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Tre Domande a: Fosco17

Come e quando è nato questo progetto?

10 Anni, il mio nuovo brano, è il primo estratto del mio secondo disco, che a dirla tutta è il terzo. A fine 2020 avevo terminato la produzione del mio secondo lavoro discografico, si sarebbe dovuto chiamare La Musica Italiana ed era un lavoro di ricerca temporale sulle influenze che l’Italia aveva assorbito dalla bossa nova, contaminato dal cantautore e dalla musica elettronica e inquinato dalla mia penna. Per motivi principalmente legati alla pandemia, tuttavia, questo disco non ha mai visto la luce e alla fine del 2022 ne avevo scritto un altro. Il racconto che avevo involontariamente deciso di fare, questa volta, era un’altra ricerca, nello spazio e non nel tempo però. Una ricerca di fantasia. Ho deciso dunque di riprendere e riarrangiare alcuni brani ancora inediti del precedente lavoro, e di commistionarli con altri, estendendo il viaggio nel tempo a nuove influenze, e raccontando lo spazio in maniera visiva.
Le canzoni raccontano qualcosa che le immagini amplificano e distorcono. Due rette parallele (all’asse y) traslate fra loro di 100 anni. L’estetica visiva si appoggia a quella sonora, creando illustrazioni démodé, il tessuto lirico, invece, non trova corrispettivo nell’illustrazione.
La produzione sonora e la scrittura armonica del disco compiono, contemporaneamente, come dicevo, un viaggio nel tempo. Le tappe musicali che vengono percorse sono un omaggio all’irrazionale follia della musica italiana che ha rubato e assorbito le influenze dell’estero in maniera differente nel corso degli anni.

 

Se dovessi riassumere la tua musica in tre parole, quali sceglieresti e perché?

Biologica, ecosostenibile e circolare.
La musica di questo nuovo progetto è nata assieme a persone per cui provo stima e affetto, ha saputo rivivere della leggerezza con cui si scrive e si producono canzoni durante l’adolescenza ed ora non ha più un’appartenenza individuale ma collettiva. Non nutre frustrate aspettative verso se stessa perché è stata coltivata e annaffiata con moderazione e ha già generato i frutti per la sua auto-sostenibilità.
Credo nell’economia circolare, e l’arte è come un campo di pomodori, se li annaffi troppo marciscono.

 

Cosa vorresti far arrivare a chi ti ascolta?

Nonostante non sia mai stato amante dei concept album (sono sempre stato più interessato alle canzoni che alla storia del disco), faccio molta fatica a concepire un lavoro discografico senza un nitido fil rouge, senza un concetto che avvolga tutto.
È molto difficile riuscire anche solo a raccontare una storia dentro una canzone, figurarsi in un intero disco. Per questo spero che di 10 Anni arrivi, innanzitutto, quello che il testo sta raccontando, il sogno di un risveglio dal coma, ed in secondo luogo la narrativa fantascientifica e distopica, che trasporta i fatti nel futuro e ne modifica le forme e i contenuti.
E poi, sì, tutto quello che faccio è sincero e appassionato, e spero che questo si senta.

Tre Domande a: Sinplus

Come e quando è nato questo progetto?

Essendo due fratelli, possiamo dire di aver  sempre suonato assieme… Nostro padre faceva parte di una cover band e da bambini avevamo a disposizione una piccola sala prova…era un po’ il nostro parco giochi. Nel 2009, dopo vari progetti, abbiamo deciso di formare i Sinplus (in italiano “peccato positivo”) e nel 2011 abbiamo pubblicato il nostro primo album Disinformation. In poco tempo abbiamo rappresentato la Svizzera all’Eurovision, abbiamo vinto un MTV Award e soprattutto abbiamo suonato in Festival come l’Isola di Wight. Nel frattempo stiamo arrivando a definire sempre meglio la nostra direzione artistica…e non vediamo l’ora di portare la nostra nuova musica dal vivo.

