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Tag: sfera cubica

Tre Domande a: MileSound Bass

Come e quando è nato questo progetto?

Il progetto MileSound Bass è nato timidamente nel 2004 quando con gli amici ci siamo appassionati spasmodicamente al mondo dell’hip hop. In quegli anni i concerti erano nei centri sociali o simili, li frequentavamo praticamente sempre. Poco dopo abbiamo cominciato a produrre beat e a scrivere rime.
Col passare degli anni mi sono avvicinato alla drum and bass che mi ha anche travolto quando sono stato un paio di mesi a Londra nel 2009. Era letteralmente ovunque.
Ho cominciato a produrla e con il mio socio SoulSwitch On e per qualche anno abbiamo cominciato a fare dei live mischiando la dnb con il rap e in seguito unendo anche la dubstep. Il nostro nome era UFO prjct.
Nello stesso periodo suonavamo anche con Charly e Gome Zeta (Gomez) mischiando diverse sonorità, elettroniche e rap, chiamandoci Fahrenheit 451 crew. Portavamo dei libri da regalare, anziché da bruciare.
Ho sempre fatto tutto da autodidatta ma nel 2011, approfittando della pausa forzata tra la laurea triennale e l’attesa per l’inizio dei corsi per la laurea magistrale, ho frequentato per qualche mese un corso sulla produzione della musica elettronica in SAE Milano. Pian piano ho fatto uscire un primo disco che racchiudeva elettronica, drum and bass, dubstep e rap. In quel periodo ero matto per questa musica e Milano suonavano dnb spessissimo.
L’anno dopo, nel 2012, è seguito Gates To The Unknown EP, principalmente dubstep unita all’IDM e glitch avevo nel frattempo cominciato ad ascoltare massicciamente. Da questo momento ogni mia produzione futura è stata caratterizzata da questo mondo. È stato amore a primo ascolto.
L’anno successivo ho pubblicato un disco ancora legato alla drum and bass e per l’ultima volta dubstep ma – appunto – totalmente in chiave IDM/glitch: ALL BORN MAD, some remain so. Ho suonato il disco in giro per l’Italia ma purtroppo dopo un live a Genova mi sono stati rubati tutti gli strumenti e hardisk con molte tracce inedite. Per qualche anno non ho più potuto suonare in giro.
Ho colto la forzatissima situazione per finire gli studi della laurea magistrale in psicologia che, nel frattempo, si erano rallentati parecchio. Ho cominciato a lavorare e pian piano anche e a comprare svariati synth e drum machine che ancora oggi popolano il mio studio. Ho cominciato ad abbandonare la produzione al computer per usare solo synth e drum machine. Attualmente uso il computer solo per editare ciò che registro dagli strumenti esterni.
Negli anni di pausa (2013-2016) ho pubblicato 3 EP con il nome Post Mortem ATTO I/II/III che racchiudevano alcune tracce salvate dal furto. I primi due erano jungle anni ’90, il terzo era prettamente IDM/glitch, non in 4/4.
Ho provato a continuare a far uscire almeno una pubblicazione – che sia almeno un singolo o un EP – all’anno ma non è stato facile dopo il 2016 quando ho cominciato a lavorare costantemente nel mondo della scuola, prima come educatore, poi come insegnante. Ruolo che ricopro tutt’ora e che mi permette anche di sperimentare la musica con gli allievi.
Negli ultimi anni, ma prima del Covid, ho suonato tantissimo e ho prodotto molte tracce per i live. Durante questi due anni di quarantena ho colto l’occasione per concludere un album cominciato poco prima del furto degli strumenti e mai pubblicato. Everything’s Normal è un lavoro durato 10 anni. Da un parte ho dovuto ricreare tutto quello che era stato perso, dall’altra ho voluto ricreare ogni suono utilizzando i sintetizzatori e drum machine e infine ho potuto approfondire il tema dei sogni, dei sogni lucidi, i falsi risvegli e le paralisi notturne che sono alla base del disco.

 

Ci sono degli artisti in particolare a cui ti ispiri per i tuoi pezzi?

Ascolto tanta musica diversa e tanti generi diversi ma ho alcuni artisti che non possono assolutamente mancare in cuffia. Gli artisti evergreen delle mie cuffie hanno alcune caratteristiche: mi fanno emozionare, hanno un suono specifico che mi ispira, appartengono più o meno agli anni ’90/inizio 2000.
L’elenco non sarà per forza di cose completo ma cerca di essere il più esaustivo possibile. I Telefon Tel Aviv, quando erano ancora un duo, per tutte quelle melodie e chitarre che si uniscono alla perfezione sulle drums glitchate. I Boards of Canada per tutte quelle chitarre e quei tappeti ambientali giostrati magicamente su ritmi downtempo. Aphex Twin per il suo saper mischiare sapientemente tante sonorità, oltre alla pazzia. Gli Autechre per il glitch estremo. Amon Tobin  e DJShadow per il campionamento, sopratutto nei primi dischi. Burial per i ritmi e per la presa male intrinseca. U-ziq e Squarepusher per i ritmi spezzati. Carbon Based Lifeforms per i tappeti infiniti. Gli Stunned Guys e la prima scena italiana per l’arroganza del kick saturato. I Massive Attack e i Portishead per l’ovvio collegamento con il mio primo amore, l’hip hop. La prima house, ma non quella commerciale, per i pianoforti e i campionamenti funk/soul. La dance prevalentemente italiana per quel cassa-basso alternato super ignorante. La jungle spezzatissima dei primi periodi per il ritmo delirante. Ma non solo.

