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Tre Domande a: The 24 Project

Come e quando è nato questo progetto?

Dopo anni in cui ho suonato come tastierista/pianista in numerosi gruppi avevo la necessità di intraprendere un mio percorso personale in cui potermi esprimere musicalmente al 100%. Già da anni producevo musica strumentale ma solamente nel 2019, con la pubblicazione del mio primo EP Dreamer, nasce The 24 Project.

 

Ci sono degli artisti in particolare a cui ti ispiri per i tuoi pezzi?

Due artisti che per me sono dei veri pilastri del genere sono Bonobo e Four Tet, fanno entrambi parte della scena della musica elettronica internazionale. Un altro artista che fa parte di quest’ambiente a cui mi ispiro molto è Jon Hopkins. Tuttavia avendo suonato per molto tempo in diverse cover band ho comunque influenze musicali che provengono da molti generi.

 

Progetti futuri?

In questo periodo sto producendo nuova musica che spero di poter farvi ascoltare molto presto, inoltre sto lavorando per portare il mio progetto anche in situazioni live, spero già nella stagione invernale. 

Tre Domande a: Houston

Se dovessi riassumere la tua musica in tre parole, quali sceglieresti e perché?

Sicuramente energia, perché è esattamente quello che provo mentre la compongo. Ogni volta che ascolto anche solo un mio provino non riesco a stare fermo. Sono contento perché anche le persone che lavorano al mio fianco vivono così la mia musica. Con PRY PRY per esempio, a me e Marco Ravelli, il mio produttore, bastava far partire anche solo la prima strofa per volare dalle sedie in studio, questa gag la facciamo tutt’ora ogni volta che parte quel pezzo. La stessa cosa succede con il mio nuovo singolo Dirty, ricordo me e Tommy Kuti ballare per ore intere sul drop, ci piaceva talmente tanto che abbiamo deciso di portarla live ancora prima che uscisse!
Direi anche leggerezza perché sempre Dirty non è un pezzo che ha bisogno di chissà che spiegazione a riguardo, è proprio quel senso di spensieratezza e spontaneità che lo rende incredibilmente reale.
La terza parola è groove, componente che non manca mai all’interno dei miei brani e che fa da collante tra tutti i generi che la mia musica attraversa.

 

Quanto punti sui social per far conoscere il tuo lavoro?

I social per me sono fondamentali. Ad oggi, nel 2022, sono la nostra miglior vetrina e forniscono moltissimi mezzi di comunicazione, soprattutto per noi artisti emergenti.
Per esempio, il mio nuovo singolo Dirty nasce da uno scambio di messaggi con Tommy Kuti. Ci siamo sentiti su Instagram, l’ho invitato nel mio studio qui a Milano e il brano è nato in pochissimo tempo, giusto il tempo di due birre!
A parte gli scherzi, quella sera nell’aria si sentiva profumo di hit-hot internazionale, entrambi sapevamo che insieme saremmo stati la combo perfetta tra R&B e Afrobeat. Con Dirty infatti ho toccato più da vicino il mondo Afrobeat e ho anche trovato un fratello.

 

C’è un artista in particolare con cui ti piacerebbe collaborare?

Ci sono moltissimi artisti super forti con cui vorrei collaborare, forse per primo direi Thasupreme. Oltre a piacermi molto il suo stile e la sua voce, sono curiosissimo di vedere come lavora in studio e penso potrebbe nascere qualcosa di unico visto che apparteniamo a due mondi musicali diversi ma al contempo molto simili. R&B e Trap, un mix che può funzionare, come ha funzionato sul mio penultimo singolo PRY PRY che ha esattamente questo tipo di sonorità.
Mai dire mai, a presto!

Tre Domande a: Life Like Low

Come e quando è nato questo progetto?