 

Se doveste riassumere la vostra musica con tre parole, quali scegliereste e perché?

Graffiante, sognante ed essenziale
Graffiante perché facciamo rock che fa saltare, sfogare, cantare… Il tutto intriso da una buona dose di post punk e new wave. Un rock che va dai Joy Division ai Rage Against The Machine.
Sognante perché ci sono sempre piaciuti  quegli ambienti e quelle melodie che fanno viaggiare la mente, che scatenano delle emozioni forti…The Cure e soprattutto gli U2 con Joshua Tree sono dei maestri in questo.
Essenziale in quanto quando componiamo cerchiamo di privilegiare la canzone piuttosto che il virtuosismo del singolo strumento. Inoltre la nostra musica non ha artifizi, non utilizziamo particolari trucchi di post produzione e soprattutto quello che sentite nelle registrazioni e quello che sentite in live.

 

Progetti futuri?

Diciamo che abbiamo diversa carne al fuoco, anche se il focus principale è il nuovo album in uscita a fine marzo 2023, di cui potete avere un assaggio con l’EP Waiting For The Dawn appena pubblicato, e la preparazione del live.
Siamo sempre stati un band che si esprime al meglio dal vivo, ma con la line up consolidata e le canzoni concepite per il live, stiamo arrivando ad un next level…saranno concerti da non perdere!

Tre Domande a: Phomea

Cosa vorresti far arrivare a chi ti ascolta?

Vorrei incuriosire l’ascoltatore, fargli venire voglia di approfondire, indagare, immaginare. Vorrei che chi ascolta Phomea riuscisse a lasciarsi andare ad un immaginario magari suggerito ma mai imposto, che riuscisse a trovare spazio per vedere oltre la musica.

 

Progetti futuri?

Ci sono tante cose che mi frullano in testa per il futuro, sia legate al disco Me and My Army che totalmente nuove. Nell’immediato futuro voglio semplicemente riuscire a portare il disco live il più possibile! L’idea è quella di continuare ancora un pò con i concerti in solitaria per poi provare a proporlo nella sua interezza in full band.
Mi piacerebbe poi provare a fare delle variazioni sul tema Me and My Army, ad esempio rivederlo in chiave totalmente elettronica oppure realizzarne una versione al pianoforte.
In un futuro non troppo lontano invece dovrebbe arrivare un terzo disco, è già nato qualcosa e c’è già qualche idea che mi stuzzica… Qualche pezzo nuovo lo sto già portando nei concerti per vedere come me li sento addosso!

 

Qual è la cosa che ami di più del fare musica?

Sicuramente la possibilità di stabilire un dialogo utilizzando un linguaggio così complesso e semplice allo stesso tempo come la musica.
Non a caso i miei momenti preferiti nella vita di un disco sono due: gli attimi che vengono ancora prima dell’idea del disco, prima della sua nascita, quando i pezzi iniziano a formarsi e l’interlocutore sono io, solo io e le occasioni live, quando tutto quello che mi sono detto nell’intimità del mio studio/salotto/sala prove può essere condiviso con chi è lì per vivere un’esperienza ed è pronto
Mi piace fare musica perchè è l’unico modo che conosco per comunicare (davvero) con gli altri e con me stesso… alla fine, forse, senza nemmeno sapere a priori cosa ci andremo a dire.

Tre Domande a: Clairemargot

Qual è la cosa che ami di più del fare musica?

Sicuramente il percorso creativo. Il fatto di poter esprimere con le parole sulla melodia quello che sento. Mi piace comunicare con musica ed immagini il mio vissuto personale, dato che ho una vita molto movimentata. Scrivo spesso quando guido la macchina, metto una base e registro con il telefono sui memo vocali, è uno dei pochi momenti che ho durante le mie giornate frenetiche tra i vari lavori come shooting, set cinematografici, ed il resto.

 

C’è un evento, un festival – italiano o internazionale -–in particolare a cui ti piacerebbe partecipare?