 

Progetti futuri?

Ho diversi progetti sottomano. Negli ultimi anni, ma prima del Covid, ho suonato molto in giro per l’Italia. Per non ripetermi troppo durante i live ho prodotto decine di tracce di svariati sound. Non sono interessato a fare una compilation senza senso delle mie tracce migliori. Voglio ovviamente  raccogliere le migliori – all’interno di EP o dischi – ma che allo stesso tempo abbiamo un forte filo conduttore tra di loro, proprop come le 7 tracce di questo disco appena uscito e che parla dei sogni.
Il tempo nella giornata non è infinito e non è sicuro che potrò portare a termine ogni progetto per fare uscire almeno un EP o un disco di ogni mondo sonoro affrontato ma sicuramente continuerò a portare questi suoni durante i live.
Nel concreto ho un progetto di musica elettronica d’ascolto, proprio come questo disco.
Un altro progetto è più sul versante techno. Da quella più lenta a 100bpm passando da quella più classica a 120bpm e arrivando a quella più spinta da 140bpm in su, a tratti gabber, ma sempre downtempo.
Infine ho un progetto di strumentali rap con campionamenti dagli anni ’70. Questi sono i progetti più sostanziosi con diverse tracce (semi) complete.
Ho altri progetti ma meno ricchi di materiale già esistente. Uno è ambient e uno è jungle.

Tre Domande a: Fucksia

Come e quando è nato questo progetto?
Mariana: Fucksia nasce da una base musicale, quella che poi è diventata il pezzo dell’EP I’m a Freak.
In una fredda giornata invernale, quando l’apocalisse sembrava alle porte e “il Nulla” culturale, artistico e mentale incombeva su tutti noi, una canzone viaggiava nell’etere e nell’ethernet. Dall’estremo sud della Puglia passando per Bologna per giungere infine a Venezia I’m a Freak fu capace di creare una connessione tra tre artiste distanti geograficamente ma vicine tra loro in termini artistici.
Poppy plasmatrice di sonorità plastiche, Marzia ipnotizzatrice vocale ed io, Mari, disturbatrice professionista abbiamo iniziato a scambiarci file musicali ed a creare un primo di numerosi contatti virtuali nei quali abbiamo composto tutti i sei pezzi che compongono l’EP. Il primo incontro in presenza è stato a Bologna solo diversi mesi dopo.
L’armonia fra noi si è creata fra le note ed è così che sono nate le nostre poesie Teckno, riuscendo ad “accordarci” e viaggiare sulle stesse frequenze.

 

Ci sono degli artisti in particolare a cui vi ispirate per i vostri pezzi?

Poppy: Tutto ciò che creo fa parte di un grande bagaglio di ascolti che parte dalla musica rock di David Bowie alla musica dark new wave degli anni ’80/’90, dal noise al punk fino ad arrivare ai primi ascolti di musica elettronica come Terranova , Apparat, Moderat, Byetone, etc…  Ma l’ispirazione più grande non arriva da un artista in particolare. La mia attenzione è stata catturata, invece, da un movimento, quello dei rave party.
I ritmi tribali e i suoni dei Synth ipnotici della tekno, mi hanno subito rapito il cuore. In più la voglia di libertà che ho visto in quei party non organizzati in club, ma in posti spesso occupati o in mezzo alla natura, mi hanno fatto capire che la maggior parte della gente che vuole divertirsi e ballare, ha bisogno di questo svago come dell’aria che respiriamo.

 

Se doveste riassumere la vostra musica in tre parole, quali scegliereste e perché?

Marzia: “Follia techno antipatriarcale”.
Follia perché senza la nostra orgogliosa imprudenza e visionaria sconsideratezza saremmo la metà di ciò che siamo e faremmo la metà di ciò che facciamo.
Techno è ciò che caratterizza maggiormente le nostre basi musicali su poi cui costruiamo linee melodiche e testi densi di messaggi che mirano a diffondere una cultura e una visione transfemminista e antipatriarcale.

Tre Domande a: Laín

Come stai vivendo questi tempi così difficili per il mondo della musica?

Sono al mio primissimo lavoro discografico e quindi un neonato in questo mondo… spero di entrare a far parte dei fortunati che riescono a vivere di musica e non preoccuparmi più di sbarcare il lunario cambiando un lavoro all’anno.
Da quel che so, in Italia era già difficile vivere di musica prima della pandemia. Tutto quello che è successo è stato solo una conferma di quanto il ruolo dell’arte e di chi se ne occupa sia poco considerato. Purtroppo per la maggior parte delle persone l’arte è soltanto una forma di intrattenimento e tantissimi “artisti” continuano a contribuire al consolidamento di questa idea.

 

Se dovessi riassumere la tua musica in tre parole, quali sceglieresti e perché?

La prima parola che mi viene in mente è Essenziale, nel senso che cerco sempre di essere chiaro e conciso quando scrivo e compongo. So che gli ascoltatori mi offrono il loro tempo e sento il dovere di riempirlo di contenuti… e poi è essenziale per me: mi aiuta a capirmi e sono sicuro che mi aiuterà a farmi capire.
Intima perché nasce dai testi dei miei diari e racconta l’uomo che sono, con estrema sincerità. La manterrò sempre molto personale perché ho ormai ben chiaro il percorso che intendo fare. Crescerà, maturerà insieme a me e dividerà la vita in capitoli, testimoniando gioie e dolori, cadute e conquiste.
La terza è Giramondo e viene dalle considerazioni dei miei primi fan: mi hanno detto tutti che le mie canzoni ispirano il viaggio e sono perfette come sottofondo in treno e simili. Mi piace moltissimo pensare che il mio viaggio interiore sia “applicabile” all’esterno e che questo album sia associato all’idea di movimento.