Il progetto Life Like Low nasce qualche anno fa, nel 2017, da un’idea di Jacopo Rossi: fare un disco usando solo chitarre, drum machines e sintetizzatori. Alla ricerca di un cantante, dopo svariati tentativi, si lega a Fabrizio Peccerillo alla voce. Il progetto prende quindi forma e anche nome, partendo da una citazione di Ry Cooder nel brano Can I Smoke in Here?, dove il cantautore scrive la frase “Life is like a low budget movie”. Dopo vari taglia e cuci e una stesura non definitiva dei brani, il duo si affida al produttore Mattia Tavani per dare la svolta. Le influenze nel progetto Life Like Low, sono tante e tutte diverse, dal trip hop di Bristol, all’hip-hop stile Gorillaz, al cantautorato italiano e americano, da Elliot Smith a Sufjian Stevens, passando per Niccolò Fabi.
La scelta di fare un disco in italiano, con influenze musicali prettamente anglo americane, senza cadere nella copia o nell’appropriazione culturale, è ciò che noi pensiamo sia la nostra carta vincente.

 

Cosa vorreste far arrivare a chi vi ascolta?

Ci piacerebbe tanto che al nostro pubblico arrivasse la ricerca della profondità espressiva, nel suo ossimoro della leggerezza pop, sia nei testi che nella musica. Insomma, che arrivi e non voli via, ma rimanga e sia da stimolo, o almeno sia un vero momento di condivisione emotiva, personale e collettiva. 

 

Se doveste scegliere una sola delle vostre canzoni per presentarvi a chi non vi conosce, quale sarebbe e perché?

Sarebbe sicuramente Messico e Cenere, che è stato anche il nostro primo singolo.
La canzone esprime perfettamente la nostra idea di brano: una tessitura di incastri tra batteria analogica e drum machines, chitarra dalla melodia semplice ma ricercata e sovrapposizioni di vari sintetizzatori e loop atti a non interrompere mai il movimento del pezzo.
La sua leggerezza poetica, il climax e l’arrangiamento articolato crediamo ci rappresentino fino in fondo.

Tre Domande a: Giacomo Riggi

Come e quando è nato questo progetto?

Direi che dopo qualche tempo che non facevo uscire qualcosa di veramente nuovo mi è tornata la voglia di mettere insieme alcuni brani per un nuovo disco, come il semplice desiderio di tornare in studio per condividere la mia musica con amici musicisti e raccogliere quindi una serie di composizioni che mi stavano a cuore. In particolare canzoni in questo caso, dove la grande novità sta nel fatto di essermi “esposto” con canzoni in lingua italiana per la prima volta. Alcuni di questi brani, come Desperate Call, Climb Your Ladder e Delicate Speranze sono nati durante un periodo su una nave da crociera, ho voluto mettermi alla prova, cercando di scrivere un brano al giorno per 24 giorni in tutte le tonalità, da questa sfida sono nate alcune composizioni delle quali sono molto soddisfatto. Una volta tornato in Italia ho appunto deciso di raccogliere queste idee e di farne un disco.

 

Cosa vorresti far arrivare a chi ti ascolta?

Questa è una domanda interessante! Vorrei arrivasse la verità prima di tutto, la verità nel senso che per quanto mi riguarda so benissimo che tutto quello che scrivo è si pensato ovviamente ma è soprattutto il risultato di ciò che sono e di quello che ho dentro. Mi piacerebbe tanto quindi che si percepisse la sincerità con la quale scrivo e mi metto in gioco. Ognuno sentirà cose diverse e questo è anche il bello della musica, 11Windows è un disco fatto di tante cose diverse, questo probabilmente metterà in crisi qualcuno durante l’ascolto, e da un lato questo mi piace. Mi piace che alla fine qualcuno dica: “Ma chi è lui? Dove lo colloco?” Non mi pongo più l’obiettivo di trovare una mia identità, la mia identità sono diverse identità.

 

Progetti futuri?

