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Tag: sfera cubica

Tre Domande a: Diana Tejera

Come e quando è nato questo progetto? 

Questo progetto è nato durante il lockdown. Quell’assenza di pressione, quello spazio dilatato mi hanno portato a comporre dei brani diversi dal mio solito, forse più liberi… e proprio perché poco ragionati sono nati in lingue diverse: spagnolo, inglese e francese. È stato un progetto interessante per me, non sapevo neanche dove mi avrebbe portato – suonare tutto da sola, arrangiare e mixare è stato da una parte molto divertente e liberatorio dall’altra molto faticoso per la naturale mancanza di lucidità che si può avere dopo un po’ di tempo in cui si lavora senza un orecchio esterno. Comunque è un esperienza di cui vado fiera.

 

Ci sono degli artisti in particolare a cui ti ispiri per i tuoi pezzi?

Non ci sono degli artisti fissi a cui mi ispiro per i miei brani ma di sicuro ci sono delle influenze più o meno consapevoli che cambiano in base agli ascolti del momento. Di certo posso dire che nella scrittura dei brani in spagnolo ha contribuito la mia passione per Lhasa de Sela così come quella per Chavela Vargas e in qualche modo anche per Bebe. Nei brani scritti in inglese invece ci sento un po’ di tutto rispetto a quelli che sono stati i miei ascolti: da PJ Harvey, ai Beatles, da Björk alle più recenti Lana Del Rey e Billie Eilish.

 

C’è un artista in particolare con cui ti piacerebbe collaborare? 

Si, mi piacerebbe moltissimo collaborare con Joan as Police Woman, un’artista che amo molto per la sua capacità di sperimentare e di muoversi nei vari generi mantenendo una personalità molto chiara. Adoro il suo modo di comporre, le armonie spesso insolite e così emotive. In generale la sua produzione mi colpisce sempre, c’è una grande ricerca legata a un’eleganza e un’originalità inusuali.

Tre Domande a: Fantasmi dal Futuro

Come e quando è nato questo progetto?

Il progetto è nato nel 2018, quando assieme a Luca, dopo lo scioglimento dei Vaio Aspis decidemmo di dar vita ad un nuovo progetto. Dopo alcune prove, sentivamo che mancava decisamente qualcosa ed il supporto di un terzo componente, diventava sempre più necessario. Da chitarrista, ho sempre cercato di curare il suono e lo stile, ma inevitabilmente, si sentiva la mancanza in primis di un bassista ed a seguire, di una voce.
Arrivammo dunque, un pò per conoscenze del circuito underground vicentino ed un pò per istinto del buon Luca, ad incontrare il perfetto completamento del progetto, Davide, bassista dei Polar for the Masses.
Fin dalla prima prova assieme, eravamo in perfetta simbiosi e la creatività, venendo da esperienze ed ascolti diversi, ma senza particolari chiusure mentali, non mancava.
In breve, grazie a Davide che, oltre ad essere non un bassista, ma il bassista di cui avevamo bisogno, diventò la voce della band, riuscimmo a mettere assieme un bel pò di brani, fino ad arrivare in circa un annetto di lavoro, alla stesura del nostro primo album.
Nascono così, i Fantasmi dal Futuro, power trio eterogeneo che, dopo un’intuizione di Luca, mescola suoni tipicamente rock a sonorità più eteree, strizzando l’occhio alla contemporaneità: arriva così, il rock con l’autotune.

 

Progetti futuri?

Per prima cosa non vediamo l’ora di presentarvi il nostro primo album nella dimensione che più si addice ad un gruppo rock: quella live.
Poi non vi nascondiamo che nonostante i due anni di pandemia, artisticamente non ci siamo mai fermati continuando a lavorare a distanza ed abbiamo diverso materiale pronto nel cassetto, ma per il momento, ascoltate e supportate il nostro album d’esordio!

 

Se doveste scegliere una sola delle vostre canzoni per presentarvi a chi non vi conosce, quale sarebbe e perché?

Questa è una bella domanda, perché le canzoni sono indubbiamente più di una, ma se proprio dobbiamo sceglierne una, pensiamo che Non Torneremo Mai sia la più significativa.
Questo è stato il primo brano da noi composto, nato da una jam dalla quale Davide ha estrapolato delle parti da cui, successivamente, è praticamente nata la base per strutturare il brano.
Personalmente sono molto legato a quel brano, perché è praticamente la canzone che ha dato il via ai Fantasmi dal Futuro e la considero una svolta anche sul modo di lavorare all’intento di una band.

