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TOdays 2023 • Day 1

Caldo torrido, lieve brezza a centrocampo, si consiglia di idratarsi spesso e di godersi lo spettacolo all’ombra. Il termometro segna ben oltre 35°C.

È tutto pronto per il primo live del primo giorno dei TOdays 2023. Cancelli aperti, la venue si presenta identica all’anno precedente, così, dopo pochi minuti, la sensazione è quella di essere tornati a casa dopo una lunga vacanza.
Birretta di rito, in tempo per dirigersi sotto palco per il primo live della giornata, quello dei King Hannah.
Nato come duo, supportati da basso e batteria, al secolo noti come Hannah Merrick (voce e chitarra) e Craig Whittle (chitarra), si sono conosciuti lavorando nello stesso pub. Lei gallese, lui di Liverpool, hanno unito talento e chitarre, riuscendo a incidere il primo album nel 2022, dal titolo I’m Not Sorry, I Was Just Being Me.
Sul palco sono magnetici, persi in un pastiche di generi che sa di lo-fi, trip-pop, blues molto, molto (o)scuro. Attirano alla transenna anche gli over quaranta quando si esibiscono in una cover clamorosa di State Trooper di Springsteen.
Vox pop: (ovvero commenti rubati tra la gente, Ndr) lei ricorda PJ Harvey, ma l’insieme vira verso i Portishead. Di sicuro amano una struttura fatta di melodia che sale lentamente verso un climax fatto di chitarre maleducate e dai suoni tutt’altro che limpidi. Freschi, ma antichi, perfetti. 

La situazione degenera al secondo live.
O meglio. Era prevedibile accadesse, dal momento che sul palco erano attesi i Les Savy Fav, il cui frontman, Tim Harrington, è spettacolo nello spettacolo.
Piccolo passo indietro. Questi signori hanno inciso il primo album a metà anni novanta. Uno dei loro membri fondatori diventò il batterista degli LCD Soundsystem, mentre i loro dischi precorrevano i tempi della scena newyorkese di inizio millennio. Seminali e senza il dovuto riconoscimento, si direbbe, in una sola parola i Pixies, dieci anni dopo.
Torniamo a Harrington.La maglia vola via nei primi quindici secondi, rivelando un fisico importante. Le calvizie unite a una barba rosa fluo fa di lui una presenza di sicuro impatto sul palco. Palco che però non ama frequentare, dato che si lancia tra il pubblico alla prima canzone. Ruba macchine fotografiche, si impossessa di birre che poi sputa in cielo, sembra un folletto impazzito, un tarantolato dai colori accesi, e, notate bene, tutto questo accade mentre porta a casa un pezzo dopo l’altro. La band, sul palco, suona impassibile. Tre tecnici, che sembrano bagnini, stanno attenti al cavo del microfono. Perché Harrington non ama il wireless, è figlio di anni analogici. O forse trattasi di apparato per recuperarlo, a un certo punto. Musicalmente sono perfetti, nel loro genere. Lo spettacolo beh, quello è impagabile. 

Come impagabile è il numero di sospiri che si levano dalla folla quando sul palco sale Warhaus. Sui documenti risulta Maarten Devoldere, origine belghe, trentaquattrenne. “Bello bello in modo assurdo”, direbbe qualcuno, così come “belli belli in modo assurdo” sono i componenti della band. Agli occhi di un quarantacinquenne che ribolle di invidia sul palco sono saliti la versione continentale e più raffinata di una qualunque boy band inglese.  Al netto della beltà bisogna riconoscere che il progetto portato sul palco è affascinante: il nostro eroe, dopo una separazione, si è chiuso in una stanza di un hotel di Palermo per tre settimane, a elaborare dolore e tristezza. Lo ha fatto portandosi strumenti e microfoni.
Al suo ritorno in patria il produttore Jasper Maekelberg ha deciso di tenere i master originali della voce, costringendo i (bellissimi) musicisti a costruire la parte musicale attorno a quel dolore inciso in modo così verace. Risultato finale: una musica elegante, tra lo chansonnier e il crooner, con elementi quasi jazzati, con ampio uso di fiati e pianoforte.