Mi piacerebbe molto provare ad entrare ad X-Factor l’anno prossimo. Seguo il programma da tanti anni, è un piccolo sogno che ho sempre tenuto nel cassetto! Adoro i live con i costumi e le coreografie pazzeschi, e ora che uscirà la musica a cui ho lavorato questi ultimi anni, e sto continuando ad esibirmi live tra Roma e Milano, mi sento più  pronta a salire sul palco del Forum di Assago.

 

Progetti futuri? 

Lilly, la mia traccia appena uscita il 28 Ottobre, è il primo di quattro singoli che usciranno tra il mese di Novembre e Marzo, saranno poi racchiusi nel mio primo EP. Ne vedrete delle belle tra le grafiche per le cover e gli shooting folli che stiamo creando con il mio super team. I video musicali che trovate già sul mio canale YouTube Clara Margherita Cabassi, come ad esempio Eroine invece li autoproduco, ho una laurea in regia ed il cinema è la mia passione oltre alla musica.

Tre Domande a: Sidstopia

Come e quando è nato questo progetto?

ASMA500 nasce nel bel mezzo del primo lockdown (maggio 2020) quando stavo improvvisando sul divano di casa un riff di chitarra accompagnato dal ritornello de La Scelta Sbagliata. Mi sono registrato con l’iPhone e da quelle parole la penna non ha più smesso di scrivere. Era un periodo strano, avevo appena pubblicato un EP importante nel momento peggiore e in cascata sono successe un po’ di cose che mi hanno demotivato. È stato un lungo processo di autoanalisi e la penna un mezzo per conoscermi meglio.

 

Cosa vorresti far arrivare a chi ti ascolta?

La semplicità di un 23enne, la consapevolezza del proprio vissuto, l’amore per il cinema e l’hiphop. Insomma, non serve dimostrare di essere di strada per fare rap, basta amare questa cultura e condividere la proprio storia, non per forza fingersi dei nuovi Tony Montana. Una cosa che mi dicono sempre è che nei miei testi c’è questo contrasto tra testi e musica, dove i temi, il più delle volte scuri e sensibili si amalgamano a strumentali luminose e ritmate. Mi piace, è stato un approccio naturale e proprio per questo sento di aver trovato una mia identità musicale.

 

C’è un evento, un festival – italiano o internazionale – in particolare a cui ti piacerebbe partecipare?

Ho sempre desiderato esibirmi al MIAMI Fest, penso sia l’evento più coerente con la mia idea di festival, ascolto praticamente tutti quelli che ci hanno suonato.
Da anni salgo sempre per la Milano Music Week, quest’anno ci suono e sono emozionatissimo. Il 24 Novembre tutti qui.

Tre Domande a: Colombo

Come e quando è nato questo progetto?

Wild Nights è il primo singolo di questo progetto che ho definito come “pop neoclassico”, perché nasce dal desiderio di far incontrare alcuni elementi della musica classica con la scrittura pop e l’elettronica. La melodia iniziale, infatti, richiama l’incipit della Sinfonia Dal Nuovo Mondo di Dvořák, che poi si evolve trasfigurandosi.
Nell’ultimo anno ho scritto diversi brani con questa intenzione, tutti legati alle poesie di Emily Dickinson, altro elemento che fa incontrare il passato con la contemporaneità. Nel caso di questo singolo, le poesie utilizzate sono Wild Nights e To love thee year by year: entrambe poesie d’amore, ma la prima legata al desiderio e alla passione, la seconda al sacrificio e alla rinuncia. 

 

Ci sono degli artisti in particolare che influenzano il tuo modo di fare musica o a cui ti ispiri?

Un artista che mi ha influenzato molto è James Blake perché nella sua musica il pianoforte ha un ruolo centrale, ma non viene suonato in maniera prettamente pop; oltre al piano hanno molta importanza anche l’elettronica e le armonie vocali. Questo mi ha aperto la strada su come contaminare la mia musica attraverso le mie influenze e attitudini.
Anche Sampha è un artista che ha fatto un’operazione simile e mi piace molto.