Tre Domande a: Dragoni

Ci sono degli artisti in particolare a cui vi ispirate per i vostri pezzi?

Quando ho scritto la maggior parte delle canzoni presenti nel disco ascoltavo molto Sufjan Stevens, Phoebe Bridgers e Big Thief. Sicuramente sono stato ispirato da loro, anche se poi nell’arrangiare i pezzi è venuto fuori qualcosa di differente.

 

Progetti futuri? 

Prima dell’estate vorremmo pubblicare una delle canzoni presenti nel disco, Propaganda, insieme a una serie di remix a cura di Lorenzo BITW e di alcuni producer che ruotano attorno all’etichetta Big Lakes Records. Dragoni è un progetto solista, ma credo che la musica migliore nasca da esperienze comunitarie e con una release più corale vorrei restituire questa esperienza di comunità.

 

Se doveste scegliere una sola delle vostre canzoni per presentarvi a chi non vi conosce, quale sarebbe e perché?

Incagli: c’è un synth anni Ottanta a un certo punto che mi dà soddisfazione.

Tre Domande a: mt/solo

Come e quando è nato questo progetto?

mt/solo è nato da una casa in disordine. La casa è la nostra sala prove, uno studio improvvisato nella campagna fuori Firenze, il luogo dove abbiamo iniziato a suonare, a scrivere canzoni e registrarle.
Il disordine è ciò che restava della nostra band precedente giunta al capolinea: strumenti, microfoni, amplificatori, ma anche fotografie, pagine scritte e hard disk con registrazioni e idee mai portate a termine.
Fare ordine ci ha fatto scoprire mt/solo, abbiamo raccolto quelle idee che non eravamo stati capaci di capire, le abbiamo trasformate e provate fino a che non ce le sentivamo bene addosso e ne abbiamo fatto delle canzoni.
mt/solo è stato una scoperta che abbiamo fatto sul finire del 2018, ma in realtà stava crescendo nel disordine da molto prima e aspettava che anche noi crescessimo per venir fuori.

 

Cosa vorreste far arrivare a chi vi ascolta?

Tutti i brani del disco in uscita sono pagine di una sorta di diario emotivo, dove le storie sono patchwork di esperienze vissute che si mischiano all’ambiente che le circonda.
Abbiamo raccontato queste storie di desideri, fallimenti, amori pericolosi e fugaci soddisfazioni come fossero delle favole.
Nascondendole in delle istantanee di personaggi e situazioni surreali, le abbiamo staccate dall’esperienza strettamente personale per farle diventare simbolo di quel particolare stato emotivo.
Non ci interessa la morale, ci interessa trasmettere la forza del sentimento per avere indietro una reazione ad di là del giusto, dello sbagliato e del socialmente accettabile.
Per vedere come va il mondo anziché dire come dovrebbe andare.

 

Come vi immaginate il vostro primo concerto live post-pandemia?

Abbiamo sempre pensato che mt/solo appartenesse più al palco che non allo studio, quindi questa domanda ci sta molto a cuore.
Ce lo immaginiamo emozionante come un nuovo inizio, adrenalinico e liberatorio al contempo. Onestamente non vediamo l’ora di recuperare questo aspetto della musica, di scambio vivo, organico, da bocca ad orecchio senza intermediari, anche di sbagliare se vuoi, ma mettersi in gioco in una situazione dove quello che succede esiste solamente in quel momento ed in quel tempo.
In ultimo di scoprire un pubblico nuovo da molto a digiuno di musica dal vivo, sicuramente più desideroso che mai di rendersi partecipe.    

Tre Domande a: Caron Dimonio

Come e quando è nato questo progetto?

Giuseppe: Alla fine del 2012 mi ero ritrovato con una decina di canzoni, preparate in “dimensione casalinga”: voce/testi, chitarra ed electribe Korg, niente software, avevo chiuso da più di un anno con il mio primo progetto musicale, mi serviva quindi un bassista per svilupparle, così ho chiesto a Filippo di aiutarmi. Ci eravamo conosciuti suonando in un gruppo nato in quel periodo, che però ebbe breve vita. Lorenzo è entrato come turnista alla batteria a inizi 2018, in tour si è intensificato il nostro rapporto, non solo personale, ma anche a livello artistico, così gli abbiamo proposto di entrare in pianta stabile nel progetto, che adesso quindi è un trio. Ci segue come produttore fin dagli inizi Gianluca Lo Presti.

