungo la strada”.

Una canzone che sembra composta appositamente per la dimensione, per narrare quelle storie di vita vissuta, di chilometri, di incontri, di domande, tra le righe delle corde di chitarra. Un invito ad avvicinarsi al palco, a fare un passo in avanti, per eliminare qualsiasi barriera, qualsiasi distanza tra artista e pubblico, perché, in fondo quegli animali notturni sono uomini.

Sono loro, siamo noi.

Abbiamo voluto chiudere l’ultimo disco con una nota di speranza. Questa è Novecento”. Ecco il secondo picco d’emozioni: una ballata incorniciata da un titolo d’amore. Il nome del secolo dei grandi cambiamenti, delle cadute e delle rinascite, dell’orizzonte comunque aperto. Un brindisi al futuro, con i bicchieri, i sorrisi, le lacrime, gli occhi rivolti al cielo.

Poteva mancare lo stage diving di Romizi? Lui che, da anni, cavalca l’onda umana che si innalza ad ogni tempesta di suono generata dai Fast Animals And Slow Kids? No, non poteva mancare.

E per l’occasione si tuffa e arriva in un attimo su un piccolo palco preparato vicino al mixer, con bacchette e timpani.

“Ragà, con quel bastardo (Alessio) abbiamo indetto una sfida super tamarra. Daje”. Un intermezzo strumentale di sole percussioni che crea il ritmo e le vibrazioni in modo perfetto per introdurre Forse non è la felicità, urlata a squarciagola.

Si spengono le luci, ma solo per un attimo. Il tempo per L’urlo e il finale è tutto per una canzone che rappresenta una parte integrante del cuore e dell’anima di questo gruppo e dei loro fan.

“Questa risale al 2012, quando eravamo quattro stronzi e non ci cacava nessuno. La musica era un obiettivo lontano ma da quel momento abbiamo iniziato a suonare ovunque. Per dieci anni. E dopo dieci anni la musica è la nostra vita. Quindi grazie amici”.

Aimone chiede un ultimo grande applauso per quella formula magica. “Buonasera, noi siamo i Fast Animals And Slow Kids e veniamo da Perugia”.

Un boato che si esaurisce soltanto alla fine di A cosa ci serve. Quel brano lontano, ora, nel tempo. Quella domanda, sempre attuale. quella risposta che ci diamo dopo ogni concerto: serve a sentirsi vivi. A credere ancora in qualcosa. A sorridere, pur avendo perso completamente la voce.

Serve a sentirsi meno soli.

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Testo: Laura Faccenda

Foto: Luca Ortolani

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SETLIST:

 

scaletta fask

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Grazie a Ma9Promotion e Strike Up Festival

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The Minds of 99 @ Heartland Festival

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Jada @ Heartland Festival

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