 

Progetti futuri? 

Wild Nights è il primo singolo che anticipa l’EP Where Children Strove, interamente dedicato alle poesie di Emily Dickinson e al connubio tra la mia formazione da pianista classico e gli elementi pop-contemporanei ed elettronici. Al momento quindi sono concentrato sulla promozione di questo progetto e spero di avere l’opportunità di presentarlo anche live.

Tre Domande a: Cal Birbanthe

Quando e come nasce il tuo progetto?

Il progetto Cal Birbanthe nasce col mio rientro in Italia, nel 2019, dopo un’esperienza di cinque mesi a Londra. Lì lavoravo come cameriere durante la settimana e nel weekend andavo ad esibirmi in alcuni club nella zona di Brixton. Avevo esaurito gli stimoli da strumentista, che il jazz mi aveva dato per anni, e sentivo il bisogno di dire qualcosa di mio in ambito “leggero”, soprattutto dopo aver ascoltato diverse realtà indie-rock in UK. In quel periodo, infatti, avevo scritto parecchi brani e pubblicato diversi self-released. Uno in particolare è stato Spero di No, brano di stampo R&B con un testo abbastanza indie che, con grande sorpresa (non avendo né etichetta, né ufficio stampa), riuscì comunque ad attirare l’attenzione delle radio siciliane e di molti DJ locali, che lo suonarono come breakdown hit nei club commerciali. Da lì non mi sono più fermato! L’anno successivo, iniziai a stendere le basi di Storie, album che ha visto la luce il 21 Ottobre e che sto portando in giro dallo scorso Marzo, assieme ad alcuni amici musicisti, con cui in passato ho condiviso altri progetti.

 

Cosa vorresti fare arrivare a chi ti ascolta?

Semplicemente le emozioni che vivo per strada e che percepisco negli altri. Amici, conoscenti e sconosciuti. Ad esempio, nelle trame delle tracce di Storie, spesso il sesso si confronta col sentimento, così come la fiducia con il tradimento. Si possono cogliere parallelismi sentimentali che stranamente si intersecano. Nella vita quotidiana, anche l’immagine di un figlio che, in crisi con la propria ragazza, guarda la madre portare a spasso il cane da sola, rievoca scenari e riflessioni su come il più nobile dei sentimenti sia soggetto a trasformazioni continue, in ogni fase della vita. Nei brani dell’album si colgono emozioni diverse ed emergono già a partire dalle timbriche: a volte retrò e nostalgiche, altre volte contestualizzate ai suoni contemporanei. Ogni espressione artistica è per natura individuale, ma funge da specchio collettivo, ed io vorrei che venisse fuori proprio questo: che in un calderone di elementi così diversi, sound nuovi e vintage, nostalgie e rasserenamenti, incoerenze e linearità, qualcuno si possa casualmente ritrovare.

 

Qual è la cosa che più ami nel fare musica?

Sicuramente potermi sentire me stesso, libero da ogni schema o ordine. Questa è una benedizione, perché pian piano accetti sia le tue parti di luce che quelle d’ombra. Nell’album Storie ho riversato diversi tipi di emozioni e stati d’animo. Nella traccia Mal di Mare c’è la mia parte in collera, sfatta e stanca; è un brano che, come dico spesso, anziché averlo concepito, l’ho proprio vomitato. In Domani c’è la rassegnazione serena di un amore che, in quel preciso momento, è finito. Insomma, quello che amo di più è che in musica si è nudi, dalla scrittura alla performance. E questo in un modo o nell’altro, arriva al pubblico.