Filippo: Sono stato coinvolto da Giuseppe nel 2013, suonavamo insieme in un’altra band. Lui aveva già pronti dei brani e gli serviva un bassista. Sono rimasto piacevolmente intrigato dall’idea di suonare in una band che unisce sonorità post punk ed elettronica con cantato in italiano. Da quel momento abbiamo stipulato questo matrimonio (o questa condanna direbbero alcuni ahaha) che è diventato a tre con il piacevole inserimento di Lorenzo, e macinato date e chilometri.

Lorenzo: Il mio viaggio con Caron Dimonio è iniziato in autostrada durante un tour nel 2018. In quella occasione ero semplicemente un accompagnatore. I miei amici mi proposero di fare qualche live assieme in futuro,allestendo una sezione ritmica non convenzionale che si aggiungesse a basso e chitarra nella parte di scaletta più rumorosa. Poco dopo siamo partiti per l’Inverno slovacco e al ritorno dal grande freddo facevo parte anche io del gruppo.

 

Se doveste riassumere la vostra musica in tre parole, quali scegliereste e perché?

Giuseppe: Drammatica, potente, eterea. Perchè lo è 🙂

Filippo: E come si fa a in tre parole? È complicatissimo, me ne vengono in mente almeno un decina. Direi che la nostra musica è ossessiva, come ogni rituale che si rispetti la preghiera deve entrare in testa. Cinematografica, se chiudo gli occhi la trovo estremamente evocativa. Crying on the dancefloor, ok non è una parola sola ma passatemi il temrine. È quella canzone che ti fa ballare perché danzereccia, però nello stesso tempo ha un che di stretta al cuore.

Lorenzo: FANTASMI – Durante i numerosi lockdown, anche se lo sospettavo da tempo, ho infine avuto la certezza che nel mio vecchio appartamento convivessero con me alcuni fantasmi. Presone atto, nel momento in cui stavo partendo con gli strumenti per la prima sessione di registrazione, appena prima di chiudere la porta di casa, li ho invitati a venire con me in studio. Mi hanno sussurrato ottimi consigli e spero potrai apprezzare il loro contributo, specialmente in alcune parti di synth.
MONTAGNE – Sempre durante un lockdown ho lasciato il mio appartamento a Bologna per trasferirmi in un piccolo paese dell’Appennino, popolato da poche anime. L’attenuarsi del perpetuo drone cittadino mi ha permesso di creare alcuni buoni paesaggi col sintetizzatore.
DISCOTECA – Pubblicando questo album il nostro sogno sarebbe farti piangere con qualche accordo melanconico di dolce euforia cupa, ma se riusciremo subito dopo a farti anche ballare con la lacrima non ancora asciugata sulla tua guancia, sarebbe proprio il top.

 

Quanto puntate sui social per far conoscere il vostro lavoro?

Giuseppe: Mi occupo io dei social, gli altri li guardano a malapena (e fanno bene 🙂 ). Li uso (credo) nella giusta misura, principalmente per promuovere nuove uscite, recensioni, interviste o date tour.

Filippo: Ultimamente più di prima. Per anni ho ignorato cose come le storie su Instagram, o altre dinamiche social, per manifesta incapacità informatica più che per spocchia. Col tempo mi sono reso conto che sono fondamentali per arrivare ad una quantità di pubblico maggiore, li trovo persino divertenti. Chissà che per me non sia l’inizio di una lunga carriera da boomer.

Lorenzo: Probabilmente i social puntano su di noi per tamponare l’emorragia di iscritti che si cancellano sempre più numerosi perché sempre più soli.

Balto “Forse È Giusto Così” (Pioggia Rossa Dischi/Schiuma Dischi, 2022)

Forse È Giusto Così è il primo album dei Balto, la band romagnola formata da Andrea Zanni, Manolo Liuzzi, Alberto Piccioni e Marco Villa.

