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Tag: sfera cubica

Tre Domande a: Giuseppe Brogna

Come e quando è nato questo progetto?

Le canzoni di Vivere Piano nascono tra la fine del 2020 e il 2021 e sono frutto di una personale ed inevitabile riflessione sui tempi “apocalittici” che stiamo vivendo. Nella scrittura e nella scelta dei quattro brani che compongono l’EP ho voluto dare risalto al concetto di tempo e all’importanza di una visione più leggera e più attenta agli aspetti emozionali. Da qui il titolo che è anche una dichiarazione di intenti: vivere piano, per non lasciarsi travolgere dalla velocità, dalla pressione e dalla materialità che ci circondano. Tutto l’EP ruota intorno a questa idea che è stata tradotta poi nel lavoro in studio insieme a Nicola Bavaro, che ha curato la produzione e gli arrangiamenti, e nelle chitarre suonate da Gianni Masci e Matteo Di Biase. Anche i due videoclip unplugged, realizzati da Visual Lab – della title track Vivere Piano e di Per chi si annoia – vanno in questa direzione dandole, spero, ancora più forza, perché trasmettono un messaggio più intimo e diretto che completa la visione che ho voluto dare, insieme ad Emic Entertainment, a tutto il progetto.

 

Se dovessi scegliere una sola delle tue canzoni per presentarti a chi non ti conosce, quale sarebbe e perché?

In questo momento sceglierei proprio Vivere Piano perché sia nel testo, sia nella musica mi rappresenta al meglio. Trovo che sia la canzone più vicina alla mia idea di musica e a quello che voglio trasmettere con parole e note. A mio avviso è il frutto più maturo, ad oggi, del mio percorso artistico, quindi credo che sia il modo migliore per presentarmi a chi non mi conosce. 

 

Qual è la cosa che ami di più del fare musica?

Del fare musica da sempre mi affascina il processo compositivo e produttivo: scrivere e comporre canzoni è realmente un esercizio di altissima concentrazione e meditazione che mi gratifica tanto. Amo molto di più il processo del risultato finale, mi piace l’idea di poter fare canzoni. Quando scrivo parlo sicuramente a chi mi ascolterà, ma in primis parlo a me stesso e questo mi permette di mettere ordine tra i pensieri. Non ti nascondo che ovviamente amo anche essere ascoltato, sarebbe ipocrita dire il contrario, ma è un aspetto che ha più a che fare con una sana vanità che è diretta conseguenza dello scrivere musica, fa parte del gioco. Scrivere canzoni è un piacere che viene sicuramente prima di ogni cosa. In definitiva amo più la causa dell’effetto. 

Tre Domande a: FANALI

Come e quando è nato questo progetto?

La prima incarnazione di FANALI risale a cinque anni fa; Allora FANALI era un duo composto da Michele e Jonathan che suonavano già assieme da tempo (EPO, unòrsominòre); facevamo una musica decisamente più ostica ed improvvisata, avevamo individuato nel progetto la possibilità di dare sfogo anche a quella esigenza che magari trovava meno spazio nella forma canzone di altri progetti in comune.
In quella modalità abbiamo suonato una manciata di impro set e sonorizzato dal vivo per qualche performance di cinema sperimentale.
Quando è arrivata Caterina (Tropico, Sulaventrebianco, E’ Zezi, PMS) abbiamo cominciato a guardare al discorso sulla musica per immagini da più angolazioni.
Dalle prime jam è stata più chiara la direzione che si può ascoltare ad ora nelle nostre cose; un suono a volte più dilatato e mellow, altre volte rumoroso e destabilizzante.

 

Progetti futuri? 

