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TOdays Festival 2022 • Day 1

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sPAZIO211 (Torino) // 26 Agosto 2022

 

TASH SULTANA

BLACK COUNTRY, NEW ROAD

HURRAY FOR THE RIFF RAFF

ELI SMART

 

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Il compito di rompere il ghiaccio e dare inizio alla festa spetta a Eli Smart, giovane cantautore di origine hawaiana, trapiantato in quel di Liverpool e seguito dalla stessa etichetta di Arlo Parks. Il mix piuttosto ardito produce quello che lo stesso artista definisce “Aloha Soul”.
Sul palco c’è una band di ragazzi capaci e che si divertono, con un sound sicuramente figlio di contaminazioni lontane, ma che alla fine, al netto di tutto, fa semplicemente ballare il pubblico sotto palco con una proposta fresca, di facile ascolto e piacevole. Insomma, uno spritz per iniziare va più che bene.
Da registrare il fatto che il bassista sembri il figlio segreto di Jack Black, cosa che, inevitabilmente, lo fa diventare subito un idolo assoluto.
Si metta agli atti anche il fatto che l’intera band, finito lo show, è scesa tra il pubblico e ha partecipato e ballato fino all’ultima canzone dell’ultimo gruppo. 

Con Hurray For the Riff Raff si cambia registro. La seconda band della prima serata alza l’asticella, ma era previsto. Alynda Segarra sembra una giovane Patti Smith, per presenza e padronanza dei testi. Le sue radici portoricane e newyorchesi si fondono in un mix che spazia dal folk al (quasi) raggaeton. Sugli scudi il bassista che suona con un dito il basso, con la mano destra le tastiere e si diletta nei cori, il tutto contemporaneamente. Sfatato pubblicamente il dramma del multitasking maschile.
Son stati una piacevole sorpresa, soprattutto dopo averli visti dal vivo. 

Ora, sappiate voi che leggete che il sottoscritto era sottopalco soprattutto per il terzo nome in cartellone, i Black Country, New Road, orfani di Isaac Wood.
La setlist del collettivo è composta da brani mai registrati e nulla, quindi, proviene dai due dischi precedenti, For the First Time e Ants From Up There.
I nostri però non deludono. In riga, spalmati sul palco come improbabili personaggi di una inquadratura di un film di Wes Anderson, danno vita a quanto di più vicino a un klezmer jazzato minimalista post-qualcosa. Per quanto questa definizione abbia senso. Si susseguono dialoghi senza regole tra strumenti, che diventano attori di un racconto e che entrano in scena con urgenza, per mostrare un punto di vista, a costo di farlo fuori tempo. Un Satie con la sindrome di Tourette.

A chiudere segue Tash Sultana, il live più atteso dal pubblico della serata, quello anagraficamente più giovane dell’intero festival. Del resto la giovane polistrumentista australiana ha una storia tutta social, talento e streaming a grandine. Nasce come artista di strada, nel 2016 pubblica su youtube il singolo Jungle. In cinque giorni arriva al milione di visualizzazioni (ora ne conta 149 milioni, è ancora online). Nel 2016 crea la sua etichetta indipendente Lonely Lands Records e pubblica il primo EP, Notion. Seguono tour, fama mondiale, due dischi.
Sul palco di Torino Tash suona tutto quello che le passa vicino. Dalla chitarra al flauto, dalle percussioni al sax. Si auto-campiona con la loop station, crea e costruisce il pezzo davanti al pubblico, poi improvvisa. La prima parte dello show è una dimostrazione muscolare di talento. Non c’è autotune, sono brandelli di bravura analogica che passano per la loop station e che riverberano e amplificano, diventano subacquei, perdendosi in lunghissimi assoli.
È padrona del palco, nonostante la giovane età e le dimensioni ridotte. Un piccolo punto di fuga lassù, sul palco, in perenne movimento e urgenza creativa.

Finita la prima serata, abbiamo orecchie sazie e gambe molli.
In tasca tre token.
Scarpe distrutte e polvere nei denti.
Benissimo.

 

Andrea Riscossa

foto di Roberto Mazza Antonov

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