Se, come me, appartieni alla fascia di età protagonista dell’album, le nove canzoni che lo compongono ti sembreranno raccontare la tua storia, l’incertezza e la paura del futuro che prova la nostra generazione e sono un invito ad accettare che non si può avere la vita completamente sotto controllo.

Il mondo è così frenetico, ci sentiamo in dovere di costruire il nostro futuro e non sempre sappiamo chi vogliamo diventare, quindi, ci scontriamo con il peso delle scelte successive ai nostri studi. Poi i primi anni di lavoro irrompono con le loro difficoltà e ci chiediamo quando scompariranno l’angoscia e il senso di inadeguatezza, sentimenti ai quali troviamo una risposta nella titletrack Forse È Giusto Così: si può avere paura del futuro e sentirsi in difetto perché le persone intorno a noi sembrano essere più produttive e performanti, ma non si può controllare ogni aspetto della propria vita. Ascoltando il brano, ci si sente autorizzati a calmarsi, perché nel resto del mondo ci sono persone che hanno compiuto, stanno compiendo o compiranno i nostri stessi passi e si può andare avanti.

E se ci si chiede che cosa accada quando si va avanti, interviene il primo singolo Quella Tua Voglia di Restare, che è una lettera dal futuro – più precisamente dal 2 aprile 2024 – scritta alla soglia dei trent’anni, alla fine del percorso emotivo contenuto nell’album. Il protagonista si rivolge al proprio padre e racconta che, nonostante il dolore provato per aver perso una persona cara, la vita è proseguita e ora ha trovato la sua stabilità emotiva. È come se i Balto volessero rassicurare se stessi e la generazione di cui parlano: la paura che proviamo oggi finirà e troveremo la tranquillità che cerchiamo.

Tornando al presente, I Tuoi 20 Anni è una confessione, un pugno allo stomaco per una generazione che vorrebbe spaccare il mondo, ma si sente fragile, confusa e cerca la propria identità vivendo continui sbalzi di umore. La canzone è un percorso di crescita perfettamente espresso nei tre diversi finali del ritornello: “E io con me stesso non ci so più stare / E io con me stesso non ci voglio parlare / E con me stesso adesso ci so stare”. 

Forse è giusto così è tutto questo, è un mix di sensazioni che speriamo di superare con l’avanzare dell’età e che forse ricorderemo con affetto e nostalgia, come accade oggi quando pensiamo all’adolescenza. Ma non pensate che l’album sia necessariamente triste: è confortante sentirsi in compagnia e lo proviamo con Le Giornate da Morire, in collaborazione con il gruppo rock bresciano Cara Calma. Il brano racconta le giornate malinconiche e noiose, nelle quali ci troviamo a riflettere sulla nostra vita e che si rivelano necessarie per scoprire noi stessi. Il mondo ci chiede di essere performanti e perseguire un preciso obiettivo e non avere tempo libero è diventato il nuovo status quo di cui vantarsi.
La canzone invita a non sottovalutare la noia e la tristezza e ad apprezzarle, perché sono necessarie per avere un dialogo con le nostre fragilità e per pensare alle giornate future trovando nuove ispirazioni. “Noi siamo il nostro tempo perso” è la frase del ritornello che riassume al meglio il significato di tutto il brano. La potenza della canzone sta nel suo essere condivisa con un’altra band, rafforzando l’idea che gli anni che stiamo vivendo siano un percorso collettivo e che sia inutile colpevolizzarsi. È bello sapere che ci siano più voci a dire “L’incertezza non è colpa mia”.

I nostri anni sono anche quelli degli amori, in cui non capiamo se siamo ancora troppo giovani o già abbastanza grandi per intraprendere una relazione “definitiva”, ma non sempre sappiamo se la vogliamo davvero. A entrare nel discorso è Niente di noi, un brano che racconta la fine di una storia d’amore, che è un’esperienza frequente tra i venti e i trent’anni. La canzone è un viaggio attraverso i momenti belli di una relazione e una volta giunti al termine del rapporto, bisogna accettare la nuova realtà e le scelte dell’altra persona, anche quando rimane un attaccamento affettivo. Lasciarsi non significa necessariamente cancellare, è giusto voler conservare il ricordo ed è un sentimento esplicitato nell’unica frase del ritornello: “E per non perderci niente di noi”.