 

Come ti immagini il tuo primo concerto live post-pandemia?

Già c’è stato un piccolo concerto in acustico, in occasione della presentazione del mio album Line of Light, in uscita il 15 ottobre. Ho risposto ad alcune domande e suonato diverse canzoni in una serata magica ed emozionante.
Eravamo intorno ad un pozzo al centro di un piccolo chiostro. Si è creata un’atmosfera meravigliosa e per un’ora ci siamo dimenticati di tutto, eravamo fuori dal tempo. Non avrei saputo immaginarlo più bello di quanto sia stato.

 

Tre Domande a: Smania Uagliuns

Come state vivendo questi tempi così difficili per il mondo della musica?

La nostra reazione spontanea è stata quella di metterci sotto con la produzione e il continuare ad essere creativi a 360°. Abbiamo dedicato molto del nostro tempo e delle nostre giornate al concepimento e sviluppo di questo nuovo EP (Travel Experiment (Season One), NdR), curandone ogni particolare, compreso il merchandising, i video, le idee di promozione e anche aspetti più grafici e tecnici, facendo un lavoro da etichetta più che solo da artisti. Abbiamo messo la nostra creatività a tutto tondo, ci piace partecipare ad ogni aspetto dei nostri lavori., così come la metteremo nella lavorazione dei nuovi singoli e del disco che stiamo finalizzando. Nei momenti di difficoltà, si prova a tramutare la negatività per tirarne fuori delle cose buone e per noi la ricompensa, in primis, è la musica e l’arte, che è arrivata, perciò possiamo già dirci felici. Ci siamo divertiti molto a creare da zero questo nuovo progetto. Anche se magari le energie spese supereranno i risultati, non fa nulla, la cosa primaria è combattere e dare tutto per quello in cui si crede.
Ora stiamo programmando anche dei piccoli eventi, di cui Agronomist sarà anche direttore artistico. Sebbene con le restrizioni e i problemi del caso, non ci faremo trovare impreparati, sperando di tornare a fare un sacco di cose fighe. Alla stasi e alla crisi abbiamo risposto e continueremo a farlo con produttività, creatività, impegno e dedizione, come sempre. Anche per progetti solisti di membri del gruppo, quelli di Agronomist nel caso specifico, siamo stati molto in studio a creare musica nuova. Ciò ci ha salvati e fatto risalire la china. È stato faticoso inizialmente, ma poi anche bello in maniera inedita, chiudere le porte al mondo esterno e cercare in sé le risposte, la “cura”.
Ora però vogliamo aprirci al mondo e confrontarci con l’esterno. Avevamo anche dei piani totalmente saltati, o rimandati nel migliore dei casi, ma abbiamo provato a rimettere insieme i cocci. Attendiamo una nuova era, più propizia, intanto cerchiamo di trarre il meglio dal momento presente, dando inizio a questo nuovo viaggio, per l’appunto.

 

Quando e come è nato questo progetto?

Questo progetto è nato in maniera del tutto spontanea nel 2016, dall’unione della nostra propensione al viaggio e alla scoperta con la passione per la musica e la ricerca di nuove sonorità. Da qui l’unione dei termini “travel” ed “experiment”, intesi come viaggio fisico, ma anche sonoro, e  come sperimentazione creativa, che si propone di assimilare e fagocitare la cultura e le sfaccettature dei luoghi che visitiamo di volta in volta, ridandogli luce sotto forma di storytelling, trasformato e deformato dalle nostre lenti, a volte in chiave ironica, a volte più seria. Nel fare ciò ci piace avvalerci di mini strumenti portatili e di frammenti musicali e linguistici prelevati direttamente dal posto oggetto della nostra visita (es. campioni di vecchi vinili usati, vocali registrati con il telefonino, etc.), oltre a catturare le video-immagini, per mezzo di varie action cam, che poi vengono montate a fare da cornice video al brano che viene solitamente scritto estemporaneamente durante il viaggio, poi finalizzato e registrato nel nostro home studio nelle settimane successive.
Quello che ci prefiggiamo è la creazione di un’opera estemporanea, che sia frutto dell’impeto e delle impressioni del momento, e non di una ragionata e calcolata struttura precostituita, una sorta di diario di bordo reale e vissuto, senza troppi fronzoli insomma e per varie ragioni, differente da altri progetti o dischi.
Il primo episodio è stato concepito durante un viaggio a Marsiglia  nel 2016, e ciò è stato una totale rivelazione per noi: scrivere un brano e registrarne il relativo video durante un week end fuori porta , ma senza farlo realmente, in quanto già parti integranti del nostro viaggio fisico e mentale. Da lì sono partiti una serie di episodi legati a diversi viaggi fatti insieme (Alo Bucarest (2017), Kenya Safari (2018), fino ad arrivare a quest’ultimo episodio Gute Natch Berlin, che chiude un po’ il cerchio e suggella l’EP Travel Experiment (Season One) che, come implica il titolo, non escludiamo possa avere un seguito nel futuro prossimo.

 

Progetti futuri?