I progetti futuri sono tanti in realtà, sicuramente terminare di scrivere la mia terza operetta orchestrale per ragazzi sperando di portarla in scena presto, portare in giro 11Windows per farlo conoscere a quante più persone possibili, continuare a studiare a mantenere attive le mie attuali collaborazioni musicali e prendermi cura dell’Agriturismo di famiglia, un luogo meraviglioso nelle campagne Toscane che vorrei fosse scenario di eventi ancora più di adesso.

Tre Domande a: Lo Straniero

Come state vivendo questi tempi così difficili per il mondo della musica?

I tempi sembrano più complessi rispetto a quando abbiamo iniziato, offerta satura e a tratti impazzita. Con il circuito live probabilmente cambiato a tutti i livelli, sicuramente nel nostro molti club hanno chiuso e nuove realtà stanno emergendo. La pandemia ha sparigliato le carte, conosciamo in parte gli esiti su questo settore.
Come per la maggior parte delle persone anche per noi è stato difficile, ma questo momento ci ha offerto stimoli. Abbiamo vissuto per settimane chiusi in casa tutti e cinque a suonare e scrivere. Ci sono stati slanci e ostacoli, di sicuro la creatività ne ha giovato e abbiamo prodotto materiale per più di un album e a un giorno dall’uscita di Falli a pezzi! siamo subito partiti con un tour di dieci date.

 

Come vi immaginate il vostro primo concerto live post-pandemia? 

In realtà abbiamo già fatto due concerti dopo lo stop, proprio qualche giorno fa. Il 2 Luglio al Portami Via Festival insieme a Massimo Zamboni e al Cane a Genova. Oltre alla goduria che abbiamo provato nel tornare sul palco, il pubblico finalmente senza restrizioni è stato davvero partecipativo. Abbiamo chiuso i live con un brano in mezzo alla gente, un incontro sorprendente, vibrazioni bellissime e a fine concerto tutti entusiasti… speriamo che questo tour estivo sia solo l’inizio…

 

Se doveste scegliere una sola delle vostre canzoni per presentarvi a chi non vi conosce, quale sarebbe e perché?

Sceglieremmo Sotto le palme di Algeri, un brano del nostro primo album. Col tempo è diventato un nostro manifesto. Ha un’attitudine in cui ci riconosciamo ancora, musicalmente è un ibrido ma che ci definisce, una piccola guida per viaggiatori a zonzo fra luoghi reali e immaginari. Un giorno sarebbe bello poterla incidere di nuovo, magari rivisitandola.

Tre Domande a: Rough Enough

Ci sono degli artisti in particolare a cui vi ispirate per i vostri pezzi?

Ci sono tantissimi artisti a cui ci ispiriamo, più o meno direttamente. Diciamo che per questo disco l’influenza principale è stata tutta nella corrente dell’alternative rock anni ’90 e inizio anni 2000, in particolare a band come Queens of the Stone Age e Shellac. Fabiano apprezza moltissimo Jack White, io invece mi sono molto ispirato in particolare a Dave Grohl per lo stile della batteria del disco, anche se poi ha fatto molto il lavoro in fase di produzione di Franz Valente, batterista de Il teatro degli orrori, altra band che adoriamo e il cui ascolto ci ha molto ispirato in tutti questi anni.

 

Cosa vorreste far arrivare a chi vi ascolta?

Principalmente il messaggio testuale delle canzoni e dell’ultimo disco, l’idea che viviamo in un periodo storico in cui il culto della perfezione e della competitività sociale smette di essere credibile e che ogni persona combatte con sé stessa e non deve sentirsi inferiore agli altri solo perché non raggiunge gli stessi obiettivi o lo fa con più tempo. Siamo esseri imperfetti e dobbiamo accettarlo, cercando di mostrarci fragili per quello che siamo in realtà.

 

C’è un artista in particolare con cui vi piacerebbe collaborare?