Forse è giusto così è un album intimo in cui ci riconosciamo ed è un ottimo inizio per i Balto, che hanno voluto realizzare una vera e propria presentazione. Non resta che augurare loro buona fortuna, sperando che l’introspezione resti sempre un tratto caratteristico della loro musica.

 

Balto

Forse È Giusto Così

Pioggia Rossa Dischi / Schiuma Dischi

 

Marta Massardo

Tre Domande a: Marcello Capozzi

Come e quando è nato questo progetto?

Nel 2012 scrissi la musica del brano Offshore, che dà il titolo all’album. Il testo arrivò lentamente, credo tra il 2013 e il 2014. Una volta conclusa la composizione (e mentre venivano fuori altre idee in parallelo), compresi col tempo che il brano avrebbe rappresentato il fondamento filosofico di un nuovo progetto discografico: andava coordinato un intero album intorno a quella canzone. Nel frattempo, intravedevo l’orizzonte della migrazione e tanti stimoli andarono a mescolarsi: un certo desiderio di abbracciare ampie prospettive, uno sconfinato attraversamento del nostro tempo verso l’oltre, partendo da un contesto iniziale di miseria. Veder muovere simultaneamente macrocosmo e microcoscmo come in un unico gesto, essere dentro al tempo e fuori dal tempo. Londra divenne a quel punto centrale per mettere in scena il racconto di una storia legata a un unico personaggio in transizione nel Regno Unito, nel suo personale percorso verso l’universale.

 

Se dovessi scegliere una sola delle tue canzoni per presentarti a chi non ti conosce, quale sarebbe e perché?

L’album Offshore ha mediamente arrangiamenti molti ricchi e dettagliati. Ma a un certo punto accade che, dopo il percorso ascensionale sviluppato a partire dalla prima stagione, con il folk oscuro di Mors Tua si torna a muoversi ad altezza uomo. Il brano è il racconto del momento in cui il personaggio protagonista della storia si imbatte in circostanze legate al terrorismo internazionale: l’atmosfera da western urbano si addice al contesto in cui si narra del fatale incrocio di sguardi tra due uomini separati da un’arma da fuoco. La timbrica vocale è più carica rispetto ai brani precedenti del disco, a voler interpretare la maturazione del personaggio protagonista, in un percorso dilatato nel tempo. Essendo un brano arrangiato in maniera scarna intorno al mio temperamento espressivo (con molti meno elementi affastellati in stereofonia rispetto alla maggior parte degli altri brani dell’album), inevitabilmente finisce anche per rappresentarmi da vicino come interprete musicale.

 

Progetti futuri?

Smontare il set immaginario di Offshore, toglierlo da Londra e portarlo dalle parti del Nord Africa: “Certo le circostanze non sono favorevoli / E quando mai” (come cantavano i PGR). Anche questo, non sarà un progetto di facile realizzazione.

 

Tre Domande a: Andrea Cappi Multibox

Come e quando è nato questo progetto?

Questo è progetto è nato e cresciuto in tempi molto rapidi. Con le prime restrizioni legate all’aumento di contagio da Covid, nel Marzo 2020 mi sono ritrovato improvvisamente con tanto tempo libero. Ho cercato di gestire e organizzare al meglio le mie giornate concentrandomi sullo studio dello strumento, l’ascolto e la composizione. Ho voluto dare vita a un progetto che assimilasse l’esperienza e le intenzioni musicali del mio trio Flown, con cui ho inciso un disco omonimo nel 2018, e aggiungesse del nuovo materiale proveniente da mondi musicali diversi e strategie compositive per me inconsuete. Ho cercato di realizzare tutto in poco tempo così da “cavalcare l’onda” di quella particolare situazione in cui mi trovavo, anche per non disperdere le idee e far si che tutti i brani avessero una matrice e un metodo comune. Subito dopo è avvenuta la scelta dei musicisti, con i quali avevo già collaborato e collaboro tutt’ora in altri progetti.

 

Ci sono degli artisti in particolare a cui vi ispirate per i vostri pezzi?