Strettamente nell’immediato: promuovere questo disco.
Shidoro Modoro esce il 7 ottobre, è rimasto imprigionato nelle maglie della pandemia per due anni ed ora è qui per farsi ascoltare, anticipato da DOVE, singolo in collaborazione con Pietro Santangelo (Nu Genea, PS5, Slivovitz), che esce il 9 settembre.
Più in avanti: continuare a lavorare alla nostra musica, proporla quanto più possibile dal vivo ed in contesti adeguati, ma soprattutto continuare con la nostra grande passione: la musica per immagini.
Abbiamo ideato FANALI come “colonna sonora di un film che non esiste”, chissà che questo film (o serie tv) adesso invece non esista davvero e non ci stia aspettando.
Con Sabrina, l’artista visuale che cura l’output visivo di FANALI, siamo inoltre alla continua ricerca di nuove idee per far convivere arti visive e suono.

 

Qual è la cosa che amate di più del fare musica?

Indubitabilmente “l’interplay” che è un concetto abbastanza difficile da riassumere; le possibilità di dialogo tra musicisti con una certa affinità sono incalcolabili, come incredibile è il livello di connessione che si ricrea facendo musica assieme.
Amiamo passare ore in sala ad improvvisare, a trovare nuove soluzioni, a scolpire il suono. Amiamo riascoltare le jam per trovarne gli spunti giusti per un brano nuovo. Amiamo lavorare in studio, che è sempre un momento anche creativo e di scambio, oltre che meramente esecutivo.
Veniamo da esperienze diverse – chi dalla classica chi dalla musica pesante, chi da quella più sperimentale – ma nel suono di FANALI riesco a sentire sia le nostre individuali personalità che una coerenza di fondo nonostante l’eterogeneità delle atmosfere.

Samuele Bersani @ Sogliano Sonica

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• Samuele Bersani •

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S O G L I A N O  S O N I C A

Piazza Matteotti (Sogliano al Rubicone) // 7 Agosto 2022

 

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Willie Peyote @ Sogliano Sonica

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• Willie Peyote •

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S O G L I A N O  S O N I C A

Piazza Matteotti (Sogliano al Rubicone) // 6 Agosto 2022

 

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Tre Domande a: Rough Enough

Ci sono degli artisti in particolare a cui vi ispirate per i vostri pezzi?

Ci sono tantissimi artisti a cui ci ispiriamo, più o meno direttamente. Diciamo che per questo disco l’influenza principale è stata tutta nella corrente dell’alternative rock anni ’90 e inizio anni 2000, in particolare a band come Queens of the Stone Age e Shellac. Fabiano apprezza moltissimo Jack White, io invece mi sono molto ispirato in particolare a Dave Grohl per lo stile della batteria del disco, anche se poi ha fatto molto il lavoro in fase di produzione di Franz Valente, batterista de Il teatro degli orrori, altra band che adoriamo e il cui ascolto ci ha molto ispirato in tutti questi anni.

 

Cosa vorreste far arrivare a chi vi ascolta?

Principalmente il messaggio testuale delle canzoni e dell’ultimo disco, l’idea che viviamo in un periodo storico in cui il culto della perfezione e della competitività sociale smette di essere credibile e che ogni persona combatte con sé stessa e non deve sentirsi inferiore agli altri solo perché non raggiunge gli stessi obiettivi o lo fa con più tempo. Siamo esseri imperfetti e dobbiamo accettarlo, cercando di mostrarci fragili per quello che siamo in realtà.

 

C’è un artista in particolare con cui vi piacerebbe collaborare?

Beh, se parliamo di featuring musicali la scelta è ampissima. In questo disco abbiamo già collaborato con nomi importanti del panorama musicale italiano come Franz Valente e Ufo de The Zen Circus. Penso che ci piacerebbe continuare su questa scia e collaborare con qualche artista che stimiamo e seguiamo da tanto tempo, come ad esempio i Verdena. Più realisticamente ci piacerebbe davvero tanto un giorno lavorare a un disco la cui produzione sia affidata a Steve Albini; stimiamo molto il suo lavoro e pensiamo sarebbe la persona perfetta per far emergere al meglio la nostra musica.

Tre Domande a: KIHM

Come stai vivendo questi tempi così difficili per il mondo della musica?