Innanzitutto riprenderci tutto quello che è nostro (semicit.) con questo Travel Experiment (Season One). Riguardo questo nuovo singolo ed EP, abbiamo tante sorprese che sveleremo man mano, tra cui un merchandising molto particolare e delle date di presentazione, per ora in Basilicata, speriamo in seguito anche nel globo. Non ci neghiamo la possibilità di realizzare altri travel nel futuro prossimo e magari nuovi episodi o una Season Two. Dopo queste peregrinazioni, torneremo alla base, anche grazie ad un progetto che celebrerà le nostre origini e terra. Questo progetto sarà legato al nuovo disco. Ci focalizzeremo sul nuovo album, infatti, che è pressoché pronto, va finalizzato, ma abbiamo già dei singoli in lavorazione, come accennavamo e tante belle idee e cose da presentare anche riguardo questo lavoro. Tutt’altro suono, approccio e lavorazione, ma siamo molto contenti di come sta venendo fuori. Inoltre ci sarà del materiale di Agronomist da solista, a cui probabilmente parteciperemo. In più abbiamo molta musica nei cassetti e negli hard disk, che vorremmo rinfrescare e pubblicare. Questo è il momento storico in cui abbiamo in serbo più musica di sempre, che non ha senso tenere ferma. Negli anni purtroppo lo abbiamo fatto, sia per contingenze da indipendenti, di vita, momenti di sconforto e di perdita di entusiasmo, impegni dei componenti, sia per disavventure varie. Ci siamo stancati, vogliamo pubblicare tutto, come va, va. Speriamo poi di riprendere a suonare live, ci manca un sacco. Il primo live “vero” dopo tanto, a proposito, sarà al BasilicArt Festival, ad Agosto, dove presenteremo il nuovo EP. Non vediamo l’ora.

Tre Domande a: Durmast

Come e quando è nato questo progetto?

“Ho sempre suonato la batteria in varie band punk/rock dal 2004 ad oggi, ma nel 2008 in seguito ad un incidente che mi ha impossibilitato a suonare per diversi mesi ho cominciato a scoprire il mondo della musica elettronica continuando la cosa parallelamente alla batteria anche dopo essermi rimesso, dal 2017/2018 ho voluto dare l’ufficialità a questo progetto dandogli il nome Durmast e facendo uscire il mio primo album Village.”

 

Cosa vorresti far arrivare a chi ti ascolta?

“L’obiettivo non è trasmettere, ma piuttosto, far scaturire qualcosa in chi ascolta i miei brani.
Credo che sia il bello di non avere testi, il testo condiziona l’ascoltatore, invece nel mio caso è la musica che agisce su chi ascolta suscitando qualcosa in maniera molto libera senza vincoli e senza un giusto/sbagliato. Vorrei che la mia musica potesse essere indossata come un abito su misura, io presento il modello e l’ascoltatore decide il colore, i dettagli e in che occasione indossarlo. Può essere un abito da festa, da viaggio, da tenere dentro l’armadio e indossarlo guardandosi allo specchio, in seguito riporlo per poi vedere come calza qualche anno più tardi.”

 

Progetti futuri?

“In testa tantissimi, tra i più fattibili adesso sicuramente creare altri brani, altri remix (di artisti conosciuti e non) e introdurre la batteria acustica in live e brani in studio così da poter dare un tocco umano ad una cosa programmata.
Mi piacerebbe dopo l’esperienza che ho avuto in Mappe Criminali, dove hanno utilizzato dei miei brani per la colonna sonora, creare qualcosa ad hoc per serie tv e/o film per il piccolo e grande schermo, insomma vorrei mettere i piedi in più staffe così da creare un bagaglio di esperienze più ampio, perchè credo che un’artista debba costantemente mettersi in gioco e affrontare nuove sfide per alimentare l’immaginazione e definirsi tale, fame senza mai sentirsi sazi.”

Tre Domande a: Cristiana Verardo

Come stai vivendo questi tempi così difficili per il mondo della musica?

Con serenità. Da Marzo 2020 ho iniziato a pensare a come sfruttare al meglio la quantità di tempo a disposizione. Ho letto, ho scritto, mi sono annoiata e ho progettato. Credo che questo momento di fermo abbia messo al centro molte problematiche legate al lavoro dell’artista, bisogna anche fare un “mea culpa”, in tanti non hanno potuto richiedere il bonus messo a disposizione dallo stato perché non in possesso di nemmeno una giornata di contributi e questo non va bene. Ci lamentiamo di non essere considerati lavoratori come gli altri e siamo primi a non pretendere che le cose siano fatte in regola. Come si dice, “per cambiare il mondo bisogna cambiare se stessi”.

 

C’è un artista in particolare con cui ti piacerebbe collaborare?

Sarò banale, Carmen Consoli. Diciamo che se riuscissi a collaborare con Carmen Consoli avrei raggiunto un obbiettivo che mi sono prefissata da tempo, perché è in linea con la mia idea di fare musica, è un’artista seria, del Sud come me, le sue canzoni ti rimangono sotto pelle, sarebbe bello, chissà.

 

Come ti immagini il tuo primo concerto live post-pandemia?

Mi fa un po’ paura. Non so come reagirò, se riuscirò a tenere il palco, se l’emozione sarà troppa, se sbaglierò gli accordi o le parole, mi sento come una macchina tenuta per tanto tempo in garage, che prima di girare la chiave non hai la certezza che possa partire, mi sento così.

Tre Domande a: Malacarna

Come e quando è nato questo progetto?