Beh, se parliamo di featuring musicali la scelta è ampissima. In questo disco abbiamo già collaborato con nomi importanti del panorama musicale italiano come Franz Valente e Ufo de The Zen Circus. Penso che ci piacerebbe continuare su questa scia e collaborare con qualche artista che stimiamo e seguiamo da tanto tempo, come ad esempio i Verdena. Più realisticamente ci piacerebbe davvero tanto un giorno lavorare a un disco la cui produzione sia affidata a Steve Albini; stimiamo molto il suo lavoro e pensiamo sarebbe la persona perfetta per far emergere al meglio la nostra musica.

Tre Domande a: KIHM

Come stai vivendo questi tempi così difficili per il mondo della musica?

Beh, partirei con il sottolineare che i tempi difficili per il mondo della musica si son delineati prima della pandemia.
Penso che, specialmente in Italia, sia stata sempre più penalizzata col passare del tempo, la musica non per forza mainstream e poi, da quando Sanremo è diventato un “Concertone Indie” con qualche innesto della vecchia musica leggera, non c’è stato quasi più spazio per tutto quel che esiste ed è reale al di fuori di tali categorie. Il Covid c’ha poi messo il carico finale: tutti quei musicisti, sconosciuti ai più e che non vivevano di notorietà e di numeri “pompati” ma che sopravvivevano grazie ai live nei club, teatri, locali ecc… o son spariti o sono dei reduci come me.
Io, come tanti altri, ho cercato di sfruttare i periodi di chiusura scrivendo nuova musica, studiando, provando a crearmi numerosi appigli inerenti all’arte in generale. Ad esempio, ho scritto un album di colonne sonore con Paolo Vivaldi, uno dei più noti compositori di colonne sonore per film in Italia (Non essere Cattivo di Claudio Caligari), disco finito sul catalogo APM di Los Angeles. Ho aperto uno studio di registrazione e produzioni musicali, il KRH Studio a Taurianova, dove attualmente vivo. Ho intrapreso gli studi in Conservatorio a Reggio Calabria, insomma, non son rimasto fermo ad aspettare. Di sicuro tutto ciò, da un certo punto di vista, mi ha salvato.
A noi, ai cosiddetti musicisti di nicchia, non rimane che creare, suonare, proporci, ma ahimè il nostro destino musicale non dipende dalla qualità e dalla mole di lavoro che ci sta dietro. Dipende probabilmente dai numeri. La musica oggi è numeri.
Detto ciò e lasciando da parte i grandi “volumi” (numeri), per fortuna è pieno di musica interessante che ovviamente va scovata, io sono uno di quelli che la cerca e che spesso la trova.

 

Come e quando è nato questo progetto?

KIHM è ufficialmente nato nel 2021, ma è figlio del mio precedente progetto KIM REE HEENA (2016).
Vengo dalla musica rock alternativa e ho pubblicato il primo disco da solista nel 2009 (Alessio CaliviForme e stati), seguito da un altro  nel 2015 (Alessio CaliviSirene, vetri, urla e paperelle).
Nel 2016 ho iniziato a sperimentare con la sintesi e la musica elettronica, che iniziai a studiare nel 2010. KIHM, arriva dopo 12 anni di attività musicale. Ho scritto le mie prime canzoni a 13/14 anni, quasi 23 anni fa, assieme ai ragazzi delle band che frequentavo in quel periodo.
KIHM deriva da un omaggio a Kim Gordon dei Sonic Youth, è il resoconto di tutto il mio background musicale, quello degli ultimi vent’anni. 

 

C’è un artista in particolare con cui ti piacerebbe collaborare?

Posso dire che l’artista con cui ho sempre sognato di collaborare (in Italia) o magari semplicemente voluto conoscere, è stato il Maestro Franco Battiato.
Nutro una passione sconfinata per i Bluvertigo e i Subsonica, ecco dovessi scegliere, sceglierei loro.
Ci sono altri musicisti nel panorama internazionale con cui mi piacerebbe collaborare un giorno, ad esempio Mogwai, Blonde Redhead, Moderat. Credo che il mio modo di sviluppare i brani (struttura, dinamica, armonizzazioni), forse anche un po’ il tipo di sound (tipologia di suoni utilizzati), sia abbastanza vicino al loro. Tornando all’Italia un’altra band con cui suonerei volentieri sono i Planet Funk. Dipende anche dal contesto musicale nel quale si intende collaborare, io non faccio solo elettronica, mi piace sfruttare determinati strumenti per ottenere i suoni che voglio, chiaramente questi ne determinano anche un po’ il genere. Partendo da quest’ultimo punto di vista direi che Giulio “Ragno” Favero è proprio il musicista, ingegnere del suono con cui miscelerei mille suoni.