È stata una giornata dedita all’ecclettismo.
Dai King Hannah e i loro ritmi lenti e cadenzati ai Les Savy Fav e il frontman col guinzaglio, nudo tra le genti. I belli e bravi accompagnatori di Warhaus, che ha raccontato con passione e leggerezza un amore finito. Verso le dieci di sera si vira ancora, verso lidi ben noti e verso una band decisamente a fuoco, i Wilco.
Colpa loro se esiste il genere alternative country, quando ancora si chiamavano Uncle Tupelo. Nel corso degli anni sono diventati più eclettici e sperimentali, ma la radice, alla fine, è sempre quella, qualunque sia la declinazione.
Classici nell’alt rock, semmai, anche perché hanno alle spalle anni di carriera, di LP (dodici in studio) e di premi (due Grammy sopra il caminetto). Ci hanno accompagnato nelle nostre serate sul divano, presenti in quasi ogni serie uscita negli ultimi anni, da Dr. Houseal recentissimo The Bear, oppure ovunque venga citata la loro Chicago. Per Ted Mosby di How I Meet Your Mother è Summerteeth il loro album migliore. Chissà se gli stivali rossi sono legati all’alt-country dei Wilco.
Il loro successo come accompagnamento sonoro è dovuto probabilmente al fatto che raccontano storie di vita, raccontano quotidianità, e lo fanno con abbondante uso di chitarre.
Sono come un viaggio in auto da passeggero, mentre alla guida c’è il più fidato e sicuro degli amici. Puoi perderti nei paesaggi, puoi parlare per ore, puoi tacere senza imbarazzo, intanto si va. E i Wilco hanno un pilota automatico che è una sicurezza, rendendo il loro live un piccolo gioiello. 

Il primo giorno dei TOdays termina in perfetto orario, il termometro rimane severo, tempo per un’ultima birra e per segnare le prime impressioni sul taccuino che, nel mentre, è diventato un’app.
La lunga strada verso il professionismo.

T-shirt dei Joy Division: tre.
Token in tasca: quattro (ma ho fatto scorta).

Andrea Riscossa

Turnstile @ AMA Music Festival

Romano D’Ezzelino, 23 Agosto 2023

Se come si sente dire di tanto in tanto la diversità è ricchezza, noi che eravamo presenti al Day 1 dell’AMA Festival possiamo serenamente abbandonare i nostri lavori e dedicarci ad altre e più appaganti e arricchenti attività. Tipo andare a concerti.

Si scherza ovviamente, anche se oggettivamente la serata del 23 agosto è quella più multiforme e differenziata tra le cinque che compongono il festival veneto, giunto all’ottava (?) edizione e capace di presentare delle primizie assolute, leggasi Chemical Brothers, Cypress Hill, Yunglud, Megadeth e molto altro.

Arrivo al parco di Villa Cà Cornaro un pò in ritardo rispetto alle previsioni, causa intoppi vari lungo la strada, con i Bnkr44 che stanno già allietando i primi presenti. Collettivo di giovani toscani, la loro proposta è sideralmente distante dai miei gusti, non solo per una mera questiona anagrafica, tuttavia vedo gente divertirsi, alcuni miei coetanei conoscono addirittura diversi pezzi a memoria, si balla spensierati ma causa alcune insistenti gocce di pioggia opto per andare a fare una prima tappa al bar.

Il secondo artista in scaletta è il rimpiazzo dell’ultim’ora, chiamato a sostituire la defezione pesante, quella di Salmo. Parliamo infatti di Nitro, rapper “di casa”, che presenta un set di livello davvero alto. Il pubblico inizia ad aumentare sensibilmente, l’interazione tra sopra e sotto il palco è continua e coinvolgente, Nitro alterna pezzi dal suo ultimo Outsider a pezzi storici, cantati all’unisono da gran parte del pubblico, la pioggia continua a tamburellare sulle nostre teste ma il live è incalzante e mi porta a posticipare il secondo giro. Si chiude con una versione davvero sentita di Ti Direi, “Ogni errore mi ha reso la versione migliore di me”. Grande Nitro, ben fatto.