Malacarna nasce nel 2016 durante un breve periodo di permanenza nel mio paese d’origine Brienza. Il tutto accade nella mia casa di campagna, circondata da colline fiorenti che inghiottono la valle disseminata di vigneti, ulivi e querce. In cima alla montagna di fronte, si erge un Santuario dell’anno 1000 che con i suoi rintocchi di campana mi osserva da quando ero bambino.Questo luogo ha sempre rappresentato per me uno spazio di profonda ispirazione e intimità ed è stato determinante nella composizione di questo progetto.
Il tutto nasce con dei Blues semplici, rauchi, urlati o sommessi, dove qua e la balenano immagini sacre e profane, amore e morte. La lingua inglese ne costituisce l’ossatura con i suoi suoni semplici e immediati che generano sibilanti impossibili da riprodurre nella lingua italiana.
Le tracce registrate chitarra e voce, venivano spedite con un vocale direttamente sul cellulare di Vince. Ciò che mi tornava indietro era entusiasmante, le visioni di quei testi si vestivano di suoni eterei, pungenti, estremi, rumori grezzi allo stato primordiale ma sapientemente cesellati come sculture con echi e delays, elevati all’ennesima potenza da ritmi tribali, rulli incessanti, tuoni che echeggiavano lontani oppure battiti di ali che accompagnavano la voce.
Due direzioni diverse, diametralmente opposte ma in perfetto equilibrio tra loro. Questa è la caratteristica che da sempre accomuna me e Vince. Io che cerco nel blues, la composizione semplice ed essenziale mentre Vince nella sua ricerca sonica è un “alchimista”, intento ad utilizzare i più svariati metodi per vivisezionare un suono per poi ricomporlo in qualcosa di rumoroso ma allo stesso raffinato ed etereo oppure dolce, struggente e intimo.
Il progetto prende vita in questo modo ispirandoci l’un l’altro, io con la mia voce, Vince con suoi suoni.
Inutile dire che la vera svolta è avvenuta quando Vince ha espresso esplicitamente il desiderio di autenticità in questo progetto e che forse era arrivato il momento di usare la nostra lingua (Il dialetto) per raccontare la nostra cultura e le nostre storie.
Per me è stato un duro colpo, mi sono ritrovato nudo davanti ad uno specchio, ho sempre scritto brani in inglese perché il mio background musicale proviene assolutamente dal Blues e dal Rock in tutte le sue varianti. Mi sono ritrovato senza un linguaggio a disposizione, senza un modello dal quale attingere.
Un giorno riflettendo su uno dei brani che avevo già scritto in inglese (Dead Calm Sea), ho intuito che in realtà le immagini dei miei testi risiedevano nei proverbi, nei racconti e nelle figure retoriche appartenenti alla mia cultura.
Dead Calm Sea quel mare calmo ed insidioso non era altro che un proverbio Burgentino “iumë cittë nun passà” ovvero “fiume silente non attraversare” è stato come scoperchiare un contenitore dal quale attingere.
Gli stornelli di mio nonno, gli aneddoti, le canzoni popolari, i luoghi immaginari, terre di Santi e di riti pagani, abitavano la mia immaginazione da sempre.
Quella storia la conoscevo bene, me l’aveva raccontata mia nonna, si collega alla tragica vicenda di una paesana che camminando lungo l’argine del fiume in piena, mise un piede in fallo scomparendo tra le acque impetuose.

Mare Citte (Mare Silente): La prima canzone scritta in dialetto Burgentino, di fatto il brano che ha ispirato il progetto.

Marë cittë

“Si vuó vëní cu mi’ ind’a stu marë cittë
tu më rëcistë a mi
nun passá ca të nichë“

Mare silente

“Vieni con me in questo mare silente
ricordo quando mi dicesti
di non attraversare prima d’annegare”

 

Se doveste scegliere una sola delle vostre canzoni per presentarvi a chi non vi conosce, quale sarebbe e perché?

Senza dubbio il brano più rappresentativo di questo progetto è Nunn’è Rrëlorë. Questa canzone è stata una delle ultime ad essere concepita ma che porta con sé tutta la consapevolezza di cosa vuol essere Malacarna.
Nunn’è Rrëlorë è un concentrato di tutte le influenze sonore, stilistiche e di linguaggio che io e Vince siamo diventati, componendo questo disco.
Dico: “siamo diventati” perché compere un viaggio musicale inedito, ti porta inevitabilmente ad attraversare un processo di “autoanalisi”, di trasformazione del tuo “io musicale” che ti cambierà per sempre.
Le influenze stilistiche assimilate nel tempo che risiedono dentro di te in forma latente, finalmente vengono alla luce, impregnando così la tua “personalità artistica”, diventando connotati riconoscibili della tua scrittura.
Scavare dentro di sé è un processo di crescita estrema, un processo di maturazione che porta a saziare il proprio “ego creativo” e a rinnovarne la sete.
Tutto ciò è una sorta di effetto a catena che genera nuove energie ed apre a nuove idee e concetti.
Quando si comincia a scrivere, la visione di ciò che si fa è appannata, offuscata, l’embrione non ha forma, sarà il processo finale a definirne i dettagli, i connotati e i contorni con linee definite.
Nunn’è Rrëlorë è la realizzazione del quadro, la visione finale: un insieme di influenze Blues/Tribal/Goth/Industrial/Ambient intrise della passione di Vince per la cinematografia di David Lynch, Jodorowsky e Roger Corman, attraverso una meticolosa e approfondita ricerca.
Anche dal punto di vista lirico il dialetto si impossessa estremamente della sua capacità espressiva, attraverso “la poetica della detrazione “con concetti semplici, evocativi ed eloquenti.
Il ritornello è costituito da uno “Stornello” che recitava spesso mia nonna, la tematica Bene/Male/Vita/Amore/Morte si sintetizza in questo brano, bozzetti di jazz linguistici (come accade nei testi di Bob Dylan) si rincorrono in maniera apparentemente insensata, ottenendo con le due voci in alternanza, la proiezione di visioni contenenti tutti gli elementi costituenti di quest’opera: “la cultura popolare con la sua morale universale, credenze religiose, sacro e profano, superstizioni, detti locali, storie popolari, citazioni, situazioni familiari e storie al confine tra il mitologico e il grottesco”.