Beh, partirei con il sottolineare che i tempi difficili per il mondo della musica si son delineati prima della pandemia.
Penso che, specialmente in Italia, sia stata sempre più penalizzata col passare del tempo, la musica non per forza mainstream e poi, da quando Sanremo è diventato un “Concertone Indie” con qualche innesto della vecchia musica leggera, non c’è stato quasi più spazio per tutto quel che esiste ed è reale al di fuori di tali categorie. Il Covid c’ha poi messo il carico finale: tutti quei musicisti, sconosciuti ai più e che non vivevano di notorietà e di numeri “pompati” ma che sopravvivevano grazie ai live nei club, teatri, locali ecc… o son spariti o sono dei reduci come me.
Io, come tanti altri, ho cercato di sfruttare i periodi di chiusura scrivendo nuova musica, studiando, provando a crearmi numerosi appigli inerenti all’arte in generale. Ad esempio, ho scritto un album di colonne sonore con Paolo Vivaldi, uno dei più noti compositori di colonne sonore per film in Italia (Non essere Cattivo di Claudio Caligari), disco finito sul catalogo APM di Los Angeles. Ho aperto uno studio di registrazione e produzioni musicali, il KRH Studio a Taurianova, dove attualmente vivo. Ho intrapreso gli studi in Conservatorio a Reggio Calabria, insomma, non son rimasto fermo ad aspettare. Di sicuro tutto ciò, da un certo punto di vista, mi ha salvato.
A noi, ai cosiddetti musicisti di nicchia, non rimane che creare, suonare, proporci, ma ahimè il nostro destino musicale non dipende dalla qualità e dalla mole di lavoro che ci sta dietro. Dipende probabilmente dai numeri. La musica oggi è numeri.
Detto ciò e lasciando da parte i grandi “volumi” (numeri), per fortuna è pieno di musica interessante che ovviamente va scovata, io sono uno di quelli che la cerca e che spesso la trova.

 

Come e quando è nato questo progetto?

KIHM è ufficialmente nato nel 2021, ma è figlio del mio precedente progetto KIM REE HEENA (2016).
Vengo dalla musica rock alternativa e ho pubblicato il primo disco da solista nel 2009 (Alessio CaliviForme e stati), seguito da un altro  nel 2015 (Alessio CaliviSirene, vetri, urla e paperelle).
Nel 2016 ho iniziato a sperimentare con la sintesi e la musica elettronica, che iniziai a studiare nel 2010. KIHM, arriva dopo 12 anni di attività musicale. Ho scritto le mie prime canzoni a 13/14 anni, quasi 23 anni fa, assieme ai ragazzi delle band che frequentavo in quel periodo.
KIHM deriva da un omaggio a Kim Gordon dei Sonic Youth, è il resoconto di tutto il mio background musicale, quello degli ultimi vent’anni. 

 

C’è un artista in particolare con cui ti piacerebbe collaborare?

Posso dire che l’artista con cui ho sempre sognato di collaborare (in Italia) o magari semplicemente voluto conoscere, è stato il Maestro Franco Battiato.
Nutro una passione sconfinata per i Bluvertigo e i Subsonica, ecco dovessi scegliere, sceglierei loro.
Ci sono altri musicisti nel panorama internazionale con cui mi piacerebbe collaborare un giorno, ad esempio Mogwai, Blonde Redhead, Moderat. Credo che il mio modo di sviluppare i brani (struttura, dinamica, armonizzazioni), forse anche un po’ il tipo di sound (tipologia di suoni utilizzati), sia abbastanza vicino al loro. Tornando all’Italia un’altra band con cui suonerei volentieri sono i Planet Funk. Dipende anche dal contesto musicale nel quale si intende collaborare, io non faccio solo elettronica, mi piace sfruttare determinati strumenti per ottenere i suoni che voglio, chiaramente questi ne determinano anche un po’ il genere. Partendo da quest’ultimo punto di vista direi che Giulio “Ragno” Favero è proprio il musicista, ingegnere del suono con cui miscelerei mille suoni.