Gli artisti che hanno influenzato la musica dell’album Eleven Tokens vengono da ambienti musicali diversi e sono frutto di ascolti assimilati negli anni. Alcuni di questi sono molto lontani musicalmente dal progetto Multibox ma hanno in qualche modo fornito elementi e spunti concettuali. È sempre difficile fare un elenco perché molte influenze sono implicite e frutto di assimilazioni durate anni, ma posso dire che, almeno negli ultimi tempi, ho ascoltato molto i seguenti artisti: Phronesis, Donny McCaslin, Now vs Now, David Binney, Craig Taborn, Kendrick Scott Oracle, Aaron Parks, Kneebody, Mark Guiliana, Pericopes (progetto di cui fa parte il nostro sassofonista Emiliano Vernizzi)… anche influenze dall’elettronica come Hudson Mohawke, Binkbeats, Flying Lotus, Apparat, Aphex Twin per fare qualche nome.

 

Progetti futuri?

L’obiettivo primario è quello di portare in giro il più possibile il nostro album d’esordio Eleven Tokens che uscirà per l’etichetta Emme Record Label a Gennaio 2022. Abbiamo in calendario alcuni concerti ad inizio anno all’interno di rassegne/festival nel nord Italia e speriamo di aggiungerne altri. Poi stiamo cercando di organizzare qualcosa anche all’estero, in ambito europeo, magari durante la prossima estate.
Sempre in estate ci piacerebbe registrare qualche concerto dal vivo ma dobbiamo ancora scegliere dove e in quali modalità.
Poi ci sono alcune idee in cantiere per il secondo album che speriamo di registrare a fine 2022.
La nostra speranza ovviamente è che tutti questi progetti risentano il meno possibile della pandemia.

 

Tre Domande a: Nevica

Come e quando è nato questo progetto?

Questo disco non era nei miei programmi assolutamente. Addirittura quando mio padre nel 2019 è venuto a mancare mi sono completamente bloccato per mesi. Non avevo voglia di suonare e pensavo a quanto tempo sarebbe passato prima di riuscire a ritrovare la serenità giusta. L’amico promoter Roberto Forlano mi aveva chiesto di fare Fragile una cover dei Nine Inch Nails per una compilation e stavo quasi per rinunciare.
All’improvviso una domenica di settembre ad un mese dal funerale avevo una giornata libera dove mi sono detto: “Vado a fare un giro o scrivo?” – Fu cosi che sono entrato nel mio studio e verso sera il pezzo era pronto, venuto fuori con una naturalezza incredibile.
In quel momento decisi che sarebbe stato importante trasformare il dolore che avevo in un disco dedicato a mio padre per ringraziarlo di tutto l’aiuto datomi nella musica.
A differenza di molti genitori che ostacolano i figli io sono stato fortunato perchè lui mi ha sempre incoraggiato a sviluppare il mio talento.
Così è nato QuaNti di getto in pochissimo tempo.
Per ispirarmi ho utilizzato alcuni vecchi nastri dove registrava la sua voce e raccontava di storie di vita quotidiana tra cui anche delle favole quando ero bambino. Soprattutto mi ero sbloccato di getto e mi chiedevo come la musica potesse essere così potente da riuscire a dare tanta forza, coraggio e fiducia nel futuro.
Penso sia grazie a questa forza che sono riuscito a terminare quest’opera.

 

Cosa vorresti fare arrivare a chi ti ascolta?

Da sempre mi chiedo che significato abbia per me scrivere canzoni. Da una parte c’è un senso di sfogo in cui metti in musica tutte le tue frustrazioni e le tue sconfitte che inevitabilmente si incontrano nel corso della vita. Quindi scrivere rappresenta una forma di psicoterapia per liberare delle energie che se rimangono dentro possono fare male (ad es. il dolore per la morte di una persona cara). Questo è un punto di vista introspettivo e anche un po’ “egocentrico” diciamo, ma ci sta è a fin di bene.
D’altro canto credo fermamente che ognuno di noi nasce con una missione precisa in questo mondo e che spesso noi artisti siamo come delle antenne di una radio puntate sull’universo che captano dei segnali che traduciamo in musica e canzoni senza merito alcuno. È solo il compito che ci ha assegnato qualcuno e noi possiamo solo obbedire.
Fatta questa premessa credo che chi ascolta sia libero di vederci quello che vuole in una mia canzone. Posso anche avere un intento e cercare di trasmettere un messaggio ma il pubblico vive e fa sua ogni singola nota in base ai propri vissuti ed emozioni. A volte mi raccontano che un mio brano ha rievocato loro delle sensazioni cui io non avevo pensato quando ho scritto il pezzo e che è stato fondamentale in un certo momento della loro vita.
Tutto ciò per me è straordinario. Ma non posso pensare che sia merito mio io ho solo manifetsato qualcosa che da qualche parte esiste già.
Concludendo, se posso avere ogni tanto una piccola possibilità di scelta cioè di decidere cosa vorrei che arrivasse alla gente che ascolta le mie canzoni, risponderei consapevolezza, desiderio di conoscersi meglio, migliorare il proprio rapporto col mondo e “crescere” spiritualmente.
Infatti non parlo mai di politica o di attualità nei miei pezzi cè sempre molta introspezione e spiritualità una dimensione purtroppo molto poco presente oggi.