Tre Domande a: Brida

C’è un artista in particolare con cui ti piacerebbe collaborare/condividere il palco?
Ci sarebbero tanti artisti con cui vorrei collaborare, penso che sia un buon momento per la musica in Italia, ma se dovessi scegliere adorerei collaborare con Mahmood. Penso che sia uno degli artisti più intriganti che abbiamo in Italia, sia dal punto di vista della scrittura, sia da quello del sound. Mi piacerebbe chiudermi ore ed ore in uno studio con lui e vedere cosa succede. Sarei molto curiosa di sentire i nostri mondi musicali insieme, ma soprattutto di unirmi alle sue pazze coreografie sul palco. 

 

Quanto punti sui social per far conoscere il tuo lavoro? Ce n’è uno che usi più di altri?
I social, se usati bene, oggi possono davvero essere uno strumento efficace, permettendoti di connetterti con tante persone, sono, a mio avviso fondamentali perché possono far volare il tuo progetto musicale potenzialmente ovunque. Non bisogna certo far confusione, la musica non si fa solo sui social con chi ti segue; il supporto della propria community si vede soprattutto live. Io, ad esempio, punto tanto su instagram per esprimere me e la mia musica, sono una persona estroversa e molto autoironica, quindi adoro creare contenuti come foto e video e mi piace moltissimo raccontarmi attraverso le stories.

 

Qual è la cosa che ami di più del fare musica?
La cosa che amo di più del fare musica è la libertà che si può avere nello sperimentare più sonorità diverse, tutte in un unico pezzo. Adoro quando mi connetto con quei pezzi che iniziano in un modo e finiscono in un’altra maniera; come fa Rosalia nel suo album Motomami: punto ad arrivare a quella consapevolezza nello sperimentare diversi stili, vorrei tanto creare un album di quel calibro. Penso che la libertà che ti da la musica, ti permetta anche di conoscere sempre artisti diversi e penso che questa sia una cosa importantissima: conoscere nuove persone, nuove realtà e nuovi suoni per arricchirsi e per creare legami. La musica, in fin dei conti, unisce sempre.

Tre Domande a: Kenai

Se dovessi riassumere la tua musica con tre parole, quali sceglieresti e perché?

Probabilmente definirei la mia musica contaminata, ricercata e personale. Contaminata si riferisce al fatto che i miei pezzi, in particolare il mio ultimo singolo Calzini Bucati, intersecano trasversalmente più generi musicali tra loro anche distanti; il pezzo già citato è propriamente indie, ma sono presenti moltissimi richiami alla musica anni ’80, e lo stesso discorso vale anche per i pezzi in uscita. La mia musica è ricercata perché sia io che Paci Ciotola, il produttore che cura tutti i miei brani, spendiamo davvero tanto tempo nell’arrangiamento, cambiandolo più o più volte e curando anche il minimo dettaglio, perché spesso sono proprio i dettagli a fare la differenza. Per i testi, poi, ogni parola ha un suo perché, non è mai lasciato nulla al caso e, alla fine, il risultato è frutto di una costante ricerca di suoni e significato. L’ultimo aggettivo, personale, è riferito al fatto che racconto, in qualche modo esperienze a me molto vicine e faccio di tutto per creare un legame tra me e ciò che scrivo; questo arriva all’ascoltatore. Vince sempre la verità.

 

C’è un artista in particolare con cui ti piacerebbe collaborare/condividere il palco?

Questa è una bellissima domanda. Per quanto riguarda la scena internazionale penso subito a Bruno Mars, che per me incarna il prototipo della pop star: canta, performa, danza ed interpreta magistralmente tutti i pezzi che affronta. Diciamo che per il momento i nostri generi sono forse diametralmente opposti, però penso che se avessi l’opportunità di dividere il palco con lui, suonerei anche musica classica. Guardando invece il panorama italiano, mi affascinerebbe dividere il palco con Cesare Cremonini, che ha per me un penna straordinaria oltre ad essere un artista eclettico e sempre al passo con i tempi. In riferimento alla scena indie, mi piace molto il modo particolare di scrivere di Calcutta, ha una voce che arriva diritta al cuore ed è in grado di muovere in me i tasti giusti.