Tre Domande a: D.In.Ge.Cc.O.

Ci sono degli artisti in particolare a cui ti ispiri per i tuoi pezzi?

Premetto che sono stato sempre un melomane e che ho sempre ascoltato attentamente tutto ciò che poteva suscitare, in me, delle emozioni. Quindi ho ascoltato e amato di tutto, dalla musica classica al trash metal, senza fare distinzioni tra cosiddetta musica colta e popolare.
Posso dirvi che l’interesse e la passione per la musica elettronica, che poi è il linguaggio musicale con il quale mi esprimo, sono nati da bambino. Negli anni ’80 la new wave imperava. Alphaville, Depeche Mode, Duran Duran per citare i più famosi. Ma vi citerei anche i Visage, i Freur e i Pet Shop Boys, i Sigue Sigue Sputnik. Come non citare poi Jean Michelle Jarre, i Kraftwerk, Vangelis, gli Art of Noise e i nostri italianissimi Goblin, volendo rimanere sul genere “musica elettonica”, per intenderci.
Posso dire che l’amore per la disco music e per il funky, è nato ancora prima, quando davvero ero piccolissimo, così come anche quello per la musica sudamericana che tanto fa parte di questo ultimo disco. Alcune musicalità sono rimaste a livello inconscio da quell’epoca, magari perché ascoltate alla radio quando ancora ero in culla. I Bee Gees, Donna Summer, poi riscoperti anche più tardi negli anni. Per non parlare poi di tutte le sigle dei cartoni animati, soprattutto quelle dei cosiddetti “robottoni”. Pensate alla bellezza di un pezzo come Shooting Star, sigla di chiusura di Ufo Robot Goldrake, un pezzo electro funky straordinario. Poi sono arrivati gli anni dell’house e della techno. Prima ancora ho amato i primi dischi della R&S Records, un’etichetta belga (quella col cavallino tipo Ferrari, per intenderci) che ha fatto storia. E poi l’esplosione della house music. Tra tutti Frankie Knuckles, Masters at Work, David Morales, Todd Terry.
Ho però capito che la musica elettronica sarebbe stata la mia strada, con la nascita della cosiddetta Intelligent Dance Music. Chemical Brothers, Daft Punk, e poi tutto il gruppone della Warp Records: Plaid, Aphex Twin, Boards of Canada.
Ho amato Björk e i Primal Scream di Screamadelica con il geniale Andrew Weatherall.
Tra gli autori di musica elettronica più recenti mi piace molto il francese Rone così come Jon Hopkins, Floating Points e Flying Lotus. Mi piace molto anche Anna Meredith. Se poi parliamo di indie adoro gli Arcade Fire e gli MGMT. Beh, insomma, tante citazioni e tanti sono gli artisti che mi hanno influenzato, tra i nomi che vi ho citato. Poi, però, bisogna anche fare i conti con tanto altro. Dalla classica al Jazz al Pop. Da David Bowie a Brian Wilson, dai Beatles a J.S.Bach, sino a Franco Battiato, ma sforiamo in un mare magnum fatto di monumenti della storia della musica che, inevitabilmente, hanno influenzato tutto quello che è venuto durante e dopo.
Per quanto riguarda, in modo specifico, questo ultimo lavoro, Bacanadera, vi posso citare però alcuni nomi in particolare, relativi alla musica sudamericana e non solo.
Primi tra tutti Chico Buarque e gli MPB4, ma anche il primo Ennio Morricone così come Carmencita Lara, una leggenda in Sud America, è stata una cantante peruviana di huaynos, marineras, polka e valzer.
Mi pare che l’elenco degli artisti a cui mi ispiro possa bastare! In fondo se ascoltate attentamente Bacanadera, un pizzico di un po’ tutti ce lo trovate dentro. Ma credo che in ogni creazione di qualsiasi musicista, ci sia un po’ della musica che è stata in grado di provocargli emozioni, anche solo per una volta nella vita.