 

Progetti futuri?

Ho già in mente di scrivere un disco nuovo. QuaNti è servito a chiudere un ciclo ‘la trilogia dell’anima”, a mettere un punto fermo sul passato.
Ho voglia di pensare al futuro e mettermi alle spalle definitivamente questi ultimi due anni che pandemia a parte, sono  stati per me molto difficili. Amo produrre dischi di altri artisti per cui mi dedicherò molto anche a questo che fondamentalmente è il mio lavoro, ma spero di poter fare anche tanti concerti nel 2022.
Abbiamo tutti bisogno di ripartire e di continuare a credere che il nostro compito di essere musicisti sia importante per l’umanità intera.

 

Tre Domande a: Roberta Giallo

Se dovessi riassumere la tua musica in tre parole, quali sceglieresti e perché?

La mia musica è ispirata, istintiva, onesta. Gli aggettivi cambiano in base ai giorni,  ma questi tre sono una specie di costante.
Scrivo quando “mi arrivano” le note e le parole, seguendo il vortice; ho una specie di settimo-senso che mi guida e mi suggerisce che strade percorrere, anche nel buio.
Mi metto al piano, abbasso la luce, mi metto in ascolto e le canzoni nascono fluide.
E poi sì, sono onesta, soprattutto quando scrivo e canto.
La mia voce “si sa”, e sapendosi non può e non vuole tradirsi o mentire.
Devo sentire tutto “appartenermi”, devo crederci: mettere al mondo la musica che sento di poter rappresentare, incarnare la sola storia che posso cucirmi addosso, difendere pure l’indifendibile, combattere pure l’imbattibile, ma crederci!
Sentire fino al midollo ciò che canto, suono, musico, interpreto.
Trarre il meglio, il necessario delle mille parole dette e sentite, piangere per piangere davvero, amare e basta, gioire per ridere forte dentro, fino ad avere quasi male al cuore.

C’è un artista in particolare con cui ti piacerebbe collaborare?

In un certo senso la cosa si è già avverata ma non aggiungo altro, se non il nome e qualche aggettivo a precederlo… una mosca bianchissima: lo straordinario, talentuoso, luminoso, insuperabile, chitarrista e produttore, Corrado Rustici.

 

Progetti futuri?

Parlo solo del “certo e confermato”, e metto le virgolette perché di questi tempi, tocca essere prudenti… Ma con gioia e fiducia quasi infinita nei confronti dell’avvenire, vi segnalo un godibile e coinvolgente spettacolo scritto insieme al giornalista e critico musicale Ernesto Assante, con cui debutteremo a gennaio a Montecarlo, al Thêatre Des Variétés, Il Mio Incontro con Lucio Dalla (poi naturalmente, anche in Italia, e lì vi aspettiamo al varco).Vi segnalo inoltre che tornerò sul grande schermo come protagonista e voce narrante del nuovo film che racconta i 25 anni del MEI – Meeting degli Indipendenti, con i super registi Marco Melluso e Diego Schiavo, che tra l’altro mi hanno tenuta a battesimo sul grande schermo col pluripremiato film Il Conte Magico.
Inoltre ritorneremo live con il giornalista e scrittore Federico Rampini, con le nuove date dello spettacolo Morirete Cinesi, di cui ho curato tutta colonna sonora.
Last but not least: presentare live, ovunque sia il luogo giusto, il mio nuovo album Canzoni Da Museo.
Certamente farò la mia prima tappa al Museo della Musica di Bologna, e non solo… seguitemi sulle mie pagine web (FB, IG, Telegram), se desiderate essere aggiornati, perché ne combino di tutti i colori: per esempio il 9 dicembre sarò al teatro Ponchielli di Cremona per omaggiare Mina con l’Orchestra della Filarmonica Italiana, poi l’11/12 dicembre a Bologna, al Laboratorio San Filippo Neri, ospite, comme d’habitude alla giornate tutte dedicate all’errore, poi a Marzo sarò a Roma, con L’Orchestra Sinfonica dell’Aquila, diretta dal Maestro Valentino Corvino per interpretare i Beatles in un altro amatissimo spettacolo, di e con Federico Rampini… basta, mi taccio, altrimenti si fa notte!