 

C’è un evento, un festival – italiano o internazionale – in particolare a cui ti piacerebbe partecipare?

Penso che il sogno di tutti gli italiani sia Sanremo: ha un’atmosfera incredibile, un hype assurdo ed un pubblico vasto capace di raccogliere sia le istanze dei più grandi che dei giovanissimi, basti pensare a Sangiovanni e Massimo Ranieri dell’ultimo festival. È un’opportunità enorme per tutti gli artisti, dai big agli emergenti, e non è necessario vincere o occupare posizioni particolarmente alte per riscontrare il favore del pubblico, vedi Tananai. Per quanto riguarda i festival internazionali, penso che il Lollapalooza sia in pole position in quanto sono presenti i migliori artisti della scena internazionale in uno scenario a dir poco sublime… magari ne avessi l’occasione.

Tre Domande a: Argo

Se doveste riassumere la vostra musica con un tre parole, quali scegliereste e perché?

Confesso di aver avuto bisogno di una chiamata con Trem per ragionare bene sulla risposta a questa domanda.
Abbiamo scelto queste tre parole: istinto, immagine e viaggio.
Sono le tre parole chiave dei principali “sentieri” che scegliamo di percorrere con le canzoni. L’istinto è l’input fondamentale per ogni progetto e, per esempio in “Mi hanno detto che” diventa addirittura protagonista, come se fosse il motore che fa andare avanti la traccia.
Successivamente abbiamo scelto la parola immagine perché spesso, nei testi delle canzoni, riesco a descrivere meglio uno stato d’animo analizzando piccole “fotografie” di contesto, apparentemente circoscritte che caratterizzano un certo tipo di situazione.
Il viaggio è qualcosa che spesso ti fa dimenticare da dove sei partito, per questo è la nostra terza parola. Spesso ci siamo sentiti così lontani dalla nostra comfort zone che abbiamo voluto riportare questo aspetto della nostra vita anche nella musica. In Metà settembre, soprattutto grazie all’andamento musicale del pezzo, abbiamo voluto regalare un piccolo viaggio all’ascoltatore: si decolla dal nostro quotidiano disordine mentale per atterrare sulle nuvole.

 

C’è un artista in particolare con cui vi piacerebbe collaborare/condividere il palco?

Sicuramente mi farebbe molto piacere collaborare e condividere il palco con gli Psicologi, nella scena italiana attuale li considero i più affini alla roba che sto facendo in questo momento.
Mi ricordo una sera, probabilmente al Traffic, Alessio (Lil Kvneki) fece salire me e Morb sul palco durante una serata con vari artisti della scena di Soundcloud, solamente perché ci avevamo chiacchierato mezza volta, infatti ricordo che era una presa a bene inaspettata.
Qualche mese dopo andai ad ascoltare Diploma, aspettandomi qualcosa di simile a quella serata basata su pogo e lacerazioni alle corde vocali, e rimasi sorpreso dal cambiamento.
Probabilmente sono stato condizionato da quei due ragazzi, involontariamente mi hanno spinto a sperimentare di più e a distaccarmi da quella che, agli inizi, era la mia comfort zone.

 

Qual è la cosa che amate di più del fare musica?

Ci piace sapere che almeno nella musica riusciamo ad avere un equilibrio. Inizialmente scrivo da solo, o costringendo in un silenzio agghiacciante le persone che si trovano vicino a me in quel momento. Successivamente Trem compone e arrangia tutto e, visto da fuori, sembra alienante quanto mistico, è affascinante.
Quando arriva il momento di registrare iniziano ad intravedersi le stelline della magia, sembra di lasciare il corpo in studio mentre la testa si perde nel testo e nell’interpretazione che gli voglio dare. Durante il lavoro di editing, mix e mastering è come se tutto iniziasse a prendere vita e, per quanto si tratta dello step meno emotivo, spesso riusciamo a capire bene se la traccia ci convince o no proprio in questa fase. Nel live, in modo diverso, ci sentiamo comunque guidati da un preciso modus operandi che in altre circostanze non abbiamo, quindi la cosa che più amiamo del fare musica è senz’altro il processo.