Si fa buio, si cambia nuovamente totalmente genere, si vola in Inghilterra con i White Lies. La band capitanata da Harry McVeigh dimostra di essere perfettamente a proprio agio in queste situazioni, suoni pieni, di grande impatto, anche se personalmente non apprezzo troppo questa predominanza di tastiere anni ‘80, come in Is My Love Enough.

Mi rimane la sensazione di un’esibizione che sul lungo periodo tende un pò ad appiattirsi, a rimanere entro degli argini troppo stretti, nonostante una sezione ritmica (che bel batterista è Jack LawrenceBrown!) di livello assoluto.

Ed eccoci a noi. 

Allora non faccio mistero che quando erano stati annunciati i primi nomi, i miei occhi si erano posati subito sui Turnstile. Se già il loro ultimo GLOW ON aveva un grado di gradimento nella mia personale graduatoria molto alto, per l’esibizione live tocca utilizzare il moltiplicatore. 

C’è una strana elettricità nell’aria, nel pit si avverte una certa qual tensione che preme per essere sprigionata, mi guardo intorno e non capisco se tutta quella gente sia lì per la band di Baltimorao se siano orfani di Salmo, ma per fortuna i nostri non tardano ad arrivare sul palco. E scatenare il delirio.

Come segretamente speravo l’inizio è affidato a MISTERY, brano di apertura del loro ultimo album, e tutto quello che immaginavo e sognavo inizia ad accadere. Sul palco Brendan Yates è una furia, Daniel Fang alla batteria e Franz Lyons al basso tengono ritmi insostenibili, le chitarre di Pat McCrory supportata dal nuovo innesto Meg Mills sparano quei riffoni sui quali è letteralmente impossibile stare fermi. Volano bicchieri di birre, volano persone sopra le nostre teste, Brendan salta a destra, salta a sinistra, si toglie la camicia e nei pochi momenti più rallentati accenna movenze che nemmeno Patrick Swayze in Dirty Dancing. GLOW-ON viene suonato praticamente tutto, quando nel finale parte BLACK OUT, cantata da tutto il pubblico, ho finalmente il tempo di riguardarmi intorno ed accorgermi che il dubbio iniziale non aveva ancora trovato risposta, tuttavia non c’era più una persona una che non fosse stata catturata dall’energia dei Turnstile, anzi.

C’è ancora tempo per un altro paio di canzoni, un Brendan Yates che ci informa (con mio sommo sbigottimento) che si tratta della loro prima volta in assoluto in Italia, e sulla spettacolare esplosione di coriandoli su T.L.C. cala il sipario su questa serata magica.

Si torna a casa con la convinzione che i Turnstile siano una delle live band migliori in circolazione.

Ed enormemente più ricchi. 

Già.

King Gizzard & the Lizard Wizard @ Parco della Musica

Padova, 22 Agosto 2023

Io lo sapevo che mi sarei trovato in questa situazione, ne ero certo, me lo sentivo e puntualmente non mi sbagliavo.

Quando mesi fa era stata annunciata, in data unica italiana a Padova, il concerto dei King Gizzard & the Lizard Wizard, il primo pensiero era stato “chissà come devono essere dal vivo, chissà che caos, che miscuglio, che delirio… pensa a doverne scrivere poi, per spiegare a chi non c’era cosa si è perso”.

E taaaac, eccoci qui.