Nunn’è rrelore (Non è dolore): Il Vero male Traccia d’apertura dell’EP

Nunn’è rrëlorë

“(Nunn’è rrëlorë) chi rëlorë së sendë (Quand’è rrëlorë) chi perdë l’amandë
(si ‘u pierdë muortë) no nunn’è nniendë
(ma si ‘u pierdë vivë) e ttë passa pë ‘nnandë”

Il vero male

“(Il vero male non è) provare dolore
(il vero male è) perdere l’amato
(se lo perdi morente) non è il vero male
(ma se lo perdi in vita) e ti incrocia ignorandoti”

 

C’è un artista in particolare con cui vi piacerebbe collaborare?

Credo che la questione collaborazioni sia una delle cose meglio riuscite di questo progetto. Prima di elaborare Malacarna in chiave dialettale, Vince mi aveva passato Sanacore (Almamegretta) da utilizzare come spunto per la stesura dei testi. Il caso ha voluto che Vince entrasse in contatto col manager di Raiz il frontman degli Almamegretta, da questo incontro è nata un’affinità artistica e stima reciproca che è sfociata in un suo featuring per il brano Oh Signorë.
Una vera e propria perla nel disco, Il timbro di Raiz dona al brano vibrazioni incredibili e la sua performance è indubbiamente da brividi. Con il suo enorme spessore artistico è riuscito ad immedesimarsi sia nel mio dialetto (Lucano) che nelle atmosfere tribal/noise, donando tridimensionalità a tutto il pezzo.
Il senso di gratitudine e di soddisfazione per la collaborazione di Raiz valgono davvero tutti i sacrifici fatti per questo EP. Le mie parole non sono comunque sufficienti ad esprimere quanta stima artistica provo per lui.
L’altro punto di svolta di Malacarna è l’incontro di Vince con l’artista Dorothy Bhawl, colui che ha ricreato La Malacarna in termini estetici, una donna dall’aspetto inquieto, che trasmette un senso continuo di timore, metallo prezioso e metallo povero, sgorgano a fiotti dai suoi polsi, mentre con fare stanco si lascia andare sul suo trono profano. Questo personaggio appare e scompare sotto forma di donna un po’ dappertutto nel disco, si fa carico del suo fardello di condannata dalle malelingue ad essere causa di espiazione e dolore. Ovviamente questo personaggio vuol essere solo un punto di partenza per un discorso molto più strutturato sulle credenze popolari. Dorothy Bhawl è senza dubbio il terzo membro della band, Vince si è limitato a fargli ascoltare i brani e lui ha fatto il resto riuscendo a rendere perfettamente visibili i temi del disco.
È incredibile come le sue opere sembrino scaturire esattamente dai miei testi. La copertina è di forte impatto, si tratta di una lingua su di un vassoio d’argento che sbava oro ma è trafitta da tre chiodi della crocifissione. Il potere evocativo di queste immagini riesce davvero ad imbrigliare, tutti i temi trattati nel disco.

Tre Domande a: Stefanelli

Se doveste scegliere una sola delle vostre canzoni per presentarvi a chi non vi conosce, quale sarebbe e perché?

La canzone che sceglierei sicuramente sarebbe CONTROCORRENTE. È un po’ il manifesto della poetica nonché dell’estetica di tutto il progetto. Credo che nel verso “La bassa qualità, lo specchio della mia onestà” si rifletta tutto quello che sono, la voglia e la ricerca di cose semplici che ci permettano di vivere con serenità nelle comunità di cui facciamo parte, Il ruolo sociale che abbiamo e la quotidianità da vivere sempre con stupore e mai con rassegnazione.

 

Quanto puntate sui social per far conoscere il vostro lavoro?

Mi verrebbe da dire che oggi puntare sui social è l’unica possibilità concreta che un’artista ha per farsi conoscere. Oggi con la situazione che stiamo vivendo tutti, non c’è più la possibilità di organizzare delle tournée e conquistare fette di pubblico live dopo live. Bisogna reinventarsi e i social credo che lo permettano. Quello che più fa la differenza oggi però sicuramente è il modo in cui vengano utilizzati.
Odio lo spam e la ricerca costante del colpo di scena. Mi auguro sempre di fare un percorso artistico onesto e coerente e quindi vorrei che lo siano anche tutte le cose che mi riguardano come i miei account social.

 

C’è un evento, un festival in particolare a cui vi piacerebbe partecipare?

Vorrei partecipare sicuramente a tanti eventi, ma soprattutto come pubblico. Ho il sogno di suonare allo Sziget da quando praticamente ho iniziato a suonare, ma oggi mi basterebbe poterci andare come pubblico.
Mi manca tantissimo suonare non vedo l’ora che questa cosa ritorni ad essere possibile.
In Italia ci sono tantissimi eventi organizzati da persone validissime. Penso al _reset! festival o al MI AMI, ma su tutti mi farebbe tantissimo piacere partecipare all’ YPSIGROCK.