Tre Domande a: Diamarte

Come e quando è nato questo progetto?

Il progetto diamarte è nato nel 2018.
Siamo amici e suoniamo da tempo insieme, diamarte è l’ultimo nome che abbiamo dato alle nostre varie jam in sala prove sin dalla prima adolescenza.
Abbiamo deciso di lavorare e immergerci completamente nel mondo musicale ed elaborare inconsapevolmente tutto quello che abbiamo ascoltato, valutato, vissuto e maturato negli anni.
Viviamo in un piccolissimo paese sperduto tra le montagne del matese in molise e il luogo ha sicuramente influenzato lo stato d’animo e il suono della band per adesso.
Il primo disco Transumanza è il risultato delle nostre piccole esperienze sensoriali e le influenze saranno abbastanza palesi (rock, stoner, noise) ma a noi non ci importa, non ci nascondiamo e per ora va benissimo così!

 

C’è un artista in particolare con cui vi piacerebbe collaborare/condividere il palco?

Siamo molto affascinati dai musicisti italiani. Sono persone che indirettamente hanno influenzato la nostra musica e la nostra vita. Parliamo di artisti come Carmelo Pipitone, Roberto Dell’era, il maestro Enrico Gabrielli, Giorgio Canali, Gianni Maroccolo, Dario Ciffo, Dan Solo… Sono tutti artisti con cui ci piacerebbe collaborare ovviamente.
Pensandoci meglio anche con Trent Reznor non sarebbe male…

 

Se doveste scegliere una sola delle vostre canzoni per presentarvi a chi non vi conosce, quale sarebbe e perché?

Forse Falso Risveglio, il nostro primo singolo.
Bisogna presentarsi in maniera tranquilla come ci consiglia la buona educazione… non vorrei mai presentare il lato mio più estremo/incazzato al primo appuntamento.
Falso Risveglio è una canzone che indubbiamente ti fa capire in che mood viviamo e suoniamo, ma non gode di troppe pretese come altri brani del disco Transumanza (in uscita l’11 novembre 2022)
È accettabile anche per chi non ascolta la musica rock… credo. 

Tre Domande a: Feexer

Come e quando è nato questo progetto?

Feexer nasce nella sua veste attuale nel 2017, con la pubblicazione di un demo-album chiamato Headed To in cui Manuel (Ciccarelli) ha raccolto 10 tracce, scritte come solista negli anni precedenti e pubblicate grazie al successo di una campagna su una delle principali piattaforme di crowdfunding. Da quel momento Manuel ha stabilito una road map per portare il progetto a un livello superiore, iniziando a studiare produzione musicale e realizzando alcuni demo che hanno catturato l’attenzione di due etichette (una tedesca e una italiana), nonché di un produttore italiano che oggi vive e lavora negli Stati Uniti.
Purtroppo la pandemia e il successivo contrarsi degli investimenti delle label sui nuovi progetti hanno impedito una pubblicazione immediata del primo disco in studio della band. A quel punto è stato chiaro che Feexer avrebbe dovuto muoversi come realtà indipendente, anche dal punto di vista della produzione: una scelta che ha richiesto un ulteriore lavoro di approfondimento in tale ambito – solitamente di competenza di esperti del settore – che sul medio periodo ha però portato enormi vantaggi. A questo occorre aggiungere l’arrivo nella band del batterista Stefano Mazzoli, che aveva calcato i palchi insieme a Manuel quando entrambi militavano nella band Zeroin e che ha permesso di raffinare ulteriormente le scelte artistiche.
Il primo studio-album di Feexer Don’t Bother, in uscita il 4 novembre, è il prodotto di questo recente passato che ha portato oggi la band ad essere una realtà completamente indipendente e con una impostazione artistica molto definita.
In ogni caso Feexer è probabilmente nato negli anni Novanta, quando Manuel ha ricevuto in regalo una chitarra e un amplificatore sgangherato da suo fratello maggiore!