Allora l’inizio è facile: c’è molto caldo, all’ingresso del Parco della Musica, a cancelli ancora chiusi, una fila sorprendentemente lunga, che va via via allungandosi col passare del tempo. Impiego una buona mezz’ora per entrare, il tempo di ordinare da bere che sul palco salgono gli openers della serata, The Prize, quintetto originario di Melbourne impegnato in un tour europeo da qualcosa come trenta date in poco più di un mese. Massimo rispetto. A menar le danze pare essere Nadine Muller, batteria e voce, che spinge un punk rock che talvolta si tinge di garage, altre volte sembrano i Pixies, e nonostante le tre chitarre, delle quali due sembrano spesso superflue, si fanno ben volere, si divertono, ci credono, il pubblico capisce ed approva, applaude e quindi non vedo perchè star lì a fare il puntiglioso. Bravi e basta.

Ma veniamo al dunque.

Le 21:30 da poco passate, la morsa del caldo si allenta, si respira un minimo ed ecco che guadagna la scena il sestetto australiano.

Per fare una dozzinale, grossolana introduzione, i King Gizzard & the Lizard Wizard suonano un molto ipotetico rock psichedelico (definizione che dopo pochi minuti di concerto risulterà drammaticamente fuorviante), hanno inciso 24 dischi in poco più di dieci anni di carriera (senza contare live, EP, collaborazioni, ecc), cinque solo nel 2022, e sul palco tendenzialmente fanno il cacchio che gli pare. 

Guidati dal frontman Stu Mackenzie, le due ore di live che seguiranno saranno quanto di più alienante, stordente e al contempo divertente sia possibile vivere di fronte ad un palco.

Il live del combo di Melbourne fugge facilmente a qualsivoglia definizione o etichetta, probabilmente sì, di base il loro è un rock psichedelico, per quelle voci ipereffettate, quelle chitarre che fanno molto San Francisco negli anni ‘60 (versante Jefferson Airplane piuttosto che Grateful Dead), però in certi momenti siamo in pieno trash metal, in altri sono quasi jam prog rock, le canzoni stesse presentano al loro interno più variazioni di ritmo e idee di quante ne contenga l’intera discografia di un qualsiasi rocker italiano medio.

Accanto a me scorgo diversi ragazzi ad occhi chiusi ballare e lasciarsi trasportare dalle evoluzioni delle chitarre e dalle ritmiche travolgenti di Michael Cavanagh, che spesso si trova circondato da Stu, dalla salopette nera di Joey Walker e da Ambrose KennySmith.

Parlare della scaletta lunga diciannove pezzi e quasi due ore e mezza, è quasi riduttivo e limitante, la tensione ed i decibel ti fanno rimanere costantemente sopra la soglia dell’attenzione, difficile distrarsi, impossibile perdere il filo, in quanto il filo non esiste: ci si lascia condurre, trasportare, si segue questa sorta di flusso, la corrente.

Il lungo finale, affidato alla terza ed ultima suite di Murder of the Universe, intitolata Han-Tyumi and the Murder of the Universe, è la perfetta conclusione di un viaggio del quale hai goduto dal primo all’ultimo metro, nonostante tu non riesca a capire dove ti abbia portato. Né ricordare da dove fosse partito.

Viagra Boys @ Beky Bay

Il caldo non sembra mollare in questa rovente estate 2023. Un Beky Bay ancora arso dalla torrida giornata accoglie i primi partecipanti ad uno degli ultimi concerti estivi di questa stagione pregna di eventi e attività. L’era covid è ormai un ricordo lontano e c’è tanta voglia di live.

La gente arriva un po’ alla volta, senza fretta, e SillyElly sale sul palco che ancora il pubblico si riesce tranquillamente a contare. Ci propone una sorta di pop anabolizzato, con sfumature trap, suoni da sigla di cartone animato e canzoni brevi con testi rivolti ad un pubblico decisamente giovane. La performer necessita ancora di esperienza nel tenere il palco, nel sentirsi a suo agio con la propria proposta musicale e con l’intrattenimento del pubblico ma la giovane età gioca a suo favore. Da rivedere.

Piacevole sorpresa invece Vipra, cantautore di origini pugliesi che si presenta sul palco con una band ben rodata, delle canzoni efficaci e delle parole decisamente intelligenti e sopra la media del rock alternativo italiano contemporaneo tanto da riuscire a catturare l’attenzione del pubblico sempre più numeroso. Alla fine del live resta la voglia di approfondire la sua attività musicale e di restare in contatto con questo artista decisamente interessante. Promosso!