Tre Domande a: Gintsugi

Come e quando è nato questo progetto?

Il progetto vero e proprio è nato durante il primo periodo della pandemia. Avevo iniziato a comporre nel 2019 e mi sono ritrovata a non poter lavorare da marzo 2020, e ad avere un’organizzazione del tempo molto diversa. A volte ho composto per due, tre giorni di seguito senza mai fermarmi, neanche per mangiare!
Nel frattempo un’idea anche concettuale era maturata, anche attraverso diverse ispirazioni, ovvero creare canzoni a partire da zone d’ombra e di vulnerabilità. C’è tanta esibizione di persone nel senso di maschere o ego nella nostra società e volevo scrivere qualcosa che non partisse da quella parte forte, costruita, ma da una zona vulnerabile, poco esposta, trattando anche di stati emotivi un po’ tabù, magari fonte di vergogna. Questo per me è abbastanza catartico nel momento in cui scrivo, ma poi esporlo è fonte di disagio, e mi interessa stare in quella zona poco confortevole perchè penso che lì si può trovare qualcosa di interessante.
Dal punto di vista musicale all’inizio componevo molto con ableton live, invece poi mi sono spostata sempre di più verso il pianoforte e la chitarra, per poi andare ad aggiungere degli elementi elettronici eventualmente in un secondo tempo. Il mio gusto è evoluto verso qualcosa di sempre più scarno ed acustico.

 

Ci sono degli artisti in particolare a cui vi ispirate per i vostri pezzi?

Per questi pezzi in particolare mi sono ispirata dal punto di vista letterario e musicale a Placebo, Nick Cave, PJ Harvey per la capacità di andare in fondo nel lato un po’ nascosto ed estremo dell’animo umano.
Dal punto di vista musicale sicuramente Kate Bush, c’è anche una mini-citazione a Billie Eilish, ed un’artista giovane, Broken Twin, che ha fatto uscire un album nel 2014, alcune delle canzoni sono incredibilmente toccanti e strutturate in modo perfetto. Questa zona tra la musica pop e la musica classica mi interessa in termini di composizione, anche perchè ho una formazione classica.

 

Cosa vorreste far arrivare a chi vi ascolta?

Vorrei entrare in comunicazione a partire da quella stessa zona di vulnerabilità che espongo, e che le persone possano essere toccate da un testo, da un suono o da una voce ad un livello sensoriale ed emotivo piuttosto che razionale. Credo che sia questa la potenza della musica, anche pop; non è solo il testo o la composizione o lo strumento a comunicare, ma è tutto l’insieme e non passa per una comprensione cerebrale, ma da corpo a corpo. E poi, anche se questo implica che io stia a disagio nel mostrarlo, far arrivare a delle persone che non importa quanto in alcuni momenti si sentano disperate, folli o sole, questi sono stati da cui passano la maggior parte degli esseri umani, a volte dietro la facciata che presentano al mondo.

Tre Domande a: Piqued Jacks

Se doveste riassumere la vostra musica in tre parole, quali scegliereste e perché?

Energia, sincerità, ambizione.
Energia. Viviamo (vivremmo, se potessimo) per il palco e per quello il live ci dà ogni volta. La nostra musica è fatta per essere suonata e condivisa davanti ad altre persone, per scambiare con loro – appunto – le nostre energie.
Sincerità. Atteggiarci per sembrare chi non siamo non fa per noi, siamo sempre stati genuini sia nel modo di essere ma anche di suonare. Crediamo che essere se stessi sia un punto di forza anziché qualcosa da mascherare, un po’ in controtendenza con la logica abbastanza diffusa dell’apparire e del prendersi forse troppo sul serio.
Ambizione. La nostra storia e il nostro percorso sono abbastanza esaustivi in questo senso; ad ogni disco ed ogni tour abbiamo sempre cercato di alzare l’asticella, confrontandoci con realtà sempre più importanti e internazionali. Sappiamo dove vogliamo arrivare e siamo consapevoli delle nostre qualità.

 

Cosa vorreste far arrivare a chi vi ascolta?

Tutto quello che abbiamo appena descritto, condividere in maniera molto naturale ogni aspetto del nostro mondo, trasmettere quello che la musica dà a noi senza nessun filtro di mezzo. Vorremmo instillare curiosità, aiutare le persone a capire che esiste un grande sottobosco di musica non mainstream con una sua bellezza e un fascino che ha bisogno di essere esplorato e portato alla luce. Ci piacerebbe che arrivasse il nostro messaggio di positività e resilienza, che ci permetta di connetterci con chi ci ascolta attraverso i testi e la nostra visione della vita.

 

C’è un artista in particolare con cui vi piacerebbe collaborare?

Domande del genere sono sempre pericolose perché danno sfogo ai nostri sogni più reconditi e alle idee di featuring più assurde, però stavolta mentre pensavamo ai vari Beck, Jack Black, Ozzy Osbourne, Toyah Willcox e Steve Lukather, avevamo la TV accesa ed è arrivata l’illuminazione. Vi diciamo Seth MacFarlane, il creatore dei Griffin. Da fan della serie, arrivare ad un livello tale da essere inseriti in un flashback politically (s)correct dei Griffin e magari poterci ridoppiare in inglese maccheronico, sarebbe un sogno che si avvera.