Tre Domande a: The Tangram

Cosa vorreste far arrivare a chi vi ascolta?
Fondamentalmente quello che facciamo è provare a trasmettere quel momento d’ispirazione che avviene o accade nella fase di creazione artistica; quella sensazione è comprensibilmente variabile, ci sono canzoni che descrivono momenti differenti, quello che possiamo augurarci e che chi ci ascolta possa cogliere quelle sfumature ed empatizzare su ogni livello la nostra musica. Quando qualcuno viene a dirti “Quella canzone mi ricorda un evento della mia vita”, o quando viene detto “Quel brano l’avete scritto per me”, oppure “Quel pezzo mi smuove un qualcosa dentro” … ecco, ha un’importanza fondamentale per noi, ciò che facciamo è finalizzato alla condivisione, ed anche se partisse da uno sfogo o dalla voglia di raccontare esperienze personali e non, crediamo che le cose siano collegate e che gli altri possano comunque entrare in contatto con quel tipo di sensazioni, e sopratutto che possano provare la cosa più importante di tutte… l’autenticità e la sincerità.
Come vi immaginate il vostro primo concerto live post-pandemia?
Quest’estate è stata ricca di appuntamenti; anche se è stato gratificante respirare quegli attimi di libertà, provare ad immaginare un qualcosa dove non ci sia più quel tipo di preoccupazione generale sarebbe un sogno, ci auguriamo presto di poter rivivere i live accompagnati da quei momenti di totale abbandono.
Quanto puntate sui social per far conoscere il vostro lavoro?
Il discorso social per noi è molto dicotomico… seppur comprendendo l’effettiva utilità e potenzialità c’è una parte di noi che riesce a dare un senso alla cosa, e un’altra invece che è restia all’eccessivo utilizzo, sopratutto per una propria “scelta”, dettata principalmente dallo spavento d’essere intrappolati in “abitudini virtuali”, che a nostra veduta potrebbero minare la creazione di contesti e movimenti vitali per la condivisione artistica e sociale. In ogni caso proviamo ad utilizzare i social in maniera mirata e ad essere coerenti sempre con la nostra visione.

Tre Domande a: Carsico

Come e quando è nato questo progetto?

È nato circa tre anni fa quando iniziammo a mettere mano all’arrangiamento di Itaca, brano che aveva una forza, almeno in potenza, che dovevamo riuscire a veicolare al meglio. Conclusa Itaca il resto dei brani arrivò nel giro di pochi mesi; si era innescato un processo virtuoso, sapevamo avremmo prodotto un buon disco. S’innescò, quindi, in Manuel Volpe ed in me, il desiderio di tentare di rendere omaggio ai modelli musicali di riferimento di entrambi cesellando i testi nel modo più accurato possibile, parola per parola, verso per verso.

 

C’è un artista particolare con cui ti piacerebbe collaborare?

Si, si chiama Susan O’Neill, una polistrumentista e cantante irlandese dall’espressività vocale poderosa, magnetica. Il folk-pop anglo irlandese, da Damien Rice e Lisa Hannigan, Beth Oton, John Smith, Mick Flannery, è uno dei modelli musicali, melodici, armonici e vocali che ha senza dubbio influenzato le atmosfere di alcuni brani del disco.

 

Come ti immagini il tuo primo concerto post-pandemia?

Me lo immagino ogni giorno, perchè sta per arrivare, sarà il 27 Novembre, giorno della presentazione del disco, e voglio che sia un’esperienza totalmente gratificante per chi verrà ad ascoltarci. La band sarà composta da alcuni dei musicisti già presenti nelle sessioni di registrazione del disco e da componenti nuovi, giovani virtuosi con alle spalle grandi palchi e collaborazioni prestigiose tra Italia, Francia e Svizzera.