    
Se dovessi riassumere la tua musica in tre parole, quali scegliereste e perché?

Evocativa: perché credo che la musica debba essere capace di trasportarti altrove, di farti volare con l’immaginazione ed i suoni. Di evocare stati d’animo ma anche atmosfere e luoghi, magari lontani.
Emozionante: perché faccio musica per emozionarmi ed emozionare. È il mezzo con il quale cerco di mettere a nudo alcune mie sensazioni ed emozioni ed il mio mondo interiore. Se un brano musicale non è in grado di suscitare emozioni, qualunque esse siano, allegria, malinconia, rabbia, stupore, beatitudine interiore, allora significa che  non ha seguito la sua vocazione principale. Poi molto dipende anche dal livello della sensibilità dell’ascoltatore.
Futuribile: quando faccio musica cerco sempre d’incamminarmi in dei sentieri scoscesi, poco battuti o mai battuti prima, pur di cercare soluzioni innovative, nuove vie, aldilà delle mode e delle tendenze del momento. Certamente facendo tesoro della grande fonte d’ispirazione che è la musica del passato e contemporanea, ma sempre cercando una mia modalità di espressione, guardando molto al futuro. 


Cosa vorresti far arrivare a chi ti ascolta?

Viviamo in un’epoca che non ci lascia mai il tempo per dedicarci a noi stesi. Siamo presi dalle mille cose da fare, da una routine alienante, dall’interpretare al meglio i ruoli sociali che siamo costretti a recitare ogni giorno, cambiando maschera in base all’occorrenza.
Sono stato sempre convinto che la musica è uno strumento che è in grado di collegarci con il lato spirituale dell’esistenza. Lo è sempre stato sin dalla notte dei tempi.
Quindi, in chiave moderna, contemporanea, vorrei, con la mia musica, tentare di svegliare le coscienze dal torpore, trasportarle in un mondo magico, fatto magari di ritmi tribali e suoni futuribili, un mondo onirico ricco di spiritualità, di ritualità e di ancestrali evocazioni. Vorrei che la mia musica risvegliasse il lato spirituale dell’ascoltatore, che fosse uno stimolo magico per indurlo alla ricerca di nuovi stati di coscienza, guardando dentro se stesso innanzitutto, vorrei che facesse da tramite tra tutto ciò che è visibile e tutto ciò che è invisibile. 

Tre Domande a: Pitch3s

Come e quando è nato questo progetto?

Pitch3s nasce concretamente nell’Agosto 2020 dal nostro primo incontro, il quale inizialmente aveva uno scopo didattico (essendo due batteristi che seguivano con interesse l’uno il lavoro dell’altro, ci incontrammo per studiare). Una volta in studio, alla fine, non toccammo neanche una bacchetta, chiacchierammo e ascoltammo tanta musica, scoprendo di avere in comune l’amore per alcuni artisti tra cui Thom Yorke, Apparat, Battles, il primo James Blake. Decidemmo di buttare giù qualche idea e dopo otto mesi ci ritrovammo con due brani finiti e sei bozze aperte. 

 

Cosa vorreste far arrivare a chi vi ascolta?

Ci piacerebbe che l’ascoltatore che si imbatte o che cerca i Pitch3s possa provare le stesse emozioni che viviamo quando scriviamo qualcosa o quando riascoltiamo ciò che avevamo da dire. Che si immedesimi con ogni centimetro della mente e del corpo, e se ciò non dovesse accadere, semplicemente che trovi piacere nell’ascoltare la nostra musica, che la trovi anche esteticamente interessante, accattivante, travolgente. 

 

Se doveste scegliere una sola delle vostre canzoni per presentarvi a chi non vi conosce, quale sarebbe e perché? 