Intanto il pubblico sta letteralmente riempiendo il parterre del Beky Bay e al calare delle luci si accalca nella zona astante il palco pronta ad accogliere il gruppo headliner di origine svedese. Finalmente i componenti dei Viagra Boys salgono sul palco e prendono posizione tra gli applausi e le urla.
Sin dalle prime note suonate dai sei musicisti si capisce che sarà un concerto memorabile! La musica dei Viagra Boys rapisce immediatamente ogni persona presente e presto ogni corpo si troverà a ballare trascinata dalla forza e dalla coesione messa in scena sul palco.
Una miscela unica di rock, punk, post-punk, new wave, anni ’80, droga, alcol, grazia suprema e totale inguardabilità, fottesega, cura e amore. Tanto amore. Una tecnica compositiva di alto livello ma mai fine a sé stessa in un irresistibile vortice che trascina le persone presenti in una danza unica. Sembra di assistere a un sabba di punks.

Un concerto sopra le righe e questi ragazzi si meritano tutto il successo che stanno avendo. A suggellare questa potenza emotiva il bacio queer finale tra due componenti del gruppo. Se il il futuro musicale è in mano a loro, siamo in buone mani.

Enrico Guardigli

Frantic Fest 2023

Come per gli anni passati, allo scadere delle classiche ferie estive, ritorna il Frantic Fest di Francavilla al Mare, come se l’estate volesse regalarti un ultimo assaggio di epicità e divertimento prima di farti ritornare alla consueta e noiosa routine quotidiana.

Per che non ne fosse a conoscenza, il Frantic Fest è, a nostro avviso, il miglior festival di metal in Italia. Non stiamo parlando della potenza di fuoco di Hellfest o Wacken, ovviamente, ma il Frantic ospita veramente delle band internazionali incredibili nei suoi tre giorni di costanti live show, che partono dalle 15 pomeridiane fino a raggiungere le 2 di mattina del giorno dopo.

La prima cosa che abbiamo notato quest’anno è sicuramente il cambio di marcia che il festival ha deciso di compiere. Un investimento (monetario e di offerta per il pubblico) che è un chiaro segnale di come il Frantic voglia entrare di diritto tra i maggiori eventi di questo tipo. Tessere ricaricabili con i token per acquistare bevande e cibo all’interno (tutto cashless tranne il merch delle band), la nuova Tent Stage che ora si trova sotto una enorme tenda per evitare di stare sotto al sole cocente del pomeriggio, ma soprattutto, e questo è veramente encomiabile e in controtendenza, i prezzi ci sembravano diminuiti rispetto al precedente anno, come la birra che passa da 6 euro a 5 euro…e fidatevi, sono notizie che ti fanno bene al cuore.

Nota dolente, però, è la scarsa preparazione organizzativa del primo giorno, che ci si aspettava da un festival che vuole crescere. Lunga fila sotto il sole solo per farsi controllare il biglietto precedentemente acquistato (oltre a non avvisare molte volte che è necessario recuperare il bicchiere e la tessera cashless direttamente alla cassa), code per ricaricare di token la tessera, con una sola persona alla cassa, e code per prendere la prima birra, anche qui con una sola persona a spillare all’inizio del festival. Siamo sicuri, però, che questo sia solamente un caso isolato, poiché anche l’organizzazione non si aspettava un afflusso di pubblico così ampio, decisamente maggiore rispetto all’edizione precedente; questo ci fa ben capire quali siano le vere potenzialità delFrantic Fest negli anni a venire.

Purtroppo, il nostro ritardo nell’arrivare e le attese sopracitate non ci hanno permesso di godere dei primi tre gruppi della giornata dedicata maggiormente al black metal, tutti rigorosamente italiani come da tradizione del Frantic: Svart Vinter, Bosco Sacro con il loro doom ambient e Nubivagant, black metal con voce melodica e pulita.