Tre Domande a: Secondomé

Come e quando è nato questo progetto?

Il mio primo album, MALE DAVVERO, è nato come sfogo personale dopo la fine di una relazione tossica, piena di negatività e nella quale non eravamo in grado di vedere le cose come stavano davvero. Dopo tutto quello che è successo, mi sono sentito malissimo per mesi e tutt’ora accuso il colpo, sentendomi da un lato un forte senso di colpa, dall’altro un infinito ed incolmabile vuoto.

 

Se dovessi riassumere la tua musica in tre parole, quali sceglieresti e perché?

Energica – Malinconica – Consapevole.
Non sono le tre parole a fare la differenza per me, ma i gap tra una parola e l’altra. L’energia potenziale che si trasforma e ti urta non appena succede qualcosa che non ti aspetti. Nel mio album, MALE DAVVERO, ho cercato di essere davvero me stesso, con tutta la mia imprevedibilità.

 

Se dovessi scegliere una sola delle tue canzoni per presentarti a chi non ti conosce, quale sarebbe e perché?

Le canzoni sono come la luce delle stelle: il momento in cui le ascolti arriva molto dopo il momento in cui sono state generate. Come canzone identificativa del mio progetto per il pubblico, sicuramente un’ottima proposta sarebbe Mantieni le Distanze, ma come canzone identificativa per me, al momento vi direi Long Island.

Tre Domande a: Cassio

Come e quando è nato questo progetto?

Finito il primo lockdown, in cui trascorrevo le mie giornate a giocare a pallone in giardino e a pensare, ho ripreso in mano tutto.
Venivo da anni di letargo musicale, dove il solo passare davanti alla chitarra appoggiata in un angolo del mio studio in casa, era per me deleterio. Non la volevo guardare né toccare.
Da quando s’è sciolta la mia band – La Maison – nel 2016, non ho più scritto né desiderato niente, apparte essere invisibile e silenzioso.
Dopo il primo pezzo scritto per gioco, il resto del disco è scivolato giù in un attimo, come quando dopo una cena in rosticceria cinese ti gonfi di spaghetti di soia e sake e poi corri al bagno a svuotarti e in un attimo è tutto finito.
Comunque il disco è finito e sono contento.
Bella per me.

 

Se dovessi riassumere la tua musica in tre parole, quali sceglieresti e perché?

Probabilmente sceglierei pioggia, fegato e dolore, e lo farei solo per dire il contrario di sole cuore amore.
Mi piace andare contro alle cose, quasi a prescindere… vedere come reagiscono le persone agli stimoli avversi ti dà la misura del tipo di persona che hai davanti.
Comunque non era completamente una cazzata quella storia del fegato…

 

Cosa vorresti far arrivare a chi ti ascolta?

Io non sono un tipo da messaggi sociali impegnati… o perlomeno non ancora.
La musica di Cassio, la mia musica, racconta la storia e i pensieri di Cassio, di me, senza lieto fine, senza morale.
Non ho addosso niente in più di voi e non sono di certo il tipo giusto a dare lezioni di vita alle persone… anche perché altrimenti sarebbe un disastro!
Secondo me il messaggio dietro alla musica lo deve trovare chi l’ascolta, a seconda del momento di vita in cui l’ascolta.
Se il senso che le persone ci trovano è lo stesso che mi ha mosso a scrivere, avrò fatto un buon lavoro, ma se ce ne trovano un’altro a me va bene uguale.