Probabilmente Agafia, perché rappresenta appieno da un lato il nostro modo di prendere un argomento che ci ha particolarmente colpito direttamente o indirettamente, di metabolizzarlo, trasformandolo in suoni e parole che ci rimandano ad esso; dall’altro, il punto d’incontro ideale del nostro gusto musicale condiviso, il prodotto degli ascolti e delle esperienze che ci accomuna, una sorta di manifesta della nostra idea di fusione tra elettronica e pop.

Tre Domande a: Bia Rama

Se doveste riassumere la vostra musica in tre parole, quali scegliereste e perché?

La prima parola che scegliamo è “incontro” perché è quello che è successo alla nascita del nostro progetto, è quello che succede ogni volta che suoniamo assieme ed è quello che succederà sempre in futuro. È una parola che può avere più significati, anche per questo è stata la prima che abbiamo scelto e quelli che più ci identificano ne sono due. Il primo e il “ritrovarsi”, cioè stare assieme, essere presenti tra persone che si percepiscono e che si sentono. Questa è una conditio sine qua non per portare avanti un progetto come il nostro, proprio perché riusciamo a trovare idee e spunti necessari alla nostra musica sopratutto dalle nostre diversità, dovute alle differenti esperienze che ognuno di noi vive, dai differenti stati emotivi che ognuno di noi prova e dai diversi studi e interessi musicali che ognuno sta portando avanti in quel momento. L’altro significato è come sostantivo, quello che viene spesso usato nelle competizioni sportive. Come un incontro di boxe, il nostro è stato un incontro musicale forte perché si è risolto spesso dopo momenti di difficile conciliazione. Tutti e tre ci siamo battuti, ognuno con una personale idea sonora, per portare avanti il proprio pensiero riguardo un arrangiamento, o delle soluzioni musicali, per la scelta di alcuni suoni o altro, sempre riguardo la musica. Poi, contrariamente a come si potrebbe pensare, la cosa divertente sta nel fatto che riusciamo sempre ad uscircene con una musica dove sono forti tutte e tre le diverse identità e idee musicali.
La seconda parola è “riscatto”. Questa motivazione può essere anche letta con una leggera flessione egoista, perché in un certo senso può riguardare la riscossa o l’emancipazione personale da qualcosa, nel nostro caso dal panorama musicale a cui apparteniamo. Comunque, sebbene valutiamo l’egoismo come un sano atteggiamento che ognuno di noi, nei giusti modi e nelle giuste quantità, dovrebbe avere, in questo caso il riscatto riguarda sopratutto il riscatto da noi stessi. Siamo convinti di avere tra le mani delle idee musicali interessanti e di poter realizzare, in potenza, qualcosa a cui teniamo tanto. Non perché siamo narcisisti e stravediamo per la nostra musica, come quasi tutti di rado siamo contenti delle nostre performance musicali. Faccio riferimento a fatto che siamo veramente appassionati a quello che facciamo, della musica che proviamo a realizzare, sopratutto perché nasce da un bisogno naturale che abbiamo e che si realizza realmente solo quando otteniamo un risultato musicale, che noi per primi dobbiamo ritenere all’altezza. Proviamo a riscattarci prima di tutto da noi stessi e dall’idea che abbiamo di noi.
La terza parola ve la regaliamo, perché in realtà già la prima ne vale due! Comunque questa è “complesso”, inteso come aggettivo. Riguarda la nostra musica ed è quello da cui, per certi versi, la maggior parte delle volte proviamo a scappare. Spesso ci hanno detto che la nostra musica è complessa. Da musicisti, e da ascoltatori, sappiamo che al mondo esistono migliaia di musiche terribilmente semplici che hanno però una forza inaudita. Può sembrare strano ma spesso è a quel tipo di musica, a quei ritornelli o a quel semplice giro di accordi, ciò a cui ci ispiriamo. La nostra è un eterna lotta per provare a rendere semplice cioè che per noi è complesso, mediante un intenso lavoro di arrangiamento e di ricerca sonora, oppure provando a rendere più naturale e musicale possibile una progressione ritmica. Siamo consci che la strada è ancora lontana ma ci stiamo provando!