Si parte quindi dal Main Stage con gli Slaughter Messiah, spettacolare band che unisce trash, speed e black metal sapientemente e che è stata in grado di tenerci incollati alla live per tutta la sua durata. Lodi a Lord Sabtahan, bassista e cantate iconico, per i suoi acuti praticamente perfetti! Ascoltateli perché non ve ne pentirete.

Ci si sposta poi alla nuova Tent Stage con i Calligram, band formata da membri italiani, inglesi, francesi e brasiliani che propone un black metal/hardcore tecnico e con un’ottima composizione dei brani. Se siete interessati alla nuova wave del black metal, sono decisamente il gruppo vostro.

Successivamente arriva poi il cambio di programma: sarebbe stato il momento degli islandesi Misþyrming ma, a causa dei ritardi del volo, sono stati spostati come ultima band della giornata, e le sorprese per loro non sarebbero ancora finite.

Li sostituiscono gli irlandesi Dread Sovereign, band formata da Alan “Nemtheanga” Averill dei Primordial, storica black-celtic metal band attiva dalla fine degli anni ’80. Incredibili su vinile, live un po’ sottotono rispetto a quello che ci avrebbe aspettato durante la prima giornata. Brani epic e dark metal si alternano al doom e allo speed, per un gruppo esperto ed eclettico.

Si passa poi agli italiani Hierophant. Vi piace il black metal? Dovete ascoltarli! Nati nel 2010 con uno stile hardcore punk/sludge metal, si sono spostati successivamente negli anni verso le sonorità più estreme del metallo norvegese, facendolo dannatamente bene. Seguiteli perché stanno calcando i palchi dei maggiori festival internazionali.

Arriva il momento dei due “big”: Harakiri from The Sky e Rotting Christ. I primi hanno sicuramente eseguito il miglior live della giornata suonando praticamente 6 brani (inevitabile visto che raggiungo delle lunghezze di oltre 8 minuti) di post-black metal eseguito alla perfezione, melodico e coinvolgente: l’Austria non poteva darvi un band migliore da ascoltare.

I Rotting Christ, headliner preceduti dai siciliani Inchiuvatu che si presentano nuovamente dopo ben 10 anni dalla loro ultima esibizione, sono la storia del black metal ellenico e internazionale. Attivi dal 1987 hanno contribuito allo sviluppo del genere e non possiamo che rendergli onore per questo. Le loro sonorità sono orecchiabili e utilizzano in alcuni punti campionature di strumenti e melodie greche che rendono ancora tutto più emozionante. Consideriamo poi che al cantante e chitarrista Sakis Tolis non gli si può che voler bene, abbiamo così un’amalgama perfetta che rende i Rotting Christ una band che tutte e tutti dovrebbero ascoltare.

Arriviamo alle due note dolenti dell’articolo. Partiamo con la prima: i Misþyrming. Spostati come ultima band a causa dei ritardi dei voli, si ritrovano persino senza un chitarrista perché non è riuscito a raggiungerli dall’Islanda. Purtroppo, questo ha inficiato tutto il live dei maggiori esponenti del black metal islandese che propongono un black metal perfetto e, in alcuni suoi punti, “anarchico”.

Seconda nota dolente: l’articolo termina alla prima giornata poiché il sottoscritto ha avuto un problema di salute che l’ha obbligato a ritornare alla sua dimora. Un vero peccato non poter assistere a band come gli Asphyx, headliner del giorno due e ai Mondo Generator, band finale del festival, ma siamo sicuri che le foto del resto del festival parlino da sole.

Enrico Emiliani

In foto: Rotting Christ, Slaughter messiah, Hierophant, Capra, Calligram, Mondo generator, Dread sovereign, Mistbyrming, Nubivagant, Devoid of thought, Slug gore, Golem of gore, Hyperwülff, Bosco sacro, Gatecreeper, Integrity, Booze and glory, Asphyx, Conan, Integrity.