 

Se doveste riassumere la vostra musica con un tre parole, quali scegliereste e perché?

Probabilmente canzone, chitarre e fusioni. 

Canzone, perché la band non fa della ricerca di un determinato sound il suo punto di riferimento. Tanta della musica prodotta oggi si concentra sulla ricerca di un suono ben determinato, con l’obiettivo di distinguere quel progetto da tutti gli altri: i dischi sono a volte un’espressione statica di questa volontà, dove il suono è al centro di tutto e all’interno di un LP si riesce a dar vita soltanto ad alcune sfaccettature. Per Feexer questo non è il punto di riferimento. Manuel e Stefano si concentrano sul riuscire a dare la migliore veste a una determinata canzone, quell’insieme di strofa e ritornello con tutti i suoi ricami. Agire senza schemi predeterminati, senza aver paura di accostare canzoni più aggressive a pezzi più introspettivi o a ballate acustiche. L’importante è che quelle note scritte inizialmente con una chitarra acustica arrivino a esprimersi con tutto il loro potenziale anche nella versione finale del brano.
Chitarre: sono al centro di tutto l’album. L’intreccio di chitarre acustiche e di riff più incisivi di chitarre elettriche sono una chiave sonora senza dubbio predominante, nonostante il ruolo altrettanto fondamentale della parte ritmica e degli inserti elettronici. Durante la produzione si è manifestato una sorta di rispetto reciproco del mondo acustico verso quello elettrico e viceversa. Non si è mai stabilito a priori cosa dovesse essere più in rilievo: quando un riff potente veniva accostato a una chitarra acustica ritmica questa non è mai andata a scontrarsi con la prima, bensì è stata concepita come un supporto per la stessa che andasse nella stessa direzione. Stessa cosa, soprattutto, nel lasciare alle atmosfere acustiche il loro spazio nonostante le numerosissime sovraincisioni elettriche.
Fusioni, perché queste nove canzoni hanno dato l’opportunità di far incontrare spesso le varie anime della band. Dal grunge più sporco alla raffinatezza di un certo alternative rock di matrice britannica, lasciando inoltre la libertà alla vena più elettronica di farla da padrone in diversi passaggi del disco. 

 

C’è un artista in particolare con cui vi piacerebbe collaborare/condividere il palco?

A volte si rimane affascinati da certe parabole artistiche. Sicuramente una delle storie che ci hanno più colpito negli anni è stata quella dei Vex Red, band inglese che all’inizio degli anni Duemila è stata una meteora folgorante, con un disco Start with a Strong and Persistent Desire – prodotto da Ross Robinson – che aveva scalato le classifiche dell’alternative rock sia nel Regno Unito che in Europa. Manuel ricorda ancora il giorno in cui, durante una festa organizzata in un appartamento nel Bolognese, aveva ascoltato il singolo The Closest. È stata la prima e unica volta in cui ha implorato di potersi portare a casa in prestito un disco lasciando una festa dopo pochi minuti. La profondità di quel disco dei Vex Red, le sonorità malinconiche eppure potentissime che trasmette, ha sicuramente segnato la nostra passione per la musica.
Eppure si tratta di una band che, per dissidi con la casa discografica e altre motivazioni personali, non ha più prodotto nulla fino a poco tempo fa, nel 2019 con l’EP Give Me the Dark, che ne ha segnato la reunion e un primo nuovo esperimento musicale.
Ecco, probabilmente scrivere un pezzo con i Vex Red e suonarlo dal vivo con loro esaudirebbe un grande desiderio e chiuderebbe il cerchio con quella fuga improbabile da una festa nel Bolognese.