 

Cosa vorreste far arrivare a chi vi ascolta?

L’idea del progetto nasce per trovare un posto, un luogo, qualcosa in cui ci si può esprimere senza compromessi, senza condizionamenti. Quello che vorremmo far arrivare al pubblico che ci ascolta è proprio questo. L’obiettivo che ci poniamo è quello di ricercare un qualcosa di autentico, che ci appartiene e speriamo arrivi al pubblico… vorremmo che la gente si emozioni, pianga, o rida con noi, e magari balli anche!

 

Se doveste scegliere una sola delle vostre canzoni per presentarvi a chi non vi conosce, quale sarebbe e perché?

Se dovessimo scegliere, Tightrope Walker sarebbe il nostro biglietto da visita.
Questo brano rappresenta un po’ il nostro “primo amore”. È, infatti, il primo inedito che abbiamo realizzato e segna il nostro incontro, la fusione e l’equilibrio tra noi tre,come identità artistiche,che vogliono emergere attraverso la ricerca di un sound che si muove tra influenze jazz, neo-soul, sonorità acustiche ed elettroniche.
È un brano che ci rende orgogliosi e ci emoziona ogni volta. Noi lo definiamo “un viaggio”: un viaggio di voci che si sovrappongono a variazioni ritmiche che evolvono, attraverso momenti, che arrivano ad un crescendo, musicale ed emozionale.
Tightrope Walker è la nostra anima che prende forma e non potrebbe che essere, a nostro parere, la scelta migliore da proporre a chi non sa di noi, con lo scopo di poter coinvolgere l’ascoltatore in questo mix elettrizzante e sognante.

Tre Domande a: Riccardo Morandini

Cosa vorresti far arrivare a chi ti ascolta?

Il filo conduttore di questo disco è “ciò che alleggerisce il peso dell’Io”. Senza atteggiamenti profetici da decalogo, è una umile condivisione di pensieri e sono felice se qualcuno può trovarvi uno stimolo o anche solo apprezzare la forma e le immagini con cui vengono comunicati. Tra l’altro il primo a cui suggerisco gli espedienti anti-egoistici contenuti nel disco sono io stesso.
Per quanto riguarda la parte musicale, vorrei che chi ascolta si sentisse pienamente calato nelle atmosfere che ho cercato di descrivere nei brani, siano esse ipnotiche, tribali, eteree o marziali. Immagino me e l’ascoltatore come due vasi comunicanti e la musica come quel liquido onirico fatto di impressioni, sensazioni, suggestioni, che li mette in collegamento.

 

Se dovessi riassumere la tua musica in tre parole, quali sceglieresti e perché?

Densa: tendo a scrivere degli arrangiamenti molto fitti e amo i brani in cui ci sono mille dettagli da notare, che possono sorprenderti ancora dopo molti ascolti. Mi piacciono le progressioni di accordi e le melodie articolate. Il tutto cercando di sfuggire ai pericoli dell’eccesso e dell’involuzione.
Eclettica: nella mia musica si trovano molteplici ispirazioni anche molto distanti tra loro: ritmi samba, bordoni psichedelici, chitarre col fuzz schiettamente rock, contrappunti classicheggianti, armonie jazz, poliritmie afro-cubane…
Sognante: le tematiche sono spesso astratte e lontane dalla realtà concreta. A volte i testi sono un susseguirsi di immagini in un flusso di coscienza. Apprezzo molto le atmosfere oniriche che fanno viaggiare l’immaginazione. 

 

Quanto puntati sui social per far conoscere il tuo lavoro?

Sui social faccio il minimo indispensabile. Mi piace molto curare l’estetica del mio profilo ma la continua auto-promozione ed esposizione non fa per me. Me ne dispiaccio perché aiuterebbe ad avere più audience e più riconoscimento, ma vorrà dire che mi accontenterò di una crescita più lenta e di un pubblico più limitato. Piuttosto preferisco promuovermi con l’attività live: mi sento più a mio agio su un palco che a fare delle storie su Instagram.