Tre Domande a: Riccardo Morandini

Cosa vorresti fare arrivare a chi ti ascolta?

A prescindere dal contenuto, spero che qualcuno possa riconoscersi nelle tematiche che tratto. Penso che potersi rispecchiare in un brano musicale (o in una qualsiasi opera d’arte, se vogliamo utilizzare questo termine) accresca le gioie e lenisca i dolori legati al sentimento o al pensiero che viene descritto. Si esce dall’isolamento e ci si sente più vicini all’altro. Già ottenere questo è un immenso privilegio. A livello di contenuto posso riassumerti i temi dei tre brani contenuti in questo EP (Eden, NdR): ossessione per la fuga all’estero, eterno ciclo di produzione/consumo in rapporto alla pandemia, maturità, disillusione e atomizzazione familiare. Direi che le tematiche dipendono molto dalle mie riflessioni del momento e spero che per chi ascolta possano costituire un punto di vista interessante.

 

Come è quando è nato questo progetto?

Ho iniziato a scrivere brani cantautorali poco più di un anno fa. Come chitarrista ho una lunga esperienza e finora mi ero concentrato prettamente sull’aspetto strumentale della musica, coltivando l’interesse per la lettura e la scrittura in parallelo.
Con questo progetto mi è sembrato di integrare le mie due inclinazioni, facendo si che si sostengano e si completino a vicenda.

 

Se dovessi riassumere la tua musica in tre parole, quali sceglieresti e perché?

Dialettica: sia nei testi che nelle musiche c’è un dialogo continuo tra il “basso” e l’”alto”, tra parole di registro più elevato e più popolare, tra materiali musicali “colti” e pop.

Mistica: i testi pur partendo da fatti contingenti aspirano sempre all’universale e un tema che ricorre spesso è il peso dell’individualità. Il senso del misticismo è cercare di spezzare le catene dell’individualità nella continua ricerca dell’assoluto, che lo si chiami Dio, Uno o Nirvana. Forse vi si nasconde anche una sorta di aspirazione alla morte, al nulla.

Barocca: dal punto di vista musicale mi piacciono le melodie, le armonie e gli arrangiamenti ricchi e d’effetto. Per quanto lo apprezzi in altri contesti, non sento mio il minimalismo.

Tre Domande a: Le Zampe di Zoe

Come state vivendo questi tempi così difficili per il mondo della musica?
La Pandemia ha tagliato le gambe a tutto il settore. Avremmo avuto veramente tanti concerti da Marzo scorso in avanti che sono saltati. Soprattutto uno, che sarebbe dovuto essere l’8 di Marzo 2020, ovvero il primo giorno di Lockdown. Avremmo dovuto suonare al Covo in apertura a La Municipal, che stimiamo e seguiamo sempre. Speriamo un giorno di poterla recuperare!
Non  ci siamo comunque persi d’animo e abbiamo impiegato il tempo in maniera alternativa: ci siamo messi a scrivere e, se non dovessimo selezionare, facendo bene i conti, oggi saremmo pronti per pubblicare altri 5 album! Scherzi a parte, abbiamo diversificato, quindi non abbiamo sprecato tempo. è un momento di pausa e come tale va trattato. Speriamo di poter tornare su un palco presto insieme ai nostri fidi destrieri Jay e Martino, ma, per ora, ci facciamo bastare il poco che i DPCM ci lasciano fare.

 

Come e quando è nato questo progetto?

Le Zampe di Zoe sono nate nel 2017 da due progetti solisti. Eravamo due ragazzi senza esperienza che si incontravano in una stanzina fiocamente illuminata e stavano ore e ore a suonare, registrare, cantare e ascoltare senza mai arrivare a un risultato. Ci siamo così decisi a farci aiutare. Siamo capitati al Turone Studio di Andrea Turone, che ci ha presi, ci ha spiegato tutti i passaggi da compiere, accompagnandoci fino al compimento della nostra demo Cinema Lumière, uscita il 3 Maggio 2019. Grazie a Cinema, siamo riusciti a farci ascoltare in più di 80 occasioni in due anni, esibendoci davanti ad un pubblico sempre diverso: dal bar di provincia allo Stupinigi Sonic Park. Ci siamo fatti un po’ di gavetta insomma: tanto busking e tanto studio. Casa è sicuramente un’opera più completa e matura, scritta da persone che sapevano quel che stavano facendo. L’unione delle forze con Trasporti Eccezionali, Antonello D’Urso, Franco Pezzoli, Daniela Galli, Cristiano Santini e tutti colo che hanno partecipato alla creazione dell’album è stata essenziale per il risultato stesso. Confidiamo molto nel nostro percorso e nell’esperienza che abbiamo accumulato. Oramai ci sentiamo pronti e speriamo che questo debutto venga considerato degno di essere ascoltato.

 

C’è un artista in particolare con cui vi piacerebbe collaborare?

In effetti si! Da tanto, troppo tempo stiamo seguendo la carriera e la poesia di Dario Brunori. Ne siamo affascinati per la semplicità, la chiarezza e la verità che riesce a trasmettere. Sarebbe un vero sogno poter scrivere una canzone a sei mani insieme a lui. Abbiamo avuto l’occasione di conoscere Matteo Zanobini, ma non c’è stata occasione di proporre niente, soprattutto perché siamo ancora ad una fase embrionale del progetto, perciò non troppo appetibili per un progetto come Brunori, però, chissà, un domani magari..