Tre Domande a: Lomii

Come vi immaginate il vostro primo concerto live post pandemia?

Il primo concerto post-pandemia lo stiamo preparando, sarà il 7 maggio al teatro Petrella di Longiano. Un posto magico del nostro territorio Romagnolo, è stato casa del primo nostro concerto all’interno di un teatro nel 2019.
Immaginarlo è difficile, al momento ci sembra ancora un sogno! Dopo uno stop forzato così lungo, utilizzato per la produzione e registrazione del nostro primo album We Are an Island, provare a pensare di salire su un palco, in quell’atmosfera soprattutto, è qualcosa di lontano, ma allo stesso tempo di emozionante, pauroso ma con una virgola di conforto come a ricordarci che siamo ancora qua, che c’è speranza per la ripartenza della musica e di tutto il settore dello spettacolo. Crediamo che ci sia bisogno di stare insieme, di aggregarsi di nuovo, di tornare “in mezzo ai vivi”.

 

Cosa vorreste far arrivare a chi vi ascolta?

Il progetto Lomii che curiamo e coltiviamo da cinque anni, fino ad ora è stata la storia delle nostre rispettive crescite personali, individuali e condivise. Il folk è per noi il linguaggio migliore per raccontare delle storie, dove i protagonisti possiamo essere noi, come potrebbe essere chiunque altro. Canzoni che parlano all’altro, appunto, ma che spesso si può confondere con un parlare a se stessi. Con i nostri testi e la nostra musica abbiamo sempre cercato di parlare di esperienze reali, di legami, di rottura e di riparazione, di confusione e di risoluzione, di separazione e ricongiunzione, provando però a creare un paesaggio che sia condiviso e condivisibile da tutti, non qualcosa di lontano e poco fruibile. In fondo, sicuramente su vari piani, la felicità, la tristezza, l’amore, la depressione, la paura, il coraggio, sono tutte emozioni che nel corso della vita proveremo o abbiamo già provato. Perchè non raccontarsele?

 

C’è un evento, un festival in particolare a cui vi piacerebbe partecipare?

Sicuramente una visita allo Sziget per un set sul palco Europeo non sarebbe male. Oppure un’apertura nel main stage del Glastonbury Festival.
Nel nostro cuore però c’è il Coachella… chi non vorrebbe suonare al Coachella?

Tre Domande a: HLFMN

Come e quando è nato questo progetto?

Dopo aver suonato o cantato in alcune band locali ho iniziato il mio cosiddetto progetto solista nel 2014 perché stavo cercando un modo per concretizzare la mia visione e le mie idee nel modo più personale e autentico possibile: amo mescolare strumenti antichi e sonorità di varie culture intorno al mondo con le nuove tendenze della musica elettronica odierna; mi sono sempre interessato di musica tradizionale, indigena oppure sacra e ho cercato un modo per integrarla nel mio processo creativo… così con HLFMN mi diverto a guardare in due direzioni apparentemente opposte: il passato ancestrale e sacro dell’antica saggezza e la spinta festosa, divertente e progressista della musica elettronica moderna. Penso che questa filosofia (se così la vogliamo chiamare) rappresenti anche me come persona…

 

Cosa vorreste far arrivare a chi ti ascolta?

Quello che vorrei avvenisse nell’ascoltatore è un viaggio attraverso il tempo; mi piace l’idea che la mia musica possa risvegliare “memorie ataviche” (magari registrate nel nostro codice genetico) di un tempo in cui il rituale sacro era parte integrante della vita quotidiana, e la musica ne era complemento essenziale.

 

Se dovessi scegliere una sola delle tue canzoni per presentarti a chi non ti conosce, quale sarebbe e perché?

Sceglierei Hades, la terza traccia del mio nuovo album, perché incarna perfettamente le mie influenze artistiche principali: ci sono intermezzi ritualeggianti con canti sacri e percussioni antiche da una parte, e beat elettronici con bassi enormi dall’altra.